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I Pirati della Malesia

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10. Nel cimitero

Mentre nella casa del rajah accadevano gli avvenimenti or ora narrati, Sandokan che era stato, due ore dopo il seppellimento di Tremal-Naik, raggiunto dal bravo maharatto, si avvicinava a grandi passi alla città, seguito da tutta la sua terribile banda, armata fino ai denti e pronta a combattere.

La notte era bellissima. Miriadi di stelle luccicavano in cielo come diamanti e la luna vagava nello spazio, spandendo al di sopra dei grandi boschi una luce azzurrognola d’infinita dolcezza.

Un silenzio quasi perfetto regnava ovunque, rotto solo, di quando in quando, da una lieve brezzolina che veniva dal mare e che curvava, con lieve sussurrio, le foglie degli alberi.

Sandokan, con la carabina sotto i] braccio, gli occhi ben aperti, gli orecchi tesi per raccogliere il minimo rumore che segnalasse la presenza di un nemico, camminava innanzi a tutti, seguito a breve distanza dal maharatto.

I pirati lo seguivano in fila indiana col dito sul grilletto del fucile, calpestando con precauzione le foglie secche ed i rami morti, e guardando attentamente a destra e a sinistra per non cadere in un agguato.

Alle dieci, nel momento in cui la festa da ballo del rajah cominciava, i pirati giungevano sul limite estremo dell’immensa boscaglia.

Ad oriente scintillava, come un immenso nastro d’argento, il fiume, e presso le sue rive biancheggiavano le case e le casette della città. In mezzo a queste, lo sguardo acuto di Sandokan distinse l’abitazione del rajah, le cui finestre erano illuminate.

– Vedi nulla laggiù, Kammamuri? – chiese.

– Sì, capitano. Vedo delle finestre illuminate.

– Si danza, dunque, a Sarawak.

– È certo.

– Sta bene. Domani James Brooke si pentirà!…

– Lo credo, capitano.

– Mettiti in testa e guidaci al cimitero. Bada però di tenerti lontano dalla città.

– Non temete, capitano.

– Avanti, dunque.

La banda lasciò la foresta e s’inoltrò attraverso una vasta pianura coltivata, sparsa qua e là di bellissimi gruppi di cetting e di aranghe saccarifere.

Dalla città, quando il venticello soffiava un po’ più fortemente, grida confuse, ma per le campagne non si vedeva alcun abitante, né alcun drappello di guardie.

Il maharatto nondimeno prese un passo rapido e condusse la banda sotto un nuovo bosco che girava attorno al colle difeso dal fortino.

Egli sapeva che il rajah era estremamente sospettoso e che teneva delle spie attorno alla città, paventando un improvviso attacco da parte dei pirati di Mompracem.

Dopo un venti minuti, Kammamuri faceva cenno alla banda di arrestarsi.

– Che cosa c’è – chiese Sandokan raggiungendolo.

– Siamo in vista del cimitero – disse il maharatto.

– Dov’è?

– Guardate laggiù, capitano, in quel prato.

Sandokan guardò nella direzione indicata e vide il recinto. La luna faceva biancheggiare i cippi e scintillare le croci di ferro dei sepolcri europei.

– Odi nulla? – chiese Sandokan.

– Nulla – rispose il maharatto, – fuorché il vento che sussurra fra i rami degli alberi.

Sandokan gettò un fischio. I pirati si affrettarono a raggiungerlo e lo circondarono.

– Uditemi, tigrotti di Mompracem – diss’egli. – Forse non succederà nulla, ma bisogna diffidare. James Brooke, io lo so, è un uomo perspicace e sospettoso che darebbe il suo regno per schiacciare la Tigre della Malesia ed i suoi tigrotti.

– Lo sappiamo – risposero i pirati.

– Prendiamo dunque delle precauzioni per non venire disturbati nel nostro lavoro. Tu, Sambigliong, prenderai otto uomini e li disporrai attorno al cimitero, a mille passi di distanza. Al primo segnale che odi, o al primo uomo che vedi, manderai uno dei tuoi ad avvertirmi.

– Sta bene, capitano – rispose il pirata.

