Za darmo

I misteri della jungla nera

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VIII. Le rivelazioni del sergente

Nessuna sentinella vegliava sul pianerottolo.

Tremal-Naik, ancora tremante per l’emozione, ma deciso a tutto pur di riacquistare la libertà, salì silenziosamente i gradini e raggiunse una stanzaccia oscura e deserta.

Sostò un momento ascoltando con profondo raccoglimento, impugnò la rivoltella e adagio adagio spinse la porta, sporgendo con precauzione la testa.

– Nessuno, – mormorò.

Aprì una seconda porta, percorse un corridoio lungo e oscurissimo ed entrò in una terza stanza.

Era vastissima. Un lume brillava nel fondo spandendo un debole chiarore sopra una dozzina di lettucci, sui quali russavano sonoramente altrettanti uomini.

– I sipai! mormorò Tremal-Naik, arrestandosi.

Stava per tornare indietro, quando udì nel corridoio un passo cadenzato e un tintinnìo che pareva di speroni. Sussultò e alzò la rivoltella verso la porta. L’uomo si avvicinava; Tremal-Naik lo udì arrestarsi un momento, poi passare oltre.

– Se fosse il capitano! – esclamò.

Lasciò lo stanzone e tornò nel corridoio. In fondo scorse un’ombra appena distinta, che andava sfumando e udì il tintinnìo degli speroni.

Riprese la rivoltella e le si mise dietro, risoluto a raggiungerla.

Salì una gradinata e guadagnò un secondo corridoio camminando sulla punta dei piedi. L’uomo che lo precedeva s’arrestò; lo udì girare una chiave in una toppa, lo vide aprire una porta e scomparire.

Allungò il passo e si fermò dinanzi alla stessa porta che non era stata chiusa.

Una lampada illuminava malamente lo stanzone. Seduto dinanzi ad un tavolo, all’ombra di una colonna, v’era un uomo che non riuscì bene a distinguere. Sospettò che fosse il capitano Macpherson; a quel sospetto senza sapere il perché, si sentì le membra tremare e una vaga inquietudine l’assalì. Gli parve d’aver ricevuto come una pugnalata al cuore.

– È strano, pensò egli. – Avrei io paura?

Spinse leggermente la porta che s’aprì senza far rumore ed entrò, movendo a passi di tigre verso il tavolo. Per quanto il suo passo fosse silenzioso, fu avvertito da quell’uomo il quale s’alzò bruscamente.

– Bhârata! – esclamò Tremal-Naik. – Ah!…

Puntò rapidamente la rivoltella verso di lui.

– Non un grido, non un passo, – gli disse, – o sei morto!

L’indiano vedendosi dinanzi il prigioniero che lo teneva di mira, aveva fatto un movimento per slanciarsi sulle sue pistole che aveva deposto su una seggiola. All’intimazione brutale, fatta con un tono da non mettere in dubbio la minaccia, s’era fermato, digrignando i denti come una pantera presa al laccio.

– Tu!… Saranguy! – esclamò, rigando colle unghie il tavolo.

– Non Saranguy, ma Tremal-Naik, il cacciatore di serpenti della jungla nera, – rispose l’indiano senza abbassare l’arma.

Bhârata lo guardò, ma più sorpreso che spaventato.

– Ma come sei tu qui? – chiese.

– È il mio segreto. Non si imprigiona un thug.

– Non m’ero adunque ingannato io?

– Pare di no.

– E cosa vieni a fare qui?

– A ucciderti.

Bhârata, quantunque fosse coraggioso, ebbe paura.

– Ah! – esclamò coi denti stretti. – Tu vieni per assassinarmi..

– Forse.

– Posso salvare la vita?

– Sì.

– Parla.

– Siedi e discorriamo.

Bhârata ubbidì. Tremal-Naik s’impadronì di tutte le armi, chiuse a chiave la porta e si sedette di fronte al sergente, dicendogli:

– Ti avverto che il primo grido che getti, ti costa la vita. Ho sei colpi per mandarti a trovare Brahma o Visnù.

– Parla, – ripeté il sergente, che andava riacquistando il suo sangue freddo.

– Ho da compiere una missione terribile.

