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Il re del mare

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6. I misteri di sir Moreland

Un vecchio mastro cannoniere, dalla lunga barba brizzolata, colle spalle quadre, s’avanzò con quel dondolìo particolare ai vecchi lupi di mare.

– Il capitano che ci ha venduto questa nave mi ha detto che tu sei un famoso artigliere, – disse Sandokan, mentre il mastro si levava di bocca il pezzo di sigaro che stava masticando e salutava con gravità.

– Gli occhi sono ancora buoni, comandante, – rispose il vecchio.

– Saresti capace di mandare una palla a quel curioso che cerca di accostarci? Se lo tocchi o lo affondi avrai cento dollari di premio.

– Non vi chiedo, comandante, che di far fermare il Re del Mare per cinque minuti.

– Ti domando un colpo da maestro.

– Mi ci proverò, comandante.

Il punto nero, diventato ormai una striscia visibilissima, entrava allora nella seconda zona fosforescente.

– Lo vedi? – gli chiese Sandokan.

– Deve essere una di quelle brutte bestie inventate dai miei compatriotti, che portavano una torpedine fissa su un’asta, – disse il vecchio. – Sono pericolose se si accostano.

– Al tuo posto!

Yanez aveva già dato il comando di macchina indietro.

Il Re del Mare, trasportato dal proprio slancio, aveva continuato la sua corsa per duecento metri, nonostante che le eliche funzionassero furiosamente in senso contrario, poi si era arrestato, conservando una immobilità assoluta, essendo l’oceano perfettamente tranquillo.

Il mastro cannoniere si era collocato già dietro uno dei grossi pezzi da caccia.

Un silenzio profondo regnava sulla tolda della nave. Tutti aspettavano ansiosamente il colpo, tenendo gli sguardi fissi sulla scialuppa, la quale filava a tutto vapore in mezzo alla fosforescenza, cercando d’accostarsi nascostamente all’incrociatore.

Ad un tratto, il profondo silenzio fu rotto da un grido che usciva dalla torre.

– Pronto!

La scialuppa a vapore doveva trovarsi allora a circa millecinquecento metri dal Re del Mare. Il suo scafo nero spiccava nettamente sulla luminosa superficie delle acque.

Una detonazione echeggiò, mentre un lampo rompeva le tenebre. Per alcuni istanti si udì in aria un rauco sibilo che rapidamente si affievoliva. Il proiettile, di buon calibro, s’allontanava radendo le onde.

D’improvviso risuonò in distanza una detonazione. Una fiamma s’alzò sulla scialuppa torpediniera, seguìta da un nembo di scintille.

Quasi nello stesso momento la fosforescenza cessava bruscamente. Le nottiluche, le meduse e gli anemoni, spaventati forse da quel rombo, si erano prontamente inabissati nelle profondità misteriose del mare.

– Toccata! – gridò Sandokan.

Un grido di trionfo si era alzato a bordo dell’incrociatore. Il vecchio mastro artigliere si era avanzato verso Sandokan con volto ilare.

– Comandante, – gli disse. – Ho guadagnato i miei cento dollari.

– No, duecento, – corresse la Tigre della Malesia.

Ad un tratto fece alcuni passi innanzi, esclamando: – Saccaroa! Lo sospettavo! Sia: vi farò correre!

Alcuni punti luminosi, appena distinguibili, erano comparsi sull’orizzonte un momento dopo l’immersione dei molluschi fosforescenti.

Non dovevano esser già stelle, per gli occhi di quei marinai invecchiati sugli oceani; dovevano essere fanali di navi, probabilmente di navi da guerra lanciate sulle tracce del Re del Mare.

– Che sia la squadra del rajah, o quella di Labuan? – aveva chiesto Yanez.

– Mi pare che quelle navi vengano dal settentrione, – rispose Sandokan. – Scommetterei che quella inglese cerca di unirsi con quella di Sarawak. Qualcuno li avrà informati che noi battiamo questo mare e si sono messi in caccia.

– Ciò guasta i nostri progetti.

