Za darmo

I Corsari delle bermude

Tekst
0
Recenzje
iOSAndroidWindows Phone
Gdzie wysłać link do aplikacji?
Nie zamykaj tego okna, dopóki nie wprowadzisz kodu na urządzeniu mobilnym
Ponów próbęLink został wysłany

Na prośbę właściciela praw autorskich ta książka nie jest dostępna do pobrania jako plik.

Można ją jednak przeczytać w naszych aplikacjach mobilnych (nawet bez połączenia z internetem) oraz online w witrynie LitRes.

Oznacz jako przeczytane
Czcionka:Mniejsze АаWiększe Aa

19. IL FORTE DI JOHNSON

Mastro Taverna si precipitò anziché scendere nella cantina, e tornò subito portando la bottiglia domandata. Testa di Pietra la fece subito stappare, ed in breve i tre uomini la vuotarono.

– Partiamo? – chiese il boia di Boston. – Se dovremmo raggiungere prima la vostra corvetta, le ore non saranno troppo lunghe.

Il mastro mise una mano nella sua ampia cintura rossa, come per levarne denaro, ma mastro Taverna con un gesto lo fermò.

– No, mio gentleman – disse prontamente. – Non voglio denaro da voi: ne ho guadagnato abbastanza. Non fatemi l’offesa di pagarmi questa bottiglia.

– Sei un brav’uomo! – rispose il bretone con voce grave. – lo sapevamo.

Si alzò e, battendogli su una spalla, aggiunse:

– Spero di rivedervi presto. Credo che allora Boston non si troverà più in mano del signor Hower. Così saremo più sicuri e più allegri. Buona notte, mastro Taverna.

– Da quale parte usciremo? – chiese il bretone al boia.

– Dalla pusterla del bastione n. 7

– Avete il lasciapassare?

– Certo, e porta la firma del generale Howe.

– Potremo scendere fino alla corvetta?

– E perché no? Taglieremo la discesa per traverso, e raggiungeremo il suo ancoraggio.

In un quarto d’ora i tre marinai giunsero alla linea delle fortificazioni.

Il comandante delle batterie, accorse munito d’una lanterna, lesse il lasciapassare, e diede l’ordine di aprire la pusterla. Due soldati, guidarono il carnefice ed i suoi due aiutanti fino all’estremità d’un tenebroso corridoio.

La porta di ferro fu aperta, e mastro Testa di Pietra poté finalmente respirare l’aria pura che saliva dalla baia.

– Orizzontiamoci – disse e badiamo alle palle. Le teste dei bretoni sono dure come le pietre del loro paese, tuttavia una disgrazia può toccare, e quando una zucca è rotta, il suo proprietario non ha altro da fare che lasciarsi portare al cimitero.

Aveva appena terminato di parlare, quando sulla riviera della Mistica balenarono quattro lampi, seguiti da altrettante fragorose detonazioni. Avevano sparato i quattro mortai della corvetta, ed i quattro lampi avevano illuminata abbastanza bene, sebbene fugacemente, la nave.

– È laggiù, sempre al medesimo posto – disse il bretone. – Si direbbe che i nostri marinai hanno voluto segnalarcela. Veniamo, camerati, non dubitate!

Si erano messi a scendere la china, piuttosto ripida ed ingombra di cespugli.

Aiutandosi l’un l’altro, in breve si trovarono sulla riva sinistra della Mistica, proprio di fronte alla corvetta. Il bretone, fece colle mani portavoce, e approfittando d’un momento in cui le artiglierie tacevano, gridò con tutto il fiato che aveva nei suoi ben capaci polmoni:

– Marinai della Tuonante! Venite ad imbarcare il vostro mastro

I quattro grossi mortai, che dovevano essere già pronti, fecero la loro scarica destando l’eco della riviera, ma appena il fragore cessò, si udì gridare:

– Chi ci domanda?

– Io. Testa di Pietra.