– Non ti capisco.

– Io ho giurato ai thugs di uccidere il capitano Macpherson.

Tremal-Naik guardò Bhârata per vedere quale impressione fa su di lui quelle parole, ma il volto dell’indiano rimase impassibile.

– Hai compreso, Bhârata? – gli domandò.

– Perfettamente.

– Ebbene?

– Tira innanzi.

– Bisogna che io abbia in mia mano la testa del capitano Macpherson.

Il sergente ruppe in uno scoppio di risa.

– Pazzo, non sai che il capitano non è più qui?

– Tremal-Naik s’alzò.

– Il capitano non è più qui! – esclamò con disperazione. – Dov’è andato?

– Non te lo dirò.

– Ma non sai adunque, che io ho giurato di portare ai thugs la sua testa?

– Ne faranno a meno.

– No, Bhârata, no!… Bisogna che compia la mia missione! Dov’è il capitano?… Voglio saperlo, dovessi rovistare tutta l’India dall’Himalaya al capo Comorin.

– Non sarò certamente io che dirò dove egli sia.

– Ah!… – esclamò Tremal-Naik. – Tu lo sai?

– Lo so.

Tremal-Naik alzò la rivoltella mirando l’indiano in fronte.

– Bhârata, – gli disse con voce furente. – Parla!

– Puoi ammazzarmi, ma dalla mia bocca non uscirà sillaba. Sono un sipai!

– Bada, Bhârata, che non si ritorna più, una volta scesi nella tomba.

– Uccidimi se vuoi.

– È la tua ultima parola?

– L’ultima.

Tremal-Naik aveva steso il braccio armato. Già la canna s’era fermata a pochi passi dalla fronte del sergente, già stava per far partire il colpo, quando al di fuori echeggiò un fischio che si ripeté tre volte.

– Nagor! – esclamò Tremal-Naik, che aveva riconosciuto il segnale dei thugs.

Rimise nella cintura la rivoltella, afferrò Bhârata turandogli con una mano la bocca, e lo gettò al suolo.

– Non fare un gesto, – gli disse, – o ti uccido davvero.

Lo legò solidamente con una corda, lo imbavagliò, poi corse ad una finestra, alzò la persiana e rispose al segnale con tre fischi differenti.

Dietro ad un cespuglio s’alzò una forma umana, la quale strisciò svelta svelta in direzione del bengalow. Si arrestò proprio sotto la finestra, alzando la testa.

– Nagor! – bisbigliò Tremal-Naik.

– Chi sei? – chiese il thug, dopo qualche istante di esitazione.

– Tremal-Naik.

– Devo salire?

Tremal-Naik guardò a destra e a manca con attenzione e tese l’orecchio.

– Sali, – disse poi.

Il thug gettò il laccio che si fermò ad un gancio della finestra, ed in un baleno giunse sul davanzale.

Era un uomo assai giovane, poco più che ventenne, alto, magro, dotato di una agilità straordinaria e, a quanto pareva, di un coraggio a tutta prova. Era quasi nudo, unto di recente d’olio di cocco, tatuato come gli altri settari e armato di pugnale.

– Sei libero? – chiese egli.

– Lo vedi, – rispose Tremal-Naik.

– I sipai?

– Dormono.

– Il capitano?

– Quell’indiano mi ha detto che non è più qui.

– Che abbia sospettato qualche cosa? – chiese il thug, coi denti stretti.

– Non lo credo.

– Bisogna sapere dove è andato. Il figlio delle sacre acque del Gange vuole la sua testa.

– Ma il sergente non parla.

– Parlerà, lo vedrai.

– Or che ci penso, questi uomini m’hanno fatto trangugiare una bevanda che mi ubbriacò e mi fece parlare.

– Qualche limonata di certo, – disse il thug sorridendo.

– Sì, è una limonata.

– La faremo bere al sergente.

Balzò nella stanza, gettò uno sguardo su Bhârata che attendeva tranquillamente la sua sorte, prese un bicchiere ripieno d’acqua e preparò la stessa limonata che il capitano Macpherson aveva fatto bere a Tremal-Naik.

– Trangugia questa bevanda, – diss’egli al sergente, dopo di avergli tolto il bavaglio.