– Tu, Tanauduriam, ne prenderai sei e li disporrai attorno al cimitero a cinquecento passi da noi. Anche tu al primo fischio o al primo uomo che vedrai mi verrai ad avvertire.

– Sarà fatto, capitano.

– E tu, Aïer-Duk, prenderai quattro uomini e salirai a mezza costa di quella collina. Lassù c’è un fortino abitato e potrebbe scendere qualcuno.

– Sono pronto, Tigre della Malesia.

– Andate, dunque, e al mio primo fischio ripiegatevi tutti verso il cimitero.

I tre drappelli si divisero, prendendo tre diverse direzioni. Gli altri pirati, guidati dalla Tigre della Malesia e da Kammamuri, scesero verso il recinto.

– Sai precisamente dove fu sepolto? – chiese Sandokan a Kammamuri.

– In mezzo al cimitero – rispose il maharatto.

– Molto profondo?

– Non lo so. Io e il capitano Yanez eravamo ai piedi del colle quando i marinai lo sotterrarono. Lo ritroveremo vivo?

– Vivo sì, ma non riaprirà gli occhi che domani dopo mezzodì.

– Dove andremo dopo che lo avremo disotterrato?

– Torneremo nei boschi e, appena Yanez ci avrà raggiunti, ci recheremo da Ada.

– E poi?

– Poi partiremo subito. Se James Brooke si accorge del tiro, ci darà la caccia su tutto il territorio.

Erano allora giunti nel recinto, Sandokan per primo, il maharatto e i pirati poi entrarono nel cimitero.

– Siamo soli, a quanto pare – disse Sandokan. – Avanti.

Si diressero verso il centro del cimitero e si arrestarono davanti ad una fossa riempita di fresco.

– Dev’essere qui – disse il maharatto con viva commozione. Povero padrone!

Sandokan estrasse la scimitarra e sollevò con precauzione la terra.

Kammamuri e i pirati col loro kriss, lo imitarono.

– Era chiuso in una cassa o in un’amaca? – chiese Sandokan.

– In un’amaca – rispose Kammamuri.

– Scavate adagio; si potrebbe ferirlo.

Scavando con prudenza e ritirando la terra con le mani, erano giunti a due piedi di profondità, quando la punta di un kriss incontrò una certa resistenza.

– Ci siamo – disse un pirata ritirando prontamente il braccio.

– Hai trovato il corpo? – chiese Sandokan.

– Sì – rispose l’interrogato.

– Leva la terra.

Il pirata cacciò le braccia nella fossa e fece volare a destra e a sinistra la terra. Subito apparve l’amaca che avvolgeva Tremal-Naik.

– Prova ad alzarla – disse Sandokan.

Il pirata afferrò l’amaca e, riunendo tutte le sue forze, si mise a tirare. A poco a poco la terra si alzò, poi si divise e il tumulato apparve.

– Padron mio – mormorò il maharatto con voce soffocata dalla gioia.

– Deponetelo qui – disse Sandokan.

Tremal-Naik fu collocato presso la fossa. L’amaca era perfettamente immobile e umida.

– Vediamo – disse Sandokan.

Impugnò il kriss e delicatamente squarciò in tutta la lunghezza la grossa stoffa, mettendo allo scoperto Tremal-Naik.

L’indiano aveva le apparenze di un morto. I suoi muscoli erano rigidi, la sua pelle lucente e di una tinta grigiastra, invece che bronzea, gli occhi rovesciati che lasciavan solamente vedere il bianco, le labbra aperte e macchiate d’una bava sanguigna. Chiunque l’avesse visto, avrebbe detto che quell’uomo era stato ucciso da un potente veleno.

– Padron mio! – ripeté Kammamuri curvandosi su di lui. – È proprio vero, capitano, che non è morto?

– Te lo garantisco – rispose Sandokan.

Il maharatto appoggiò una mano sul petto di Tremal-Naik.

– Il suo cuore non batte – disse con terrore.

– Ma non è morto, ti ho detto.

– Non si può farlo risuscitare ora?

– È impossibile.

