Za darmo

I Corsari delle bermude

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15. LE AUDACI IMPRESE DEL BRETONE

Il bretone, il quale non pareva si preoccupasse troppo del povero tedesco, gettò in aria la sua divisa di marinaio e indossò lestamente quella del 5° Reggimento di Galles, con stivali alti, calzoni verdi, casacca rossa con lunghi alamari d’argento sul petto, e berrettino pure rosso.

La divisa fu indossata in dodici tempi, e, non faceva una grinza.

– To’! – esclamò il bretone, stringendosi la cintura che sorreggeva la spada e la baionetta. – Si direbbe che un sarto stregone me l’ha fatta in dieci minuti. Che ti pare, Piccolo Flocco?

– Sei magnifico.

– Mi presento bene?

– Si direbbe che sei sempre stato fantaccino.

– E tu che ne dici, mastro Taverna?

– Non vi riconosco più, mio signore, – rispose l’albergatore.

– Ed ora? – chiese Piccolo Flocco.

– Vado a mangiare il rancio al castello d’Oxfard, senza candele fuse e senza pane di segatura. Ho ancora un bel gruzzolo di dollari – so che nelle caserme vi sono cantinieri, e mangerò da loro. Mio padre, buon anima, non ha mai mangiato candele nemmeno quando fece naufragio in pieno Atlantico, e suo figlio non assaggerà quella porcheria. Per far lume passi, ma…

– E che cosa vai a fare al castello?

– E la mia Nelly? Te la sei dimenticata? – chiese mastro Testa di Pietra. – Diamine! La fidanzata del capitano ha bisogno di una donna.

– Vuoi farti fucilare?

– Io? Credo che gl’inglesi non abbiano ancora ricevuto dall’Inghilterra carabine capaci di spaccare queste vecchie ossa di pescecane. Lascia fare a me, e tu occupati di questo povero diavolo, che mi pare sia più di là che di qua. Addio.

Passando dinanzi al tavolino si credette in dovere di bere un ultimo bicchiere di Medoc per prendere animo, poi uscì caricando l’ormai celebre pipa.

Le vie erano sempre deserte, e le palle vi cadevano terrorizzando la popolazione.

Testa di Pietra giunse finalmente dinanzi al castello proprio nel momento in cui entravano parecchi tedeschi. Si cacciò in mezzo a loro, ed entrò nel vasto cortile, dove stavano riparando le ruote di parecchi cannoni. Un assiano, colle mani dietro il dorso e un mozzicone di sigaro spento in bocca, osservava i falegnami.

– Ehi, camerata, – gli disse Testa di Pietra abbordandolo risolutamente. – Sapresti dirmi o, meglio, sapresti scovarmi un certo Wolf, fratello d’un certo Hulrik?

– Wolf Paterman? – chiese il tedesco. – Mio compatriota, camerata.

– Va’ a cercarlo, ed intanto intasca questo – disse il bretone facendogli scivolare in mano uno scellino.

Il tedesco parti più veloce d’una lepre, mentre il mastro, sedutosi su un vecchio affusto d’artiglieria, ricaricava la pipa;.

Non erano trascorsi cinque minuti, che Wolf gli si presentava dinanzi

– Hai mangiato? – gli chiese subito Testa di Pietra.

– Non afere ancora dispensato rantio – rispose il giovanotto che parlava col medesimo accento di Hulrik.

– Allora prendi questo dollaro, e va’ a spenderlo dal cantiniere del reggimento.

– Foi recalare a me?

– Sì, io recalare – rispose il bretone. – Ma prima devo scambiare due parole con te Hulrik, che ha fatto colazione con me mezz’ora fa e che sta terminando la sua bottiglia di birra, mi ha raccontato quanto accadde ieri sera nella torre; quindi è inutile che mi rintroni la testa. Dimmi invece se il marchese d’Halifax è morto.

– Molto malato, ma non morto.

– Meglio così. E la cameriera della miss c’è ancora?

– Camerera sempre in camera.

– Ti ha detto tuo fratello che quella donna è mia moglie?

