Za darmo

Ricordi di un garibaldino dal 1847-48 al 1900. vol. II

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"Il mio brindisi racchiuderà tutto quanto ci è caro, tutto quello per cui abbiamo sofferto, e combattuto. Bevo alla salute della libertà dei popoli, dell'uomo, che è la incarnazione vivente di queste grandi idee, di Giuseppe Garibaldi; della povera, sacra ed eroica Polonia i cui figli silenziosamente combattono e muoiono per la libertà da più di un anno; bevo alla salute di quella giovane Russia la cui divisa è terra e lavoro; della nuova Russia che fra non molto offrirà la mano alla Polonia sorella, riconoscendo la sua indipendenza e cancellando i ricordi dei russi degli Czar; alla salute dei russi che col nostro amico Herzen hanno fatto tanto per creare questa nuova Russia".

Garibaldi rispose:

"Sono per fare una dichiarazione che avrei dovuto fare già da gran tempo; vi è fra noi un uomo che ha reso i più grandi servigi al nostro paese ed alla causa della libertà. – Quando io ero giovinetto non avendo che aspirazioni verso il bene, cercai uno capace di servire di guida e di consiglio ai miei giovani anni, e lo trovai. – Egli solo vegliava, mentre tutti intorno a lui dormivano – Egli solo alimentò il fuoco sacro – Egli conservò sempre la sua fede, l'amore sviscerato al suo paese e la devozione alla causa della libertà – Quest'uomo è il mio amico e Maestro Giuseppe Mazzini. Beviamo alla sua salute".

Il 5 maggio Garibaldi lasciava l'Inghilterra, ed il 9 l'"Ondine" Jakt del Duca di Sutherland lo sbarcava a Caprera.

Prima d'imbarcarsi per far ritorno alla sua Isola il generale così scrisse a Victor Ugo che avevagli espresso il desiderio di stringergli la mano qualora avesse potuto visitarlo nella partenza da Londra:

Mio caro Victor Ugo,

"Il visitarvi nel vostro esiglio era per me più che un desiderio; era un dovere: ma molte circostanze me lo impediscono. Spero mi capirete, chè lontano o vicino, non sono mai separato da Voi e dalla causa che rappresentate.

"Sempre vostro

"Londra, 22 aprile.

"G. Garibaldi".

Volle pure fosse pubblicata una lettera di commiato e di omaggio alla stampa inglese e così scriveva:

"Nel lasciare l'Inghilterra non posso a meno di offrire un pubblico omaggio alla stampa inglese, e uno speciale tributo di gratitudine a tutti quei giornali che furono sinceri e fedeli organi della pubblica opinione verso di me, e benevoli interpreti dell'ammirazione e dei sentimenti che nutro per la nazione che mi diede ospitalità.

"Londra, 28 aprile.

"G. Garibaldi".

Garibaldi però non si trattenne a lungo nella sua isola. Il 14 di giugno, collo stesso vapore che lo aveva ricondotto dall'Inghilterra e che il Duca di Sutherland aveva messo a sua disposizione, sbarcava nell'Isola d'Ischia per curarsi, secondo si diceva, dell'artrite.

Come si disse già da qualche tempo correva una corrispondenza privata fra Mazzini e Vittorio Emanuele.

Intermediario fra Vittorio Emanuele e Mazzini era il patriota Diamilla Muller amico al Mazzini e carissimo quanto altrettanto devoto a Vittorio Emanuele.

Nel novembre del 1863 il Diamilla Muller riceveva da Mazzini un messaggio che diceva così:

"Il Re non intende questo cospirare continuo a impiantare un dualismo tra il governo e il partito d'azione, in cose nelle quali si era, in sostanza, d'accordo; volere egli Venezia quanto me: avere egli fede nell'onestà del mio procedere; perchè non si verrebbe a un patto per l'intento comune?"

E il 15 novembre del 1863 il Mazzini in una sua lettera nella quale apriva l'animo suo grande, concludeva così:

Caro Muller

"Se chi pensa alla guerra contro l'Austria ha coscienza di me, e crede al mio onore, che non ho tradito mai, io dichiaro

"Che non credo a vittoria definitiva possibile senza l'esercito regolare e l'intervento governativo.