– E domani a…

Il maharatto non finì la domanda. Nella pianura era improvvisamente echeggiato un fischio acuto: il fischio d’allarme.

Sandokan, che si era inginocchiato presso Tremal-Naik, balzò in piedi con l’agilità d’una tigre. Il suo sguardo percorse d’un colpo solo la prateria.

– Un uomo s’avvicina – disse. – Un pericolo ci minaccia forse?

Un pirata s’avvicinava al recinto con la rapidità di un cervo. Nella destra aveva una scimitarra sguainata che la luna faceva scintillare come se fosse d’argento.

In brevi istanti, dopo aver varcato con un solo salto la palizzata, fu presso Sandokan.

– Sei tu, Sambigliong? – chiese la Tigre della Malesia, aggrottando la fronte.

– Sì, mio capitano – disse il pirata con voce rotta per la lunga corsa.

– Che nuove mi rechi?

– Stiamo per essere assaliti.

– Chi?

– Nopi -

Sandokan fece un passo innanzi. S’era tutto d’un tratto trasfigurato. I suoi occhi mandavano baleni, le labbra, ritrattesi, mostravano i denti, bianchi come quelli di un carnivoro. La Tigre della Malesia stava per risvegliarsi.

– Noi, assaliti!… – ripeté stringendo con frenesia la sua terribile scimitarra.

– Sì, capitano. Una banda d’uomini armati è uscita dalla città e si dirige a rapidi passi verso questo luogo – disse Sambigliong.

– Quanti uomini sono?

– Una sessantina almeno.

– E si dirigono qui?

– Sì, capitano.

– Che cos’è accaduto dunque?… E Yanez?… Che sia stato scoperto?… Guai a te, James Brooke, guai a te!…

– Che cosa dobbiamo fare? – chiese Sambigliong.

– Radunare i nostri uomini, prima di tutto.

Accostò alle labbra un fischietto al cui suono tutti i pirati si raccolsero attorno a lui.

– Siamo in cinquantasei – disse quindi, ma tutti coraggiosi; cento uomini non ci fanno paura.

– Nemmeno duecento – disse Sambigliong agitando la scimitarra. -

Quando la Tigre della Malesia darà il comando, piomberemo su Sarawak e la incendieremo.

– Non domando, tanto, per ora – disse Sandokan. – Ascoltatemi.

– Parlate, Tigre della Malesia.

– Tu, Sambigliong, prenderai otto uomini e andrai a nasconderti dietro quegli alberi. Tu, Tanauduriam, ne prenderai altrettanti e ti nasconderai dietro quell’altro gruppo di piante, proprio di fronte a Sambigliong.

– Bene – dissero i due capi.

 

– Tu, Aïer-Duk, prenderai tre uomini e ti collocherai in mezzo al cimitero.

– Va bene.

– Ma fingerai di scavare una fossa.

– Perché?

– Per lasciare che le guardie si avvicinino senza timore. Io mi nasconderò cogli altri dietro al muricciuolo e, quando sarà giunto il momento propizio, darò il segnale dell’attacco.

– Che sarà?… – chiese Sambigliong.

– Un colpo di fucile. Dato il segnale, tutti voi scaricherete le carabine sul nemico, poi lo assalirete con le scimitarre.

– Bel piano! – esclamò Tanauduriam. – Li prenderemo in mezzo.

– A posto! – comandò la Tigre.

Sambigliong con i suoi uomini andò ad imboscarsi nella macchia di destra; Tanauduriam cogli altri in quella di sinistra. La Tigre della Malesia s’inginocchiò dietro al muricciuolo, circondato dagli altri, e Aïer-Duk coi compagni si mise presso Tremal-Naik fingendo di scavare la terra.

Era tempo. Una doppia fila d’indiani sbucava allora nella prateria preceduta da un uomo vestito di tela bianca. Si avanzavano in silenzio, coi fucili in mano, pronti ad assalire.

– Kammamuri – disse Sandokan che spiava la banda nemica, vedi chi è quell’uomo vestito di bianco?

– S’, capitano.

– Sapresti dirmi chi è?

Il maharatto aggrottò le ciglia e guardò con estrema attenzione.

