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Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 9

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A. D. 451-482

Si palesarono in modo ben differente le disposizioni dei Greci e degli Egiziani sotto il regno ortodosso di Leone e di Marciano. Questi devoti Imperatori, colla forza dell'armi e degli editti, sostennero il Simbolo della lor Fede84; e cinquecento Vescovi dichiararono sulla lor coscienza e sull'onor loro, ch'era permesso di difendere anche cogli omicidii i decreti del Concilio calcedonese. Videro i Cattolici con piacere, che lo stesso Concilio era odioso ai Nestoriani, ed ai Monofisiti85; ma i Nestoriani erano meno irritati, o men potenti; e fu lacerato l'Oriente dal pertinace e sanguinario fanatismo dei Monofisiti. Gerusalemme fu assalita da un esercito di Monaci che la posero a sacco; arsero, trucidarono in nome d'una Natura incarnata; fu bagnato di sangue il sepolcro di Gesù Cristo, e pochi ribelli tumultuariamente raccolti, chiusero le porte della città all'esercito imperiale. Dopo la condanna e l'esilio di Dioscoro, dolenti gli Egiziani della perdita del lor Padre spirituale, videro con ribrezzo l'usurpazione del suo successore costituito dai Padri del Concilio di Calcedonia. Costui, di nome Proterio, non potè sostenersi che col soccorso d'una guardia di duemila soldati; fece guerra cinque anni al popolo d'Alessandria; e il primo sentore della morte di Marciano divenne pei fanatici Egiziani il segnale della vendetta. Tre giorni prima della festa di Pasqua, il Patriarca fu assediato nella sua cattedrale, e ucciso nel battistero. Fu dato alle fiamme l'avanzo del suo cadavere e se ne gettarono al vento le ceneri; questo assassinio fu inspirato dall'apparizione d'un preteso Angelo, furberia inventata da un monaco ambizioso, che, sotto il nome di Timoteo, il Gatto86, succedette alla dignità e alle opinioni di Dioscoro. Colle rappresaglie delle due parti s'inciprignirono gli animi in questa crudel superstizione; una disputa metafisica costò la vita a migliaia di uomini87; e i Cristiani d'ogni classe furono privati dei godimenti della vita sociale, e dei doni invisibili del Battesimo, e della santa Comunione. Ci resta di quel tempo una novella stravagante, che contiene forse una pittura allegorica dei fanatici, che si tormentavano e straziavano a vicenda. «Sotto il consolato di Venanzio e di Celere, dice un Vescovo autorevole, gli abitatori d'Alessandria, e di tutto l'Egitto furono presi da una strana e diabolica frenesia; i grandi e i piccioli, gli schiavi e gli uomini liberi, i Monaci ed il Clero, quanti in somma si opponevano al Concilio di Calcedonia perdettero l'uso della parola, e della ragione; abbaiavano come cani, e si laceravano le mani e le braccia coi denti»88.

