Za darmo

I Corsari delle bermude

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7. UN’IMPRESA TERRIBILE

Sir William, appena terminata la battaglia si era ritirato nella sua cabina, mettendosi a tavola insieme col colonnello Moultrie e Howard.

– Alla guerra ci si va con due sacchi, – disse ai suoi due compagni, i quali parevano un poco afflitti per il disastro subito dalle truppe federali. – Uno serve per le busse che si danno, l’altro per quelle che si pigliano. Sono cose che succedono.

E si mise a cenare con l’appetito d’un vero lupo di mare, niente affatto disturbato dagli spari dei quattro pezzi da caccia, che facevano tremare non solo la coperta, ma anche tutto il vasellame dell’elegante salotto.

Mangiò alla lesta, poi si alzò e depose la sua sciabola d’abbordaggio, staccando dalla parete una superba lama, una vero Toledo, e la osservò attentamente.

– Che cosa fate, sir William? – chiese il colonnello.

– Avete dunque dimenticato che io devo entrare in Boston? – rispose il Corsaro.

– Questa notte!

– Se non approfitto di questo momento in cui gl’inglesi, dopo tanto battagliare saranno forti di fatica ed occupati a curare i loro feriti ed a seppellire i loro morti, non so quale altra migliore occasione potrei attendere.

– Ma volete proprio gettarvi in bocca al lupo!

Il Corsaro alzò le spalle, poi disse:

– Lupo sono anch’io e di mare per di più, ed avrò abbastanza denti per difendermi. Mi avete promesso di guidarmi fino alla galleria che mette sotto le casematte.

– È vero, sir William, e sono uomo da non mancare alle promesse dovesse anche costarmi la vita. Vorrei bensì attendere una occasione migliore.

– Per lasciare intanto il tempo al marchese d’Halifax di costringere colle minacce o colla forza Mary di Wentwort a sposarlo? Ah, no!

Il suo viso era diventato improvvisamente cupo.

– Questa spada – disse – deve bagnarsi del sangue degli Halifax.

– Vorreste uccidere il marchese che, alla stretta dei conti, è vostro fratello?

– Se entro in Boston, quell’uomo pagherà l’infame tradimento e mio padre mi perdonerà.

– E poi?

– Non ho alcun dubbio sul trionfo finale della vostra santa causa.

Apri una cassa e ne estrasse un vestito completo da ufficiale della marina inglese.

– Lo sapevo – disse – che un giorno mi sarebbe stato prezioso.

Stava per spogliarsi, quando un baccano infernale si udì al di fuori.

Quelli della piazzaforte, avevano ripreso il bombardamento delle posizioni americane con una rabbia crescente.

Sparavano i forti, sparavano i ridotti, e navi e le batterie galleggianti, facendo cadere verso la Mistica e sull’altura di Bunker’s Hill una vera pioggia di proiettili.

Il Corsaro mandò un urlo di rabbia.

– Proprio questa notte! – esclamò. – Ah. maledetti!

Aveva gettato al suolo la giacca e si era fermato dinanzi ad una miniatura che rappresentava una fanciulla bionda cogli occhi azzurri.

– Mary, – disse, mentre i suoi occhi sfavillavano – mi sfiori pure la morte, questa notte, Lellan sarà da te. Colonnello, – disse poi con una certa esaltazione – avete paura delle palle infuocate o delle bombe inglesi?

– Mai, sir William.

– Siete sempre deciso a mantenere la vostra promessa?

– Sempre.

– Signor Howard, chiamatemi Testa di Pietra e Piccolo Flocco. L’uno, senza l’altro, non potrebbe fare mai nulla.

Il secondo di bordo vuotò il bicchiere, e mentre i quattro pezzi da caccia ed i quattro mortai tuonavano terribilmente, salì sulla tolda. Anche i pezzi di dritta, avevano cominciato a sparare a colpì di bordata, facendo sussultare la corvetta.

Non era trascorso mezzo minuto, che il bretone scendeva nel quadro. Aveva in bocca la sua famosa pipa.

– Sei pronto a venire con Piccolo Flocco – gli chiese sir William.