– È vero, Yanez perchè saremo costretti a fuggire verso il nord. Il Re del Mare è potente, ma non tale da affrontare una squadra.

– Che cosa intendi di fare?

– Rimandare a tempi migliori la distruzione dei depositi di carbone di Sarawak e rimontare fino al capo Tanjong-Datu, per incontrare la Marianna, poi gettarci sulle linee di navigazione, dopo esserci provvisti di combustibile a Mangalum. Quando la squadra verrà a cercarci nei paraggi di Labuan, torneremo a fare i conti col rajah o col figlio di Suyodhana.

– Sei nato grande ammiraglio, – disse Yanez, ridendo.

– Mi approvi?

– Pienamente. E la Marianna?

– La manderemo ad attenderci alla foce del Sedang ed incaricheremo il suo equipaggio di armare i nostri vecchi amici, i dayaki.

– Filiamo allora presto, fratellino. Le navi si accostano.

– Signor Horward! – gridò Sandokan. – A tutto vapore!

– Andremo a tiraggio forzato, comandante, – rispose l’americano.

Il Re del Mare aveva ripreso lo slancio. Tonnellate di carbone erano state rovesciate nei forni e le macchine funzionavano rabbiosamente, imprimendo allo scafo un tremito sonoro.

Tutti erano saliti in coperta, perfino Darma e Surama. Poteva darsi che da un momento all’altro, qualche nave distaccata dal grosso e mandata in esplorazione verso levante, si trovasse improvvisamente dinanzi all’incrociatore e tutti volevano essere pronti ad impegnare la lotta.

In quella direzione però non si vedeva brillare alcun fanale.

Sandokan, Yanez e Tremal-Naik, ritti sul ponte di comando, guardavano attentamente i punti luminosi, i quali pareva che avessero cambiata posizione. Certo i comandanti inglesi, vedendo il corsaro fuggire verso il nord-ovest avevano cambiato la rotta colla speranza di catturarlo.

La distanza però, invece di diminuire, aumentava di minuto in minuto non potendo quelle navi, anche forzando i fuochi, gareggiare col velocissimo corsaro.

Dopo un’ora di corsa furiosa, i punti luminosi erano diventati quasi invisibili.

– Credo che sia tempo di riprendere la nostra rotta verso il nordovest, – disse Sandokan a Yanez. – Gli inglesi continueranno ad inseguirci verso il nord.

Fece spegnere tutti i fanali, poi il Re del Mare, dopo d’aver descritta una gran curva, si diresse nuovamente al nord-ovest.

La manovra doveva essere completamente riuscita, poichè per alcuni minuti si videro i fanali brillare nell’oscura linea dell’orizzonte, poi scomparire.

– Orsù, – disse Yanez con tono soddisfatto. – Tutto va bene e possiamo andare a dormire qualche ora. Il riposo è stato ben guadagnato.

Quando l’alba sorse, il mare era completamente deserto. Non si vedevano che degli uccelli marini volteggiare fra i cavalloni, alzatisi colla brezza mattutina. Il Re del Mare aveva ridotta la sua marcia a otto nodi, essendo il combustibile troppo prezioso per sprecarlo.

Sandokan, ai primi raggi del sole, era tornato in coperta un po’ ansioso, quantunque non avesse alcun dubbio sulla buona riuscita della sua manovra notturna.

– Li abbiamo bene ingannati, – disse a Yanez, che lo aveva raggiunto insieme a Darma. – Noi raggiungeremo il capo Tanjong senza fare cattivi incontri. A proposito, cosa avrà pensato sir Moreland della cannonata che abbiamo sparato?

– Il dottor Held mi ha detto che si era molto inquietato, temendo che qualche nave fosse stata colata a fondo, – rispose Yanez.

– Andiamo a trovarlo.

– Mi permettete di venire con voi? – chiese Darma.

– Non trovo alcun inconveniente, – rispose Sandokan. – Sarà anzi lieto di rivedere la sua graziosa prigioniera. Vieni, fanciulla.