– Oh! – fece il tedesco, sgranando gli occhi. – Fostra mogliera?

– Già, camerata.

– E poi?

– E poi vorrei che le dicessi che il marinaio che le fece visita vorrebbe parlarle.

– Io andare supito.

– Le sarà permesso d’uscire?

– Uscire sempre per spesa a patrona.

– Allora tutto va bene. Va’, camerata, e dille che mi aspetti sotto la torre.

Il bravo ragazzo si allontanò frettolosamente, facendo saltare e risaltare nel cavo di una mano il dollaro. Non doveva aver mai trovato tanta generosità.

In quel momento le trombe annunciarono la distribuzione del rancio. Enormi caldaie fumanti, piene di chi sa quale orribile miscuglio, erano nel cortile e i soldati, affamati, accorrevano da tutte le parti colle gamelle.

I tedeschi. più pronti degl’inglesi, stavano attorno ai loro pentoloni, e struggevano in quella brodaccia scura candele di sego per rendere la minestra, se non più saporita, almeno più sostanziosa.

– Puah! – fece Testa di Pietra, il quale non aveva lasciato il cortile. – Quanta fame! Si sta meglio sulle nostri navi.

Girò intorno uno sguardo e vide Wolf, ma senza gamella.

– Dunque? – chiese accostandosi.

– Camerera aspettarvi.

– Dove?

– Sotto torre.

– Grazie, camerata. Domani verrò a prenderti e farai colazione con me.

Attraversò tre o quattro androni ingombri di fucili, di baionette e di zaini, infilò il ponte levatoio senza che la sentinella gli chiedesse nulla, e girò intorno al castello. Seduta su una panca di pietra scorse subito la sua Nelly.

– Finalmente! – esclamò. – Pare che tutto vada a meraviglia. – Oh, mia Nelly!

– Sempre Nelly! – rispose la cameriera mostrando, nel sorridere, i suoi lunghi denti. – Perché mi chiamate cosi?

– Perché mi ricorda il nome d’una gallese che mi ha fatto lungamente piangere – rispose il bretone, fingendosi estremamente commosso.

– Chiamatemi pure Nelly, se ciò vi fa piacere – rispose la cameriera. – E la mia padrona?

– Al sicuro.

Stavano per allontanarsi, quando una specie di policeman, che era forse in agguato in mezzo alle piante d’un piccolo giardino, si fece innanzi dicendo:

– Ehi, soldato, dove si va?

Il bretone si volse inviperito.

– Corpo d’una bomba! – esclamò, – Chi siete che vi permettete di chiedere ad un soldato dove conduce sua moglie?

– Un agente.

– Di che?

– Vi è ancora una polizia in Boston – rispose il policeman.

– Allora andate a combattere contro gli americani, invece di occuparvi degli affari degli altri.

– È il nostro dovere. Il vostro nome?

– Hans Kip.

– Appartenete?

– Siete cieco? corpo d’un fulmine! – urlò il bretone, il quale cominciava ad inarcare, le braccia. – Vi è un cinque sul mio berretto che si vede a cento passi di distanza. Fatevi curare gli occhi e sarà meglio.

– Il vostro colonnello?

– Il marchese d’Halifax.

– La vostra donna?

– Come la mia donna? Mia moglie, signor poliziotto.

– Non vi riscaldate e rispondete: come si chiama?

– Nelly.

– E abitate?

– Dove voglio.

– Se non rispondete, vi porto al corpo di guardia.

Il bretone, che si era cacciato appositamente in mezzo al giardino, pur sempre rispondendo, aveva già notato come il luogo fosse deserto.

– Ehi, signore, – disse – mi sembra che la vostra curiosità vada troppo lontano. Volete sapere anche cosa mangeremo questa sera?

– Può darsi – rispose l’agente.

– Perché?

– Per sequestrarvi viveri, se ne avete nascosti, e portarli al governatore.

– Per lasciarci morire di fame?

– Solo i difensori della piazza, che combattono e soffrono da tre mesi, hanno diritto di mangiare.