– Dove, comandante?

– A Boston.

– La serata veramente non mi pare propizia, non per la mia pelle, perché è ormai troppo vecchia e non servirebbe nemmeno ad adescare i pescicani, bensì per la vostra.

– Per la mia?… Me ne rido. – rispose il Corsaro. – E poi credo che la palla, piccola o grossa, che dovrà uccidermi, non sia stata ancora fusa.

– Allora andiamo, – rispose il vecchio lupo di mare, lanciando in aria una nuvolata di fumo densissimo. – Vi sarà da menare le mani, comandante?

– Forse anche troppo.

– Non chiedo di meglio, e poi sapete che Piccolo Flocco, sebbene giovane, ha muscoli di acciaio. Per il borgo di Batz! È stato lui, nell’ultimo abbordaggio, che per primo è saltato sul ponte dell’inglese; e che sciabolate menava! Pareva un mulino a vento… Dobbiamo cambiarci? I baffi e le barbe sono già caduti.

– Non è necessario.

– E le armi?

– Bastano un paio di pistole a doppia canna per ciascuno e la piccola sciabola d’abbordaggio.

– Ai vostri ordini, comandante.

– Sia pronta una scialuppa fra cinque minuti. Sul ponte e nella batteria si mantenga il fuoco.

– Sì comandante.

– Bevi.

Il bretone prese la grossa tazza che il Corsaro gli porgeva e d’un fiato la vuotò, borbottando poi:

– Vivaddio! si beve meglio nel quadro che a prora.

Si rimise in bocca la storica pipa e se ne andò.

Il Corsaro gettò via le vesti, e indossò rapidamente una divisa da ufficiale inglese, accomodandosi sul capo una candidissima parrucca, come si usava in quel tempo.

– Che cosa vi pare? – chiese a Howard e al colonnello americano.

– Uhm! – disse quest’ultimo. – Non so in quale stato sarà ridotta la vostra eleganza quando avrete attraversata tutta la lunghissima galleria.

Un lampo terribile balenò negli occhi del Corsaro.

– Vi sono tanti ufficiali di marina in Boston, – disse con voce tagliente – Qualora ne avessi bisogno, ne ucciderei qualcuno per prendergli la divisa.

– Questi corsari hanno veramente fegato! – mormorò il colonnello americano con un sospiro. – Se ne avessimo duemila a nostra disposizione, a quest’ora non ci sarebbe più un inglese sul suolo americano.

– Colonnello, siete pronto?

– Ai vostri ordini, sir Mac Lellan.

– Signor Howard, affido a voi la mia corvetta. Vi lascio un equipaggio invecchiato fra il fumo delle batterie e sempre pronto a montare all’abbordaggio. Cercate di conservarmi la nave e di aiutare più che potete i nostri nuovi amici.

– Ne rispondo pienamente, – rispose il luogotenente. – Piuttosto di lasciarla cadere nelle mani di Howe, la farò saltare insieme a me e ai miei uomini.

– Ci conto, – rispose il Corsaro.

Gli diede un’affettuosa stretta di mano, poi salì in coperta seguito dal colonnello.

Come la sera precedente il tempo si era messo al brutto. In lontananza l’Atlantico rumoreggiava sinistramente, ed il vento sibilava mentre grosse nuvole si addensavano in cielo.

– Ecco una bella notte! – disse il Corsaro, mentre i mortai ed i pezzi da caccia sparavano simultaneamente, facendo sussultare la corvetta. – Amo le notti di tempesta e le notti di fuoco.

Testa di Pietra e Piccolo Flocco si erano fatti innanzi.

– La scialuppa è pronta, comandante, – disse il primo.

– Vi avverto che l’impresa sarà dura e che vi sono molte probabilità di lasciarvi la pelle.

Il bretone alzò le spalle e guardò, sorridendo, Piccolo Flocco.

– Che cosa ne dici, piccolo squalo?

Il giovane gabbiere rispose con una risata argentina.

– Che cosa si va a fare dunque alla guerra? – chiese poi. – Per darle o per prenderle; sono sempre stato pronto a darne più che ho potuto ed a riceverne il meno possibile.