– Capitano – disse con una certa commozione, – scommetterei che quell’uomo è il rajah Brooke.

– Lui… lui… – esclamò la Tigre con accento d’odio. – Lui viene a sfidarmi!… Rajah Brooke, sei perduto!

– Volete ucciderlo!

– Il mio primo colpo di fucile sarà per lui.

– Non lo farete, capitano.

La Tigre della Malesia si volse verso Kammamuri mostrando i denti.

– Capitano, Yanez è forse prigioniero.

– È vero.

– Se noi c’impadronissimo del rajah, non sarebbe meglio?

– Ti comprendo. Tu vorresti fare uno scambio.

– Sì, capitano.

– L’idea è eccellente, Kammamuri. Ma io odio quell’uomo che tanto male ha fatto ai pirati malesi.

– Yanez vale più del rajah.

– Hai ragione, maharatto. Sì, Yanez è prigioniero, il cuore me lo dice.

– Dunque? Chi si incaricherà di prenderlo?

– Noi due. Zitto ora e attenti al segnale.

Gl’indiani erano giunti a quattrocento metri dal cimitero. Temendo di venire scoperti da Aïer-Duk, che continuava a scavare imitato dai suoi tre compagni, si erano gettati a terra e avanzavano strisciando.

– Ancora dieci passi – mormorò Sandokan, tormentando la batteria della sua carabina, – poi vi farò vedere come si batte la Tigre della Malesia in mezzo ai tigrotti di Mompracem.

Ma gli indiani, invece di continuare ad avanzarsi, ad un cenno del rajah si erano fermati volgendo gli sguardi verso le macchie che circondavano la prateria.

Senza dubbio sospettavano un agguato.

Dopo alcuni minuti si allargarono, formando una specie di semicerchio, e ripresero, ma con maggior prudenza, la marcia in avanti.

Ad un certo momento Sandokan, che era inginocchiato dietro al muricciuolo, si alzò. Puntò la carabina, mirò alcuni secondi, poi premette il grilletto. Un colpo rintronò turbando il profondo silenzio che regnava nel cimitero. Un indiano, il capofila, cadeva all’indietro con una palla in fronte.

11. Il combattimento

La detonazione non era ancora cessata che urla spaventevoli rimbombavano nella prateria.

Subito dopo, dieci, quindici, venti schioppettate partivano dai cespugli con rapidità fulminea. Una quindicina di indiani, parte morti e parte feriti, era rotolata fra le erbe prima ancora di aver potuto far uso delle armi.

– Avanti, miei tigrotti! – urlò la Tigre della Malesia scavalcando il muricciuolo seguito da Kammamuri, da Aïer-Duk e dagli altri. – Addosso a quei cani!

Sambigliong e Tanauduriam si slanciarono fuori dai cespugli con la scimitarra in pugno, traendosi dietro i loro drappelli.

– Viva la Tigre della Malesia! – urlarono gli uni.

– Viva Sandokan! Viva Mompracem! – urlarono gli altri.

Gl’indiani, vedendosi assaliti, si riunirono rapidamente scaricando a casaccio i loro fucili. Tre o quattro pirati caddero insanguinando il suolo.

– Avanti, tigrotti! – ripeté la Tigre.

I pirati, incoraggiati dal loro capo, si gettarono furiosamente contro le file nemiche, sciabolando senza pietà quanti si trovavano dinanzi a loro.

L’urto fu così terribile che gli indiani ripiegarono confusamente gli uni addosso agli altri, formando una massa compatta di corpi umani.

La Tigre della Malesia vi penetrò, come un cuneo entro il tronco di un albero, e la divise in due.

Dieci pirati lo seguirono prendendo alle spalle gli indiani, i quali, perduta ormai ogni speranza, si gettarono a destra e a sinistra cercando di salvarsi con una pronta fuga.

Alcuni di essi, però, tenevano duro: in mezzo a loro stava James Brooke.

Sandokan assalì furiosamente quel gruppo, deciso a distruggerlo pur d’avere in mano il suo mortale nemico.

Kammamuri, Aïer-Duk e Tanauduriam lo avevano seguito con parecchi altri, mentre Sambigliong dava la caccia ai fuggiaschi per impedire loro di riunirsi e di ritornare alla carica.

