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Il re del mare

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10. Il ritorno del Re del Mare

Assordanti clamori e vari colpi di moschetto avevano risposto al rimbombo del pezzo d’artiglieria. Non erano però grida di guerra, anzi di gioia, segno evidente che non si trattava del Re del Mare, bensì della nave inglese attesa.

Yanez e sir Moreland, tranquillizzati dalla minaccia della sentinella, avevano cercato di arrampicarsi fino al tetto dove si vedeva uno spiraglio; però avevano dovuto rinunciare in causa dell’altezza della parete.

– Bah! – disse l’anglo-indiano. – Sarà un’attesa di pochi minuti.

– Che sia una nave appartenente alla flottiglia di Labuan? – chiese Yanez.

– Lo suppongo. Pare che i miei compatriotti siano sbarcati; non udite questi urrah?

– Sì, la popolazione li saluta.

– Fra poco la commedia si tramuterà in farsa, con gran stupore di quello stupido di governatore che si è ostinato a non credermi un capitano autentico.

Le grida si avvicinano, i miei compatriotti vengono a liberarci.

– Gli isolani supporranno invece che vengano per appenderci, – disse Darma.

– Sono capaci di aver preparate le corde, – disse Yanez, scherzando.

Un rumore di voci si era udito verso la porta. Un momento dopo le traverse cadevano al suolo e uno sprazzo di luce invadeva il magazzino. Il governatore era comparso sulla soglia, assieme ad un uomo giovane ancora, con lunga barba bionda e gli occhi azzurri e che indossava la divisa di tenente di marina.

Dietro di loro si vedeva un drappello di marinai armati da guerra, baionette innestate, circondati da numerosi isolani.

– Ecco i pirati! – aveva gridato il vecchio, indicando i prigionieri. – Meritano dieci braccia di corda e bene insaponata. Arrestateli!

Con suo immenso stupore il tenente, invece di far avanzare i suoi marinai, si era precipitato verso sir Moreland colle braccia aperte, gridando:

– Comandante! Possibile! Voi vivo ancora! Sogno io?

– No, mio caro Leyland! – esclamò sir Moreland. – Sono precisamente io, in carne ed ossa. Abbracciatemi, amico mio!

Mentre il tenente e il capitano si precipitavano l’uno contro l’altro, il governatore, completamente scombussolato da quell’inatteso colpo di scena, si grattava furiosamente la testa, ripetendo:

– Ma se è un alleato dei pirati! Guardatelo, guardatelo bene, signor tenente! Inganna anche voi!

Il tenente, senza badare alle proteste del vecchio, nè alle imprecazioni e alle grida di stupore degli isolani, aveva chiesto:

– Come mai vi trovate qui, capitano, mentre vi si credeva affondato assieme alla vostra nave? Qui, a così tanta distanza da Sarawak?

– Non ve lo avevano detto i marinai lasciati liberi dal corsaro?

– Sì, ma nessuno aveva prestato fede alle loro parole.

– Signor Leyland, che cosa siete venuto a cercare qui?

– Il corsaro.

– Siete giunto troppo tardi e poi non vi consiglierei di misurarvi con quella nave! Ci vuole ben altro che un incrociatore! Volete un consiglio da vero amico? Prendete subito il largo ed evitate d’incontrarvi col Re del Mare delle tigri di Mompracem. Andiamo a bordo e vi racconterò poi tutto, ma lasciate prima che vi presenti due amici: miss Darma Praat e suo fratello.

Il governatore, vedendo il tenente a porgere la mano al portoghese, scoppiò come una bomba.

– Vi mistificano! – urlò. – Ecco il pirata che ci ha derubati! Appiccatelo!

– Silenzio, vecchia cornacchia, – disse sir Moreland. – Sono affari che non vi riguardano, giacchè il carbone non era di vostra proprietà.

– E le nostre bestie?

– Fate incassare la tratta a Pontianak, – disse Yanez, ironicamente.

– Che istoria è questa, capitano? – chiese il tenente.

– A più tardi maggiori spiegazioni, – rispose sir Moreland. – Fate proteggere questa miss e suo fratello dai vostri marinai.

– Appiccateli! – urlava il governatore, inferocito. – Sono tutti pirati!