– Sei troppo chiacchierone, figliuol mio, – disse il bretone. – Un altro capitano, invece di starsene qui ad ascoltare le tue bravate, ti avrebbe regalata una magnifica pedata. Abusi troppo della bontà del baronetto.

– Lascialo dire, Testa di Pietra, – disse il Corsaro. – Alla sua età piace chiacchierare.

– Preferisco invece fumare e bere, capitano.

– Andiamo.

Scesero la scala di tribordo, accompagnati fino alla piccola piattaforma da Howard e balzarono in una scialuppa montata da sei marinai e da un timoniere. Il colonnello americano vi era già.

– Vi raccomando la mia corvetta – gridò un’ultima volta il Corsaro.

– State tranquillo, sir – rispose Howard. – La rivedrete correre attraverso l’Atlantico.

Le palle fioccavano, ché gl’inglesi tentavano di ridurre al silenzio la corvetta, i cui mortai non cessavano di lanciare dentro la città le loro grossissime granate. Ma tirando essi a palle infuocate, era facile scorgerle in aria ed evitarle prima che cadessero, perché si lasciavano dietro una striscia fiammeggiante come i bolidi.

Il timoniere, sempre all’erta, ora faceva filare la rapida baleniera, ora la tratteneva, aspettando che i proiettili si sprofondassero nel fiume.

La traversata non durò che cinque minuti, ed i tre corsari e il colonnello americano presero terra senza aver provato gli effetti di quelle palle micidiali.

– Quando udrete due colpi di pistola, verrete a riprendere me, Testa di Pietra e Piccolo Flocco, – disse sir William. – Non so però quale sarà la notte in cui torneremo a bordo. Aspettate qui il colonnello che deve fra poco ritornare sulla corvetta. Addio, ragazzi.

– Buona fortuna, capitano! – risposero ad una voce i sette uomini della baleniera.

Una salita assai erta, ingombra di folti cespugli, si trovava dinanzi ai tre corsari.

– Dove si trova la galleria? – chiese sir William al colonnello.

– Non la chiamate galleria, – rispose l’americano. – È un passaggio strettissimo che non vi permetterà di avanzare che uno dietro l’altro.

– Non importa. Dov’è?

– Centocinquanta passi lontana da noi.

– E la mina dove si trova?

– Sotto le casematte; vi consiglio di non farla esplodere.

– Non commetterò una simile sciocchezza. Resteremmo tutti schiacciati, e per ora non ho alcun desiderio di morire… Volete guidarci colonnello?

 

– Sempre ai vostri ordini, sir William.

L’americano si orientò rapidamente, poi cominciò ad arrampicarsi. Le artiglierie tuonavano sempre.

– Bella notte, vero, Testa di Pietra? – disse il Corsaro il quale seguiva da presso il colonnello.

– Per il borgo di Batz! – rispose il bretone. – Mi pare di essere alle feste carnevalesche di Brest. Ma là piovevano allora fiori e confetti ed io, giovane mozzo, li prendevo sul viso senza protestare e i confetti li mangiavo ve l’assicuro. Non so quante purghe mi abbia fatto ingoiare la mia povera mamma, prima d’imbarcarmi pei banchi di Terranova… Bum! Un passo più innanzi e la mia vecchia pipa scoppiava come una mina.

– È stata caricata con polvere?

– No, signor comandante: di ottimo tabacco del Maryland.

– Vattene sul campanile di Batz.

– A suonare le campane! È troppo lontano, mio capitano… Bum! Un’altra!

– Taci, eterno chiacchierone – disse il Corsaro. – Rimproveri Piccolo Flocco e sei peggio di un pappagallo.

– Per il borgo di Batz! Avete ragione, mio comandante. Non me n’ero accorto.

In quel momento una palla piombò a pochi passi da loro, una palla destinata certamente alla corvetta e che, per poca forza del calibro del pezzo, si era arrestata a tre quarti di via.

– Granata a palla infuocata! – disse il bretone. – Piccolo Flocco, ragazzo mio, va un po’ a vedere. Salterai tu solo, se si tratterà di una bomba.