"Che non sogno neanche d'innalzare, ove anche il potessi, una bandiera repubblicana sul Veneto – che tacendo noi per coscienza e per dignità d'ogni programma politico, e limitandoci a gridare guerra all'Austria, aiuto ai nostri fratelli, accetteremmo il programma che escirebbe dal Veneto. Ora il grido del Veneto che abbisogna dell'esercito e dell'Italia costituita come è, sarà infallibilmente monarchico. Su questo punto il re non ha dunque da temere.

"Data questa sicurezza, il migliore accordo è quello di lasciarci fare, e apprestarsi a cogliere rapidamente l'opportunità che noi cercheremo di offrire.

"Garibaldi è l'anima d'ogni moto di volontari. Nessuno può dubitare sulla di lui adesione alle dichiarazioni che io feci sul principio di questa mia lettera. Ma sono convinto, che la di lui azione dovrebbe essere lasciata libera ed indipendente. S'intende che i primi fatti di guerra governativa regolarizzerebbero il contatto dell'insurrezione e del capo dei volontari col disegno generale strategico.

"Potete comunicare al re questa mia e credetemi vostro

G. Mazzini

La risposta di Vittorio Emanuele fu:

"Avere comuni lo slancio e il desiderio di fare con la persona di cui si parla. Giudicare le cose da me e con la massima energia, non con timide impressioni altrui.

"Ma sappia la persona che gravi sono i momenti, che bisogna ponderarli con mente calma e cuore ardente, che io e noi tutti vogliamo e dobbiamo compiere nel più breve spazio di tempo la grand'opera; ma guai a noi tutti se non sappiamo ben farlo, o se, abbandonandoci ad impetuose intempestive frenesie, venissimo a tale sciagura da ripiombare la patria nostra nelle antiche sventure.

"Il momento non è ancora maturo; fra breve, spero, Dio aiuterà la patria nostra.

"V. E."

Il 2 di maggio in un autografo il Re faceva a Mazzini questa risposta:

"La Polonia mancò ognora nelle varie sue fasi insurrezionali della forza vitale di espansione, e questa è la principale cagione della sua rovina: forse potrebbe rinascere come la fenice dalle proprie ceneri, estendendo le sue ramificazioni in Gallizia, Principati ed Ungheria, dove il terreno sarebbe facile á exploiter se vi fossero uomini energici ed audaci che servissero di trait-d'union.

Se i moti in Gallizia estesi alle citate contrade prendessero le proporzioni di una spontanea popolare insurrezione da tenere fortemente occupata l'Austria, allora sarebbe necessario anzitutto d'aiutarla con un nucleo d'italiani determinati, e così riuniti vari fecondi elementi, tutti ostili al principale nemico si potrebbe condurre a compimento il comune desiderio.

"V. E."

Intanto correvano intelligenze oltre che con Mazzini e Garibaldi anche coi generali Klapka e Turr capi dell'insurrezione ungherese e con altri a Belgrado ed a Bukarest – Garibaldi era pronto a tutto.

Nel maggio il Re Vittorio Emanuele approvava tutte le proposte di Mazzini e si metteva d'accordo col generale Garibaldi, che doveva essere il condottiero dell'ardita impresa; intermediario del Re Vittorio Emanuele con Garibaldi era il sig Porcelli.

Alcuni amici del generale Garibaldi non approvavano questa pericolosa spedizione e temevano pel Generale stesso, che volevano rimanesse in Italia ad aspettare altri eventi propizi. Ma egli era risoluto; si doveva partire ed Elia stava aspettando impaziente l'annunziato vapore, quando ricevette la seguente lettera:

Torino, 9 luglio 1864.

Mio caro Elia,

"I mestatori hanno tentato di fare andare a monte il tutto e di far cambiare idea al nostro G…

"Spero che non riesciranno! Questa sera vedrò l'altra persona e cercherò di accomodare ogni cosa.

"Domani vi saprò dire qualche cosa di positivo.

"Intanto ho voluto scrivervi queste due righe in risposta alle vostre due, perchè attendiate senza inquietarvi.

"Sarà un piccolo ritardo, ma pazienza! Ho scritto a Stagnetti ciò che desiderate.

