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Ricordi di un garibaldino dal 1847-48 al 1900. vol. II

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Nel frattempo l'attacco da parte degli austriaci era divenuto generale. Fino alle 4 pomeridiane si combattè dando i nostri prova di indomabile resistenza contro un nemico assai superiore in numero, perchè quasi la metà delle nostre forze, al comando del Cialdini, era rimasta sulla destra del Po colle armi al piede.

Alle 5 tutto il 7o corpo austriaco appoggiato da una brigata del 5o corpo, dopo di essersi fatto padrone di Sommacampagna, assaliva le poche truppe italiane per sloggiarle dalle alture di Belvedere, che eroicamente difendevano. Ottomila dei nostri, sebbene spossati dalle marcie e dai lunghi combattimenti, tenevano testa a forze tanto soverchianti nemiche che ben presto sommarono a più di venticinquemila. I nostri non cedevano, la lotta continuava sempre più accanita, furiosa, con gravissime perdite da ambo le parti. Ma nuove forze subentravano e il nemico ingrossava, premeva sempre più, e i nostri furono obbligati a ripiegare.

Il 29o reggimento e il 18o bersaglieri assaltarono risolutamente la Mongabia e il Monte Cricol.

Erano 20 compagnie sostenute dal fuoco di otto cannoni che andavano ad assalire 25 compagnie austriache con otto pezzi, in fortissime posizioni. Di contro alla parte orientale del Monte Cricol, il generale Willarey colla 5a compagnia del 30o si avanzava tenendo alto il berretto e gridando Viva il Re, quando, colpito da tre proiettili cadde fulminato. Ma quelle alture con tanto accanimento difese, furono dai nostri valorosi conquistate; e le truppe della brigata austriaca furono obbligate ad una ritirata scompigliata, con l'abbandono di due cannoni e tre carri di munizioni rovesciati.

Il Casale di Mongabia veniva occupato dal maggiore Raiola-Pescarini con tre compagnie del 29o reggimento.

Il generale Govone che era stato mandato dal Re sulle alture di monte Torre con la brigata Alpi, vide quanto vantaggio poteva ricavare da questa posizione, ove aveva raccolto tutta la sua artiglieria. Per primo scopo si prefisse di conquistare Custoza. Fece piazzare tutte tre le batterie coi tiri rivolti contro quel villaggio; ordinò che il 34o bersaglieri (maggiore Pescetto) muovesse ad aiutare i granatieri che combattevano per riprendere quella posizione.

L'effetto di quel potente fuoco d'artiglieria fu grande. Il 34o bersaglieri superò con mirabile slancio l'erta scoscesa del poggio di Custoza, di contro alla testa del Monte Torre, raggiunse i valorosi della 3a Divisione, e al suono delle trombe si slanciò insieme a quelli, entro il villaggio, impegnando contro gli Austriaci lotta accanita.

In quel momento arrivava dalla parte di Villafranca, inaspettato rinforzo, la seconda batteria a cavallo comandata dal valoroso maggiore Ponzio-Vaglia.

Giungendo sull'alto del poggio all'entrata sud-occidentale del villaggio, la testa della batteria urtava in un forte drappello di cavalleria Austriaca e ussari di Baviera; il maggiore Ponzio-Vaglia riuniti intorno a sè i serventi dei pezzi, cui si aggiunsero gli ufficiali della batteria, carica furiosamente la cavalleria austriaca, la rompe, la mette in fuga, facendone alcuni prigionieri.

Infine gli austriaci sono obbligati a ritirarsi in rotta verso il Belvedere.

Rimasti padroni di quella posizione, bersaglieri e granatieri impegnarono il fuoco contro i nemici appostati in Val Busa, nel cimitero, nella chiesa, nel palazzo Maffei e sul poggio soprastante.

Il maggiore Ponzio-Vaglia ordinava al capitano Perrone di condurre i suoi cinque pezzi in aiuto dei combattenti nel villaggio di Custoza contro il nemico, appostato fortemente a Belvedere.