– Fermi tutti! – comandò il Corsaro con voce imperiosa. – Guai a chi si muove! Tutti a terra!

Successe uno scoppio, seguito da un sibilare di proiettili e di frammenti di ferro e di ghisa solcanti l’aria. I quattro uomini, rimasero incolumi.

– Grazie alla tua premura, Testa di Pietra – disse il giovane gabbiere. – Se fossi andato a raccogliere quel dolce inglese, a quest’ora non avrei forse più né le breccia né le gambe. Non ti obbedirò più.

– Silenzio! – comandò il colonnello. – Siamo presso la galleria.

– Ci sarà qualche sentinella da bucare? – chiese il bretone, il quale non voleva rassegnarsi a chiudere il becco.

– Ma che! Avrete da percorrere, in salita, più di trecento metri, prima di trovarvi faccia a faccia cogl’inglesi.

Un’altra palla passò fischiando sulle loro teste, perdendosi in direzione della corvetta.

– Non finisce più questa pioggia? – borbottò Piccolo Flocco. Comincia a diventare un po’ seccante. Avessi almeno il cappotto d’incerato che la mia buona vecchia mi ha regalato!

– Sì. Ti difenderebbe quello! – disse Testa di Pietra che lo aveva udito.

Il colonnello in quel momento si fermò dinanzi ad un altissimo gruppo di passiflore e, vi si cacciò risolutamente in mezzo, senza badare alle spine che gli laceravano l’abito. S’avanzò attraverso la macchia per circa dieci metri, poi chiese:

– Chi ha l’occhio di bue?

– Io – rispose Piccolo Flocco.

– Accendetelo. Ormai non ci possono più vedere.

Testa di Pietra batté l’acciarino ed accese l’esca e quindi la piccola lanterna.

– Si trovarono dinanzi ad una roccia altissima, alla cui base si apriva un buco.

– Ecco il passaggio, – disse il colonnello. – Non potrete avanzare che strisciando come i crotali e non troverete che un po’ di spazio nella camera di mina. Una delle pietre che servono di pavimento alla casamatta del bastione, che volevano far saltare, è stata già smossa e con un piccolo sforzo la solleverete facilmente. Agite con estrema prudenza e badate di non fare scoppiare le polveri.

– Testa di Pietra, hai una cordicella incatramata in tasca?

– Un buon marinaio ne ha sempre, capitano, – rispose il bretone.

– Che cosa volete farne? – chiese il colonnello, un po’ sorpreso.

– Voglio risparmiarvi la fatica e il pericolo di far saltare il bastione e la casamatta – rispose tranquillamente il Corsaro.

– Vi esporrete ad un rischio gravissimo.

– Ci siamo abituati noi; e poi siamo venuti qui per agire e non per ascoltare il rombo delle cannonate.

– Fate come volete. I miei compatrioti vi saranno riconoscenti.

– Addio, colonnello. Spero di rivedervi presto.

– Siate prudente – rispose l’americano con voce assai commossa. – Se vi prendono non vi risparmieranno.

Si strinsero un’ultima volta la mano e si separarono.

Il colonnello si cacciò fra le passiflore per raggiungere la scialuppa che l’attendeva sulla riva della Mistica, ed il Corsaro, presa la piccola lanterna, si cacciò nella galleria, seguito subito da Testa di Pietra e da Piccolo Flocco.

8. NELLA CAMERA DELLA MINA

Quel passaggio,era stato aperto con incredibili fatiche; ma essendo scavato nella massa rocciosa, era perfettamente asciutto, sicché i tre Corsari potevano sperare di entrare in Boston con abiti in buono stato.

– Non potevano allargarlo un po’ di più quei maldestri minatori? Corro il pericolo di rompere la mia preziosa pipa – disse Testa di Pietra.

– Mettila in bocca, – disse il baronetto, che era in testa, tenendo l’occhio di bue.

– Forse sarà meglio. Sono troppo grosso per questa strettoia e non potrò avanzare che con grande fatica e rimettendoci un po’ della mia vecchia pelle.

