Za darmo

Alla conquista della luna

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Indarno essi l’attesero, credendo di vederla da un momento all’altro precipitare sull’isola o sul mare.

La notte scese e la cupola non fu più veduta tornare.

Viaggiava fra gli spazi sconfinati del cielo, oppure era caduta sull’oceano ad una grande distanza? Mistero!

Trascorse una settimana, poi un’altra, infine molte altre senza che alcuna nuova pervenisse a Faja. A poco a poco i due scienziati furono dimenticati e più nessuno ne parlò. D’altronde tutti erano convinti che essi fossero caduti in mare e che fossero già morti.

Tre mesi erano passati, quando un giorno gl’isolani videro accostarsi all’isola, a tutto vapore, una piccola nave da guerra della Marina spagnuola, che pareva provenisse da Lanzarote, una delle più importanti isole del gruppo delle Canarie.

Faja, che si trovava sulle rive occidentali dell’isola, occupato a pescare, subito avvertito, era accorso alla baia per ricevere il comandante della nave che rappresentava per lui la patria lontana.

Era appena giunto, quando una scialuppa montata da dieci marinai e dal capitano del bastimento prese terra.

– Chi è l’alcade? – chiese il comandante.

– Sono io, signore – rispose Faja.

– Siete possessore d’un documento consegnatovi tre mesi or sono dai signori Carvalho e Souza?

– Due scienziati brasiliani?

– Sì – rispose il comandante.

– L’ho io.

– Mandatelo a prendere e raggiungetemi sulla mia nave.

Un quarto d’ora dopo Faja saliva sulla piccola nave da guerra, portando il cilindro di metallo che non aveva mai osato aprire, quantunque più volte ne avesse provato il desiderio, vinto da una curiosità del resto perdonabile.

Il comandante lo aspettava nella sua cabina, tenendo in mano un lungo cilindro di metallo, accuratamente chiuso ed eguale in tutto e per tutto a quello che aveva ricevuto Faja dai due scienziati brasiliani.

– Ascoltatemi – disse il capitano, dopo d’averlo pregato di sedere. – Un mese fa, una nave francese, che veniva dai porti dell’America del Sud, rinveniva a quattrocento miglia dalle coste del Portogallo questo cilindro galleggiante sull’Oceano e contenente un documento benissimo conservato. Sapete leggere il portoghese?

– Sì, signore – rispose Faja.

– Leggete – disse.

Faja, con uno stupore facile ad immaginarsi, lesse le seguenti parole:

«Lanciato sulla terra a novemilacinquecento metri. La nostra macchina funziona sempre perfettamente, mercè il calore proiettato dai nostri specchi e condensato nei nostri motori.

«Se nulla accade di contrario, noi fra tre ore avremo lasciato la zona d’aria respirabile e continueremo la nostra ascensione verso la luna o verso un astro qualsiasi.

«Se non potremo mai più tornare sulla terra o se il freddo ci assidererà, come temiamo, chi vorrà sapere chi noi siamo e con quale macchina ci siamo alzati, si rivolga all’alcade di Allegranza (isole Canarie), a cui abbiamo rimesso i nostri documenti prima di lasciare definitivamente la terra.

«Carvalho e Souza»

«Membri dell’Accademia Scientifica di Rio de Janeiro».

– Che cosa ne dite? – chiese il comandante.

– Che ciò che hanno scritto quei due scienziati è perfettamente vero – rispose Faja.

– Questo documento – riprese il comandante – è stato rimesso al Governo spagnuolo, perchè cercasse spiegare questo mistero, e per ordine del Ministero della Marina sono qui venuto per accertare se questi documenti realmente esistono.

– Quei due scienziati sono partiti tre mesi or sono, su una macchina in forma di cupola, munita di specchi immensi e di certe ali in forma di eliche, e tutti gl’isolani hanno assistito all’innalzamento di quei due uomini.

– Vediamo questo documento.

Il comandante prese il cilindro e lo svitò senza fatica, dopo d’aver spezzato quattro suggelli in piombo che portavano le iniziali di Carvalho e di Souza. Dentro vi erano quattro fogli in pergamena, accuratamente arrotolati e coperti da una calligrafia eguale a quella che si scorgeva sul documento raccolto in mare dalla nave francese. Un quinto, invece, conteneva un disegno ben dettagliato d’una macchina che Faja riconobbe subito: era precisamente di quella di cui si erano serviti i due scienziati per inalzarsi.