– Mai! – rispose Bhârata, che aveva già indovinato di che cosa si trattava.

Il thug gli prese il naso fra le dita e lo strinse forte. Il sergente, per non morire asfissiato, fu costretto ad aprire le labbra. Bastò quel momento, perché la limonata gli fosse versata in bocca.

– Ora saprai ogni cosa, – disse Nagor a Tremal-Naik.

– Hai paura dei sipai? – gli chiese il cacciatore di serpenti.

– Io! – esclamò il thug, ridendo.

– Mettiti dinanzi alla porta e fa’ fuoco sul primo uomo che tenta salire la scala.

– Conta su di me, Tremal-Naik. Nessuno verrà ad interrompere il tuo interrogatorio.

Il thug prese un paio di pistole, guardò se erano cariche e uscì mettendosi in sentinella dinanzi alla porta.

Il sergente cominciava allora a ridere ed a parlare senza arrestarsi un sol istante.

Tremal-Naik, sorpreso, ascoltava quel torrente di parole, e raccolse a volo il nome del capitano Macpherson.

– Bravo sergente, – diss’egli. – Dov’è il capitano? —

Bhârata nell’udire quella voce, si era arrestato. Guardò Tremal-Naik con due occhi che scintillavano e chiese:

– Chi mi parla?… Mi pareva di aver udito la voce di un thug… ah!… ah!… Non vi saranno più thugs fra breve. Il capitano lo ha detto… e il capitano è un uomo di parola… un grand’uomo che non ha paura. Li assalirà nei loro covi… Li distruggerà colle bombe… Sarà bello vederli scappare coll’acqua alle calcagna… ah!… ah!… ah!…

– E andrai anche tu a vederli? – chiese Tremal-Naik, che non perdeva parola.

– Si che ci andrò e verrai anche tu!… Ah!… ah!… sarà uno spettacolo bellissimo.

– E sai tu dov’è il loro covo?

– Sì che lo so. L’ha detto Saranguy.

– Ah!… miserabili!… – esclamò Tremal-Naik. – Ma anch’io saprò qualche cosa da te.

– Egli aveva bevuto la limonata, – ripigliò il sergente, – e narrò tutto.

– E c’era il capitano, quando Saranguy parlò! – chiese Tremal-Naik, fremendo.

– Ma sì, e partì subito per sorprenderli nel covo.

– Per Raimangal forse?

– No, no! – esclamò vivamente il sergente. – I thugs sono forti e occorrono molti uomini per ischiacciarli.

– È andato a Calcutta?

– Sì, a Calcutta, al forte William!… E armerà un bastimento… e imbarcherà tanta gente… e tanti cannoni… ah!… ah!… che spettacolo bellissimo.

 

Il sergente tacque. I suoi occhi si chiudevano, si aprivano, ma tornavano a chiudersi per quanto facesse per tenerli aperti. Tremal-Naik capì che l’oppio a poco a poco faceva il suo effetto.

– So quanto volevo sapere, – mormorò. – Ed ora, a Raimangal!

IX. Assediati

Non aveva ancor terminato di parlare, che nel sottostante corridoio rimbombavano due colpi d’arma da fuoco, seguiti, subito dopo, dall’urlo di un uomo che muore.

Senza por mente al pericolo a cui esponevasi, si precipitò fuori dalla porta, facendo balzi di tigre e gridando:

– Nagor! Nagor!

Nessuno rispose alla sua chiamata. Lo strangolatore, che pochi minuti prima vegliava dinanzi alla porta, non c’era più. Dove era andato?

Cos’era accaduto?

Tremal-Naik, inquieto, ma risoluto a salvare il compagno, si slanciò verso la scala. Un uomo, un sipai giaceva in mezzo al corridoio, contorcendosi negli ultimi aneliti. Dal petto gli usciva un rivo di sangue e formava, sul terreno, una pozza che lentamente allargavasi.

– Nagor! – ripeté Tremal-Naik.