– Da un po’ della tua carne a me, Testa di Pietra, – disse Piccolo Flocco.

– La carne dei vecchi bretoni di Batz non si vende nemmeno a prezzo d’oro, ricorrdatelo, piccolo squalo d’acqua dolce.

– Ah, non d’acqua dolce! – protestò il giovane gabbiere.

– Se ti ho offeso, sfidami ad una partita d’armi e vedrai come ci batteremo bene in questa strettoia.

– Avrei subito la peggio io, perché i tuoi stivali toccano la mia faccia e me la romperesti facilmente.

– Allora lasciami dire.

– Là, chiacchieroni! – esclamò il Corsaro, il quale però si divertiva a quelle dispute, che scoppiavano ogni dieci minuti fra quei due bei tipi che si amavano come padre e figlio – Procurate invece di far presto.

– Si fa presto a dirlo, capitano, – disse Testa di Pietra – ma non è facile obbedire, almeno per me. Gli americani non hanno certamente pensato che i bretoni di Batz sono i più grossi uomini della Francia settentrionale.

– Ed anche i più belli, – soggiunse Piccolo Flocco, sorridendo

– Tacete, pappagalli! Vi sono gl’inglesi lassù, – il disse il Corsaro.

– Hanno gli orecchi duri quei beoni di gin e di brandy – borbottò il bretone. – E poi chi sa per quanto ne avremo ancora!

Il passaggio saliva, ma dappertutto era sempre così stretto che, se i tre uomini avessero voluto allungare un braccio per estrarre la spada o le sciabole non avrebbero potuto farlo. Contorcendosi come serpenti, i tre corsari continuavano a risalire quell’interminabile budello aperto nell’enorme massa rocciosa. Di tratto in tratto si fermavano per immagazzinare un po’ d’aria. Più avanzavano e più l’atmosfera si faceva pesante, opprimente: i loro corpi erano inondati di sudore.

Avevano già percorso più di duecento metri, quando il Corsaro si fermò, mandando un profondo sospiro e deponendo dinanzi a sé l’occhio di bue. Le sue orecchie fischiavano, gli occhi si velavano, le forze gli venivano rapidamente meno. I suoi due compagni non si trovavano in migliori condizioni. L’ossigeno veniva meno e la sua mancanza atterriva quei tre valorosi che non avevano mai avuto paura.

– Capitano, – disse il bretone con voce fioca – mi sento soffocare.

– Ed io non meno di te – rispose il Corsaro con voce affannosa.

– Morremo qui dentro come topi dentro una fogna! Se tornassimo indietro?…

– Bisognerebbe prima raggiungere la camera della mina per poterci voltare; e poi voglio entrare in Boston prima che sorga l’alba, accada quel che accada.

– Per il borgo di Batz! Che polmoni avevano i minatori che hanno aperto questo passaggio?

– Quelli dei pulcini – disse Piccolo Flocco, il quale pareva non si trovasse troppo a disagio.

– Respiri?

– Mi pare.

– Sfido io! Hai i polmoni d’un tisicuzzo, mentre io ed il comandante li abbiamo tanto larghi da regalarne anche ai gatti. Si va, sir William?

Il baronetto, invece di rispondere, aveva prontamente spento l’occhio di bue.

– Buona notte, – disse Piccolo Flocco.

– Che cosa avete fatto, comandante? – chiese. Testa di Pietra. Non ci vedo più.

– Guarda dinanzi a te.

– È impossibile: ho voi dinanzi.

– Qualcuno avanza verso di noi con una lanterna.

– Corpo d’una granata! Chi è?

– Non mi ha ancora detto il suo nome e non ho ancora potuto vederlo, ma è facile indovinare chi può essere.

– Per il borgo di Batz! Che gl’inglesi abbiano scoperto questo passaggio?

– Allora siamo fritti! Andare indietro, stretti come siamo, non è possibile.

– E perciò andremo innanzi – rispose il Corsaro.

– Che terribile incontro! E non poter menar le mani! Corpo d’una fregata, chi vuol comperare la mia pelle, per un luigi gliela dò.