– Attendi un momento.

– Va bene, signor Howard – rispose il bretone, il quale aveva riconosciuto in quella voce il secondo della corvetta.

Un momento dopo una baleniera veniva calata nel fiume e si dirigeva rapidamente verso la riva, dove il mastro continuava a gridare:

– Ohè! Doë!

In meno di mezzo minuto la baleniera prese terra, ed il contromastro della Tuonante balzò sulla riva, dicendo:

– Voi, Testa di Pietra? E il comandante?

– Zitto! – rispose il bretone. – Non è qui il luogo da svelare certi segreti.

Si volse verso il boia, il quale si era seduto su una roccia e fumava la pipa.

– Volete venire con noi? – domandò.

– Qui non corro alcun pericolo, quindi posso aspettare il vostro ritorno.

Testa di Pietra e Piccolo o Flocco balzarono nella baleniera, montata da sette rematori, e presero subito il largo, fendendo le torbide acque della Mistica.

Giungere alla corvetta fu un momento. Testa di Pietra salì i gradini a quattro a quattro, e si trovò subito dinanzi al signor Howard e al colonello Moultrie. La stessa domanda, e nello stesso tempo, gli fu rivolta dai due uomini.

– Dov’è sir William?

– Signor tenente, – disse il bretone, mentre Piccolo Flocco abbracciava i marinai che se lo disputavano l’un l’altro – venite nel quadro. Ho gravi cose da dirvi. Sappiate per ora che il nostro comandante domani sarà impiccato nel forte Johnson.

– Impiccato?– gridò Howard, diventando pallidissimo.

Ora guardate un po’ il costume che indosso, tenente, – rispose il bretone. – Non vedete che sembro un vero carnefice? Tutto rosso come il sangue che i boia fanno spillare in un modo o nell’altro ai poveri giustiziati. E questo mantello nero?

Il bretone in poche parole li mise al corrente di quanto era avvenuto.

– Preso! – esclamarono ad una voce il colonnello ed il tenente.

– Adagio, miei signori; sé è preso non è però ancora stato impiccato – osservò il bretone. – Io e Piccolo Flocco siamo gli amici, anzi, gli aiutanti del carnefice.

Il colonnello alzò una mano.

– Avrete detto che l’hanno tradotto nel forte Johnson?

– Dove andiamo per impiccarlo!

– Voi?

– Io? Impiccherei il comandante del forte, piuttosto! Per il borgo di Batz! Un bretone tradire il suo capitano? Oh, mai! Darei la mia testa per salvare la sua!

– Signor Howard, – disse il colonnello assai preoccupato – da tempo i nostri capi hanno deciso di fare una scorreria sulla punta di Hoddrel per distruggere le difese inglesi alzate sul canale di Hog

Island. Quel fronte Johnson, che batte coi suoi pezzi tutto il porto di Imes’s Island, è il nostro incubo. Lo assalteremo.

– Abbiamo debiti di riconoscenza verso il vostro comandante rispose il colonnello con voce solenne. – Senza l’arrivo della vostra corvetta, saremmo rimasti senza polveri, e l’assedio ed il bombardamento si sarebbero prolungati indefinitivamente. Abbiamo ancora estremo bisogno della vostra nave, la sola che possa tener testa ai pezzi delle fregate, dei brik e dei brigantini inglesi.

– Concludete – disse il secondo, che era uomo di poche parole.

– Quando appiccheranno il baronetto? – chiese il colonnello, rivolgendosi a Testa di Pietra.

– L’esecuzione è stata fissata per domani sera alle sei – rispose il bretone. – Ho la parola del boia.

– Signor Howard, alle quattro voi scenderete la Mistica colla vostra corvetta, e forzerete il canale di Hog Island per appoggiare il nostro attacco. Sarò là con duemila americani, scelti fra il fiore delle truppe e vi prometto di prendere d’assalto il forte.

– Siamo d’accordo.