– Ed io, che cosa sono? Un americano forse?

– Ma!,… Non so!

– Dubitereste di me?

– Un tedesco che si è portata qui la moglie!… Persona sospetta, noterebbe il mio capo.

– E anch’io noto il capo! – rispose prontamente il bretone che non ne poteva più e minacciava di scoppiare. I suoi pugni piombarono sulla testa dell’agente, il quale, sorpreso da quell’assalto inaspettato, cadde a terra tramortito.

– Per il borgo di Batz! – esclamò Testa di Pietra. – Era ora, che la finisse!

– Siete forte – rispose la cameriera con ammirazione.

– Tanto forte da prendervi fra le braccia e portarvi fino a Pechino… Sapete dove si trova quella città?

– Non l’ho mai sentita nominare.

– Allora datemi il braccio, e andiamo a trovare la vostra padrona. Quel signore non si rimetterà in gambe prima di qualche ora. Come sono noiosi questi policemen! Una volta i nostri marinai li conciarono per benino a Newcastle.

– Davvero? – chiese la miss, che si lasciava quasi portare dal robusto marinaio, il quale la teneva bene stretta sotto il braccio.

– E quanto risi! – rispose Testa di Pietra, sghignazzando. – Diversi marinai erano scesi a terra, e, tornarono a bordo un po’ alticci e molto allegri. Cantavano come i canarini, ma pare che quel canto non fosse troppo gradito ai policemen inglesi. Una sera sei di questi piombano addosso ai marinai e cercano di arrestarli come disturbatori della quiete pubblica. Che cosa successe precisamente non ve lo saprei dire. Il fatto sta che la mattina dopo, odo sul ponte scoppi di risa. Salgo per mettere un po’ d’ordine, e sapete che cosa vidi?

– No.

– Sei marinai, vestiti da policemen. che spiegavano le vele di gabbia e di pappafico.

– Come mai?

– Non avete indovinato? Avevano battuto gli agenti, li avevano spogliati e si erano portate le loro vesti a bordo – rispose il bretone. – Fortunatamente il vento era buono, la marea alta, ad in quattro bordate la nostra corvetta si trovò fuori dalle acque inglesi. Sarebbe stato davvero un affar serio se ci avessero dato la caccia e ci avessero raggiunto.

– Siete uomini terribili! – disse la cameriera, guardandolo con profonda ammirazione.

– No, miss, siamo ordinariamente assai teneri; ma quando ci pestano i piedi, diventiamo bestie feroci

– L’ho veduto poco fa.

– Bell’affare! Due pugni!… Chiunque avrebbe potuto menarli, mia dolce Nelly… State pure tranquilla, che con me non avete nulla da temere.

 

– Credo senza che me lo diciate, signor… Come vi chiamate?

– In marina mi chiamano Testa di Pietra – rispose il bretone.

– Perché vi hanno chiamato cosi?

– Perché noi bretoni abbiamo le zucche dure come le nostre montagne. Quando montiamo all’abbordaggio, lavorano più le nostre teste che le nostre sciabole.

Dopo aver percorso diverse vie, il bretone e la cameriera giunsero finalmente all’Albergo delle trenta corna di bisonte proprio nel momento in cui il Corsaro e Piccolo Flocco stavano facendo colazione.

– Ecco fatto, mio comandante, – disse il bretone, lasciando il braccio della cameriera. – Come vedete, quando i corsari vogliono, riescono sempre.

Il baronetto rispose prima di tutto, da buon gentiluomo, al grazioso inchino della cameriera, poi chiese con una certa ansietà:

– Morto?

– No, comandante: non è stata una grave ferita, – rispose Testa di Pietra.

– Raggiungete la vostra padrona – disse il Corsaro, rivolgendosi a Nelly.

Nelly, si fece condurre da mastro Taverna nella stanza di Mary.

– Ti sei compromesso? – chiese poi il Corsaro a Testa di Pietra, che aveva cominciato a mangiare.