Appena impadronitosi di Custoza il generale Govone mandava avviso al generale della Rocca, cui diceva di inviare colà altre truppe per fronteggiare quelle assai numerosa del nemico che sempre più ingrossava e col quale il combattimento era seriamente impegnato.

Digraziatamente la 3a divisione (Brignone) assalita da forze preponderanti, era stata costretta ad abbandonare le importantissime posizioni del Monte della Croce e di Monte Torre. L'annunzio fu doloroso assai pel generale La Marmora il quale, vista l'importanza di esse, ordinava al generale Cugia di affrettarsi a portare soccorso a quella divisione, muovendo verso le alture ed ordinava al colonnello Ferrari, comandante del 64o fanteria, di seguire senz'altro la mossa.

Intanto il generale Govone che aveva obbligato gli austriaci ad abbandonare non solo Belvedere ma anche le posizioni di Monte Molimenti e Cavalchina, ordinava alle sue brave truppe di marciare alla conquista di quelle posizioni, che alle 2 1/4 pom. furono in mano dei nostri.

20 compagnie stavano ora su quelle alture dinanzi a Belvedere sino a Bagolino. Urgeva apparecchiarsi a gagliarda difesa su quelle importantissime posizioni e sopratutto coprirle di artiglieria; ma tempo e mezzi mancavano.

Il generale austriaco Moroicic riceveva ordine dell'arciduca di muovere le sue due brigate di riserva ed impadronirsi nuovamente di Custoza. Erano passate le 3 pom. e le nostre truppe non avevano alcun sentore di quella mossa che doveva dare il crollo alla battaglia. Alle 3 1/4 ricominciava il fuoco dell'artiglieria nemica più violento che mai.

Nell'udire il forte rumore della battaglia sulle alture di Custoza il generale Bixio mandava il suo capo di stato maggiore colonnello di San Marzano, a chiedere al comandante del corpo se poteva muoversi in soccorso. Anche S. A. R. Umberto mandava a prendere ordini, e ricevevano quello di rimaner fermi nelle loro posizioni. Infatti il generale della Rocca interpretando gli ordini ricevuti dal La Marmora nel più stretto senso, non si credette autorizzato ad un atto spontaneo di vigorosa controffensiva.

Vedendo addensarsi rapida tanta massa d'armati attorno a Belvedere, il generale Govone fa scendere dal Monte Torre il 27o bersaglieri e lo spinge contro la sinistra del nemico; ordina al generale Bottacco di fare avanzare il 36o reggimento sulla destra ad est di Custoza. Il combattimento infuria; le nostre quattro batterie dal Monte Torre, tirando a mitraglia, fanno strage dei nemici; ma il numero di questi è stragrande e i vuoti si riempiono in un attimo. I nostri sono esausti di forze, e vengono meno le munizioni; il nemico ingrossa e preme sempre più; non è possibile resistere più a lungo, le nostre perdite sono enormi; il maggior Fezzi cade ferito a morte, sono feriti gravemente i tenenti Salini e Tornaghi, il capitano Alberi è ucciso, il capitano Serratrice e il maggiore Lavezzeri feriti. Anche il capitano di stato maggiore Biraghi è ferito gravemente. Gli Austriaci occupano l'altura sovrastante a Valle Busa; i nostri, sempre combattendo, sono costretti a scendere verso la chiesa e il cimitero; i due cannoni della batteria a cavallo rimangono nelle mani del nemico.

Intanto il generale Moroicic aveva fatto piazzare sulle alture di Belvedere e di Monte Molimenti le batterie delle due sue brigate e tre altre della riserva e, d'accordo con quelle del 9o corpo batteva furiosamente Custoza, monte Torre e il Monte della Croce, quindi ordinava un attacco generale che divenne formidabile per la gran massa degli assalitori.

I difensori di Custoza si sforzano di tener fronte al nemico col fuoco e con cenni di contrattacco sotto la tempesta dei proiettili, tramezzo alle case che ardono e minacciano rovina. Il colonnello Marchetti eccita i suoi a resistere; la batteria a cavallo ha finito le munizioni; il tenente Polloni ne protegge la ritirata. Granatieri, bersaglieri e fanteria del 51o e del 35o combattono furiosamente; il generale Bottaco dirige impavido il combattimento; ma ogni più lunga resistenza non è possibile; troppo è grande la soverchiante forza nemica.