"A domani dunque.

"Tutto Vostro

"Porcelli".

Ma l'indomani 10 luglio 1864 il Giornale il Diritto pubblicava la seguente protesta anonima:

"Avuta certa notizia, che alcuni fra i migliori del partito d'azione sono chiamati a prendere parte ad imprese rivoluzionarie e guerresche fuori d'Italia, i sottoscritti (che non si sottoscrissero!) convinti:

"Che noi stessi versiamo in gravi condizioni politiche;

"Che nessun popolo e nessun terreno sia più propizio ad una rivoluzione per gli interessi della libertà, che l'italiano;

"Che le imprese troppo incerte e remote quali sono le indicate, ordite da principi, debbano necessariamente servire più a' loro interessi che a quelli de' popoli;

"Credono loro dovere per isgravio della loro coscienza dichiarare;

"Che l'allontanarsi dei patriotti italiani in questi momenti non può che essere funesto agli interessi della patria".

Questa pubblicazione del Diritto fece persuaso Vittorio Emanuele che non potendosi più condurre l'impresa con la dovuta segretezza, se ne accrescevano i pericoli; e non volendo che si pensasse, che egli mandava al sagrifizio Garibaldi coi suoi valorosi compagni, per vedute ambiziose proprie, con lettera, portata al Generale dal Porcelli, lo scioglieva da ogni impegno e ritirava il suo concorso all'opera progettata.

CAPITOLO XXIV

Guerra del 1866 – Liberazione del Veneto

La guerra del 1864 intrapresa dalle due grandi potenze germaniche contro la Danimarca fu poi l'origine dei loro dissensi. Finchè si trattò di togliere ad un piccolo regno i tre ducati dell'Elba; finchè si volle togliere ogni ingerenza ai minori Stati della Confederazione, Austria e Prussia andarono d'accordo; ma quando si fu alla spartizione della conquista fra le due potenze, si sviluppò un forte antagonismo che doveva condurre alla guerra.

 

In vista di questa eventualità il Conte di Bismark chiamato a sè nei primi di marzo il Conte Barral, Ministro d'Italia presso il Re di Prussia, ebbe con lui una conversazione concernente un trattato di alleanza offensiva e diffensiva a concludere il quale La Marmora incaricava il generale Govone – non poteva farsi scelta migliore – e il 9 marzo egli partiva da Firenze per Berlino. Il trattato fu concluso e firmato, ed a questo l'Italia si mantenne fedele, sebbene l'Austria le offrisse la cessione del Veneto, purchè si distaccasse dalla Prussia. Essa si preparò alla guerra con la mobilitazione dell'esercito e col richiamo sotto le armi delle vecchie classi.

La guerra fu dichiarata.

Il Re Vittorio Emanuele, dopo la dichiarazione di guerra all'Austria, indirizzava alla Nazione il seguente proclama:

Italiani!

"Sono corsi ormai sette anni che l'Austria assalendo armata i miei Stati, perchè Io aveva perorata la causa della comune patria nei consigli d'Europa, e non ero stato insensibile ai gridi di dolore che si levavano dall'Italia oppressa, ripresi la spada per difendere il mio trono, la libertà dei miei popoli, l'onore italiano e combattere pel diritto di tutta la nazione.

"La vittoria fu pel buon diritto; e la virtù degli eserciti, il concorso dei volontari, la concordia ed il senno dei popoli e gli aiuti di un magnanimo alleato, rivendicarono quasi intera la indipendenza e la libertà d'Italia.

"Supreme ragioni che noi dovemmo rispettare ci vietarono allora di compiere la giusta e gloriosa impresa: una delle più nobili ed illustri regioni della penisola, che il voto delle popolazioni aveva riunito alla nostra Corona e che per una eroica resistenza e una continua e non meno eroica protesta contro il restaurato dominio straniero ci rendeva particolarmente sacra e cara, rimase in balia dell'Austria.

"Benchè ciò fosse grave al mio cuore, nondimeno mi astenni dal turbare l'Europa desiderosa di pace, che favoriva colle sue simpatie il crescere ed il fondarsi del mio Regno.