– Arrendetevi, James Brooke – gridò Sandokan.

Il rajah rispose con un colpo di pistola la cui palla fece stramazzare un pirata.

– Avanti, tigrotti! – urlò Sandokan, rovesciando un indiano che lo toglieva di mira.

Il gruppo in men che non si dica, malgrado la sua disperata resistenza fu aperto dalle scimitarre e dai kriss avvelenati dei tigrotti di Mompracem. Kammamuri e Tanauduriam si gettarono sul rajah, impedendogli di seguire i suoi fedeli che fuggivano attraverso alla prateria inseguiti da Aïer-Duk e dai suoi compagni.

– Arrendetevi! – gli gridò Kammamuri, strappandogli la sciabola e le pistole.

– Mi arrendo – rispose James Brooke, che comprendeva come ogni resistenza fosse ormai inutile.

Sandokan si fece innanzi con la scimitarra in pugno.

– James Brooke – disse con accento beffardo, – sei mio.

Il rajah, che era stato atterrato dal pugno di ferro di Tanauduriam, si alzò guardando in viso il capo dei pirati che non aveva mai veduto.

– Chi sei tu? – chiese con voce strozzata dall’ira.

– Guardami in viso – disse Sandokan.

– Saresti tu…

– Sono Sandokan, o meglio, la Tigre della Malesia.

– Lo avevo sospettato. Ebbene, signor pirata, che cosa si vuole da James Brooke?

– Una risposta, innanzi a tutto.

Un sorriso ironico sfiorò le labbra del rajah.

– E risponderò io? – disse.

– Sì; dovessi impiegare il fuoco per farti parlare, James Brooke. Ti odio, sai, ma ti odio come sa odiare la Tigre. Tu hai fatto troppo male ai pirati della Malesia, e potrei vendicare quelli che hai spietatamente assassinati.

– E non avevo forse il diritto di sterminarli?

– Ed anch’io avevo il diritto di sterminare gli uomini di razza bianca che mi avevano colpito al cuore. Ma lasciamo i diritti e rispondete alla mia domanda.

– Parlate.

– Che avete fatto di Yanez?

– Yanez! – esclamò il rajah. – Vi interessa molto quell’individuo?

– Assai, James Brooke.

– Non avete torto.

– L’avete fatto prigioniero?

– Sì.

– Lo sospettavo. E quando?

– Questa sera.

– E in che modo?

– Siete troppo curioso, signor pirata.

– Non volete dirmelo?

– Anzi, ve lo dirò.

– Parlate dunque.

– Conoscete lord Guillonk?

Sandokan nell’udire quel nome trasalì. Una profonda ruga si disegnò sulla sua ampia fronte, ma tosto si dileguò.

– Sì – rispose con voce sorda.

– Se non m’inganno, lord Guillonk è vostro zio.

Sandokan non rispose.

– Fu vostro zio che riconobbe Yanez e che lo fece arrestare.

– Lui!… – esclamò Sandokan. – Ancora lui!… E dove trovasi Yanez?

– Nella mia abitazione, solidamente legato e ben guardato.

– Che farete di lui?

– Non lo so, ma vi penserò.

– Ci penserete? – esclamò la Tigre della Malesia sorridendo, ma d’un sorriso che faceva fremere. – E non pensate, James Brooke, che siete in mia mano? E non pensate, James Brooke, che io vi odio? E non pensate che domani mattina potreste non essere più rajah di Sarawak?

Il rajah, quantunque possedesse un coraggio straordinario, a quelle parole era diventato pallido.

– Si vorrebbe uccidermi? – chiese con un tono di voce che non era più calmo.

– Se non accettate lo scambio, lo farò – disse freddamente Sandokan.

– Uno scambio? E quale?

– Che i vostri mi restituiscano Yanez, ed io restituirò a voi la libertà.

– Vi preme dunque quell’uomo?

– Assai.

– Perché?

– Perché mi ha sempre amato come se fossi suo fratello. Accettate la proposta?

– Accetto – disse il rajah, dopo un momento di riflessione.