Frattanto il generale Govone ha avuto risposta da Villafranca che nessun soccorso può essergli mandato; la sua artiglieria è all'ultimo colle munizioni; il capitano Gatti, del suo seguito, è ucciso al suo fianco, il capitano Nasi ferito gravemente.

Le sue truppe non possono più reggere il peso della battaglia divenuto enorme. Non gli rimane un momento da perdere se vuole salvare la sua Divisione dalla terribile conseguenza degli attacchi di fronte e di fianco. Comanda la ritirata su Villafranca. Manda ufficiali a fare riordinare dietro la casa Coranini i retrocedenti per avviarli in colonna di marcia sulla strada; i colonnelli Cravetta e Di Salasco sono ordinati sui fianchi della strada per agevolare e coprire la ritirata dell'artiglieria e della fanteria.

Il movimento si eseguisce con tanto ordine, quanto è possibile in simili casi, sotto il micidiale tiro delle artiglierie situate nelle alture; e qualche centinaio di valorosi rimasti a contatto col nemico in Custoza e nel bosco, assicurano, con un ultimo sforzo di difesa, la ritirata.

Così finisce verso le 6 pom. la battaglia di Custoza combattuta con straordinario valore.

Mentre questo avveniva a Custoza e nelle alture di Belvedere e di Monte Croce, il comandante del 7o reggimento bersaglieri, maggiore Giolitti, segnalava la comparsa di grosse masse di truppa nemica sulle alture di là di Val di Staffolo. Il generale Cugia spediva avviso al Comandante del 3o corpo della minaccia d'imminente attacco di forze preponderanti, facendogli presentire l'impossibilità di mantenersi in quella posizione. Il generale Della Rocca gli mandava ordini di ritirarsi in direzione di Villafranca.

Il generale Della Rocca comprendendo che il momento finale era giunto, dava le disposizioni per la ritirata verso il Mincio; la divisione Bixio e la cavalleria di riserva doveano coprirla.

La fermezza del generale Bixio e delle sue truppe assicurarono la ritirata del 3 °Corpo di armata ed egli stesso si affrettò poi ad occupare Quaderni, per impedire al nemico di penetrare tra Villafranca e Valleggio.

Il combattimento del 24 giugno non fu affatto disonorevole per le truppe italiane. Il campo di battaglia rimase in parte agli austriaci, in parte a noi, e se noi ci ritirammo, si ritirarono essi pure.

 

Le nostre perdite furono sensibili, ma quelle del nemico furono maggiori. La maggior parte dei nostri combattenti fecero prodigi di valore, tanto è vero che gli austriaci, persuasi che l'armata italiana non è inferiore ad alcun altra, si astenne dal cimentarsi a molestare e ad impedirne la ritirata. Nove divisioni non avevano potuto prender parte a quel combattimento; due rimaste per ordine superiore a Villafranca; quella comandata da S. A. Reale il principe Umberto e l'altra comandata dal generale Bixio; e sette divisioni con 176 cannoni rimaste sul Po, sotto gli ordini del generale Cialdini.

La giornata di Custoza non ebbe la grande importanza che, gli si volle attribuire; tanto è vero che il 17 luglio le truppe sotto agli ordini di Cialdini passato il Po, costringevano la guarnigione di Borgoforte ad abbandonare quella forte piazza per ritirarsi in Mantova.

Per i volontari comandati da Garibaldi l'ordine di ritirarsi dalle posizioni conquistate era stato doloroso, ma bisognava ubbidire.

Il generale senza esitare, con la sua abituale rapidità, ordinò alle sue truppe di abbandonare i posti occupati e con tanto valore difesi, e li disponeva fra Brescia e Lonato.

Nella notte del 25 il comandante della flottiglia ordinava ad Elia di sbarcare tutto il materiale di guerra della sua cannoniera e di avvertire di non lasciare a bordo palle esplodenti; poichè dovevasi dar fuoco alla flottiglia e distruggerla.