– Silenzio! – tuonò il tenente impazientito. – Se questi signori, come voi affermate, sono dei pirati, il consiglio di guerra li giudicherà. Marinai, formate il quadrato ed a bordo subito.

– Signor tenente! – gridò il vecchio.

– Basta, ho capito, saranno giudicati. Avanti, in linea serrata.

I marinai, una trentina in tutti, splendidamente equipaggiati, chiusero le loro file attorno a sir Moreland, a Yanez ed alla giovane e scesero verso la spiaggia, seguiti dal governatore e dalla popolazione la quale commentava, poco favorevolmente, la condotta del tenente, credendo in buona fede che volesse proteggere dei volgari pirati.

Nel piccolo bacino vi erano tre scialuppe e fuori, un bellissimo incrociatore di piccole dimensioni, tutto dipinto in nero, che navigava fra i due promontori, tenendosi sotto vapore.

Il capitano, il tenente, Yanez e Darma s’imbarcarono sulla più grossa scialuppa assieme a dieci marinai, mentre gli altri prendevano posto nelle altre due.

Con pochi colpi di remo le scialuppe attraversarono la distanza, abbordando la scala di tribordo che era rimasta abbassata.

– Capitano, – disse il tenente, quando sir Moreland giunse in coperta, salutato dagli hurrà strepitosi dell’equipaggio, – la mia nave è tutta a vostra disposizione.

– Non chiedo che una cabina per me e una per ciascuno dei miei compagni. Giudicherete voi, comandante della nave, se potrete trattarli come prigionieri di guerra, dopo però che mi avrete ascoltato. Miss Darma, signor de Gomera, attendetemi.

Mentre la nave riprendeva il largo, il capitano ed il tenente scesero nel quadro dove ebbero un lungo colloquio.

Quando risalirono, sir Moreland era sorridente e pareva molto lieto.

– Miss, signor de Gomera, – disse accostandosi a loro, – voi non verrete ricondotti a Labuan, perchè la nave deve recarsi a Sarawak senza indugio.

– Dove verremo consegnati al rajah, – disse Yanez.

– È tutto quello che noi possiamo fare, quantunque io avessi desiderato ben altro, – disse il capitano con un sospiro.

– E che cosa, sir Moreland? – chiese Darma.

L’anglo-indiano scosse il capo senza rispondere, poi offrendo il braccio alla giovane e conducendola verso la poppa, le disse con certa agitazione.

– Vorrei strapparvi una promessa, miss.

– Quale, sir Moreland? – chiese Darma.

– Di non imbarcarvi più sul Re del Mare.

– Se sono prigioniera?

– Il rajah vi rimetterà subito in libertà.

– È impossibile, Sir: colà vi è mio padre ed egli non lascerà il Re del Mare. La sua sorte è unita a quella degli ultimi pirati di Mompracem.

– Pensate che io un giorno mi troverò nuovamente dinanzi alla nave di Sandokan e che forse toccherà a me colarla a fondo e dare anche a voi la morte, io che darei invece tutto il mio sangue per voi. Che cosa rispondete, miss Darma.

– Lasciate tutto al destino, sir Moreland, – rispose la giovane.

– Eppure mi amate.

Darma lo guardò, senza rispondere; i suoi occhi erano umidi.

– Ditemelo, Darma.

– Sì, – mormorò ella, con una voce così lieve che parve un soffio.

– Mi giurate di non dimenticarmi?

– Ve lo giuro.

– Ho fede nel nostro destino, Darma.

– Ed io temo invece che sarà fatale ad entrambi. Il nostro affetto è nato sotto una cattiva stella, sir Moreland, lo sento, – disse la giovane con voce triste.

– Non parlate così, miss Darma.

– Che volete, sir Moreland, vedo buio nel nostro avvenire. Mi pare che una catastrofe non lontana minacci noi due. Questa guerra sarà fatale anche a noi.

– Voi potrete evitare questo pericolo, Darma. Esso sta nascosto negli abissi dell’Atlantico.

– Ed in quale modo?

– Abbandonando il Re del Mare al suo destino, ve lo dissi già.

– No, sir Moreland. Finchè sventolerà la bandiera delle tigri di Mompracem, Darma, la protetta di Sandokan e Yanez, non lascerà la nave.