– Ciò farà piacere a lui e… anche a te, – aggiunse Yanez, sottovoce accostandosi alla giovane.

Quando scesero nel quadro, sir Moreland era già sveglio e chiacchierava col medico.

Vedendo apparire Darma dietro a Sandokan ed a Yanez, una viva fiamma animò gli sguardi dell’anglo-indiano e per qualche istante non le staccò di dosso gli occhi.

– Voi, miss! – esclamò. – Quanto sono lieto di rivedervi!

– Come state, sir Moreland? – chiese la giovane, arrossendo.

– Oh! La ferita si va cicatrizzando rapidamente, è vero dottore?

– Fra otto o dieci giorni sarà interamente chiusa, – rispose l’americano. – Una guarigione veramente miracolosa.

– Avrei preferito non vedervi ferito, sir Moreland, – disse Darma.

– Allora non mi avreste di certo trovato qui, – rispose l’anglo-indiano. – Mi sarei lasciato affondare assieme alla mia nave, a fianco della bandiera della mia patria.

– Sono più lieta che vi abbiano strappato alla morte.

Il giovane capitano la guardò sorridendo, poi disse:

– Grazie miss, ma…

– Che cosa volete dire, sir Moreland?

– Che sarei stato più contento anch’io se avessero salvata anche la mia nave ed i miei marinai. Ah! Miss, non m’aspettavo di dover subire una così disastrosa sconfitta e da parte dei vostri protettori. Tuttavia, credetelo, non rimpiango la mia prigionia.

– sir Moreland, – disse Sandokan, – sapete che questa notte le navi inglesi ci hanno quasi sorpresi?

– La squadriglia di Labuan? – esclamò il ferito con emozione.

– Suppongo che fosse quella, ma siamo riusciti ad ingannarla ed a sottrarci facilmente al pericolo.

– Non illudetevi tuttavia di poter aver sempre una tale fortuna, – disse l’anglo-indiano. – Un giorno, quando meno lo supporrete, vi troverete dinanzi ad un uomo che forse non vi accorderà quartiere.

– Volete alludere al figlio di Suyodhana? – chiese Sandokan.

– Non posso spiegarmi di più. È un segreto che io non posso tradire, – rispose l’anglo-indiano.

– Non può essere che lui, – disse Yanez, – quantunque voi abbiate affermato di non saper nulla su quel nostro ostinato e misterioso avversario.

Sir Moreland pareva che non lo avesse nemmeno udito. Guardava Darma con un senso di profonda angoscia.

Sandokan, Yanez e la giovane s’intrattennero alcuni minuti ancora nella cabina, scambiando qualche parola col dottore, poi si accommiatarono.

Prima però che la giovane uscisse, sir Moreland le disse, guardandola con una certa tristezza:

 

– Spero, miss, di rivedervi presto e che non vorrete considerarmi sempre come un nemico.

Quando la giovane fu uscita, l’anglo-indiano rimase a lungo alzato, tenendo gli occhi fissi sulla porta della cabina e le braccia incrociate sul petto, in attitudine pensierosa, poi si riadagiò, dicendo al dottore, con un lungo sospiro:

– Che triste cosa è la guerra. Getta l’odio perfino fra due cuori che potevano battere insieme col medesimo affetto.

– Ed il vostro avrebbe battuto assai, è vero, sir Moreland? – disse l’americano sorridendo.

– Sì, dottore, ve lo confesso.

– Per miss Darma?

– Perchè dovrei nascondetelo?

– Una bella e coraggiosa giovane, degna di suo padre e di voi.

– E che non sarà giammai mia, – disse sir Moreland, con accento strano. – Il destino ha scavato fra noi, senza nostra colpa, un abisso che nessuno potrà mai colmare.

– Per quale motivo? – chiese Held, stupito dal tono che pareva avesse in sè dell’angoscia e dell’odio profondo. – Questi uomini sono nemici del rajah, e degli inglesi e non già vostri.

Sir Moreland guardò l’americano senza rispondere. Il suo viso però in quel momento aveva assunto una espressione così terribile da colpire vivamente l’americano.