– Oh, comandante! – esclamò. – Mi prendete per un ragazzo? Ho solamente accoppato con due tremendi pugni una specie di policeman, che ha avuto l’audacia di chiedermi dove me ne andavo con quel merluzzo secco sotto il braccio.

– E l’hai accoppato davvero? – chiese subito Piccolo Flocco.

Se vuoi accertartene, vai a fare una passeggiata nel giardino che fronteggia la torre del castello. Invece ti consiglierei di non interrompere la colazione, figliuol mio… Per il borgo di Batz! E il soldato? È già stato seppellito in cantina?

– Russa placidamente – rispose il giovane gabbiere.

– Dio mio, che stomachi di ferro posseggono questi tedeschi! Digeriscono perfino il veleno degli scorpioni.

– Nessun altro ti ha seguito? – chiese il baronetto.

– Non credo, comandante, perché ho preso altre vie per giungere fin qui.

– Eppure non mi credo al sicuro.

– Chi immagina che siamo qui?

– Certe volte basta una minima traccia.

– Noi la toglieremo con le nostre sciabole d’abbordaggio; è vero, Piccolo Flocco?

– Certo – rispose il giovane gabbiere.

– E poi non resteremo a lungo in questo luogo – riprese Testa di Pietra, che aveva finito il suo ultimo pezzo di cacio, prontamente annaffiato da due bicchieri di Medoc. – Giacché il soldato dorme, mi tengo ancora il suo vestito e vado con Piccolo Flocco a passeggiare lungo i bastioni per scegliere il luogo migliore per andarcene. Ce lo permettete?

– Ho più fretta io di te di raggiungere la mia corvetta. Solamente quando Mary sarà a bordo, la crederò veramente salva.

– Piccolo Flocco, accendi anche tu la pipa. e andiamo a veder piovere le bombe.

– Purché non ce ne cada qualcuna addosso! – rispose il giovane gabbiere.

– Non siamo forse bretoni, figli della terra delle pietre? – esclamò il mastro.

Si era alzato con lo pipa in bocca, e la mano sinistra posata fieramente sulla spada-baionetta, prendendo un’aria provocante.

– Per il borgo di Batz! – esclamò, guardandosi in un vecchio specchio affumicato, appeso ad una parete. – Non faccio per dire, ma sono un bel soldato!

– Ecco perché Nelly si è innamorata subito di te – disse il gabbiere.

Testa di Pietra lo guardò di traverso.

– Lei; ma io? Un tal merluzzo con denti di pescecane? Dove andrebbe a finire la mia paga?

– Taci, sei cotto.

– Insolente! Andiamo. Un vecchio squalo non può pensare a conquistare il mare delle merluzze: preferisco mangiarle a mezze dozzine alla volta.

Vuotò un ultimo bicchiere. e se n’andò colla pipa bene stretta fra i denti e le mani affondate nelle ampie tasche del tedesco, disgraziatamente vuote.

Il giovane gabbiere lo seguiva, dopo aver acceso la sua modesta pipa.

Percorsero parecchie vie piuttosto anguste e rovinate pel continuo passaggio delle artiglierie, e raggiunsero, senza guai, la linea dei bastioni.

Infuriavano gl’inglesi sui ridotti e sulle lunette, adoperando specialmente i loro pezzi più grossi, ma quasi senza frutto.

Il generale Howe, sebbene fosse a corto di palle e di polvere, non ristava dal tentare un supremo sforzo per rompere le linee d’assedio.

– Fiato sprecato! – disse Testa di Pietra, il quale seguiva collo sguardo il passaggio delle bombe. – Questo Howe è un vero merlo bianco. che finirà un giorno o l’altro col cadere dentro una gabbia americana.

– Credi? – chiese Piccolo Flocco.

– Fra un mese tutta questa gente, checché tenti, cadrà nelle mani dei suoi avversari, e potremo riprendere tranquillamente il mare.

– Per fare che cosa?

– Questo lo sa il comandante, e non sarò io certo a domandarglielo – rispose il mastro. Fulmini! Tre passi più innanzi, e andavamo a riposare nel cimitero di Boston.