– E non sapete dunque che essi sono destinati a perire tutti? Le migliori e le più possenti navi della marina inglese fra poco piomberanno su questi mari e spazzeranno via il corsaro. Fuggirà, vincerà forse altre battaglie, eppure presto o tardi dovrà soccombere sotto le nostre artiglierie.

– Ve lo dissi ancora: noi sapremo morire da valorosi, al grido di: Viva Mompracem!

– Bella e coraggiosa, come una vera eroina! – esclamò sir Moreland, guardandola con ammira rione. – Ed il fiotto di sangue sarà fatale a tutti!…

Yanez si era in quel momento accostato con precipitazione.

– sir Moreland! – esclamò. – Una nave a vapore corre su di noi. È stata già segnalata dal comandante.

– Che sia il Re del Mare! – esclamò Darma.

– Si sospetta che sia una nave da guerra. Guardate: i marinai si preparano al combattimento.

La fronte di sir Moreland si era oscurata, mentre un rapido pallore si era diffuso sul suo viso.

– Il Re del Mare, – mormorò con voce sorda. – Esso viene a spezzare la mia felicità.

Il tenente lo aveva raggiunto, tenendo in mano un cannocchiale.

– Sir James, – disse. – Una nave e molto grossa, se non m’inganno, punta su di noi.

– Che sia una delle nostre? – chiese il capitano.

– No, perchè viene dal nord-est, mentre la nostra squadriglia si è diretta verso Sarawak colla speranza di trovare il corsaro in quella direzione.

Un punto nero, che ingrandiva rapidamente, sormontato da due nere colonne di fumo, era apparso all’orizzonte e pareva che si dirigesse verso il gruppo di Mangalum, muovendo a grande velocità.

Sir Moreland aveva puntato il cannocchiale e guardava con estrema attenzione.

Ad un tratto l’istrumento gli sfuggì dalle mani:

– Il Re del Mare! – esclamò con voce rauca, mentre gettava su Darma uno sguardo ripieno di tristezza.

– Sandokan! – esclamò Yanez. – Nemmeno questa volta mi appiccheranno!

– È il corsaro? – chiese il tenente.

– Sì, – rispose sir Moreland.

 

– Daremo battaglia e l’affonderemo, – disse il tenente.

– Volete farvi colare a picco? Fra pochi minuti nave e uomini saranno in fondo al mar della Sonda. Ci vuole ben altro, che un incrociatore di terza classe per affrontare quella nave, la più moderna, la più rapida e la più formidabile di quante ve ne siano.

– Eppure non mi lascerò catturare senza combattimento, – rispose il tenente.

– Non lo vorrei nemmeno io, amico; credo però che noi lo eviteremo. Le conseguenze sarebbero per noi disastrose.

– In quale modo?

– Fate calare in acqua una scialuppa e lasciate che io vada prima a parlamentare colla Tigre della Malesia. Voi perderete i due prigionieri, io perderò molto di più, ve lo giuro, ma voi salverete la vostra nave e il vostro equipaggio.

– Vi obbedisco, Sir James.

Mentre i marinai calavano una baleniera, il Re del Mare che avanzava con una velocità di dodici nodi all’ora, piombava sull’incrociatore.

Le sue possenti artiglierie delle torri di prora, erano già state puntate e si preparavano a coprire di fuoco e d’acciaio il minuscolo nemico ed a colarlo a fondo alla prima bordata.

Il lungo nastro rosso, segno di combattimento, era salito sventolando sull’albero di prora, mentre la bandiera rossa di Mompracem, adorna d’una testa di tigre veniva innalzata su quella di poppa.

Sandokan, vedendo l’incrociatore inglese arrestarsi, issare bandiera bianca e calare in mare una scialuppa, aveva ordinato macchina indietro, fermandosi a milleduecento metri dall’avversario.

– Pare che l’inglese non si senta abbastanza forte per misurarsi con noi, – aveva detto a Tremal-Naik che lo aveva raggiunto nella torretta. – Che voglia arrendersi? Non saprei cosa farne di quella nave.

– Le prenderemo le artiglierie e le munizioni, oltre il carbone, – rispose l’indiano. – Potranno servire ai nostri amici dayaki di Sarawak.