– Dovete lasciarvi legare e imbavagliare.

– Perché?

– I vostri potrebbero ritornare qui in maggior numero e darci battaglia.

– Volete condurmi via?

– In un luogo sicuro.

– Fate quello che credete.

Sandokan fece un gesto a Kammamuri. Subito quattro barelle di rami intrecciati, portate da robusti pirati, si fecero innanzi. La prima era libera, la seconda era occupata da Tremal-Naik e le altre da due dayachi del drappello di Sambigliong, gravemente feriti.

– Imbavaglia e lega il rajah – disse Sandokan al maharatto.

– Sta bene, capitano.

Con solide corde legò il rajah, lo imbavagliò con un fazzoletto di seta, indi lo fece collocare nella barella vuota.

– Dove andiamo, capitano? – chiese quand’ebbe finito.

– Torniamo all’accampamento – rispose Sandokan.

Accostò il fischietto d’argento alle labbra e ne trasse tre note acute.

I pirati che stavano inseguendo gli indiani tornarono rapidamente indietro, con Sambigliong e Aïer-Duk.

Sandokan fece rapidamente l’appello.

Undici uomini mancavano.

– Sono morti – disse Tanauduriam.

Il drappello si mise rapidamente in cammino, cacciandosi sotto i boschi e descrivendo un semicerchio attorno alla collina dominata dal fortino. Dieci uomini, guidati da Sambigliong e da Tanauduriam, aprivano la marcia con le carabine in mano, pronti a respingere qualsiasi attacco, poi venivano le barelle dei feriti, quella del rajah e quella di Tremal-Naik, Aïer-Duk, con gli altri, chiudeva la marcia.

Il viaggio fu rapidissimo. Alle cinque del mattino, senza che avessero incontrato alcun indiano od alcun dayaco, giungevano al villaggio abbandonato, difeso da solide palizzate e da terrapieni.

Sandokan lanciò alcuni uomini in tutte le direzioni, per non venire improvvisamente attaccato dalle truppe di Sarawak, poi fece slegare il rajah, il quale durante il viaggio non aveva mai tentato di pronunciare una parola.

– Se non vi dispiace, scrivete, James Brooke – gli disse Sandokan presentandogli un foglietto di carta e una matita.

– Cosa devo scrivere? – chiese il rajah che sembrava assai calmo.

– Che siete prigioniero della Tigre della Malesia e che per salvarvi bisogna porre immediatamente in libertà Yanez, o meglio lord Welker.

Il rajah prese il foglietto, se lo mise sulle ginocchia e si accinse a scrivere.

– Un momento – disse Sandokan.

– C’è qualcosa d’altro? – chiese l’inglese inarcando le ciglia.-

Aggiungete che se fra quattro ore Yanez non è qui, io vi impiccherò al più grosso albero della foresta.

– Sta bene.

– Un’altra cosa aggiungete – disse Sandokan.

– Ed è?…

– Che non tentino di liberarvi con la forza, perché al primo drappello armato che scorgo vi faccio egualmente appiccare.

– Pare che vi prema assai di vedermi appiccato – disse il rajah con ironia.

– Non lo nego, James Brooke – rispose Sandokan dardeggiando su di lui uno sguardo feroce. – Scrivete.

Il rajah prese la matita e scrisse la lettera che poi passò a Sandokan.

– Va bene – rispose questi dopo averla letta. – Sambigliong!

Il pirata accorse.

– Porterai questa lettera a Sarawak – disse la Tigre. – La consegnerai a lord James Guillonk.

– Devo prendere le mie armi?

– Nemmeno il tuo kriss. Va’ e torna presto.

– Correrò come un cavallo, capitano.

Il pirata nascose la lettera sotto la cintura, gettò a terra la scimitarra, la scure ed il kriss e partì di corsa.

– Aïer-Duk – disse Sandokan, rivolgendosi al pirata che gli stava vicino. – Sorveglierai attentamente questo inglese. Bada che se fugge ti faccio fucilare.

– Fidatevi di me, capitano – rispose il tigrotto.