Una bomba, sparata probabilmente dalla corvetta, era passata qualche metro distante, per scoppiare sul tetto d’una casetta.

– Bestia che sono! – esclamò Testa di Pietra.

– Che cos’hai? – chiese Piccolo Flocco.

– Non vedi che la mia pipa si è spenta? Potevo accenderla al passaggio di quella bomba.

– E farti fracassare la testa.

– La testa d’un bretone? Ah! tu dimentichi che noi…

Si era bruscamente interrotto.

– La corvetta! disse dopo qualche istante di silenzio. – Come tuona la Tuonante!

Erano saliti su un terrazzino dominante tutta la riviera della Mistica.

In mezzo al corso d’acqua la corvetta, saldamente ancorata, continuava a sparare. Di quando in quando si copriva di fumo dal ponte fino alla sommità degli alberi. Era una buona bordata dei suoi dodici pezzi di sinistra, lanciando mitraglia in abbondanza contro le scialuppe delle navi inglesi, che tentavano di forzare il corso d’acqua per attaccare i due piccoli ridotti americani innalzati sulle rive della cala.

– La vedi? – chiese Testa di Pietra, con viva emozione, rivolgendosi a Piccolo Flocco.

– Diamine! Non ho lasciato i miei occhi in Bretagna – rispose il gabbiere.

– Come tuona!

– Meravigliosamente, Testa di Pietra.

– Bravi ragazzi! e fossi a bordo, quanti pezzi di cannoni inglesi farei saltare. Vuoi che, continuiamo la nostra passeggiata?

– Aspetta che ricarichi la pipa.

– Fa’ pure; intanto io osservo se il tiro dei pezzi da caccia è proprio esatto… no, no, maggior elevazione ci vuole, miei cari. Quando sarò a bordo lo vedrete quanti buchi faremo nei ridotti di questi miscredenti. Andiamocene.

– Riprese sottobraccio Piccolo Flocco, e seguirono la linea interna dei bastioni per raggiungere le casematte. Soldati e carri andavano e venivano senza posa, ma i primi non si occupavano affatto dei due marinai, anche perché Testa di Pietra indossava sempre la sua bella divisa.

Stavano già per giungere presso le casematte, quando un uomo piombò su di loro, puntando l’archibugio armato di baionetta e gridando:

– Dove andate voi? Di qui non si passa! Ordine del governatore.

16. LA CATTURA DEL BARONETTO

In quel momento i due marinai della Tuonante si erano fermati ad osservare una vecchia casamatta abbandonata.

All’intimazione, Testa di Pietra e Piccolo Flocco si erano scambiati un rapido sguardo, poi il primo, piantate le callose manacce sui fianchi, chiese:

– E perché non si può passare?

– Tale è l’ordine del governatore – rispose l’inglese, un giovane biondo e roseo, cogli occhi azzurri e magro quasi quanto la cameriera di miss Wentwort.

– Dovevo andare a trovare mio fratello per portargli un paio di pagnotte – disse il bretone. – Me le sono levate dalla bocca per serbargliele.

– Non si passa! – replicò il testardo, tenendo sempre puntata la baionetta.

– Ti regalo un dollaro.

– Nemmeno dieci: non voglio correre il pericolo di farmi fucilare.

Testa di Pietra, con una mossa fulminea afferrò a due mani la baionetta, alzando subito il fucile per non ricevere una scarica, mentre Piccolo Flocco girava dietro al soldato, lo afferrava per le gambe e lo sollevava.

Il disgraziato, lasciò andare l’arma, e cadde al suolo.

– Presto, nella casamatta! – disse Testa di Pietra.

Lo afferrarono, e lo portarono di corsa dentro la piccola costruzione, imbavagliandolo con uno dei larghi fazzoletti che usano i marinai.

– Hai una sagola? – chiese il bretone.

– Che domanda!… Sai bene che i gabbieri ne hanno sempre nelle loro tasche.

– Lega questo papagallo, mentre lo tengo fermo.

– E che cosa ne faremo di questo pappagallo?