– La prendo io, – disse Piccolo Flocco.

– Dammi subito il luigi: morirò almeno con venti franchi in tasca.

– Quando saremo ritornati a bordo della corvetta, perché qui non l’ho. E poi se anche l’avessi, sono talmente imprigionato fra queste dannate pietre, che non potrei mettere una mano in tasca.

– Ah! tu speri di rivedere il Tuonante?

– Certo.

– Hai ragione. Non cedo più la mia pelle nemmeno per mille luigi.

– Zitti! – comandò in quel momento il Corsaro.

– È proprio vero che un uomo avanza? – chiese invece Testa di Pietra.

– Sì.

– Che cosa ne faremo di quello stupido? Se lo uccidete con un colpo di pistola, ingombrerà il passaggio e saremo costretti, se riusciremo, a tornare indietro.

– Lo so.

– Che cosa decidete, capitano?

Il Corsaro, invece di rispondere, dopo non pochi sforzi riuscì a togliersi dalla cintura una pistola a due canne.

– Aspettiamo – disse poi. – Sarà un incontro emozionante. Non parlate, e, se potete, armate anche voi qualche pistola e fate fuoco rasente al mio corpo.

– Non oserò mai! – affermò Testa di Pietra. – Non vorrei uccidere il mio comandante che adoro più della punta del campanile di Batz.

– Vattene all’inferno! – rispose il Corsaro ridendo. – Sbrigherò la faccenda da solo.

La lampada intanto avanzava dondolando e mandando sprazzi di luce rossastra.

Il Corsaro, sdraiato, colla pistola impugnata, attendeva senza sapere che cosa avrebbe potuto fare, poiché anche uccidendo il suo avversario, la galleria sarebbe stata irrimediabilmente ostruita. Doveva avere nervi ben saldi il giovane baronetto per attendere, tranquillo, almeno in apparenza quel terribile incontro.

La lanterna avanzava sempre a piccole scosse e finalmente una testa si delineò a tre passi dal Corsaro, una testa dai capelli arruffati ed una faccia rossa come quella d’un ubriacone impenitente, con due occhi resi febbrili probabilmente dalla scarsità dell’ossigeno.

Lo sconosciuto, accortosi di aver dinanzi un uomo, si era fermato alzando un po’ la lampada, poi aveva mandato un urlo rauco.

– Ah, cane! Ci sono caduto! Sono uno stupido.

– Che cosa dite mister? – chiese il Corsaro gentilmente.

Che sono stato un vero stupido – rispose lo sconosciuto. – Noi irlandesi siamo fanciulloni, e null’altro.

– Tirate, comandante, e mandate al diavolo quella testa rossa sussurrò il bretone.

Il Corsaro, che non aveva nessuna intenzione d’ingombrare il passaggio, allungò la destra armata della pistola a due colpi contro l’irlandese e disse:

– Vi potrei uccidere come un cane, senza che voi potreste opporre alcuna difesa, perché il passaggio è troppo stretto per venire ad un corpo a corpo. Volete trattare?

– Mondo cane!

– Lasciate le bestemmie o vi caccio in corpo due palle che non vi leverà nemmeno il diavolo!

L’irlandese non rispose. Col volto livido, convulso, gli occhi che lanciavano lampi sinistri, stava zitto, sporgendo solamente innanzi la lanterna per osservare meglio il suo avversario.

– Volete trattare? – ripeté il Corsaro. – Tengo la vostra vita fra le mie mani. La vostra testa non si trova che a due o tre passi e potrei farvela scoppiare come una zucca.

– Se potessi allungare una mano dietro di me, prenderei la pistola e vi fulminerei, canaglia!

– Ma non sono solo, amico, – rispose il Corsaro. – Due palle possono scivolare benissimo sopra il corpo d’un morto e raggiungervi ancora.

– Quanti siete?

– Cento.

– Allora sono un uomo morto.

– Al vostro posto reciterei un De Profundis.

– Lo farei se avessi una bottiglia di arrak da berci dietro – rispose

– Andrete a farvela pagare da messer Diavolo.