"Le cure del mio governo si volsero a preferenza ad accordare gli ordinamenti interni, ad aprire ed alimentare le fonti della pubblica prosperità, a compire gli armamenti di terra e di mare, perchè l'Italia, posta in condizione di non temere offesa, trovasse più facilmente nella coscienza delle proprie forze la ragione delle opportune prudenze, aspettando si maturasse col tempo, col favore dell'opinione delle genti civili e degli equi e liberali principii che andavano prevalendo nei consigli d'Europa, l'occasione propizia di ricuperare la Venezia e di compiere ed assicurare la sua indipendenza. Quantunque l'aspettare non fosse senza pericoli e senza dolori entro confini mal circoscritti e disarmati, e sotto la perpetua minaccia di un inimico, il quale nelle infelici provincie rimaste soggette alla sua dominazione aveva accumulato i suoi formidabili armamenti della offesa e della difesa: collo spettacolo continuo innanzi agli occhi dello strazio che egli faceva delle nostre popolazioni, che la conquista e una spartizione iniqua gli avevano dato, pure io seppi frenare, in omaggio alla quiete d'Europa, i miei sentimenti di italiano e di Re, e la giusta impazienza dei miei popoli. Seppi conservare integro il diritto di cimentare opportunamente la vita e le sorti della Nazione: integra la dignità della Corona e del Parlamento, perchè l'Europa comprendesse che doveva dal canto suo giustizia intiera all'Italia.

"L'Austria ingrossando improvvisamente sulla nostra frontiera, e provocando con un atteggiamento ostile e minaccioso, è venuta a turbare l'opera pacifica e riparatrice intesa a compiere l'ordinamento del regno, e ad alleviare i gravissimi sacrifici imposti ai miei popoli dalla sua presenza nemica sul territorio nazionale.

"All'ingiustificata provocazione ho risposto riprendendo le armi, che già si riducevano alla proporzione della necessità dell'interna sicurezza: e voi avete dato uno spettacolo meraviglioso e grato al mio cuore, colla prontezza e con l'entusiasmo con che siete accorsi alla mia voce nelle file gloriose dell'esercito e dei volontari.

"Nondimeno quando le potenze amiche tentarono di risolvere le difficoltà suscitate dall'Austria in Germania ed in Italia per via di un Congresso, io volli dare un ultimo segno dei miei sentimenti di conciliazione all'Europa, e mi affrettai di aderirvi.

"L'Austria rifiutò, anche questa volta, i negoziati, e respinse ogni accordo e diede al mondo una novella prova che, se confida nelle sue forze, non confida ugualmente nella bontà della sua causa e nella giustizia dei diritti che usurpa.

"Voi pure potete confidare nelle vostre forze, Italiani, guardando orgogliosi il florido esercito e la formidabile marina, pei quali nè cure nè sacrifizi furono risparmiati; ma potete anche confidare nella santità del vostro diritto, di cui ormai è immancabile la sospirata rivendicazione.

"Ci accompagna la giustizia della pubblica opinione, ci sostiene la simpatia dell'Europa, la quale sa che l'Italia, indipendente e sicura del suo territorio, diventerà pur essa una garanzia d'ordine e di pace, e ritornerà efficace istrumento della civiltà universale.

Italiani!

"Io do lo Stato a reggere al mio amatissimo cugino il principe Eugenio e riprendo la spada di Goito, di Pastrengo, di Palestro e di S. Martino.

"Io sento in cuore la sicurezza che scioglierò pienamente questa volta il voto fatto sulla tomba del mio magnanimo Genitore. Io voglio essere ancora il primo soldato della indipendenza italiana.

"Viva l'Italia.

"Firenze, li 20 giugno 1866.

"Vittorio Emanuele".

Il Re rivolgeva poscia il seguente proclama all'esercito:

Ufficiali, sottufficiali e soldati!

L'Austria, armando sulla nostra frontiera, vi sfida a novella battaglia. In nome mio, in nome della Nazione, vi chiamo alle armi. Questo grido di guerra sarà per voi, come lo fu sempre, grido di gioia. Quale sia il vostro dovere, non ve lo dico, perchè so che bene lo conoscete. Fidenti nella giustizia della nostra causa, forti del nostro diritto sapremo compiere con le armi la nostra unità.