– Si direbbe che vi è un segreto nella vostra vita, – disse il dottore.

– Maledico il destino, ecco tutto, – rispose il giovane con voce sorda.

Poi, cambiando bruscamente tono, chiese:

– Dottore, dove ci conduce il comandante?

– Va al nord-ovest, per ora.

– A Sarawak forse?

– Può darsi, Sir.

– Che voglia sbarcarmi?

– Vi rincrescerebbe?

– Forse sì.

– Per lasciare miss Darma?

– Per altri motivi più gravi, – rispose l’anglo-indiano.

– Quali, se è lecito saperlo?

– Perchè il rajah mi lancerà nuovamente contro di voi e forse spetterà a me compiere il doloroso dovere di darvi il colpo mortale e di sommergere la donna che amo, – disse Moreland.

– Quel giorno può essere molto lontano.

– Io credo il contrario, perchè la vostra nave non potrà tenere eternamente il mare, nè rifornirsi sempre di viveri, di munizioni e di combustibile, senza avere un porto amico.

– L’oceano è immenso, Sir.

– Sì, è vero, ma quando dieci o venti navi solcheranno da tutte le parti quest’oceano e chiuderanno, come in un cerchio di ferro, il vostro incrociatore, quale speranza vi rimarrà? Ammiro l’audacia di questi pirati della Malesia, come ammiro la loro nave, un capolavoro dell’ingegneria navale, tuttavia permettetemi di dubitare sul buon esito della vostra crociera.

Che gravi danni possiate recare alla marineria inglese e creare molti fastidi al rajah, non lo nego, essendo il vostro Re del Mare il vascello più rapido che ora esista e forse il meglio armato, nondimeno non la durerete a lungo.

– Questi formidabili corsari non hanno la pretesa di tenere in iscacco, per molti anni, le squadre inglesi, sir Moreland. Sanno perfettamente la sorte che li attende e non ignorano che un giorno i loro cadaveri andranno a dormire il sonno eterno nelle tenebrose vallate del mar della Sonda o in fondo a qualche spaventevole baratro.

– E anche miss Darma lo sa? – chiese l’anglo-indiano con un brivido.

– Lo suppongo, sir Moreland.

– Ah! Sbarcatela! Salvatela!

– Qui combattono suo padre ed i suoi protettori, ai quali deve la vita, a quanto mi si disse, e non li lascerà, – rispose l’americano.

Sir Moreland si passò una mano sulla fronte, poi disse come parlando fra sè:

– Sarebbe meglio che domani le squadre riunite affondassero tutte, me compreso. Almeno sarebbe finita e non udrei più mai il grido del sangue che reclama vendetta!

7. Nel mar della Sonda

Sei giorni dopo, il Re del Mare, che aveva navigato sempre a velocità ridotta, per economizzare il prezioso combustibile, giungeva al capo Tanjong-Datu, quel vasto promontorio che chiude verso ponente il golfo, o meglio, il mare di Sarawak.

La Marianna v’era di già, nascosta entro una piccola rada, riparata da altissime scogliere che la rendevano invisibile alle navi passanti al largo.

La comandava uno dei più vecchi pirati di Mompracem, che aveva preso parte a tutte le imprese della Tigre della Malesia e di Yanez, un uomo fidatissimo e di un valore straordinario, sia come guerriero, sia come marinaio.

Secondo gli ordini ricevuti, aveva buon carico d’armi e di munizioni, per rifornire il Re del Mare in caso che ne avesse avuto bisogno, ma in quanto a carbone, a malapena aveva potuto racimolare una trentina di tonnellate, avendo gli inglesi di Labuan, dopo la dichiarazione di guerra di Sandokan, accaparrato tutto quello che si trovava a Bruni, la capitale del sultanato del Borneo.

Quella partita di combustibile poteva a malapena servire per un paio di giorni alla nave e, mantenendo una velocità ridottissima, nondimeno fu subito imbarcata e stivata nelle carboniere.