Elia ubbidì quanto allo sbarco del materiale, che poteva essere stato richiesto dal Generale come necessario alla difesa di Brescia, ma credette di non poter egualmente permettere si abbruciasse la sua cannoniera. Raccomandò ai marinari del "Torrione" di fare buona guardia e, coll'autorità che gli dava il suo grado superiore, ordinò ai comandanti delle altre cannoniere di non dare esecuzione ad alcun ordine, che potesse compromettere la salvezza del naviglio loro affidato. Fatto ciò egli si diresse alla residenza del Capo di Stato maggiore e, trovato il generale Fabrizi ed il colonnello Guastalla, chiese loro quali erano gli ordini per la flottiglia e saputili, domandò carta bianca, ripromettendosi d'impedire che essa cadesse in mano agli austriaci, senza che vi fosse bisogno d'incendiarla e di distruggerla. Sua intenzione era di adoperare il sistema, che ebbe a riuscirgli così bene a Marsala col "Lombardo" di aprire all'ultimo estremo i rubinetti alle macchine per farle affondare. Avuta tale facoltà, mantenne una attivissima sorveglianza per non essere sorpreso dal lato del lago, mentre il colonnello Bruzzesi prendeva le sue precauzioni dal lato di terra, e non essendo accaduto nulla di straordinario, la flottiglia fu salvata con soddisfazione grandissima del generale Garibaldi, che alla notizia avuta della sua distruzione era andato su tutte le furie.

Venuto il giorno dopo a prendere il comando di Salò il generale Avezzana, questo con insistenza pregava Elia di accettare il comando della flottiglia, e sebbene a malincuore, perchè gli doleva lo stato di quasi inazione a cui era condannato, pur nondimeno dovette ubbidire, perchè alle istanze del generale Avezzana vi si aggiunse il comando del generale Garibaldi, che, venuto a bordo della cannoniera Torrione gli faceva elogio per la salvata flottiglia e gli ordinava di prenderne il comando. L'Elia non poteva rifiutarsi e chiese ed ottenne per suo Capo di Stato maggiore il capitano, amico suo carissimo, Alberto Mario.

Ebbe poi delle segrete ed importanti missioni di fiducia d'ordine del generale Garibaldi e da lui personalmente. La prima affidatagli fu quella di recarsi in incognito ad esplorare se erano vere alcune mosse del nemico riferite al Capo di Stato Maggiore, e nel tempo stesso di vedere se era fattibile impossessarsi di un vapore che gli Austriaci avevano in costruzione a Desenzano, ciò che fu impossibile perchè il vapore non era ancora interamente allestito: ecco la lettera con la quale gli dava l'incarico.

"Caro Colonnello,

"Ecco le due guide di tutta confidenza. Ho già detto loro qualche cosa. Quando crederete voi direte il resto. La vettura sarà alla vostra porta tra pochi minuti. Buon viaggio e felice ritorno con più buone notizie. Il sotto Capo di Stato Maggiore. E. Guastalla".

Altre missioni di Garibaldi al Ministero con lettere e con istruzioni riservate l'Elia condusse a termine con soddisfazione del generale.

Come si è già visto la battaglia del 24 non portò conseguenze gravi come sulle prime dava a temere.

Il generalissimo austriaco non si sentì abbastanza forte da arrischiarsi ad altri attacchi dopo la ben contrastata vittoria (se pur vittoria poteva chiamarsi) e, salvo qualche piccola ricognizione, si tenne nel quadrilatero.

Il 1o luglio ricevuto il rinforzo di tre dei cinque reggimenti che si stavano organizzando, il generale Garibaldi, lasciato buon presidio a Brescia ed a Lonato, disponeva il movimento in avanti per riprendere, con nuovo sangue dei suoi, le posizioni che gli era stato ordinato dì abbandonare.

Il giorno 2 di luglio il colonnello Corte ebbe l'ordine di muovere verso Rocca d'Anfo. La sera pernottava a Vestone ed alla mattina riprendeva la marcia. Verso il mezzogiorno veniva avvertito che una compagnia di bersaglieri, comandata dal capitano Evangelisti e sotto la direzione del capitano di Stato Maggiore Bezzi aveva ricevuto ordine di girare attorno alla Rocca e xxxxxdi piombare dalla cima dei monti sugli austriaci che occupavano S. Antonio e le falde orientali di Monte Suello.