– Qualunque cosa dovesse accadere troverete i miei uomini intorno al forte – rispose il colonnello. – Spero che i nostri provinciali, come li chiamano sprezzantemente gl’inglesi, sapranno fare miracoli. Dovete farmi però una promessa.

– Dite.

– Siamo ancora a corto di polveri. Salveremo il vostro comandante a prezzo del nostro sangue. Incrocerete fuori del porto, le prenderete d’abbordaggio, forzerete un’altra volta il blocco, e risalirete la Mistica. Boston è agli estremi, ormai lo sappiamo, e vogliamo averla al più presto nelle nostre mani. Non sarà che questione di giorni ma guai se ci difettassero le polveri! Sarebbe la nostra rovina. Trecento pezzi che tuonano giorno e notte ne consumano, e la grossa provvista che ci avete portata è già quasi esaurita in una sola settimana.

– Colonnello, – disse il tenente, – checché debba succedere, io condurrò la Tuonante nel canale per tenere indietro le fregate inglesi; ma conto assolutamente su di voi. Il mio comandante non deve morire sulla forca.

– Impegno il mio onore e la mia vita! – rispose l’americano.

Howard si volse verso Testa di Pietra, che aspettava ansiosamente i suoi ordini:

– Il boia vi aspetta sulla riva della Mistica, è vero, mastro? gli chiese.

– Sì, tenente.

– Che non vi abbia giocato qualche brutto tiro?

– Quell’uomo? È un bretone come me!

– Allora mi sento più sicuro; tuttavia nella baleniera farò collocare un petriere e raddoppierò l’equipaggio. I tradimenti piovono addosso in tempo di guerra.

– Del mio uomo sono sicuro come di me stesso.

I tre uomini salirono sul cassero. Howard diede rapidamente alcuni ordini al capomastro affinché si raddoppiasse l’armamento della scialuppa, poi disse:

– Testa di Pietra, vegliate sul comandante.

– Vi assicuro che non morrà impiccato, perché il laccio è stato già abilmente preparato dal boia. Si romperà subito, ed egli cadrà in piedi.

– Andate, mio valoroso.

– Piccolo Flocco, a me! – gridò il mastro.

Il giovane gabbiere, fu lesto a raggiungerlo.

Scesero frettolosamente la scala, e presero posto nella baleniera.

Un petriere abbastanza grosso era stato collocato a prora, pronto a scagliare un nembo di frammenti di pietra, nel caso che fosse stato necessario, e l’equipaggio era stato portato a quindici uomini.

– Voga, John! – disse Testa di Pietra al contromastro. – Non aver paura delle palle.

– Oh! Ci siamo abituati – rispose il timoniere sorridendo.

La baleniera, riattraversò il fiume e approdò dinanzi alla roccia, sulla quale il boia di Boston fumava ancora la pipa senza preoccuparsi del pericolo cui era esposto. Testa di Pietra e Piccolo Flocco balzarono a terra, dopo d’aver salutato i compagni, che avevano ripreso prontamente il largo.

– Come vedete, sono stato di parola – disse il carnefice. – Andiamo?

Testa di Pietra rispose con una vigorosa stretta di mano.

Seguirono la riviera della Mistica, discendendola verso la foce, poiché la scialuppa inglese, che doveva portare il boia al forte, si trovava al di là della seconda barra.

Dopo venti minuti i tre uomini giungevano in una piccola cala, dove aspettava una scialuppa, illuminata da un piccolo fanale, montata da otto fuciliere e da una mezza dozzina di marinai con un timoniere.

 

– Chi siete? – gridò, mentre i fucilieri puntavano rapidamente i loro archibugi.

– Il boia di Boston coi suoi due aiutanti – rispose l’ex-galeotto.

– Imbarcate.

I tre uomini salirono sulla scialuppa, mentre il timoniere, tenendo in una mano una pistola e nell’altra la lanterna, li esaminava attentamente.

– Aprite i vostri mantelli! – comandò.