Temendo di essere sempre inseguito, Sandokan si affrettò a dare gli ultimi ordini al comandante della Marianna. Doveva recarsi senza indugio a Sedang, risalire il fiume fino alla città omonima, fingendosi una tranquilla nave mercantile battente bandiera olandese, abboccarsi coi capi dayaki che avevano preso parte alla deposizione di James Brooke, zio dell’attuale rajah, dispensare loro le armi e le munizioni e mettere a ferro ed a fuoco le frontiere dello stato, quindi attendere alla foce del fiume il ritorno del Re del Mare.

Qualche ora dopo, mentre la Marianna si preparava a mettersi alla vela, l’incrociatore lasciava Tanjong-Datu, risalendo a velocità moderata verso il nord-est, onde raggiungere Mangalum e provvedersi abbondantemente a quel deposito carbonifero destinato alle navi dirette nei mari della Cina.

Sette giorni dopo, avendo sempre tenuta una velocità moderatissima, per non trovarsi a corto di combustibile nel caso d’un incontro con qualche squadra nemica, il Re del Mare, che si era tenuto sempre assai lontano dalle coste, passava attraverso il banco di Vernon. Lo stesso giorno sir Moreland faceva la sua prima comparsa sul ponte, sorretto dal dottore.

Era ancora molto pallido e molto debole, però la sua ferita si era quasi interamente cicatrizzata, mercè la sua robustissima costituzione e le cure assidue del bravo americano.

Era una mattinata splendida e non troppo calda, avendo il Re del Mare abbandonate le ardenti calme del tropico da qualche giorno. Una fresca brezzolina soffiava dal sud, increspando l’immensa superficie del mar della Sonda e mormorando dolcemente fra le sartie metalliche dell’incrociatore. Numerosi volatili, per lo più dei petrelli, agilissimi uccelli marini, dal volo leggero, turbinavano sopra la nave, assieme a delle phoebetrie fuliginose, le più piccole delle diomedee, dalle penne nerissime, inseguendo i pesci volanti che le voraci dorate scacciavano dal loro elemento, costringendoli, per salvarsi, a spiccare delle lunghe volate sopra le onde.

Vedendo apparire l’anglo-indiano, appoggiato al braccio dell’americano, Yanez che passeggiava sul ponte assieme a Surama, si era affrettato a muovergli incontro.

– Finalmente eccovi ristabilito, – gli disse. – Ne sono ben lieto, sir Moreland. Agli uomini di mare fa molto meglio l’aria libera del ponte che quella delle cabine.

– Sì, sto bene, signor Yanez, grazie le cure e le attenzioni di questo bravo dottore, – rispose il capitano.

– Da questo momento consideratevi come nostro ospite e non più come prigioniero. Voi siete libero di fare quello che meglio vi piace e di andare dove vorrete. La nostra nave non avrà segreti per voi.

– E non temete che io possa abusare di questa vostra generosità?

– No, perchè vi credo un gentiluomo.

– Pensate che un giorno noi ci troveremo ancora di fronte l’uno all’altro e terribili nemici.

– Ci combatteremo lealmente.

– Ah! Questo sì, signor Yanez, – disse sir Moreland, con una certa asprezza.

Poi, dopo aver gettato un lungo sguardo sul mare e d’aver aspirato fragorosamente l’aria marina, disse:

– Voi avete lasciata la regione ardente. Questa è brezza del nord. Dove andiamo, se non vi spiace dirmelo?

– Molto lontano da Sarawak.

– Fuggite dunque i paraggi frequentati dalle navi del rajah?

– Per ora sì, perchè dobbiamo rinnovare le nostre provviste.

– Allora voi avete dei porti amici.

– No, a noi bastano quelli dei nemici per approvvigionarci, – rispose il portoghese, sorridendo. – sir Moreland, accomodatevi dove meglio credete e respirate un po’ di questa brezza.

L’anglo-indiano s’inchinò ringraziando e salì sul cassero dove aveva veduto Darma seduta su una sedia a dondolo posta sotto la tenda tesa all’altezza delle grue.