Arrivata la colonna in prossimità di S. Antonio venne attaccata dai Cacciatori austriaci, appostati sulle falde del monte e distesi lungo lo stradale. Ma non per questo i nostri rallentavano la marcia. Arrivati sulle alture vi prendevano posizione e piazzati 4 cannoni aprivano contro gli austriaci un fuoco così ben nutrito da obbligarli a ritirarsi sul Monte Suello. Nel fatto mostrarono valore e sangue freddo il tenente colonnello Bruzzesi e il maggiore Mosto; si comportò da valoroso il sottotenente Coralizzi che veniva decorato al valore militare.

A mezzanotte dal 8 al 9 la brigata Corte si mise in marcia per i monti del Tirolo; giunta sull'erta del Monte Poino vi fece l'alto e furono prese disposizioni per il combattimento.

Il 3o reggimento fu mandato in ricognizione verso Storo, ove si sapeva accampato un corpo austriaco forte di 4000 uomini.

Sull'albeggiare del giorno 9 una colonna di 2000 austriaci con artiglieria si mosse contro i nostri attraverso la via che mena a Rocca d'Anfo.

Queste mosse vennero segnalate a Garibaldi che montato tosto in carozza arrivò fra le file dei volontari; egli stesso li dispose pel combattimento mettendoli in avanzata, ben fiancheggiati e protetti dal cannone; giunti i garibaldini a contatto col nemico il generale ordinava senz'altro la carica alla baionetta che eseguita brillantemente sbarragliava e travolgeva a precipitosa fuga, gli austriaci, inseguiti dai nostri fin sotto ad Arzo.

Il giorno 10 gli austriaci vollero prendere la rivincita, ma anche questa volta furono bravamente respinti e, costretti ad abbandonare Arzo si ritirarono su Storo.

Si procedeva allora dal generale Garibaldi all'espugnazione del forte d'Ampola.

La notte del 18 con ardimento rarissimo un battaglione del 9o reggimento, comandato da Menotti Garibaldi, dopo avere marciato più ore in silenzio e con ogni sorta di cautele occupava Monte Burelli e Monte Giove. Colla occupazione di quelle alture il forte d'Ampola rimaneva completamente circondato.

Alle 2 pomeridiane dello stesso giorno il forte si arrendeva senza condizioni.

Anche in Val Camonica ebbe luogo un fatto d'armi molto onorevole pei pochi volontari che vi presero parte.

Il maggiore Caldesi comandante del 1o battaglione del 4o reggimento, aveva preso posizione nella stretta di Incudine sopra Edolo e vi si era afforzato con opere di difesa campale, valendosi di due pezzi di artiglieria del 44o battaglione di Guardia Nazionale Mobile della legione Guicciardi forte di circa 450 uomini, d'un drappello di doganieri e di alcuni carabinieri.

Il 1o luglio giungeva a Breno il luogotenente colonnello Cadolini cogli altri tre battaglioni del 4o reggimento e il 2o battaglione bersaglieri; e la mattina del 2 si recava ad Incudine; visitava le posizioni e dava altre opportune disposizioni di difesa; ordinava un miglior collocamento dell'artiglieria e la costruzione di un ponte nell'Oglio per poter padroneggiare anche il versante sinistro della Valle, prescrivendo al maggiore Caldesi di tenere quella posizione ad ogni costo, e ad ottenere tale effetto gli annunziava l'invio del 2o battaglione bersaglieri.