– Sì, eppure mi spiacerebbe perdere altro tempo, – disse la Tigre della Malesia. – Dobbiamo cercare Yanez e Darma.

– Speri di trovarli ancora sullo scoglio? – chiese Tremal-Naik con angoscia.

– Non ne dubito. Io li ho veduti approdare, prima che le tenebre coprissero quell’isolotto. Oh! Un capitano nella baleniera! Che venga a offrirci la sua spada? Avrei preferito un combattimento, giacchè sento una smania furiosa di tutto distruggere.

– Tigre della Malesia, – disse in quel momento Sambigliong, il quale aveva puntato un cannocchiale sulla scialuppa. – È mai possibile! Che io mi inganni o che sia realmente lui! Guardate! Guardate!

– Che cosa hai veduto?

– È lui, vi dico, è lui!

– Chi lui?

– sir Moreland.

– Moreland! – esclamò Sandokan, prima impallidendo e poi arrossendo, mentre un lampo di speranza gli balenava negli sguardi. – Moreland a bordo di quel legno! Allora Yanez… Darma… Come possono trovarsi su quella nave? È impossibile, ti sei ingannato, Sambigliong.

– No, guardate, ci ha scorti e ci saluta agitando il berretto.

Sandokan si era slanciato fuori dalla torretta.

Un grido di gioia gli sfuggì.

– Sì, è lui, sir Moreland!…

La baleniera, sotto la spinta di dodici remi, s’avanzava rapidissima.

L’anglo-indiano, in piedi a poppa, salutava ora col berretto, senza abbandonare la barra del timone.

– Abbassate la scala! – gridò Sandokan.

L’ordine era stato appena eseguito che la baleniera abbordava. Sir Moreland salì rapidamente a bordo, dicendogli con una certa freddezza:

– Sono lieto di rivedervi, signore, e di potervi dare una notizia che gradirete assai.

– Yanez… Darma?… – gridarono ad una voce Sandokan e Tremal-Naik.

– Sono a bordo di quella nave.

– Perchè non li avete condotti qui? – chiese Sandokan aggrottando la fronte.

L’anglo-indiano che era diventato estremamente serio e che parlava con voce quasi imperiosa, rispose:

– Vengo per intavolare delle trattative, signore.

– Che cosa volete dire?

– Che il comandante vi consegnerà il signor Yanez e miss Darma a condizione che voi lasciate tranquilla quella nave, che come ben vedete non sarebbe in grado di misurarsi con la vostra.

Sandokan ebbe un istante di esitazione, poi rispose:

– Sia pure, sir Moreland. Saprò ritrovarla più tardi.

– Fate abbassare la bandiera di combattimento. Il comandante comprenderà che voi avete accettato la sua proposta e vi manderà subito i prigionieri.

Sandokan fece un segno a Sambigliong e pochi istanti dopo il nastro rosso veniva fatto scendere in coperta. Quasi nel medesimo istante una seconda scialuppa si staccava dal fianco del piccolo incrociatore: vi erano sopra Darma e Yanez.

– sir Moreland, – disse Sandokan, – dove vi ha raccolti quella nave?

– A Mangalum, – rispose l’anglo-indiano, senza levare gli occhi dalla scialuppa che s’accostava rapidissima.

– Vi eravate salvati sullo scoglio?

– Sì, – rispose il capitano, che pareva avesse perduta la sua abituale cordialità e che fosse in preda a delle profonde preoccupazioni.

La seconda scialuppa era giunta. Yanez e Darma avevano salito precipitosamente la scala, cadendo l’uno nelle braccia di Sandokan e la seconda in quelle di suo padre.

Sir Moreland, pallidissimo, guardava con occhio triste quella scena. Quando si furono separati, si volse verso Sandokan, chiedendogli:

– Ed ora mi tratterrete ancora prigioniero?

La Tigre della Malesia stava per rispondere, quando Yanez lo prevenne.

– No, sir Moreland, voi siete libero. Tornate a bordo dell’incrociatore.

Sandokan non aveva nascosto un gesto di stupore. Probabilmente non era quella la risposta che intendeva dare all’anglo-indiano, nondimeno non replicò.