La giovane fingeva di leggere un libro, ma invece sotto le lunghe palpebre, non aveva cessato di guardare il capitano.

– Miss Darma, – disse sir Moreland, accostandosi alla giovane. – Mi permettete di sedermi presso di voi?

– Vi aspettavo, – rispose la figlia di Tremal-Naik, arrossendo leggermente. – Starete meglio qui che nella vostra cabina, dove si soffoca.

Il dottor Held offrì al convalescente una sedia, poi accesa una sigaretta andò a raggiungere Yanez il quale si divertiva ad osservare, insieme a Surama, i salti dei poveri pesci volanti perseguitati dalle dorate ed in aria dagli uccelli marini.

L’anglo-indiano rimase alcuni istanti silenzioso, guardando la giovane, più bella che mai, nel suo lungo accappatoio di percallino azzurro guernito con pizzi, poi disse con un tono di voce nel quale si sentiva una strana vibrazione:

– Quale felicità trovarmi qui, dopo tanti giorni di prigionia e ancora presso di voi, mentre avevo avuto il timore di non più rivedervi dopo la vostra fuga da Redjang. Mi avete giuocato per bene, miss.

– Non avete serbato alcun ràncore verso di me, sir Moreland, di avervi ingannato?

– Nessuno, miss: eravate nel vostro diritto di ricorrere a qualunque astuzia per ricuperare la libertà. Avrei però preferito tenervi mia prigioniera.

– Perchè?

– Non lo so: mi sentivo felice presso di voi.

Il capitano sospirò a lungo, poi con voce triste disse:

– Eppure il destino m’imporrà di dimenticarvi.

Darma, udendo quelle parole, era diventata pallidissima, pure disse:

– Sì, sir Moreland, bisognerà piegarsi dinanzi alle avversità del destino.

– E tuttavia, – riprese il capitano, – non so che cosa farei per infrangere i decreti della sorte.

– Non dimenticate, Sir, che fra noi sta la guerra e che questa ci dividerà per sempre. Che cosa direbbero mio padre, Yanez e Sandokan se sapessero che io ho accettato la mano di uno dei loro nemici? E che cosa direbbero i vostri, il cui odio verso di noi è ancor più profondo, più accanito, più spietato? Avete pensato a ciò, sir Moreland? Voi, uno dei più brillanti e dei più valorosi ufficiali della marina del rajah a cui la vostra patria ha armato il braccio per sopprimerci senza misericordia, sposare la protetta dei pirati di Mompracem? Vedete bene che la cosa sarebbe impossibile: un sogno che non potrà mai diventare realtà, perchè l’abisso che ci separa è troppo profondo.

– Il nostro amore lo colmerebbe, perchè l’amore non ha patria, se…

– Vorrei che così fosse, – disse Darma con voce triste. – sir Moreland, dimenticatemi. Un giorno voi sarete libero, scordatevi di me, riprendete il mare e obbedite alla voce del dovere che vi chiede il nostro sterminio. Dimenticate che su questa nave si trova una fanciulla che voi avete amata e che pur vi ha amato e fate tuonare, senza misericordia, le vostre artiglierie su di noi, colateci a fondo o fateci saltare in aria. La nostra sorte ormai è scritta a lettere di sangue sul gran libro del destino e tutti noi siamo pronti a subirla.

– Io uccidere voi! – esclamò l’anglo-indiano. – Tutti gli altri sì, ma non voi.

Aveva pronunciato quelle parole «gli altri» con un tale accento d’odio, che Darma lo guardò con ispavento.

– Si direbbe che voi avete dei segreti rancori contro Yanez e Sandokan e anche contro mio padre.

Sir Moreland si era morso le labbra, come se fosse pentito di essersi lasciato sfuggire quelle parole, poi riprese prontamente:

– Un capitano non può perdonare a coloro che lo hanno vinto e che gli hanno affondata la nave. Io sono disonorato ed è necessario che mi prenda una rivincita un giorno o l’altro.

– E li annegherete tutti? – chiese Darma con ispavento.