– Lo lasciamo qui.

– La casamatta non è frequentata, ed egli correrà forse il rischio di morire di fame – disse il giovane gabbiere.

– Questo è affare suo: la guerra. te l’ho già detto, ha le sue crudeli esigenze.

– Lo sfido a slegarsi.

– Allora possiamo riprendere la nostra ispezione. Voglio raggiungere il corridoio che mette

nella camera da mina, per vedere se l’hanno ricoperta ed in quale stato si trova.

Trascinarono l’inglese, legato come un salame, nell’angolo più oscuro della casamatta, poi tornarono all’aperto.

Primo pensiero di Testa di Pietra fu quello d’impadronirsi del fucile per farsi credere una sentinella. Quella precauzione era stata buona, poiché centocinquanta metri più innanzi i due marinai s’imbatterono in un altro soldato inglese.

– Alt! Non si passa! – gridò. – Ordine del governatore.

– Non vedi che sono anch’io di guardia? – rispose prontamente il bretone.

– E quel giovane che ti accompagna?

– È un marinaio che devo condurre da un ufficiale, avendo una lettera urgente da consegnargli.

– Quando mi dici che si tratta di una lettera urgente, prosegui pure, camerata.

– Grazie: quando ritorno ti pago da bere. So che i viveri scarseggiano in Boston, ma vi si trovano ancora bottiglie di gin e di brandy.

Ripresero la via, salutati da una specie di grugnito da parte della sentinella. Erano giunti ai ridotti.

Era là che avevano fatto scoppiare la mina.

Testa di Pietra s’avvide subito che gl’inglesi, durante quelle quarantotto ore, avevano sgombrato le macerie e rimontato le casematte.

– Perbacco! – esclamò. – Come hanno lavorato questi bravi soldati, sebbene affamati! Mi pare che, per il momento, non vi sia nessuno. Si può andare a vedere.

– Che il passaggio sia stato riaperto? – chiese Piccolo Flocco.

– Ho questa speranza.

Esaminò attentamente le due casematte, ed entrò in quella segnata con un 24 dipinto in rosso.

– Lì finiva il corridoio – disse.

Entrò risolutamente, poi usci subito, e disse a Piccolo Flocco:

– Va’ a vedere tu. Io rimango di guardia e non lascio passar nessuno.

– Sta bene – rispose Piccolo Flocco e scomparve.

Il bretone passeggiava da una diecina di minuti, quando un soldato tedesco si cacciò dietro la trincea che copriva le casematte.

– Alt! – gridò con voce tuonante il mastro. – Non si passa: ordine del governatore.

– Terteuffe! Io afere sparato tutt’oggi e crepare di fame.

– Va’ a crepare in un altro luogo, ma non qui – rispose il mastro.

– Mia gamella trovasi nella casamatta.

– Andrò a cercarla io: non fare un passo innanzi, o sparo.

Il tedesco, rispettoso della consegna, si sedette su un cumulo di terra, mentre il bretone entrava nella casamatta per cercare la gamella.

Ci volle un bel po’ a trovarla, essendovi poca luce; ma finalmente uscì, gridando:

– Prendila, e vattene al diavolo!

Nessuno rispose alla chiamata.

– Che sia scappato? – si chiese il bretone.

Fece il giro del mucchio di terra, e lo trovò disteso in una pozza di sangue e senza vita. Una palla l’aveva nettamente decapitato.

Tornò precipitosamente verso la porta della casamatta per paura di subire la medesima sorte, ed attese impaziente il ritorno di Piccolo Flocco.

Trascorsero altri quindici minuti poi il giovane marinaio ricomparve.

– Dunque? – gli chiese subito il bretone.

– Hanno sgombrato il passaggio dai rottami e vi hanno collocato una nuova mina – rispose Piccolo Flocco.

– Hai attraversato la camera?

– Certo.

– Anche il secondo passaggio è aperto?

– Lo scoppio non lo ha affatto danneggiato.

– Ne sei sicuro?

– Sicurissimo.