– Signori, – disse allora l’anglo-indiano con voce grave, fissando bene in viso Sandokan e Yanez, – spero di rivedervi presto, ma allora saremo terribili nemici.

– Vi aspettiamo, – rispose freddamente Sandokan.

S’accostò a Darma e le tese la mano, dicendole con accento triste:

– Che Brahma, Siva e Visnù vi proteggano, miss.

La fanciulla che appariva profondamente commossa, strinse la mano senza parlare. Pareva che avesse un nodo alla gola.

L’anglo-indiano finse di non vedere le mani che Yanez, Sandokan e Tremal-Naik gli porgevano, salutò militarmente e scese rapidamente la scala senza volgersi indietro.

Quando però la scialuppa che lo conduceva verso il piccolo incrociatore passò dinanzi la prora del Re del Mare alzò la testa e vedendo Darma e Surama sul castello, le salutò col fazzoletto.

– Yanez, – disse Sandokan, traendo da parte il portoghese. – Perchè lo hai lasciato andare? Egli poteva diventare un ostaggio prezioso.

– Ed un pericolo per Darma, – rispose Yanez. – Essi si amano.

– Me n’ero accorto. È un bel giovane e valoroso, ha sangue anglo-indiano nelle vene al pari di Darma… chissà? Dopo la campagna.

Stette un momento come immerso in un profondo pensiero, poi riprese:

– Cominciamo le ostilità: gettiamoci sulle vie di navigazione e cerchiamo, finchè le squadre ci cercano nelle acque di Sarawak, di fare il maggior male possibile ai nostri avversari.

11. La crociera del Re del Mare

Quarant’otto ore dopo, il Re del Mare, che aveva presa la direzione di ponente per aspettare al varco le navi provenienti dall’India e dalle grandi isole di Giava e di Sumatra, dirette nei mari della Cina e del Giappone, a centocinquanta miglia dal gruppo di Burguram avvistava un pennacchio di fumo.

– Nave a vapore! – aveva segnalato Kammamuri, che era di guardia sulle coffe del trinchetto.

Sandokan che stava pranzando coi suoi amici e coll’ingegnere di macchina, si era affrettato a salire sul ponte, dopo aver lanciato il comando:

– Ravvivate i fuochi! Ai pezzi gli artiglieri delle torrette!

L’intero equipaggio era pure salito in coperta, non esclusa la guardia franca, nessuno potendo prevedere con quale nave il Re del Mare stava per incontrarsi.

Trovandosi l’incrociatore ancora a così breve distanza dalle coste del Borneo, poteva darsi il caso che si trovasse improvvisamente di fronte a qualche nave da guerra in rotta per Labuan o per Sarawak.

La Tigre della Malesia, armato d’un potente cannocchiale, scrutava attentamente il mare. Pel momento non si vedeva che una colonna di fumo spiccare sul luminoso orizzonte, ma la nave non doveva tardare a comparire, ora che il Re del Mare le muoveva incontro con una velocità di dodici nodi e sei decimi.

– Ebbene, Sandokan? – chiese Tremal-Naik che lo aveva raggiunto.

– Un po’ di pazienza, mio caro, – rispose il formidabile pirata.

– E se quella nave non fosse inglese?

– Si saluta e la si lascia andare non volendo noi metterci in guerra col mondo intero.

– La vedi?

– Comincio a discernerla e mi pare che sia un piroscafo mercantile, giacchè non vedo il lungo nastro rosso delle navi da guerra. La sua alberatura già spunta sull’orizzonte. Basterà un colpo in bianco per fermarla. Fa’ preparare da Sambigliong quattro scialuppe con qualche mitragliera e armare sessanta uomini.

– L’abborderemo? – chiese Kammamuri.

– Sì, se sarà inglese, come mi sembra. La nostra crociera comincia bene, più di quanto speravo e non sono che pochi giorni che abbiamo cominciate le ostilità.

La distanza spariva rapidamente, continuando il Re del Mare ad aumentare la sua velocità, onde tenersi pronto ad impedire la fuga al piroscafo che pareva essere un buon camminatore. Gli uomini in vedetta sulla piattaforma avevano già riconosciuta la bandiera spiegata sull’asta di poppa ed un immenso grido aveva salutata quella notizia.