 

– C’è tempo ancora, poiché, se mi uccidete, non potete avanzare.

– Lo so, e perciò vi offro di scendere a patti. Eh, là, badate, non cercate di allungare la mano nella speranza di impugnare la pistola, perché lascio subito andare i miei due colpi proprio dentro il vostro cranio.

L’irlandese lanciò una bestemmia poi disse irato:

– Siete, per il momento, il più forte e mi converrà cedere: che cosa volete.?

– Che retrocediate fino alla camera della mina.

– Sarà una faccenda un po’ seria. Andare innanzi, meno male, ma indietro!

– Non abbiamo nessuna fretta, – rispose il Corsaro. – Su tornate là donde siete venuto, se vi preme la pelle.

– Vi ripeto che mi sarà impossibile.

Sir William gli strappò di mano la lampada, accese l’occhio di bue, sempre senza perdere di vista l’irlandese, poi, appoggiandogli sulla fronte la canna della pistola, disse con voce minacciosa:

– O retrocedi, o ti faccio saltare le cervella.

Il soldato capì che ormai non era più possibile insistere e, con un sforzo fece la sua prima mossa indietro, accompagnato da una lunga sequela di bestemmie.

– Vedi che puoi? – disse il Corsaro.

– Ma giungerò lassù colle reni fracassate, – rispose l’irlandese.

– Su, indietro!

– Corpo d’una granata! – gridò Testa di Pietra, che cominciava a perdere la pazienza. – Piantategli due pugni sul muso, mio comandante, se si ostina a non retrocedere. Vuol farci crepare asfissiati? Io non ne posso più.

– Indietro canaglia! – gli ripeté il Corsaro.

L’irlandese riprese a indietreggiare, dimenandosi disperatamente, soffiando e sbuffando. Il disgraziato, che si vedeva sempre dinanzi agli occhi la pistola del Corsaro, faceva sforzi disperati per riguadagnare la camera della mina che doveva trovarsi sotto le casematte del bastione.

Trascorsero più di cinque minuti, lunghi come cinque secoli; poi l’irlandese cominciò a muoversi meglio. Aveva raggiunto la bocca della camera da mina.

Il Corsaro accortosi che indietreggiava più liberamente gli si strinse addosso, dicendogli:

– Non ti alzerai se non quando te lo dirò, né muoverai le braccia all’indietro. Non voglio sgradite sorprese. Bada che alla prima mossa sospetta sparo!

– Vi prometto di non tentare nulla contro di voi, – rispose l’irlandese.

– Non ti credo.

– Lo giuro su San Patrick protettore dell’Irlanda.

– Ed anche sul Papa! Voi irlandesi siete tutti papisti, è vero?

– Mettici dunque dentro anche il Papa e finiscila! – urlò Testa di Pietra

– Avete udito che cosa dice il mio tenente che ha dietro di sé cento uomini impazienti di uscire da questo strettoio? – disse il Corsaro.

– Se volete giuro anche sulla coda del diavolo.

– E sarà meglio, – brontolò il bretone. – Sono più cristiano di quel bevitore d’arrak, perché i nostri curati di Bretagna sono i nostri veri pastori. Si va? Giù un buon pugno comandante.

Il Corsaro non era affatto della sua opinione, ma spiava ogni mossa dell’irlandese, pronto a bruciargli le cervella al minimo movimento sospetto.

Il soldato, con un ultimo sforzo, si levò dalla strettoia di quell’interminabile corridoio e con uno scatto improvviso si rizzò nella camera da mina, abbastanza vasta perché un uomo potesse starvi ritto ed agire liberamente.

Sir William, più lesto di uno pantera, lasciò andare l’occhio di bue, afferrandolo strettamente per il collo.

– No, amico, – gli disse – questi scherzi non sono tollerati dai corsari delle Bermude. Alza le braccia o ti ammazzo.

L’irlandese, mandando un ruggito, aveva tentato di liberarsi dalla stretta, ma il baronetto aveva muscoli d’acciaio e lo teneva fermo.