I bretoni obbedirono.

– Tutto rosso – va bene. Sedetevi a prora e non pronunziate parola.

– Avreste paura di svegliare i pescicani? – chiese Testa di Pietra.

– Chi siete?

– Il primo aiutante del boia, capace d’impiccare anche voi, senza l’aiuto dei miei due compagni.

– Silenzio! Non voglio farmi catturare dagli americani. Vi è quella maledetta corvetta che da un momento all’altro può piombarci addosso e sventrarci la scialuppa.

– Macché! – rispose Testa di Pietra. – Dorme sulle sue àncore.

I sei marinai tuffarono i remi, e l’imbarcazione attraversò velocemente la foce della Mistica, filando dietro l’ultima barra. Per sua fortuna i cannoni da caccia della Tuonante erano rimasti silenziosi. In lontananza scintillavano i fanali della flottiglia inglese, composta per lo più di navi invecchiate nelle acque americane e di scarsissimo armamento. Non vi era che una fregata, che potesse tentare di misurarsi colla corvetta.

La scialuppa, dopo una buona ora giungeva dinanzi all’isola di Imes, su una punta della quale s’alzava minaccioso il forte Johson. Era questa una salda fortezza che, colle sue artiglierie, danneggiava gravemente la cittadella di Charlestown.

I comandi americani, consigliati dal colonnello Moultrie, che godeva molta considerazione e molta fama, ne avevano decisa da tempo l’espugnazione e la distruzione, d’accordo col colonnello Ashe.

Fra tutti disponevano di circa tremila stanziati, di tre o quattrocento scorridori, di cinquanta pezzi d’artiglieria di diverso calibro e di parecchie grosse scialuppe.

Il colonnello Moultrie con una banda di arditi scorridori aveva devastata una parte dell’isola, costringendo le navi ad allontanarsi e la guarnigione a rinchiudersi più che in fretta nel forte: ma non aveva osato tentare l’attacco. Quindi non era da stupirsi, se Moultrie ed Ashe, si trovavano in quel momento imbarazzati.

– Ci siamo? – chiese Testa di Pietra.

– Ci siamo – rispose il carnefice.

Il timoniere prese il fanale, vi sostituì un vestro rosso a quello azzurro che aveva posto prima, poi disse con voce rude e con una certa impazienza:

– Venite!

– Adagio, signor mio, – disse il bretone. – Non abbiamo i piedi dei marinai, e dobbiamo guardare dove li mettiamo. Anzi, favorite darmi una mano.

– Io dare la mano ad un impiccatore!… Oh, mai! – esclamò il timoniere. – Mi porterebbe sfortuna.

– Invece le corde degl’impiccatori portano fortuna, e noi le vendiamo ad alto prezzo.

– Non sarò certamente io che ve ne chiederò un pezzo – rispose il timoniere – Orsù, scendete prima che la risacca riempia d’acqua la scialuppa.

Piccolo Flocco, spiccò per primo il salto e cadde sulla sabbia asciutta. Il boia di Boston fu il secondo, e vi riuscì per bene. Testa di Pietra prese così malamente le sue misure, che andò addosso al timoniere e si aggrappò a lui per non cadere. L’aveva fatto apposta? Vi era da crederlo. Il primo timoniere si era sbarazzato della stretta con una scrollata che non aveva per altro gettato a terra il malizioso bretone.

– Voi mi avete toccato! – urlò.

– Volevate che mi rompessi il naso? – chiese candidamente Testa di Pietra.

– La vostra stretta mi sarà fatale!

– Come se i carnefici non avessero carne, ossa e sangue al pari dei marinai.

– Su, venite! Non ho tempo da perdere! – gridò il timoniere.