– Sarebbe stato meglio che io fossi colato a fondo colla mia nave, – disse il capitano, sfuggendo la domanda rivoltagli dalla giovane. – Quell’urlo terribile che mi perseguita non lo avrei più udito.

 

– Che cosa dite, sir Moreland?

– Nulla, – rispose l’anglo-indiano con voce sorda. – Nulla, miss Darma. Fantasticavo.

Si era alzato, mettendosi a passeggiare con agitazione, come se più non si sentisse i dolori che doveva produrgli la ferita non ancora interamente rimarginata.

Il dottor Held, che era poco lontano, vedendolo così agitato, gli si era avvicinato.

– No, sir Moreland, – gli disse. – Simili sforzi possono produrre gravi conseguenze ed io, per ora, ve li proibisco. La mia vigilanza su di voi non è ancora cessata.

– Che importa se la mia ferita si riaprisse? – disse l’anglo-indiano. – Se la mia vita dovesse fuggire da quello strappo, sarei più lieto. Almeno tutto sarebbe finito.

– Non rimpiangete di essere stato salvato, Sir, – disse il dottore, prendendolo sotto il braccio e riconducendolo verso il quadro. – Chi può dire che cosa vi riserba l’avvenire?

– Delle amarezze e null’altro, – rispose il capitano.

– Eppure ieri sembravate lieto di essere ancora vivo.

L’anglo-indiano non rispose e si lasciò ricondurre nella cabina, essendosi levato un vento freschissimo.

Il Re del Mare intanto continuava la sua corsa verso il nord-est, mantenendo una velocità di sette nodi.

A mezzodì Yanez e Sandokan avevano fatto il punto ed avevano constatato che una distanza di centocinquanta miglia separava la loro nave da Mangalum, distanza che potevano superare in poco più di ventiquattro ore senza forzare le macchine.

Entrambi avevano fretta di giungervi, perchè il tempo accennava a guastarsi rapidamente, quantunque al mattino fosse apparso splendido.

Alcuni cirri biancastri, che salivano dal sud, erano già apparsi e s’avanzavano lentamente; era certo l’avanguardia di vapori ben più densi ed ai due pirati non piaceva di farsi sorprendere da qualche burrasca in quei paraggi cosparsi di banchi e di scogliere isolate.

Ed infatti il mar della Sonda, così aperto ai venti freddi del sud e dell’ovest, è uno dei peggiori, perchè si formano in quei luoghi delle ondate così gigantesche, che non s’incontrano in altri, nemmeno nel Pacifico. E poi Mangalum non poteva offrire un sicuro asilo per una nave così grossa, non avendo che un minuscolo porto, accessibile solamente ai prahos.

Le apprensioni dei due vecchi lupi di mare dovevano avere una conferma molto presto.

Infatti, alla sera il sole era tramontato fra un fitto velo di vapori dalla tinta molto oscura e la brezza si era tramutata in un vento piuttosto forte e assai fresco.

La calma che regnava sul mare si era spezzata. Delle onde salivano di quando in quando dal sud e correvano, muggendo sordamente, contro l’incrociatore, sollevandolo bruscamente.

– Avremo mare forte domani, – disse Yanez al dottor Held, che era risalito in coperta. – Il Re del Mare ballerà terribilmente se si scatena un uragano. Ho fatto già una crociera in questi paraggi e so quanto diventano terribili allorquando soffiano i venti del sud o dell’ovest.

– S’alzano delle onde mostruose, è vero, signor Yanez?

– Di quindici metri e talvolta perfino di diciotto e che lunghezze che hanno!

– Ma Mangalum non deve essere lontana.

– Sarebbe meglio evitarla, piuttosto che trovarsi presso di essa, mio caro signor Held. Mangalum non è che un grosso scoglio e le altre due isolette che lo fiancheggiano, due punte rocciose.

– Un soggiorno poco invidiabile pei loro abitanti.