Sandokan armò la sua carabina, chiamò Kammamuri che si era accoccolato presso il suo padrone addormentato e lasciò il villaggio dirigendosi verso un’altura dalla quale, in lontananza, si vedeva la città di Sarawak.

 

– Lo salveremo, dunque, il capitano Yanez? – chiese il maharatto che lo seguiva.

– Sì – rispose Sandokan. – Fra due ore sarà qui.

– Siete certo?

– Certissimo. Il rajah vale quanto Yanez.

– State in guardia, però, capitano – disse il maharatto. – Gli indiani,m e a Sarawak ve ne sono parecchi, sono capaci di attraversare un bosco senza produrre il più piccolo rumore.

– Non temere, Kammamuri. I miei pirati sono più astuti degli indiani e nessun nemico si avvicinerà al nostro villaggio senz’essere scoperto.

– Ci inseguirà poi il rajah?

– Certamente, Kammamuri. Appena sarà tornato a Sarawak raccoglierà le sue guardie e i dayachi e si lancerà sulle nostre tracce.

– Avremo quindi una seconda battaglia.

– No, perché partiremo subito.

– Per dove?

– Per la baia ove trovasi Ada Corishant.

– E dopo?

– Acquisteremo un praho e lasceremo per sempre queste coste, ti ho detto.

– E dove condurrete il mio padrone?

– Dove egli vorrà andare. -

Erano allora giunti sulla cima dell’altura che si alzava di parecchi metri sopra i più alti alberi della boscaglia. Sandokan accostò le mani agli occhi per difenderli dai raggi solari e guardò attentamente il paese circostante.

A dieci miglia era Sarawak. Il fiume che passava vicino alla città spiccava chiaramente fra il verde delle piantagioni e dei boschi, come un gran nastro d’argento.

– Guarda laggiù – disse Sandokan additando al maharatto un uomo che correva come un cervo verso la città.

– Sambigliong! – esclamò Kammamuri. – Se mantiene quel trotto sarà qui fra due ore.

– Lo spero.

Si sedette ai piedi di un albero e si mise a fumare, guardando attentamente la città. Kammamuri lo imitò.

Trascorse un’ora, lunga quanto un secolo, senza che nulla accadesse; poi ne passò una seconda, più lunga per i due pirati della prima. Finalmente, verso le 10, un drappello di persone apparve vicino a un boschetto di ippocastani.

Sandokan balzò in piedi. Sul suo viso, di solito impassibile, era dipinta una viva ansietà. Quell’uomo, quel pirata sanguinario, lo si capiva, amava straordinariamente il suo fido compagno, il coraggioso Yanez.

– Dov’è? Dov’è?… – lo udì mormorare Kammamuri.

– Vedo una veste bianca in mezzo al drappello. Guardate! – disse Kammamuri.

– Sì, sì, la vedo! – esclamò Sandokan con indescrivibile gioia.– È lui, il mio buon Yanez. Presto, fratello mio, fa’ presto!

Stette lì, immobile, curvo, con gli occhi fissi su quel vestito bianco, poi quando vide il drappello scomparire sotto la grande foresta si slanciò precipitosamente giù dall’altura correndo verso il campo.

Due pirati che guardavano il bosco giungevano nel medesimo istante.

– Capitano – gridarono, – essi vengono col signor Yanez.

– Quanti sono? – chiese Sandokan, che si dominava a stento.

– Dodici con Sambigliong.

– Armati?

– Senz’armi.

Sandokan accostò il fischietto alle labbra e ne cavò tre note acute.

In pochi istanti tutti i pirati si trovarono attorno a lui.

– Preparate le armi – disse la Tigre.

– Signore! – gridò James Brooke, che stava seduto ai piedi di un albero, attentamente guardato da Aïer-Duk. – Volete assassinare i miei uomini?

La Tigre si volse verso l’inglese.

– James Brooke – rispose con voce grave, – la Tigre della Malesia mantiene la sua parola. Fra cinque minuti voi sarete libero.

– Chi va là? – gridò in quell’istante una sentinella appostata a duecento metri dalle trincee.

– Amici – rispose la voce ben nota di Sambigliong. – Abbasso il fucile.