– Ma fateci lume, perché, vedete, ho sempre tenuto alla conservazione del mio naso

Si misero in cammino e giunsero dinanzi ad una delle due pusterle, che erano guardate da un grosso drappello d’artiglieria con due pezzi. Il timoniere scambiò col comandante della guardia alcune parole poi il drappello si divise in due, e lasciò libero il passo ai tre carnefici. Attraversarono un ridotto, passarono sotto parecchie volte, e furono introdotti in una sala dove si trovava un capitano.

– I signori di Boston! – disse il timoniere.

L’ufficiale, che stava seduto dinazi ad un tavolino, li guardò attentamente, poi chiese:

– Chi è il boia?

– Io, signore – rispose l’ex galeotto, facendo un passo innanzi.

– Avete qualche lettera del generale Howe?

– Eccola, signore.

Il capitano la prese con un certo ribrezzo, l’apri e la lesse.

– Va bene – disse poi. – avete portato con voi il laccio? L’esecuzione è stata fissata per domani, ad un’ora prima del tramonto. Pensate voi a innalzare domani mattina la forca; non abbiamo pratica di tali faccende. Nei magazzini del forte troverete il legname occorrente.. Avete fame?

– Non abbiamo ancora cenato, signore – fu pronto a rispondere Testa di Pietra.

– Vi farò mandare viveri. Per questa notte riposerete qui. Là vi sono brande.

Ciò detto, si alzò e usci senza guardarli in viso, seguito dal timoniere.

20. IL SIGNOR «PERÒ PAGA»

La stanza assegnata ai tre signori di Boston, come li aveva chiamati ironicamente il timoniere sembrava un magazzino, tanto era ingombra di sacchi di sabbia, di gabbionate, di ruote per artiglierie fuori d’uso e di ammassi di cordami. Vi si trovavano pure, oltre a un tavolino, una mezza dozzina di brande più o meno sgangherate.

– Per il borgo di Batz! Con che lusso trattano gli esecutori di giustizia! – esclamò Testa di Pietra. – Da questa trattamento immagino l’altro.

– Quale? – chiese Piccolo Flocco.

– Intendo parlare della cena: ci daranno croste di pane e merluzzo secco per rovinarci i denti. Ah, pitocchi!

In quel momento la porta fu spalancata, ed un vecchio soldato entrò, portando tre gavette ed una bottiglia di vino.

– È questa la cena dei tre carnefici di Boston? – chiese Testa di Pietra.

– È il rancio dei soldati, Siamo a corto di viveri, ma…

– Ma?

– Essendo il cantiniere del forte, potrei procurarvi qualche cosa di meglio se pagate.

– Finalmente la bomba è scoppiata! – esclamò il bretone. Che cosa c’è in questi recipienti?

– Zuppa di merluzzo.

– Ci sarà che stare allegri, signor cantiniere! Avete detto che. pagando, si potrebbe aver di meglio?

– Formaggio d’Olanda autentico, aringhe squisitissime, prosciutto ben conservato, avendo ammazzato il mio ultimo maiale un mese fa…

– Che lusso! E vini?

– Niente vino: birra nera.

– Paghiamo e portate. Il contenuto di queste gavette donatelo pure a qualche povero soldato affamato. Questa brodaglia non l’hanno mai mangiata i carnefici.

– Va bene, signore. Dal momento che pagate vi porto quanto ho di meglio.

– Vi prego solamente di sbrigarvi, perché abbiamo tanta fame. Andate.

Il cantiniere scappò come se avesse avuto le ali ai piedi, riportando con se non solo le gavette, ma anche la bottiglia.

– Furfante! – esclamò Testa di Pietra. – Vorrei essere impiccato se quel briccone non va a vendere quella detestabile zuppa e la bottiglia alla guarnigione.

Stette un momento silenzioso, guardando il carnefice, che sembrava di cattivo umore.

– Compatriota, – disse, – c’è burrasca nel vostro cervello.

– Perché? – domandò il carnefice scotendosi

– Avete un certo viso!

– Che volete? Ogni volta che devo giustiziare un uomo provo uno sgomento che non saprei spiegare. Non ero nato per fare il carnefice.