Predisposto ogni cosa ripartiva per Edolo onde fare avanzare le altre sue truppe. Ma camin facendo gli venne avviso che un corpo di 5 mila austriaci irrompeva pel passo di Croce Domini su Breno. Arrivato ad Edolo spediva ordine telegrafico a Breno perchè i tre battaglioni occupassero subito Campolare nella Valle delle Valli di contro allo sbocco di Croce Domini, e dopo di aver spedito il 2o battaglione bersaglieri ad Incudine e dato ordine al Castellini che lo comandava di porsi alla dipendenza di Caldesi, lasciava Edolo e alla mattina del 3 era a Campolare; visto che nessun nemico era calato da Croce Domini ed avendo saputo che di là del monte eravi buon nerbo di nemici, decise di lasciare a Campolare un battaglione, il 4o, e ricondusse gli altri due a Breno.

Frattanto il maggiore Caldesi aveva collocato il 2o bersaglieri nel Casale di Davena, a mezza via tra Incudine e Vezza, con ordine di assicurare la ritirata alla sua compagnia che stava agli avamposti a Vezza e, se il nemico si fosse avanzato con grosse forze, ritirarsi tutti alla posizione di Incudine.

Nel corso della notte vi fu qualche allarme; si disse al Caldesi che 7 mila austriaci stavano per piombargli addosso, ed egli chiedeva per telegrafo rinforzi al Cadolini mentre ordinava al Malagrida di abbandonare il posto avanzato di Vezza e di ritirarsi assieme al maggiore Castellini su Incudine.

Il Malagrida ubbidì, non così il Castellini che gli ordinava invece di rioccupare la posizione abbandonata; senonchè nel frattempo gli austriaci si erano avanzati, e trovato sgombro il villaggio di Vezza, lo avevano occupato fortemente e piazzati in batteria i loro cannoni. Quando il Malagrida, ubbidendo agli ordini del Castellini si presentava avanti il villaggio, veniva accolto da vivo fuoco nemico; non si scosse per questo il bravo ufficiale, ma ordinò ai suoi di distendersi in catena e di muovere arditamente avanti; intanto sopraggiungevano i rinforzi dei bersaglieri comandati dai capitani Adamoli e Frigerio; il combattimento divenne allora accanitissimo; il nemico si addensava sempre più e il Caldesi visto che la posizione era insostenibile mandava ordini di ritirata. Ma il prode Castellini non volle darsi per vinto. Comandata la carica alla baionetta si slanciò per primo; impetuoso fu l'assalto, ma una grandine di fuoco di fucile e di mitraglia arrestava la foga dei nostri bravi che venivano decimati. Il prode Castellini cadeva colpito nel braccio, nel volto e nel petto; il bravo Frigerio cadeva egli pure colpito per non più rialzarsi. Gli assalitori si ritrassero alquanto per riprendere fiato; erano stanchi si, ma non iscoraggiati; si appostarono rispondendo colpo a colpo; ma, ultimate le munizioni, dovettero cedere e ritirarsi dietro ordine del capitano Oliva, che per la morte del Castellini aveva assunto il comando. Anche il maggiore Caldesi erasi ritirato da Incudine e si era fermato a Cedegolo, dietro ordine del tenente colonnello Cadolini, ove venne raggiunto dall'Oliva coi suoi bravi che nel combattimento impari, avevano mostrato grande valore e fermezza.

Il 10 luglio il tenente colonnello Bruzzesi rafforzato dal 2o battaglione del 9o reggimento e da una batteria del maggiore Dogliotti, cacciava gli austriaci da Lodrone e si spingeva ad Arzo posizione migliore.

Padroni del forte d'Ampola i garibaldini mossero in avanti verso la gola, sulla sommità della quale si trova il villaggio di Tiarno di sopra, mentre più in basso vi è l'altro che si noma Tiarno di sotto.

Avanti a quest'ultimo si apre la stretta valle alla cui sinistra si trova Bezzecca, oltre la quale la valle si stringe ancor più, chiudendosi da monti e dal villaggio di Pieve al di là del quale comincia il Lago di Ledro.

La mattina del 20 due compagnie del 2o reggimento, tre del 7o, un battaglione del 6o ed il 1o bersaglieri occupavano Tiarno di sopra; poco dopo vi prendeva posizione pure il 9o comandato dal colonnello Menotti Garibaldi. Il 5o reggimento si collocava a Tiarno di Sotto, spingendo i suoi avamposti fino a Bezzecca.