– Allora siamo a posto – rispose il bretone. – Prima di mezzanotte saremo a bordo della corvetta insieme con la bellissima miss e col mio merluzzo secco.

– Passerà la signora?

– Se passo io, che sono grosso, passerà anche lei. Giungerà alla estremità della galleria colle vesti strappate, ma si rifarà a bordo. Sai bene che abbiamo più di venti casse di vestiti, di cappelli e di biancheria.

 

Volsero le spalle alle casematte e ripresero la via del ritorno, mentre il bombardamento aumentava d’intensità.

Testa di Pietra ed il giovane gabbiere, rientrarono in città. Annottava, e solo le bombe rompevano le tenebre. Le ultime candele di sego di Boston erano più utili a rinforzare il brodo degli assiani, che a dare la luce.

Dopo aver girato per parecchie vie, giunsero finalmente in prossimità dell’Albergo delle trenta corna di bisonte. Con loro grande sorpresa, videro parecchie persone ferme dinanzi alla porta, che parlavano animatamente.

Il bretone provò subito un gran colpo al cuore.

– Dio! – mormorò. – Che cosa è successo? Piccolo Flocco, non ho il coraggio di avvicinarmi.

– Che sia avvenuta qualche rissa fra ubriachi? – rispose il gabbiere.

– Io penso al comandante.

– Che un colpo di sole mi ammazzi! Non mi ricordavo in questo momento che il capitano fosse lì dentro.

– Che fare? – chiese Testa di Pietra, il quale si trovava più imbarazzato che mai. – Non ho mai avuto paura; eppure, in questo momento tremo.

Guardò meglio. I borghesi mescolati ad alcuni soldati tedeschi cominciavano ad allontanarsi: i primi per andare a cena, ed i secondi per obbedire alla ritirata.

– Possiamo avvicinarci anche noi – disse. Voglio sapere che cosa è successo.

Alzò il cane della sua pistola, respinse tre o quattro borghesi che si ostinavano a rimanere dinanzi all’Albergo delle trenta corna di bisonte, intimando loro con voce minacciosa di tornare subito alle loro case, ed entrò seguito da Piccolo Flocco.

La sala era in pieno disordine. Tavolini e sedie erano rovesciati, molte bottiglie e piatti in frantumi. Il taverniere stava appoggiato al banco, guardando tristemente quella rovina. Non si era ancora deciso a mettere un po’ d’ordine in quella stanzaccia. Vedendo entrare il bretone, aprì le braccia, facendo un gesto di disperazione.

– L’hanno preso! – gemette mastro Taverna. – Quel bravo gentiluomo!

Testa di Pietra si diede due poderosi pugni sul capo e diventò livido.

– Preso il mio capitano! esclamò.

– Sì, mio signore.

– Quando?

– Un’ora fa.

– E chi è venuto ad arrestarlo?

– Dieci soldati inglesi comandati da un capo della polizia.

– Si è difeso?

– Sembrava un giaguaro. Ne ha infilzati due, ed ha bruciato le cervella ad un terzo; poi ha dovuto arrendersi oppresso dal numero, quantunque si fosse servito dei miei piatti e delle mie bottiglie come mitraglia.

– Preso! Il capitano preso! – esclamò Piccolo Flocco, il quale non era meno livido ed atterrito del bretone.

Testa di Pietra si era lasciato cadere su una sedia, come se fosse stato preso da malore, ma subito si rialzò chiedendo:

– E la miss?

– Arrestata anche lei! – rispose mastro Taverna.

– È terribile! – aggiunse Piccolo Flocco.

– Non hanno lasciato qui che quel tedesco, che continua a dormire, e quella signora magra ed attempata.

– La cameriera? – gridò il bretone.

Si scagliò su per la scala ed entrò come una bomba nella camera che il Corsaro aveva destinato alle due donne.

– Miss Nelly, – disse il bretone – è proprio vero che hanno portato via la vostra padrona?

– Sì, marinaio, – rispose la donna, tergendosi le lagrime. – Sono stati i soldati del marchese che l’han rapita. Ah, povera padrona!