– Adagio, compatriota! Qui non si tratta d’impiccare, ma di scherzare, di recitare una commedia. Mi avete promesso che il laccio fatale si spezzerà,

– Di questo rispondo pienamente – rispose il boia di Boston. L’ho vuotato a tre quarti d’altezza, e si strapperà sotto il peso del gentiluomo.

– E allora, che cosa temete?

– Se gli americani tardassero?

– Oh no! Rispondo di quei galantuomini e soprattutto del colonnello Moultrie – rispose il bretone. – Domani si darà battaglia, e vedremo come gl’inglesi sapranno tener testa. Se vi entrano i cannoni della Tuonante, sono più che certo che con dieci sole bordate ridurranno al silenzio tutte le batterie del forte. Ah! Ecco il signor Però Paga!

Il cantiniere, era entrato portando grossi canestri pieni di provviste e di bottiglie di birra doppia. Mastro Testa di Pietra ispezionò tutto, poi chiese al cantiniere:

– Quanto costa tutto, signor Però Paga?

– I viveri scarseggiano. e le provviste sono diventate carissime – rispose il cantiniere.

– Oh, dite pure! I carnefici hanno sempre qualche dollaro in tasca.

– Datemene cinque.

– Il bretone lo guardò sotto il naso.

– Invece d’impiccare il gentiluomo che ci aspetta, metterei volentieri il laccio intorno al vostro collo. Ma siccome noi, signor Però Paga, siamo uomini dabbene, anche se siamo giustizieri, e non amiamo le discussioni, ecco qua.

Affondò una mano nella sua fusciacca rossa e ne trasse cinque dollari.

– È giusto il conto? – chiese con voce un po’ ironica.

– Giustissimo, signore, – rispose il vivandiere, intascando le monete lestamente.

– Non avete paura del denaro dei carnefici? – chiese il bretone.

– Io? Niente affatto, signore. Mio nonno era un Chalkraff.

– Volete dire?

– Il carnefice di Londra.

– Allora potete stringere la mia mano.

Il vivandiere congedò con un gesto il suo aiutante, poi gliela porse. Testa di Pietra gliela strinse fortemente e lo trasse a sé dicendogli:

– Si potrebbe parlare un po’ fra carnefici e discendenti di carnefici, ma sempre pagando? I dollari non mancano a noi.

– Che cosa volete dire?

– Essendo nipote di un carnefice, v’invito a cenare in nostra compagnia. Vi dispiacerebbe?

– Oh no! La mia cantina, coi tempi che corrono, è quasi sempre vuota. Il governo ritarda le paghe, e questi bravi soldati non hanno nemmeno un penny per comprarsi un po’ di tabacco. Finirò per rovinarmi completamente, avendo accordato credito a non so quanta gente.

– Vi pagheranno quando giungeranno dall’Inghilterra le fregate cariche d’oro fin sopra i ponti.

Il vivandiere prese una sedia sgangherata e si mise a lavorare così alacremente di denti, che il bretone non poté trattenersi dal dire:

– Pare impossibile! Un vivandiere che ha una cantina così ben fornita, ha una fame da tamburino. Ma che forse risparmiate tutto pei soldati, voi?

Essendo dotati tutti di appetito invidiabile, la cena scomparve in meno di dieci minuti, copiosamente annaffiata di birra doppia, nera come l’inchiostro e acidissima, ma nessuno vi fece caso. Tanto il carnefice di Boston, quanto il vivandiere, e soprattutto i due marinai, davano prova di possedere stomachi di struzzo.

– Ora, signor nipote del carnefice di Londra, – disse Testa di Pietra, caricando la pipa – dovreste compensarci di questa cena gratuita con una piccola informazione.

– Dite pure – rispose il vivandiere, il quale aveva bevuto più dei tre carnefici.

– Vorremmo sapere dove si trova il gentiluomo che domani impiccheremo.