Tre uomini apparvero in fondo al corridoio correndo verso la porta dello stanzone. Quasi nel medesimo istante, si udì la voce di Nagor a gridare:

– Aiuto! Sfondano la porta! —

Tremal-Naik scese precipitosamente la scala e scaricò l’un dopo l’altro due colpi di rivoltella. I tre indiani che si avanzavano fuggirono.

– Nagor, ove sei? – chiese il cacciatore di serpenti.

– Qui nello stanzone, – rispose il thug. – Atterra la porta; mi hanno chiuso dentro. Tremal-Naik, con un furioso colpo di spalla schiantò le tavole. Lo strangolatore, tutto contuso e insanguinato, si precipitò fuori dalla prigione.

– Cosa hai fatto?– chiese Tremal-Naik.

– Fuggi, fuggi! – gridò Nagor. – Abbiamo i sipai alle calcagna.

I due indiani risalirono la scala e corsero a rinchiudersi nella stanza del sergente. Nel corridoio rintronarono tre o quattro colpi di fucile.

– Saltiamo dalla finestra, – gridò Nagor.

– È troppo tardi, – disse Tremal-Naik, curvandosi sul davanzale.

Due sipai si erano appostati a duecento metri dal bengalow. Vedendo i due indiani, puntarono le carabine e fecero fuoco, ma le palle non colpirono che le stuoie di coccottiero.

– Siamo presi, – disse Tremal-Naik. – Barrichiamo la porta.

Questa, fortunatamente, era assai grossa e munita di solidi chiavistelli. I due indiani, in pochi istanti, vi accumularono dietro i mobili della stanza.

– Carica le tue pistole, – disse Tremal-Naik a Nagor. – Tra poco verremo assaliti.

– Lo credi?

– I sipai sanno che siamo solamente due. Ma cos’hai fatto? Perché tutto quel baccano?

– Io ho ubbidito alle tue istruzioni, – disse lo strangolatore. – Vedendo due sipai avanzarsi nel corridoio, ho sparato e ne mandai uno a ruzzolare per terra, l’altro fuggì nello stanzone ed io lo inseguii, ma caddi e quando mi rialzai trovai le porte chiuse. Senza di te sarei ancora prigioniero.

– Hai fatto male a sparare così presto. Ora non so come finirà.

– Rimarremo qui.

– E intanto Raimangal cadrà.

– Cos’hai detto?

– Che Raimangal è minacciata.

– Chi te lo disse?

– Il sergente.

– Dov’è il sergente?

– Eccolo là che dorme.

– E ti disse che Raimangal è minacciata? È uno scherzo forse.

– Ti dico la verità. Gl’inglesi hanno scoperto il nostro covo.

– È impossibile!

– Il capitano Macpherson è al forte William e prepara una spedizione per assalire Raimangal.

– Ma allora corriamo un grave pericolo!

– Certamente.

– Bisogna raggiungere il maledetto e ucciderlo.

– Lo so.

– Questo è affar tuo.

– Anche questo lo so.

– Se non lo uccidi, la vergine della sacra pagoda non sarà mai tua sposa.

– Taci, non nominarla, – disse Tremal-Naik, con voce sorda.

– Cosa vuoi fare?

– Uscire di qui e raggiungere il forte William.

– Siamo assediati.

– Lo vedo.

– E dunque?

– Evaderemo.

– Quando?

– Questa notte.

– Come?

– È affar mio.

– Quanti uomini ci sono nel bengalow?

– Erano sedici o diciotto. Ma…

Afferrò una mano del thug e la strinse fortemente.

– Odi? – chiese, additandogli l’uscio.

– Sì, – disse il thug. – Qualcuno cammina nel corridoio.

– Sono i sipai.

– Che tentino un assalto?

Le tavole del corridoio gemevano, segno certo che qualcuno camminava. Poco dopo fu bussato all’uscio.

– Chi vive? chiese Tremal-Naik.

– Un thug, – rispose una voce.

– Cercano ingannarci, – mormorò Tremal-Naik all’orecchio di Nagor.

– Apri che mi seguono, – ripigliò la stessa voce.

– Chi è il tuo capo? chiese Tremal-Naik.

– Kâlì.

– Sei un sipai. Abbiamo cento colpi da sparare; se non ti allontani sei un uomo morto.

Le tavole del corridoio gemettero più forte di prima.