Ufficiali, sottufficiali e soldati!

Assumo oggi nuovamente il comando dell'esercito per adempiere al dovere che a me ed a voi spetta di rendere libero il popolo della Venezia, che da lungo tempo geme sotto ferreo giogo. Voi vincerete, ed il vostro nome sarà benedetto dalle presenti e future generazioni.

Firenze, 21 giugno 1866.

Vittorio Emanuele.

Disponeva poi che si istituissero due depositi a Como ed a Bari per la formazione del corpo dei volontari e ne offriva il comando al generale Garibaldi, che rispondeva così al Ministro della guerra:

Caprera, 14 maggio 1866.

Signor Ministro,

"Accetto con vera gratitudine le disposizioni emanate da S. M. in riguardo al corpo dei volontari, riconoscente della fiducia in me riposta coll'affidarmene il comando.

"Voglia essere interpetre presso Sua Maestà di questi miei sentimenti, nella speranza di potere subito concorrere col glorioso nostro esercito al compimento dei destini nazionali.

"Ringrazio la Signoria Sua della cortesia colla quale si è degnato farmene partecipazione.

"Voglia credermi della Signoria Sua

Dev.mo
"G. Garibaldi".

Si sapeva dunque della formazione di un corpo di volontari e tutta la vecchia guardia aspettava di essere chiamata; non si sapeva però dal Generale quale destinazione gli si sarebbe data. Si parlava che avrebbe avuto incarico di sbarcare coi suoi volontari in Istria, sollevare quelle popolazioni italianissime e piombare su Trieste. Ma prevalsero altri concetti.

Quando tutto fu deciso egli chiamò a sè i suoi fidi, ed all'Elia così scriveva:

Mio caro Elia,

"Venite – Se vi fosse Burattini, che venga. Se vi fossero pure dei bravi marinari volontari conduceteli a Milano e arrivati là avvisatemi.

Vostro
"G. Garibaldi".

Subito Elia metteva assieme un buon numero di marinari volontari, ai quali, oltre il Burattini, si unirono alcuni capitani della marina mercantile che si offersero come marinari; e tutti partirono per Milano, ove giunti Elia informava subito il Generale chiedendo ordini.

Il 16 di giugno il "Monitore Prussiano" pubblicava la dichiarazione di guerra, mentre le truppe incominciavano le ostilità. Il 17 il telegrafo ne dava notizia all'Italia e La Marmora fedele ai suoi impegni partiva pel Quartiere generale, ed il 20 inviava la dichiarazione di guerra all'Austria.

Se la flotta italiana fosse stata affidata al comando di un uomo come Garibaldi, con la certezza di dominare con la stessa l'Adriatico, tenendo obbligata la flotta nemica a stare riparata sotto i cannoni di Pola, il miglior piano di campagna sarebbe stato quello d'impossessarsi, con un energico colpo di mano di Trieste per farne base di operazione dell'esercito, che sbarcato su quel punto avrebbe girato tutte le difese accumulate per tanti anni sul territorio Veneto, trasportando di primo slancio la guerra nel suolo nemico; disgraziatamente prevalse altro criterio, e la flotta italiana fu data in mano a persona mancante di energia e di quella capacità superiore, che richiedevasi in momento così grave e decisivo per la nazione.

Per maggiore sventura, nella fissazione e nella esecuzione del piano di campagna, si urtarono due pareri contrari.

La Marmora non ammetteva altra offesa possibile se non dal Mincio colla base di Alessandria e Piacenza. Cialdini invece aveva capito essere folle impresa l'attacco di fronte al quadrilatero; essere indispensabile girarlo, facendo base a Bologna e dirigendo le operazioni di attacco su Padova per Pontelagoscuro e Rovigo. L'attacco dal Mincio conduceva per necessaria conseguenza agli assedi di Peschiera e di Verona che bisognava assolutamente evitare.

L'aggressione invece da Bologna a Rovigo non presentava grandi difficoltà. La marcia dal Po all'Adige, comeche brevissima era tutt'altro che difficile, tanto più che gl'italiani potevano contare sul simpatico concorso delle popolazioni.