 

Era necessario impedire al nemico che si trovava dietro i monti, d'avanzare per la valle di Concei, giacchè superando Bezzecca avrebbe tagliato fuori il 2o reggimento, respinto probabilmente gli altri alle gole d'Ampola, e ponendosi nelle montagne fra questa e Lardaro, avrebbe minacciato seriamente i fianchi delle due linee di operazione.

L'attacco del giorno seguente provò che tale appunto era il progetto tattico del nemico.

Il generale Haug prevedendo questo disegno piantò il suo quartier generale a Bezzecca, incaricando Pianciani di portare a Garibaldi il suo rapporto.

Il generale Garibaldi arrivava in fretta e poneva il suo quartier generale a Tiarno e subito ordinava che un battaglione del 5o occupasse i villaggi della valle di Concei, e si collocasse nelle case onde meglio respingere l'avanzarsi del nemico. Ordinava che un altro battaglione prendesse buona posizione sul Tratt e sull'altura di faccia a Bezzecca per chiudere lo sbocco verso Pieve; gli altri due battaglioni del 5o pronti al far del giorno per guarnire i monti a dritta ed a sinistra della valle di Concei: queste disposizioni, però, non furono eseguite colla prontezza e coll'esattezza necessarie, per cui il battaglione mandato sul monte di destra, trovata la posizione occupata dal nemico fu sperso e molti restarono prigionieri.

La giornata del 21 cominciava così con triste preludio.

Gli austriaci con grosse forze comandate dallo stesso generale Kühn si accingevano a furioso attacco.

Il generale Haug comprese subito che la sua diritta era insostenibile, sebbene vi avesse fatto collocare dal Pianciani tutto quello che vi era di disponibile: mandava quindi il Pianciani stesso ad informarne Garibaldi e lo incaricava di ordinare a Menotti di portarsi col suo 9o reggimento rapidamente sul monte di sinistra, e che il 2o reggimento avesse avanzato dal Pieve circa un chilometro e mezzo in appoggio della destra. Se questo movimento si fosse effettuato come era ordinato, il nemico ne sarebbe rimasto accerchiato. Ma il 2o reggimento non si mosse e l'esito mancò.

Si dovette però alla fulminea esecuzione della disposizione datagli, e al coraggio insuperabile del colonnello Menotti Garibaldi, se la vittoria finì per essere dei garibaldini.

Il colonnello Chiassi per porre riparo al tardato movimento del 5o ed alla mancata mossa del 2o reggimento si avventò contro il nemico con furia irresistibile; alla carica fulminea il nemico s'arresta, cede ed accenna a ritirarsi in disordine, quando nel momento decisivo l'eroico Chiassi è colpito a morte.

Al vedere caduto il loro comandante i nostri rallentano l'offesa, ondeggiano, incominciano a dare indietro e a disordinarsi. In quel momento giungeva sul posto il generale Garibaldi in carozza, ed abbracciato col suo colpo d'occhio sicuro il campo di battaglia, mandava avviso a Menotti di scendere dall'altura col suo 9o reggimento, per approntarsi a disperato attacco.

In pari tempo ordinava che si raccogliessero gli avanzi del 5o reggimento e con quante altre truppe può avere sotto mano, e coi bersaglieri che avevano fatto prodigi di valore, dava le disposizioni per una disperata e decisiva lotta affine di sloggiare gli austriaci.

Intanto questi non solo si erano resi padroni di Bezzecca, ma, sbucati fuori dal villaggio, avevano coronate le alture della loro artiglieria e si preparavano ad un formidabile attacco contro l'estrema linea garibaldina.