– È più vicino a voi di quello che credete.

– Oh!

Il vivandiere gli mostrò una porta, che prima il bretone non aveva osservata.

– È là – disse. – Vi è una specie di cappella, e lì è stato condotto.

– Si trova solo?

– Credo si trovi con lui il cappellano del reggimento.

– E guardie ve ne sono?

Il vivandiere lo guardò sospettoso.

– Perché mi fate queste domande? – chiese.

– Perché vorremmo vedere quel gentiluomo prima di impiccarlo. Vi avverto per altro, signor Però Paga, che sono disposto a regalarvi un paio di dollari.

– Siete ricchi, voi carnefici?

– Guadagniamo abbastanza bene per permetterci, qualche volta, dei capricci. Vi dispiace?

– Niente affatto.

– Allora se si aprisse un buco attraverso quella porta si potrebbe vedere la nostra vittima?

– Certamente.

– Sono tanto curioso di sapere come passa il suo tempo. L’avete veduto?

– Io no.

– Lo vedrete allora domani con un palmo di lingua fuori. Signor Però Paga, ecco i due dollari promessi e andate pure a dormire. Non abbiamo più bisogno di voi.

Il cantiniere salutò, facendo risuonare i pezzi d’argento guadagnati così facilmente.

Testa di Pietra andò a chiudere la porta, si sedette, poi disse:

 

– Ora decidiamo.

– Che cosa vorreste fare? – chiese il boia.

– Vedere il mio comandante.

– E se vi è il cappellano?

– Che cosa importa? Non siamo noi i carnefici? Diremo che siamo stati mandati dal comandante del forte per preparare la sua funebre toeletta. Lasciate fare a me.

– E vorreste, poi…?

– Rapirlo!

– E come fareste a uscire dal forte?

– Ah! Ecco il guaio! Intanto andiamo a visitarlo. Al resto penseremo. Voi rimanete pur qui e vuotate questa bottiglia di pessima birra.

Estrasse il suo coltello da manovra e si avvicinò alla porta indicatagli da Però Paga, munita di vecchia serratura e che non avrebbe resistito ad un colpo di spalla del robusto marinaio. Si mise in ascolto e non udì nulla.

– Che quel birbante ci abbia ingannato? – si chiese il bretone, digrignando i denti. – Se mi ha rubato i due dollari, parola d’onore, lo strozzo e senza adoperare il laccio del mio compatriota.

Impugnò il coltello e fece saltare i chiodi, poi sollevò la serratura e tirò il chiavistello. La porta si aprì. Fece segno ai suoi due compagni di non muoversi poi aprì così dolcemente la porta, che i cardini non cigolarono.

Dinanzi agli sguardi del bretone apparve una specie di cappella illuminata da un paio di candele posate su un tavolino, in mezzo alle quali si alzava un crocefisso di metallo. Un uomo stava seduto presso il tavolino, colla testa fra le mani. Il bretone aveva frenato a stento un grido di gioia. Aveva riconosciuto il suo comandante, sebbene gli volgesse le spalle.

S’avanzò sulla punta dei piedi, guardando da tutte le parti, poi, pienamente rassicurato, batté sulle spalle del comandante, dicendo:

– Sir William, silenzio: non mandate nessun grido.

Il baronetto si era alzato di scatto e aveva fatto tre o quattro passi indietro, soffregandosi energicamente gli occhi e chiedendosi ripetutamente:

– Sogno?

– No, mio comandante, non sognate. Sono proprio io, Testa di Pietra, nella veste del carnefice.

– Ma come hai potuto giungere fin qui?

– Eh, la storia sarebbe troppo lunga a raccontarsi: ve la dirò un’altra volta.

– Sarà troppo tardi, perché domani gl’inglesi mi impiccheranno – rispose il baronetto con un mesto sorriso. – Howe non mi grazierà, perché mio fratello è inesorabile.

– E lo credete?