Concentrate le maggiori forze italiane fra Badia e Rovigo, con la sinistra, forte da poter reggere ad un'energica offesa proveniente da Legnago facile sarebbe stata la riduzione dei quattro piccoli forti di Rovigo col gran materiale di artiglieria rigata di cui si disponeva; così con Rovigo in mano era assicurato il passo dell'Adige e l'arciduca comandante le forze austriache veniva obbligato o a dar battaglia con tutti gli svantaggi d'inferiorità numerica nei pressi di Padova, o chiudersi in Verona, o retrocedere verso il Piave.

Così la campagna ci sarebbe iniziata nel modo il più brillante.

La Marmora rifiutò recisamente di operare nel Po; adottò invece un mezzo termine che doveva infine condurre a cattivi risultati. Fu quindi stabilito che i primi tre corpi di armata eseguirebbero una seria dimostrazione sul Mincio onde attrarre da quel lato le forze dell'arciduca, mentre il 4 °Corpo, varcato il Po marcerebbe su Rovigo di cui s'impadronirebbe, attendendo per inoltrarsi oltre l'Adige, di essere raggiunto dal grosso dell'Esercito, che vi si porterebbe mediante una marcia di fianco, utilizzando la ferrovia dell'Emilia. Se la dimostrazione accennata non fosse riuscita e che l'arciduca avesse opposti gravi ostacoli al passaggio del basso Po, era allora Cialdini che sarebbe andato a raggiungere La Marmora sul Mincio.

Fissato dal La Marmora questo piano, nella mattina del 19 giugno, dal comando supremo dell'Esercito fu ordinato che all'alba del domani il 1 °Corpo si avanzasse a prendere posizione sulle alture tra Pozzolengo e Volta in modo da poter chiudere il passo ad ogni sortita da Peschiera sulla destra del Mincio; che il 3 °Corpo d'armata si avanzasse su Goito legandosi a sinistra col 1o sotto Volta e a destra col 2o per Rivalta; che il 2 °Corpo si appressasse a Mantova, senza passare il confine, ma in modo da potere al rompere delle ostilità, impadronirsi subito di Curtatone e minacciare Borgoforte; che la divisione di cavalleria muovesse nella notte per porsi tra Castiglione delle Stiviere, San Cassiano, Guidizzolo e Medole.

 

La riserva generale d'artiglieria si collocasse attorno a Cremona.

Il fronte dell'armata del Mincio era per tal modo collocato su una distesa di 42 chilometri.

Disegno del comando supremo dell'Esercito era il seguente: al mattino del 23 impadronirsi dei passi del Mincio tra Monzambano e Goito con truppe del 1o e 3 °Corpo, porre piede sulla sponda sinistra e spingere la cavalleria verso l'Adige; e, nel tempo stesso, colle truppe pel 2 °Corpo impossessarsi dei fortini avanzati di Curtatone e Montanara dinanzi a Mantova, entrare nel Serraglio, tagliare le comunicazioni tra quella fortezza e Borgoforte, e assalire questa ultima posizione dalle due sponde del Po e costringere con un rapido fuoco di numerosa artiglieria, il presidio alla resa o allo sgombro.

Nel mattino del 23 il passaggio del Mincio fu effettuato come era stato ordinato senza contrasti da parte degli austriaci.

Il 1 °Corpo passò il Mincio a Monzambano colla brigata Pisa e si ritirò al di là ed a cavallo del fiume; la quinta divisione lo passò a Borghetto ed occupò Valleggio; la 3a lo valicò ai mulini di Volta ed occupò l'altipiano di Pozzuolo; la 2a restò nella sua posizione di Pozzolengo osservando Peschiera; una forte riserva si situò a metà strada tra Volta e Borghetto.

Il 3 °Corpo valicò il fiume al ponte di Goito, alla presenza del Re.

Vi passarono la 7a, 16a e 9a Divisione mentre l'8a gettava un ponte più in alto, a Ferri; le divisioni 16a e 7a si collocarono in prima linea, fra Belvedere e Roverbella, le altre due rimasero in seconda linea.

Il 2 °Corpo non passò il Mincio; ma con la 6a Divisione ed una brigata della 4a varcò la frontiera delle Grazie ed occupò Curtatone e Montanara; l'altra brigata della 4a Divisione fu posta sulla destra del Po, osservando Borgoforte.