– Eppure non sembrano scontenti della loro terra, quantunque siano, si può dire, completamente isolati dal resto del mondo, non vedendo che molto di rado qualche nave. Ed infatti quel deposito di carbone non viene rinnovato che ogni due o tre anni.

– Si dice che sia la colonia più minuscola che esista nel nostro globo.

– È vero dottore, perchè la sua popolazione non ammonta nemmeno a cento persone. L’anno scorso non erano che in novantanove. È bensì vero che anni sono aveva raggiunto i centoventi abitanti.

– E perchè sono scemati?

– In causa d’una tremenda bufera la quale spinse le onde attraverso l’isola, atterrando molte case e spazzando via numerosi abitanti.

– E perchè i superstiti non hanno abbandonata l’isola?

– Pare che amino assai il loro suolo ingrato e malsicuro e poi credo che in nessun altro luogo potrebbero godere tanta libertà. Quantunque appartengano a razze diverse, essendovi inglesi, americani, malesi, bughisi, macassaresi e cinesi, vivono in perfetta armonia e sul piede d’una completa eguaglianza. Si può anzi dire che quegli isolani hanno risolto il famoso problema sociale e con soddisfazione generale, perchè sono retti da una specie di comunismo.

Il loro capo è il più vecchio abitante dell’isola, con poteri limitati. Lavorano in comune, si istruiscono a vicenda, e non conoscono il valore del denaro che per loro rappresenta una mera curiosità. Perfino le donne, che sono molto più numerose degli uomini, si sono adattate ai lavori mascolini, onde ovviare il pericolo che vi possano essere persone più bisognose di venire nutrite che non lavoratori costretti a nutrirle.

– Un’isola meravigliosa! – esclamò il dottore.

– Sotto un certo aspetto è veramente ammirabile, – disse Yanez.

– Sono molti anni che è popolata?

– Dal 1810, perchè prima non vi erano che bande di uccelli marini. Un disertore inglese, certo Granvill, fu il primo ad approdare insieme ad un suo compatriotta e ad un americano. Più prepotente degli altri due, con un editto si proclamava re dell’isola e dei due isolotti vicini. Pare però che ciò non gli portasse fortuna, perchè quando nel 1818 il governo inglese inviava una nave a prenderne possesso, non viveva che l’americano. Era possessore di molto oro, moneta affatto inutile fra quelle rocce e che avrebbero potuto godere in patria. Pure invitato a tornarsene in America, oppose un rifiuto categorico. A poco a poco sbarcarono dei malesi e anche dei bughisi e degli inglesi. Nel 1865 la popolazione aumentò d’un colpo avendo, in quell’epoca, un corsaro americano, sbarcato quaranta prigionieri, presi durante la guerra di secessione. Quell’aumento di popolazione rese ben dura la vita agli isolani, essendosi dimenticato il corsaro di sbarcare dei viveri, nondimeno a poco a poco la colonia prosperò e continuò ad aumentare. Forse a quest’ora, il signor Griell, che è l’attuale governatore dell’isola, ha più d’un centinaio di sudditi.

– Un piccolo re.

– Che ci tiene al suo regno, specialmente dopo la visita ricevuta da un ammiraglio inglese della squadra della Cina che lo ha investito del supremo potere, d’incarico della Regina d’Inghilterra.

– Figurarsi che onori avrà avuto quell’ammiraglio!

– No, signor Held, gli onori ha dovuto farli lui, offrendo alla colonia un banchetto pantagruelico, di cui i buongustai dell’isola serbano immortale ricordo, seguìto da molti doni fra i quali una bandiera inglese che Griell conserva gelosamente.

– Vedrò con piacere quel piccolo regno. Speriamo di avere una buona accoglienza, – disse il dottore.

– Lo dubito, – rispose Yanez, – perchè quegli isolani ci terranno a non sprovvedersi di carbone che consumano essi in gran parte.

Sapremo però calmarli avendo noi degli argomenti molto persuasivi. Chiamino pure in loro soccorso gli inglesi e ci scaccino. Siamo in guerra e la faremo a tutti i sudditi inglesi, senza eccezioni.