– Hanno paura, – disse Tremal-Naik. – Non tenteranno nulla contro di noi.

– Ma ci terranno prigionieri, – rispose Nagor, diventato inquieto.

– Questa sera evaderemo, t’ho detto.

– Zitto! —

Un colpo di carabina rimbombò al di fuori seguito dal grido:

– La tigre!… La tigre!…

Tremal-Naik si slanciò verso la finestra e guardò.

I due sipai che si tenevano imboscati dietro un cespuglio, erano in piedi colle carabine in mano e mandavano grida di spavento.

Dinanzi a loro, ad un duecento passi, mugolava una gran tigre.

– Darma! – gridò Tremal-Naik.

La tigre fece un balzo di parecchi metri, minacciando di assalire i due sipai che la tenevevano di mira.

– Fuggi, Darma! – comandò il cacciatore di serpenti vedendo che altri sipai accorrevano in aiuto dei loro compagni.

L’intelligente fiera esitò, come comprendesse il pericolo che correva il suo padrone, poi si allontanò con rapidità fulminea.

– Brava bestia, – disse Nagor.

– Sì, brava e fedele, – aggiunse Tremal-Naik, – e questa sera ci aiuterà a fuggire. —

Tornarono dietro alla barricata e attesero pazientemente che la notte calasse.

Durante il giorno, più volte i sipai si avvicinarono alla porta tentando di forzarla, ma un colpo di rivoltella bastava per metterli in fuga.

Alle otto il sole tramontò. Successe un breve crepuscolo, poi calarono rapide le tenebre. La luna non doveva sorgere che fra qualche ora.

Verso le undici Tremal-Naik si affacciò alla finestra e scorse confusamente i due sipai. Cercò la tigre, ma non la vide.

– Ce ne andiamo? – chiese Nagor.

– Sì.

– Da qual parte?

– Dalla finestra. Non è alta che quattro metri e il suolo non è duro.

– Ed i sipai? – diss’egli. – Appena salteremo, ci spareranno addosso.

– Faremo prima scaricare le loro armi.

– In qual modo?

– Lo vedrai.

Tremal-Naik prese i tappeti, tutte le vesti che fu capace di trovare, i guanciali del letto e formò un fantoccio della grandezza di un uomo.

– Sei pronto? – chiese a Nagor.

– Quando vuoi, salto dalla finestra. E il sergente?

– Dorme e lo lascieremo dormire. Sta’ attento, ora: i due sipai sono a cinquanta passi da noi.

– Lo so.

– Io calo il fantoccio. I due sipai lo scambieranno senza dubbio per uno di noi e scaricheranno le loro carabine.

– Benissimo.

– Noi approfittiamo per saltar giù e scappare. Comprendi ora?

– Sei coraggioso e furbo, – disse Nagor. – Con un uomo simile si può far tutto. Che disgrazia che tu non sii un thug.

– Preparati a saltar giù.

Prese il laccio e calò il fantoccio dalla finestra facendolo ondeggiare. I due sipai fecero fuoco gridando:

– Allerta!…

Tremal-Naik e Nagor si precipitarono dalla finestra colle rivoltelle in pugno. Caddero, si risollevarono e partirono rapidi come due saette.

– Seguimi! – disse Tremal-Naik raddoppiando la corsa.

– Dietro a loro s’udirono le sentinelle dare l’allarme; furono sparati alcuni colpi di fucile ma non colsero nel segno.

– Tremal-Naik entrò come una bomba in una palizzata. Un cavallo era sdraiato per terra. Con un pugno lo fece saltare in piedi.

– Sali dietro di me, – gridò al thug.

I due fuggiaschi balzarono in arcione, strinsero le ginocchia, s’aggrapparono alla criniera e lanciarono il cavallo attraverso la pianura.

– Dove andiamo? – chiese Nagor.

– Da Kougli, – rispose Tremal-Naik, martellando i fianchi del cavallo col calcio del revolver.

– Cadremo fra i sipai!

– È assediato forse Kougli?

– Quando lo lasciai, c’erano dei sipai nel bosco.