Le divisioni Longone e Angioletti rimasero nei pressi di Castelluccio.

Tutti questi movimenti, come si disse, non incontrarono alcuna resistenza. L'assenza di forze austriache nella pianura avanti Verona, indusse il generale La Marmora a ritenere che il nemico avesse rinunziato a difendere il terreno fra l'Adige e il Mincio, e che si sarebbe limitato a contrastare il passo del primo fiume. Perciò venne nel concetto di gettarsi arditamente fra le piazze di Verona, Peschiera e Mantova, per separarle una dall'altra, ed occupare una forte posizione che, richiamando l'attenzione del nemico, favorisse il passaggio del 4 °Corpo d'Armata, concentrato fra Bologna e Ferrara. In conseguenza di questo presupposto diede gli ordini perchè il 1 °Corpo occupasse Castel Nuovo, S. Giustino e Sorra. Il 3o, prolungando questa linea, avesse occupato Somma-Campagna e Villafranca.

Ordinava infine che il 2 °Corpo, passando il Mincio a Goito, avesse occupato quel paese, Marmirolo e Roverbella, quale riserva generale.

Tutti questi movimenti dovevano farsi nelle prime ore antimeridiane del giorno 24.

Garibaldi aveva accettato con gran cuore, che Trento, fosse l'obbiettivo delle sue operazioni; ma v'erano altre vie per giungervi oltre quella all'ovest del Garda. Scalare le sue truppe a Bergamo, accennando a nord per richiamare gli austriaci ai passi del Tonale e del Caffaro; poi correre a gran passi al Po Cremonese, e, per l'Emilia, al basso Po, dietro il corpo del generale Cialdini; entrare con questo nel Veneto, sopravanzarlo, e per la Val Sugana lanciarsi su Trento. Questo era il piano che egli aveva in mente. La Val Sugana era infatti la più facile per la impresa del Trentino; ma tale disegno non combinava colle idee del Comando Supremo ed a questo dovette sottomettersi.

Il generale il 23 giugno contava di avere con sè seimila uomini circa, e con questi si metteva in marcia per la via che gli era stata tracciata, mentre sapeva che il generale Kunn gli opponeva una forza superiore ai 18 mila uomini.

Elia aspettava da tre giorni a Milano la chiamata di Garibaldi, quando a mezzo del tenente colonnello Francesco Cucchi dello Stato Maggiore, riceveva l'ordine di portarsi con tutti i suoi a Salò.

Ivi arrivato Elia presentava al generale i volontari che lo accompagnavano. Questi lo informò che suo intendimento era di affidare a lui il comando della minuscola flottiglia del Lago di Garda; ma Elia gli fece osservare che avendo già il maggiore Sgarallino Andrea di Livorno, arrivato prima, presa la consegna ed il comando della flottiglia stessa, per ordine del Capo di Stato Maggiore, era suo desiderio di lasciarglielo; solo chiedeva il comando dell'unica barca cannoniera pronta ed armata "Il Torione", se il generale avesse risolutamente deciso di lasciarlo nella flottiglia. Il generale pregò Elia di rimanere nella flottiglia e gli diede il comando desiderato.

Questa flottiglia si componeva di cinque barche cannoniere armate con un cannone da 24 mm. a prua, difese da un parapetto di corazza e da 2 da 5 1/3 mm. nei fianchi; ma quattro di esse erano in riparazione e solo dopo alcuni giorni furono pronte all'azione.

La flottiglia austriaca sul lago era composta delle cannoniere ad elica "Speinthenfel" "Wildfang" "Scharfschiutez" "Raufbold" "Wespe" e "Nikoke" e dei vapori a ruote "Francesco Giuseppe" e "Hess".

Il 23 il generale aveva ordinato ai volontari che aveva sottomano, di marciare avanti e di occupare con audaci colpi di mano il Caffaro e Montesuello; e i garibaldini non perdettero tempo.