– Lo credo: mi hanno già annunziato che il boia di Boston è giunto.

– Ma insieme con me e con Piccolo Flocco! – rispose il bretone.

Il baronetto lo guardò trasognato, poi disse:

– Siete due diavoli!

– Niente affatto comandante: due bravi marinai, che vogliono vedervi ancora sul ponte di comando della Tuonante.

– Dimmi…

– Una domanda prima Non c’era il cappellano della guarnigione poco fa?

– Si, è andato a coricarsi; non tornerà prima dello spuntar del sole.

– C’è pericolo che qualche sentinella entri improvvisamente?

– Dovrebbe fare un baccano infernale per levare i catenacci e fare scorrere i chiavistelli – rispose il baronetto. – Ma, dimmi…

– Domandate pure.

– Mary? – chiese il disgraziato con voce soffocata.

– L’hanno rapita e riportata al marchese – rispose il bretone. – Non dovete disperare però: col bombardamento che infuria non si penserà a fare un matrimonio. E poi vostro fratello non è ancora guarito.

– Me lo assicuri?

– Perché dovrei ingannarvi, comandante?

– Oh, no! – protestò il baronetto.

– Vi dirò dunque che non sarete impiccato dal carnefice di Boston.

– Chi lo dice?

– Io! rispose il bretone.

– Con quale sicurezza?

– Con questa: il signor boia di Boston è mio compatriota. Vorreste che i bretoni si prestassero ai tristi giuochi degl’inglesi? Oh, no, no! Ho la sua parola, e sono sicuro che la manterrà. Vi consiglio per altro di mostrarvi docilissimo e dì lasciarvi impiccare.

– Che cosa dici, Testa di Pietra? – esclamò il baronetto. – Questo non è il momento di scherzare. Per me si tratta di morire e di morte ignominiosa.

– Comandante, – disse il mastro – ho lavorato febbrilmente per la vostra salvezza. Vi dico di lasciarvi impiccare; rispondo di tutto

– E come?

– La corda che dovrebbe strozzarvi si spezzerà subito.

– Per quale miracolo?

– Non ci pensate comandante. Tutte le precauzioni sono state prese per salvarvi e gli americani ci aiuteranno gagliardamente.

– Anche gli americani! – esclamò il baronetto.

– Diamine! Domani, quando conteranno dì impiccarvi, il colonnello Moultrie ed Ashe daranno al forte un assalto formidabile, appoggiato dalla Tuonante.

– Dalla mia corvetta! – esclamò il Corsaro, i cui occhi si erano illuminati d’una luce strana.

– Sì, anche i pezzi della corvetta prenderanno parte all’attacco, comandante.

– Così – disse, fermandosi improvvisamente dinanzi a Testa di Pietra che lo guardava con angoscia – dovrò lasciarmi mettere la corda al collo?

– Ve l’ho detto: una semplice commedia, comandante, che sarà subito interrotta dalle artiglierie della vostra Tuonante.

– La mia corvetta! – esclamò il Corsaro. – Che possa tornare a bordo della mia nave, e sfiderò tutta la flottiglia inglese che ingombra il porto.

– La rimonterete, comandante; vi dò la parola d’onore d’onesto marinaio.

In quel momento si sentì un rumore dietro la porta della cappella che metteva nel corridoio. Le sentinelle facevano la loro visita.

– Fuggi, Testa di Pietra, – disse il Corsaro. – Non lasciarti sorprendere.

Il bretone fece due salti, raggiunse la porta del magazzino, e la chiuse silenziosamente, borbottando:

– Canaglie! Non avrete la sua pelle. Parola di bretone!

Il boia e Piccolo Flocco, che non avevano lasciato il tavolino, lo interrogarono con lo sguardo.

– Tutto va bene – rispose Testa di Pietra. – Possiamo prendere un po’ di riposo. Per il borgo di Batz! La giornata è stata movimentata ed abbiamo diritto di chiudere gli occhi.