Il pericolo era gravissimo, la strada di Tiarno era tempestata dal nemico e Garibaldi stesso veniva fatto bersaglio ai loro colpi. Le palle guizzavano, rimbalzavano e ravvolgevano in un nembo di polvere la sua carrozza; uno dei cavalli era ferito a morte, una delle guide che la scortava (Giannini) cadde morta, altre hanno feriti i cavalli; i suoi aiutanti volevano strapparlo da quel posto mortale e salvare lui, se non è possibile vincere. Ma Garibaldi aveva sul volto la calma di Calatafimi! "Qui si vince o si muore" e comandava, incoraggiava, spediva ordini, secondato dagli ufficiali del suo quartiere generale, sopratutto da Canzio, dal Miceli, dallo Stagnetti, dal Damiani e dalle guide tra le quali l'Amadei che in tutta quella giornata si era moltiplicato per trovarsi sempre presente dove maggiore era il pericolo; i carabinieri genovesi condotti dal Mosto, sempre primo nei replicati attacchi, seguito dai suoi valorosi Burlando, Stallo, senza cessare di combattere, facevano cerchio attorno al generale per coprirlo dalla furiosa pioggia di proietti che tempestava la posizione.

Intanto il maggiore Dogliotti aveva mandato ordine che si portassero sul posto la batteria di riserva e gli altri pezzi che si erano dovuti ritirare; appena arrivati il generale ordina che al galoppo vadano a piazzarsi su una posizione che esso stesso indica, ed il maggiore eseguisce l'ordine; in un baleno i cannoni sono a posto ed aprono il fuoco convergente su Bezzecca. Le dieci bocche dirette mirabilmente dal Dogliotti produssero il loro terribile effetto. Il nemico sfolgorato dentro Bezzecca, incalzato dal 9o reggimento guidato da Menotti Garibaldi che fa miracoli di valore, dal 7o, dai resti del 5o e da quanti altri eransi ivi raccolti per ordine del generale, incalzano furiosamente il nemico e lo costringono a cedere, e a disperdersi. Per tanto eroismo il colonnello Menotti Garibaldi e la bandiera del suo 9o reggimento venivano decorati della medaglia d'oro al valore militare.

Ma nulla valeva finchè Bezzecca non era presa. Questo il Duce voleva e quanti sono intorno a lui lo comprendono e più che altri, Menotti, Canzio, Missori, Mosto, Damiani, Cariolato, Guerzoni, Bedischini, Miceli, Stagnetti, Amadei, Politi, Tosi, Ficola, Stangolini, Proia, Buratti, Dubois, Bonacci, Gattoni, Popovich, Nani, Lizzani, Giorgi, Fallani, Gatti, Giammarioli, Luperi, Galletti, Restivo ed altri, che formano una falange votata alla vittoria od alla morte; di questa falange si pone alla testa Ricciotti Garibaldi che fa da prode le sue prime armi; il bravo giovanetto degno figlio del padre, afferra la bandiera del 9o reggimento comandato dall'eroico suo fratello Menotti, e con questa in pugno, mentre i cannoni del Dogliotti mandano in fiamme Bezzecca, a testa bassa, lui e tutti i valorosi che si erano stretti attorno al generale, a passo di carica, si slanciano sul villaggio e con lotta terribile, corpo a corpo rompono, sgominano gli austriaci, li mettono in fuga precipitosa e li inseguono colla punta della baionetta alle reni fin al di là di Lesumo.

Così la vittoria, con tanto accanimento contrastata fu violentemente strappata su tutta la linea.

Il 5 luglio, il generale portava il suo quartiere Generale da Rocca d'Anfo a Bagolino.

Il 7 luglio i garibaldini respingevano una forte ricognizione della brigata Thoun, che si era spinta fino a Lodrone, e tre giorni dopo ributtavano brillantemente un secondo attacco di quella brigata, e sotto gli occhi di Garibaldi, la mettevano in fuga.

Intanto la flottiglia del Lago di Garda non stava inoperosa.

La flottiglia austriaca, che poteva considerarsi padrona assoluta del lago perchè molto poderosa, tenevasi tra Bardolino e Garda alla punta di S. Vigilio sotto la protezione di quei forti. Elia con la sua cannoniera "Torrione" si portava a molestarla sotto il tiro dei forti, prendendola a bersaglio col suo cannone, ritirandosi quando vedeva che le navi austriache abbandonavano le àncore per inseguirlo, tenendo avanti il nemico diritta la prua corazzata, ordinando macchina indietro a poco a poco, con la lusinga di poterle attirare sotto i forti di Salò. Tentativi vani!