– Non mi ero ingannato, – disse Sandokan. – Quella è inglese.

Ispezionò rapidamente le scialuppe, che erano già state calate fino ai sabordi ed i sessanta uomini che dovevano occuparle, quasi tutti malesi; poi fece dirigere l’incrociatore sul piroscafo, in modo da tagliargli la via.

Quella nave che doveva provenire probabilmente dai porti dell’India, era un grosso piroscafo di duemila o forse più tonnellate, a due alberi e due ciminiere. Sulla sua tolda si vedevano numerose persone affollate alle murate, attratte dalla presenza di quel legno da guerra che correva velocemente incontro a loro. A mille metri, Sandokan fece spiegare all’albero di mezzana la sua bandiera, poi sparare un colpo in bianco, che significava:

– Fermatevi!

Una subitanea confusione si era manifestata a bordo del piroscafo a quella inaspettata intimazione. Si vedevano marinai e passeggeri precipitarsi verso la prora, fra assordanti clamori che giungevano distintamente fino sul legno corsaro.

Certo la vista di quella bandiera, già conosciuta nei mari della Malesia, doveva aver prodotto una profonda impressione fra tutti, tanto più che il Re del Mare aveva continuata la sua corsa come se avesse voluto speronare la povera nave.

Per alcuni minuti fu visto il piroscafo virare ora a babordo ed ora a tribordo, come se fosse irresoluto sulla via da prendere e sul da farsi, ma una palla lanciata da uno dei pezzi da caccia e che passò sul suo ponte con rombo minaccioso, lo decise a fermarsi.

– Macchina indietro! – aveva comandato Sandokan. – In acqua le scialuppe e gli uomini da sbarco a posto. A te il comando, Yanez.

Il portoghese cinse la sciabola che Sambigliong gli aveva porta, si sospese al fianco le pistole e scese nella scialuppa più grossa assieme a Tremal-Naik.

Il piroscafo si era fermato a ottocento metri, reputando inutile ogni resistenza contro quel formidabile incrociatore che avrebbe potuto colarlo a fondo con poche scariche.

Clamori assordanti si alzavano fra i passeggeri affollati sulla tolda, credendo forse che fosse suonata la loro ultima ora.

Le quattro scialuppe, montate da sessanta uomini armati di carabine e di kampilang, avevano preso rapidamente il largo, dirigendosi verso il piroscafo, mentre gli artiglieri del Re del Mare puntavano due pezzi delle torri di babordo, pronti a scatenare un uragano di fuoco e di ferro al menomo indizio di resistenza da parte degli inglesi.

Giunte le scialuppe a trenta passi, Yanez diede imperiosamente l’ordine ai marinai inglesi di abbassare la scala, minacciando in caso contrario di far fuoco.

A bordo vi fu un po’ di esitazione e di confusione. Alcuni marinai erano comparsi sulle murate armate di fucili, come se avessero avuto l’intenzione di opporre resistenza, poi le grida furiose dei passeggeri, i quali non volevano esporsi al pericolo di venire colati a fondo dalle formidabili artiglierie del corsaro, li avevano subito costretti a ritirarsi e la scala era stata calata d’un colpo solo.

Yanez, seguito da Tremal-Naik, da Kammamuri e da dodici uomini, si slanciò sulla piattaforma sguainando la sciabola.

 

Il comandante del piroscafo lo aspettava, circondato dai suoi ufficiali, mentre i passeggeri, una cinquantina di persone per lo meno, si affollavano dietro, muti e terrorizzati.

Era un bell’uomo, di statura superiore alla media, dal volto energico ed abbronzato dal sole dei tropici, con capelli bruni e barba arricciata, un bel tipo di marinaio, insomma.

Vedendo comparire Yanez, colla sciabola sguainata, impallidì, poi corrugò la fronte.

– A quale onore devo la vostra visita? – chiese con voce fremente.

– Avete veduto i colori della nostra bandiera? – chiese invece il portoghese, salutando ironicamente.

– So che i pirati di Mompracem avevano un vessillo rosso con una testa di tigre, un tempo.

– Allora permettetemi di avvisarvi che i pirati hanno dichiarata la guerra alla vostra nazione ed al rajah di Sarawak.