Testa di Pietra e Piccolo Flocco, usciti alla loro volta dalla strettoia, si erano scagliati sul soldato. Il primo aveva alzato il suo pugno grosso come una, mazza da fucina, domandando:

– Devo accopparlo, comandante?

– Non ne vale la pena – rispose il Corsaro. – È ormai perduto. Hai corde ed una sagola incatramata?

– Si, comandante.

– Legalo.

– E poi?

– Aspetta un po’. Devo esaminare questa famosa camera da mina. Ah! non dimenticare d’imbavagliarlo.

– Lasciate fare a me.

Mentre il Corsaro si cacciava in un altro passaggio molto più ampio del primo, il bretone estrasse da una tasca un fazzoletto e Piccolo Flocco teneva fermo l’irlandese, puntandogli una pistola sotto il mento.

– Signor arrak, – disse – permettete che vi chiuda il becco per impedirvi di cantare. Oh, non temete. Vi lascerò libero il naso, affinché possiate respirare.

Il soldato rispose con un mugolio minaccioso, ma non osò muoversi.

Testa di Pietra, il quale poteva finalmente, si affrettò a imbavagliare e poi legare per bene il disgraziato contro la parete.

– Questo pappagallo d’oltre oceano non canterà finché non gli leverò il mio velaccio. Non ti sembra un vero salame, Piccolo Flocco, con quella giacca rossa e tutta quella corda intorno?

– Peccato non lo sia davvero! – rispose il giovane gabbiere. – Lo affetterei subito e ne farei una buona scorpacciata.

– Se vuoi provare i salami d’Irlanda, non sarò io ad oppormi.

– Mi prendi per un antropofago?

– Uh! Ho mangiato anch’io carne umana, su una zattera perduta in mezzo all’Atlantico meridionale, e ti posso dire che non è poi tanto cattiva.

In quell’istante rientrò sir William, che teneva in mano l’occhio di bue.

– Dunque, capitano? – chiese il bretone.

– Fra cinque minuti saremo dentro Boston e le casematte saranno saltate.

– Per il borgo di Batz!

– Non abbiamo da percorrere più di venticinque o trenta passi per giungere alle casematte. Là dentro tutto è oscuro ed una delle pietre è stata spostata, probabilmente da questo soldato.

– E la mina?

– Voltati, non vedi?

Testa di Pietra girò sui talloni e fissò i suoi sguardi sul raggio di luce che il Corsaro aveva proiettato verso una della quattro pareti.

– Una miccia! – esclamò.

– E dietro la miccia sta la mina.

– E quegli stupidi d’inglesi non l’hanno vuotata!

Forse non ne hanno avuto il tempo. Tutto ieri hanno combattuto.

– È vero comandante.

– Quanto credi possa durare quella miccia?

– Dai tre ai quattro minuti, – rispose il bretone, dopo di averla svolta.

– Abbiamo tempo più che sufficiente per metterci in salvo – rispose il Corsaro.

– Non vi saranno soldati nella casamatta?

– Ho udito persone russare, ma devono essere tanto stanchi quelli che hanno preso parte al combattimento, che non si sveglieranno nemmeno se cammineremo sopra di loro

– Umh! E di questo pappagallo che cosa ne faremo?

– Lo lasceremo qui a saltare insieme con la mina, – rispose freddamente sir William. – Se gli concedessi la vita, ora che ci ha veduti in faccia, domani o posdomani potrebbe incontrarci in una via qualunque di Boston, riconoscerci, farei arrestare e poi impiccare. La guerra ha le sue crudeli necessità.

– Povero diavolo! D’altronde è meglio che ci preceda lui all’altro mondo. Se lo incontreremo, il più tardi possibile, gli faremo le nostre scuse.

– Da’ fuoco e seguimi subito.

Testa di Pietra aperse l’occhio di bue che il Corsaro gli porgeva, diede fuoco alla miccia, poi i tre uomini lasciarono precipitosamente la camera da mina, mentre l’irlandese che vedeva approssimarsi la morte, mordeva rabbiosamente il fazzoletto che lo imbagliava e si dimenava disperatamente, tentando di spezzare i legami.