– Andremo cauti. Tieni pronte le armi. —

Il cavallo, un bell’animale dal mantello nero, fendeva lo spazio saltando fossati e cespugli, malgrado il doppio carico.

Già il bengalow era scomparso fra le tenebre e la foresta appariva, quando fra una macchia di bambù una voce gridò:

– Ehi!… Alt!…

I due fuggiaschi si volsero alzando le armi.

La luna che allora sorgeva, mostrò a loro una diecina d’uomini sdraiati per terra, i quali puntavano le carabine sul cavallo.

– Sprona! – gridò Nagor.

Un gran lampo ruppe le tenebre seguìto da parecchie detonazioni, alle quali risposero quelle secche delle rivoltelle.

Il cavallo fece un salto innanzi, mise un nitrito soffocato e cadde trascinando a terra coloro che lo montavano.

I sipai si gettarono fuori dalla macchia prorompendo in alte urla di gioia, ma queste si cangiarono d’improvviso in urla di terrore.

Un’ombra gigantesca era balzata fuori da un gruppo di bambù, emettendo un rauco ruggito. Il comandante dei sipai fu atterrato da un colpo d’artiglio.

– Darma! – gridò Tremal-Naik, rialzandosi prontamente.

– La tigre!… La tigre!… – urlarono i sipai fuggendo in tutte le direzioni. L’intelligente animale in pochi balzi raggiunse il padrone.

– Brava Darma, – diss’egli, accarezzando affettuosamente l’intelligente belva. – Tu non mi abbandoni mai.

– Affrettiamoci, Tremal-Naik, – suggerì Nagor. Qui non spira buon’aria per noi. I sipai non tarderanno a ritornare.

I due indiani si gettarono in mezzo al bosco sfondando i cespugli che facevano a loro ostacolo e guardandosi attorno per tema di cadere in qualche agguato.

Dopo mezz’ora di corsa sfrenata, essi arrivarono al capannone abitato dai thugs. Nagor si arrestò al di fuori colla tigre e Tremal-Naik entrò. Kougli era sdraiato per terra, occupato a decifrare alcune lettere in sanscrito. Appena lo scorse scattò in piedi, muovendogli incontro.

– Libero! – esclamò, non dissimulando la sua sorpresa e la sua gioia.

– Lo vedi, – disse Tremal-Naik.

– E Nagor?

– È rimasto fuori!

– Dammi la testa.

– Quale testa?

– Quella del capitano Macpherson.

– Siamo stati battuti, Kougli.

L’indiano fece tre passi indietro.

– Battuti! Noi battuti! cosa vuoi dir tu? – chiese.

– Voglio dire che il capitano Macpherson è ancor vivo.

– Vivo!…

– Non ho potuto ucciderlo.

– Parla!

– Ha lasciato il bengalow senza che io lo sapessi.

– E dove è andato?

– A Calcutta.

– A cosa fare?

Tremal-Naik non rispose.

– Parla!

– Il capitano si prepara ad assalire il covo dei thugs. Egli sa che Raimangal è la vostra sede.

Kougli lo guardò con terrore.

– Ma tu sei impazzito!– esclamò.

– Tremal-Naik non è pazzo.

– Ma chi ci tradì?

– Io.

– Tu!… tu!…

Lo strangolatore si slanciò su Tremal-Naik col pugnale in mano. Il cacciatore di serpenti rapido come un lampo gli afferrò la mano e gli torse il polso con tale violenza che le ossa crocchiarono.

– Non far pazzie, Kougli, – diss’egli, con rabbia mal frenata.

– Ma parla, dannato indiano, parla! – urlò lo strangolatore —. Perché ci hai tradito? Ma non sai tu che la tua Ada è sempre in nostra mano? Non sai tu, che le fiamme l’attendono?

– Lo so, – disse Tremal-Naik con ira.

– E dunque?

– Vi ho traditi involontariamente. M’avevano fatto bere la youma.

– La youma!

– Sì.

– E tu hai parlato?

– Chi resiste alla youma?

– Narrami quanto ti è accaduto.

Tremal-Naik in brevi parole gli raccontò ciò che era avvenuto nel bengalow.

– Hai fatto molto, – disse Kougli, – ma la tua missione non è ancor terminata.