Il colonnello Spinazzi, comandante del 2o reggimento, messosi subito in marcia si spingeva fino ad Anfo; il maggiore Castellini faceva avanzare il suo battaglione di bersaglieri in due colonne di due compagnie ciascuna e da una compagnia del 2o reggimento, per la strada di Bagolino verso Montesuello e vi riusciva mettendo in fuga il nemico che si ritirava. Così i nostri si erano stabiliti sul Montesuello e sul Caffaro, con drappelli di fianco a Bagolino da un lato ad Hano e Monte Stino dall'altro, quando arrivava allo Spinazzi l'ordine di retrocedere su Lonato e Desenzano; e ciò in seguito all'ordine che il generale Garibaldi aveva ricevuto dal Comando Supremo, di recarsi a proteggere l'eroica Brescia.

Si credeva, secondo notizie avute, che a Villafranca fosservi due squadroni di cavalleria nemica. S. A. R. volendo sorprenderli ordinava al Capitano di Stato Maggiore Taverna di porsi alla testa dello squadrone d'avanguardia e di attraversare di gran galoppo quella città, per la strada diritta e larga che la taglia nel mezzo, e ai due battaglioni di bersaglieri di seguirlo a passo di corsa. Intanto la Divisione sostava a breve distanza.

L'avanscoperta fu eseguita con prontezza, ma fu trovata la città sgombra di nemici.

Il conte Taverna spinse la ricognizione sulla strada di Verona e Povegliano e vi scoperse le vedette nemiche; erano Ussari Wurtemberg della brigata Radakowschi in marcia. Avviso ne fu dato al grosso della Divisione che già aveva traversato Villafranca; questa spiegò subito la brigata Parma in prima linea con due batterie a cavallo della strada Regia e della ferrovia, tendenti a Verona. Era tempo perchè l'attacco della cavalleria austriaca, si sviluppò immediato, energico e violento.

Gli squadroni Usseri si slanciarono a galoppo serrato contro lo squadrone italiano inseguendolo fino sulle catene dei bersaglieri che coprivano la brigata Parma; lì si arrestarono accolti da viva fucilata, batterono in ritirata e si ridussero presso le due brigate comandate dal Pulz e dal Radakowschi, le quali spiegati i propri cavalieri in battaglia, gli Ussari Imperatore a diritta, gli Ulani di Trani a sinistra, la batteria al centro, si lanciano contro Villafranca.

Gli Ulani preso il galoppo sopravanzarono gli Ussari; oltrepassato Canova incontrarono le fitte catene dei bersaglieri. Caricare queste ed i sostegni fu l'affare di un momento, ma al di là diedero di cozzo contro gli otto quadrati della brigata Parma, appoggiati da una potente artiglieria che vomitava mitraglia. Il principe Umberto aveva avuto appena il tempo di gettarsi in un quadrato del 49o, comandato dal maggiore Ulbrich. Lo spettacolo era imponente; da una parte una giovane fanteria, cui non intimidivano gli urrak dei cavalieri lanciati a briglia sciolta, dall'altra una brillante cavalleria che si gettava impavida contro quella muraglia di ferro e di fuoco. Ma i quadrati del 49o rimasero immobili come torri e la cavalleria austriaca vide spezzarsi tutti i suoi sforzi contro la muraglia di ferro della brava fanteria, superba di mostrare il suo sangue freddo e il suo eroismo al figlio primogenito di Vittorio Emanuele il quale, con serenità d'animo dava l'esempio del coraggio e della devozione al dovere.

Dopo inutili, ripetute cariche gli avanzi del reggimento Trani retrocedettero laceri e malconci; quando il Radakowschi li riannodava appena 200 risposero all'appello.

Al rumore delle cannonate la divisione Bixio era accorsa a spiegarsi sulla sinistra del principe il generale ordinava al suo capo di stato maggiore, tenente colonnello di San Marzano di porsi alla testa dei tre squadroni di cavalleggeri di Saluzzo, muovere in ricognizione e portare soccorso, occorrendo, a S. A. R. Il tenente colonnello di San Marzano si slancia alla testa dei suoi bravi squadroni si avventa contro la cavalleria nemica che tentava sfondare i quadrati della fanteria della divisione del principe e concorre a decimarla; per questo fatto brillante Di San Marzano veniva decorato della Croce di Ufficiale dell'ordine militare di Savoia.