– Mi avevano assicurato che non corseggiavano più.

– Ed era vero, signor mio. Il vostro governo ha provocato le tigri di Mompracem e quelle hanno riprese le armi.

– In conclusione, che cosa volete voi?

– Accordarvi venti minuti per imbarcarvi sulle scialuppe e colare a fondo la vostra nave.

– È una pirateria questa!

– Chiamatela come meglio vi piace, ciò non m’interessa, – rispose Yanez. – O obbedire o affondare: scegliete!

– Accordatemi qualche minuto onde interroghi i miei ufficiali.

– Ve ne ho concessi venti, dopo noi ci ritireremo e l’incrociatore aprirà il fuoco, ci siate o non ci siate a bordo. Sbrigatevi, perchè abbiamo fretta.

Il capitano che si frenava a stento, chiamò a consiglio i suoi ufficiali, poi dette l’ordine di mettere in mare le scialuppe e di farvi scendere innanzi a tutto i passeggeri.

– Cedo alla forza, non potendo resistervi, – disse poi a Yanez. – Appena però noi avremo approdato a Natuna o a Banguram informerò telegraficamente il governatore di Singapore.

– Nessuno ve lo impedirà, – rispose Yanez. – Vi faccio intanto osservare che sono trascorsi dieci minuti e che permetto ai passeggeri e al vostro equipaggio di portare con loro ciò che posseggono.

– E la cassa di bordo?

– Non sappiamo che cosa farne: se vi dispiace di perderla, prendetevela.

I marinai nel frattempo avevano messo in acqua tutte le lance, dopo d’averle fornite di viveri per parecchi giorni, di remi e di vele.

Ad un ordine del loro capitano, l’imbarco cominciò, facendo prima scendere le donne, poi i passeggeri. Ultimi furono gli ufficiali che portavano le carte di bordo e la cassa.

– L’Inghilterra vendicherà questo atto di pirateria, – disse il capitano del piroscafo che appariva vivamente commosso.

Yanez salutò senza rispondere.

Quando la nave fu sgombrata, i malesi delle scialuppe salirono a bordo, mentre la scialuppa a vapore del Re del Mare s’accostava rapidamente.

Le carboniere furono aperte e lo scarico del combustibile, molto scarso però, dovendo il piroscafo far scalo e rinnovare le provviste a Saigon, cominciò alacremente.

Due ore dopo i malesi lasciavano la nave. Le scialuppe montate dall’equipaggio inglese erano ancora in vista.

– Due cannonate alla linea d’acqua, – aveva comandato Sandokan.

Poco dopo due granate sfondavano le lamiere di babordo del piroscafo, aprendo due squarci immensi, attraverso i quali si precipitò tosto il liquido elemento.

Quattro minuti dopo il piroscafo scompariva negli abissi del mar della Sonda, con un frastuono orrendo, essendo le sue macchine scoppiate, ed il Re del Mare riprendeva la crociera, allontanandosi verso il sud-ovest.

L’indomani un veliero inglese, subiva l’egual sorte, dopo d’averlo privato d’una parte del suo carico consistente in pesce secco destinato ai porti d’Hainau, e parecchie altre navi, a vela ed a vapore, andarono a tenergli compagnia nei profondi baratri.

L’incrociatore batteva indisturbato le linee di navigazione, corseggiando dalle coste del Borneo fino in vista delle isole Anaba, tagliando la via alle navi provenienti dallo stretto di Malacca e dirette nei mari della Cina e del Giappone.

Già oltre trenta navi erano state colate a fondo a colpi di cannone o incendiate causando danni enormi alle compagnie di navigazione, quando un giorno un praho bornese che era stato accostato, informò quei formidabili distruttori che una squadra composta di parecchie navi da guerra era stata veduta nelle acque di Natuna.

Doveva certo essere quella di Singapore, inviata a cannoneggiare la nave corsara. Lo stesso giorno Sandokan, Yanez, Tremal-Naik e l’ingegnere Horward tennero consiglio e deliberarono di interrompere la crociera e di muovere senza indugio su Sarawak, a cercare la Marianna che doveva attenderli alla foce del Sedang.