– Lo so – disse Tremal-Naik, sospirando.

– Perché sospiri?

– Perché?… E tu me lo chiedi?… Non sono nato io per assassinare vilmente la gente. È orribile, sai, ciò che io dovrò commettere, è mostruoso!

 

Kougli alzò le spalle.

– Tu non sai cosa sia l’odio,– disse.

– Lo so, non temerlo, Kougli! – esclamò Tremal-Naik con accento selvaggio. – Se tu sapessi quanto vi odio!

– Bada, Tremal-Naik!… La tua fidanzata è sempre in nostra mano.

L’infelice chinò il capo sul petto e soffocò un singhiozzo.

– Torniamo al capitano, – disse lo strangolatore.

– Parla, cosa devo fare?

– Bisogna impedire, innanzi tutto, che il maledetto vada a Raimangal. Se giunge al nostro covo, la tua Ada è perduta.

– È un’altra condanna che mi colpisce adunque? – chiese Tremal-Naik con amarezza. – Siete senza pietà, o tigri?

– Non è una condanna. Guai a noi, se quell’uomo sbarca a Raimangal.

– Cosa devo fare?

Kougli non rispose. Si era preso la testa fra le mani e pensava.

– Ci sono, – disse all’improvviso.

– Hai trovato un mezzo?

– Credo di sì.

– Parla.

– Il capitano, di certo, sceglierà la via d’acqua per giungere a Raimangal.

– È probabile, – disse Tremal-Naik.

– A Calcutta ed al forte William abbiamo degli affiliati nell’esercito e sui vascelli da guerra inglesi. Qualcuno occupa una posizione brillante.

– Ebbene?

– Ti recherai al forte William ed aiutato dai nostri affiliati ti imbarcherai sul suo vascello.

– Io?

– Hai paura?

– Tremal-Naik non sa ancora cosa sia la paura. Ma credi tu che il capitano non mi riconoscerà?

Un sorriso sfiorò le labbra di Kougli.

– Un indiano può diventare un malese od un birmano.

– Basta così. Quando devo partire?

– Subito o arriverai troppo tardi.

– È libera la via che mena al fiume?

– I sipai che ci assediavano sono stati scacciati dal bosco.

Kougli accostò le dita alle labbra e fischiò.

Un thug accorse.

– Sei uomini di buona volontà e d’un esperimentato coraggio si preparino a partire. La baleniera è sempre alla riva?

– Sì, – rispose il thug.

– Vattene.

Kougli si levò da un dito un anello d’oro, d’una forma speciale, con un piccolo scudo sul quale vedevasi inciso il misterioso serpente, e lo porse a Tremal-Naik.

– Basta che tu lo mostri ad uno degli affiliati – gli disse. – Tutti i thugs di Calcutta si metteranno a tua disposizione. – Tremal-Naik se lo passò in un dito della mano destra.

– Hai altro da dirmi? – gli chiese.

– Che noi vegliamo sulla tua Ada.

– Eppoi?

– Che se tu ci tradisci, la daremo alle fiamme.

Tremal-Naik lo guardò con occhio torvo.

– Addio, – gli disse bruscamente.

Uscì e si avvicinò a Darma che lo guardava con inquietudine, come già indovinasse che il padrone tornava ad abbandonarla.

– Povera amica, – diss’egli con voce triste e ad un tempo commossa.– Ci rivedremo non temere, mia Darma. Nagor avrà cura di te.

Volse altrove la testa e raggiunse i thugs.

– Conducetemi al battello, – comandò.

I sette uomini si disposero in fila indiana e si cacciarono nella foresta tenendo i fucili sotto il braccio per esser pronti a servirsene al primo allarme.

Alle due del mattino essi giungevano sulle rive del fiume e precisamente in una piccola rada, nella quale, nascosta sotto un ammasso di bambù, scorgevasi una svelta imbarcazione, una specie di baleniera.

I remi erano a posto, e v’era pure un albero fornito di una piccola vela. Non mancava che d’imbarcarsi.

– Si scorge nessuno? – chiese Tremal-Naik.

– Nessuno – risposero i thugs.

– In barca.

I sette uomini salirono a bordo e si spinsero al largo.