Il bretone si era messo a passeggiare per la stanza dandosi continuamente pugni sul capo e domandandosi con voce rabbiosa

– Che fare? Che fare? Me lo fucileranno di certo quel bravo comandante che amo come un figlio. Bisogna salvarlo; ma come?

Ad un tratto interruppe la sua passeggiata di orso in gabbia e si fermò dinanzi alla cameriera.

– Le sentinelle del castello vi conoscono? – le domandò.

– Oh! quasi tutti i soldati.

– Dunque non avreste nessuna difficoltà ad entrare nella torre.

– No.

– Uditemi bene, mia dolce Nelly. Ormai la ritirata è suonata, quindi è troppo tardi, ed anche troppo pericoloso avventurarsi per le vie di Boston. Domani mattina vi recherete al castello e cercherete di vedere la vostra padrona, che non sarà certamente stata cacciata in prigione come una donna qualsiasi…

– Oh no! Il marchese non lo permetterebbe.

– Benissimo! – rispose Testa di Pietra. – Cercherete di sapere dove hanno rinchiuso il baronetto e quali istruzioni hanno gl’inglesi: verso mezzogiorno tornerete qui. Quel valoroso non deve morire, né fucilato, né impiccato.

– Oh no! la mia padrona ne morrebbe di dolore. Ama tanto sir William!

– Noi rimarremo in Boston fino a domani sera, perché sarà necessaria la notte per raggiungere la nostra nave. Riposate tranquilla, mia Nelly, e pensate a me.

Il mastro fece un goffo inchino e discese nella taverna, dove trovò Piccolo Flocco e mastro Taverna impegnati in una animatissima conversazione.

– Giungi in tempo – disse il giovane gabbiere. – L’albergatore mi faceva or ora osservare che i soldati o i policemen potrebbero improvvisamente ritornare.

– Lo so, per il Borgo di Batz! – esclamò Testa di Pietra. – Mi aspetto di vederli giungere da un momento all’altro.

– Perciò mastro Taverna ci propone di nasconderci in un luogo che nessun poliziotto del mondo, per quanto abile, saprebbe scoprire.

– È vero – confermò l’albergatore.

– Dove si trova? – chiese il bretone.

– Nel mio giardino.

– Vi è un sotterraneo forse?

– No, un pozzo, il quale sopra il livello dell’acqua ha una specie di stanza.

– Vi è molta acqua nel pozzo?

– Forse un metro e non più. È un mese che non cade una goccia d’acqua.

– Hai una fune solida?

– Si mio signore.

– Mandaci giù bottiglie, candele, tabacco, coperte, e non dimenticarti i salciciotti e il prosciutto.

– E di quel tedesco che dorme ancora che cosa devo farne?

– Gli rendo il suo vestito e riprendo il mio. Quando si deciderà a svegliarsi, lo manderai con Dio, dopo d’avergli offerto qualche bicchiere di gin.

Il bretone entrò nella stanza-magazzino, si spogliò rapidamente e si rimise il suo costume da marinaio.

– Si può andare – disse rientrando nella sala. – Giacché i policemen non giungono, approfittiamone per sottrarci alle loro ricerche.

Mastro Taverna chiuse la porta e la sprangò, essendo già ora inoltrata; scese nella cantina a prendere una solida fune lunga una ventina di metri, poi disse:

– Andiamo, miei gentlemen.

Fece loro attraversare uno stretto corridoio e li condusse in un orticello che si trovava dietro l’albergo. Nel mezzo vi era un pozzo.

Una solida spranga di ferro ne traversava la bocca piuttosto larga.

Testa di Pietra, aiutato da Piccolo Flocco, fece alla fune diversi nodi, assicurò solidamente un capo alla spranga e gettò l’altro nel pozzo.

– Scendete dieci metri circa – gli disse mastro Taverna, porgendogli un pezzo di candela. – Poi ci penserò io.

Il bretone, s’aggrappò alla fune, e dopo mezzo minuto entrava in una specie di camera umidissima costruita in un fianco del pozzo.