Forse i dayaki, i loro antichi alleati, avevano cominciato ad invadere il sultanato; era quindi quello il momento buono di assalire il rajah dal lato del mare e fargli pagare cara la sua cooperazione nella conquista di Mompracem.

Il Re del Mare quindi, che aveva le carboniere piene e anche parte della stiva ingombra di combustibile, fece rotta verso il sud-est, desiderando Sandokan fare prima una punta verso la sua isola, per accertarsi se gli inglesi la tenevano ancora.

Aveva dato ordine di procedere colla massima velocità, sicchè l’incrociatore divorava miglia e miglia. Per quarant’otto ore navigò verso le coste bornesi, senza far cattivi incontri, quantunque tutti fossero persuasi che una grossa squadra battesse quei mari per sorprenderli.

Verso il tramonto del secondo giorno, il Re del Mare giungeva in vista di Mompracem, l’antico rifugio delle tigri della Malesia.

Fu con una profonda commozione che Sandokan e Yanez rividero la loro isola, da dove per tanti anni avevano fatto tremare, coi loro prahos, il possente leopardo inglese.

Quando raggiunsero il capo orientale, entro cui aprivasi la piccola rada, la notte era già scesa da qualche ora, ma una luna splendida permetteva di discernere l’alta rupe su cui un giorno sventolava orgogliosa la temuta bandiera della Tigre della Malesia.

La casa che aveva servito d’asilo ai due capi della pirateria, non si vedeva più. In suo luogo era stato eretto un fortino, probabilmente poderosamente armato per impedire alle ultime tigri erranti sul mare di riconquistare il loro covo. Anche in fondo alla rada si scorgevano confusamente delle opere di difesa, dei bastioni e delle cinte altissime.

Sandokan, appoggiato al coronamento di poppa, collo sguardo torbido e la fronte abbuiata, guardava la sua rupe senza parlare; dall’espressione del suo viso si capiva però facilmente che il suo cuore doveva in quel momento sanguinare.

Yanez che gli stava presso, gli mise una mano sulla spalla, dicendogli:

– Un giorno noi la riconquisteremo, è vero Sandokan?

– Sì, – rispose il pirata, tendendo minacciosamente il pugno verso l’isola. – Sì, quel giorno li cacceremo tutti in mare senza misericordia.

Volse lo sguardo verso il mare che scintillava superbamente sotto i raggi della luna.

– Mi riprende una voglia furiosa di tutto distruggere, – disse poi. – Rivedo sangue dinanzi ai miei occhi.

Quasi nel medesimo istante, si udirono verso la prora delle grida:

– Là! Là! Guardate!

Sandokan e Yanez si erano precipitati verso la murata di babordo vedendo gli uomini di guardia slanciarsi attraverso la tolda:

– Dei fanali! – aveva esclamato il portoghese.

– Il sangue che cercavo! – gridò Sandokan, nel cui cuore pareva che d’un tratto si fossero risvegliati gli antichi istinti di ferocia.

Verso levante, in direzione delle isole Romades, le cui cime si delineavano di già, sei punti luminosi, verdi e rossi, quasi a fior d’acqua e due bianchi in alto, apparivano distintamente.

– Sono due navi a vapore, – disse Yanez, – e scommetterei che vengono da Labuan.

– Tanto peggio per loro, – disse Sandokan, tendendo i pugni verso quei punti luminosi. – Pagheranno per Mompracem! Da’ ordine di alimentare i fuochi.

– Che cosa vuoi fare, Sandokan? – chiese il portoghese impressionato dal lampo sinistro che brillava negli occhi del formidabile uomo.

– Colarli con tutti quelli che li montano.

– Sandokan, non dimenticare che noi siamo corsari e non più pirati. E poi non sappiamo ancora se quelle sono navi da guerra o mercantili e se battono bandiera inglese.

Invece di rispondere, la Tigre della Malesia comandò di spegnere i fanali, di far suonare il «tutti in coperta» e dirigere l’incrociatore verso le due navi. Alle undici di sera il Re del Mare virava di bordo a soli cinquecento metri dai due piroscafi, i quali ignari del tremendo pericolo che li minacciava, navigavano a breve distanza l’uno dall’altro, a piccolo vapore.