A. D. 482

Trenta anni di disordini originarono alla fine il celebre Henoticon89 dell'Imperatore Zenone, formolario che, sotto il regno di costui e di Anastasio, fu segnato da tutti i Vescovi dell'Oriente, minacciati della degradazione e dell'esilio, se rigettavano o se violavano questa legge fondamentale. Può il Clero sorridere o gemere della presunzione d'un laico che osa determinare Articoli di Fede; ma se il magistrato secolare non isdegna d'abbassarsi a questa cura umiliante per un sovrano, il suo spirito per altro è meno traviato dal pregiudizio, o dalle mire d'interesse; e quell'autorità ch'egli esercitò in ordine a questo, non ha il suo appoggio che nel consenso del popolo. Nella storia ecclesiastica appunto comparisce Zenone meno spregevole, nè so scorgere veleno d'eresia manichea, o eutichiana nelle generose parole d'Anastasio, il quale considerava per cosa indegna d'un Imperatore il perseguitare gli adoratori del Cristo, e i cittadini di Roma. Ottenne l'Ennotico l'approvazione specialmente degli Egiziani; non di meno l'inquieto ed anche pregiudicato sguardo dei nostri teologi ortodossi non vi scorse la più picciola macchia; quivi in una maniera esattissima viene esposta la dottrina cattolica intorno l'Incarnazione, senz'ammettere, o senza rifiutare i termini particolari, o le opinioni delle Sette avversarie. V'è pronunciato un anatema solenne contro Nestorio ed Eutiche, contro tutti gli eretici, che dividono, o confondono il Cristo, o il riducono a un vano fantasma. Senza determinare se la parola Natura debba usarsi in singolare o in plurale, vi è rispettosamente confermato il sistema di S. Cirillo, la dottrina dei Concilii di Nicea, di Costantinopoli e d'Efeso; ma in vece di inginocchiarsi davanti i decreti del quarto Concilio generale, si sfugge la quistione, riprovando tutte le dottrine contrarie, se ve ne ha d'insegnate sia in Calcedonia, sia altrove. Questa frase equivoca poteva con tacito accordo conciliare gli amici e i nemici del Sinodo di Calcedonia. Dai Cristiani i più ragionevoli si approvò questo espediente di tolleranza, ma debole ed incostante ne era l'intelletto, e lo zelo veemente delle Sette diverse in questa sommessione non vide che una servile timidità. Era ben difficile il rimanersi al tutto neutrali in un argomento che riscaldava i pensieri e i discorsi degli uomini: un libro, una predica, un'orazione riaccendevano il fuoco della controversia, e le particolari animosità dei Vescovi rompevano e rannodavano alternativamente i legami della comunione. Mille picciole varietà di vocaboli e d'opinioni empievano lo spazio che divideva Nestorio ed Eutiche: gli Acefali90 d'Egitto, e i Pontefici di Roma forniti d'ugual valore, ma di forza ineguale, stavano alle due estremità della scala teologica. Gli Acefali senza re, e senza vescovi furono separati per più di trecent'anni dai Patriarchi d'Alessandria che aveano aderito alla comunion di Costantinopoli, senza esigere una condanna formale dal Concilio calcedonese. I Papi scomunicarono i Patriarchi di Costantinopoli per aver accettata la comunione Alessandrina, senza approvare formalmente lo stesso Concilio: l'inflessibile loro despotismo, inviluppò in quel contagio spirituale le Chiese greche più ortodosse; negò, o contestò la validità dei lor Sacramenti91; per trentacinque anni fomentò lo scisma dell'Oriente e dell'Occidente sino all'epoca, in cui condannarono questi la memoria di quattro prelati di Bizanzio, che osato aveano di opporsi alla primazia di S. Pietro92. Prima di quel tempo era stata dallo zelo dei Prelati rivali violata la mal ferma tregua di Costantinopoli e dell'Egitto. Macedonie, sospetto già d'una segreta adesione all'eresia di Nestorio, difese nella sua disgrazia, e nell'esilio, il Sinodo di Calcedonia, mentre il successore di S. Cirillo avrebbe desiderato di poterne comperare la condanna al prezzo di duemila libre d'oro.

 

A. D. 508-518

In mezzo all'effervescenza di quel secolo bastava il senso, anzi il suono d'una sillaba a turbar la quiete dell'imperio. S'opposero i Greci, che il Trisagion93 (tre volte santo) santo, santo, santo, il Dio Signor degli eserciti fosse identicamente quell'Inno che da tutta l'eternità ripetono gli Angeli e i Cherubini davanti il trono di Dio, e che in maniera miracolosa fu rivelato alla Chiesa di Costantinopoli verso la metà del quinto secolo. La divozione degli abitanti di Antiochia poco dopo vi aggiunse: «che fu crocifisso per noi»; questo indirizzo al solo Cristo, e alle tre Persone della Trinità può giustificarsi secondo le regole della Teologia, e fu insensibilmente adottato dai Cattolici dell'Oriente e dell'Occidente. Ma era stato immaginato da un Vescovo monofisita94. Questo regalo d'un nemico fu da prima, come orribile e pericolosa bestemmia, ributtato, e poco mancò, che all'Imperatore Anastasio ne costasse la corona e la vita95. Non avea il popolo di Costantinopoli alcuna ragionevole idea di libertà, ma il color d'una livrea nelle corse, e una picciola discordanza per un Mistero nelle scuole parevagli un motivo legittimo di ribellione. Il Trisagion, con l'aggiunta o senza l'aggiunta da noi accennata, fu nella cattedrale cantato da due Cori nemici, e dopo avere sfinita tutta la forza del polmone, dieder mano ai sassi e ai randelli, argomenti più sodi: l'Imperatore punì gli aggressori; il Patriarca li difese, e questa gran lite portò un crollo alla corona e alla mitra. In un momento le strade furono piene d'una moltitudine innumerevole d'uomini, di donne, di fanciulli. Legioni di monaci schierati in ordine di battaglia li dirigevano al combattimento gridando: «Cristiani, questo è giorno di martirio; non si abbandoni il nostro Padre spirituale; anatema al Tiranno manicheo! non è degno di regnare». Tali erano le grida dei Cattolici96. Le galere d'Anastasio stavano sui remi davanti il palazzo, pronto ad accorrere: finalmente il Patriarca diede il perdono al suo penitente, e sedò i flutti d'una plebe irritata. Ma del suo trionfo non gioì lungamente Macedonio, poichè pochi giorni dopo fu cacciato in esilio; ben presto però si riaccese lo zelo della sua greggia sulla medesima quistione: «Se una persona della Trinità sia spirata in croce». Per questo rilevante affare fu sospesa la discordia in Costantinopoli tra le fazioni degli Azzurri e dei Verdi, le quali, unite insieme le loro forze, rendettero impotenti quelle della civile e militare autorità. Le chiavi della capitale, e gli stendardi delle guardie furon depositate nel Foro di Costantino, che era il posto ed il campo principale dei Fedeli. Questi spendeano i giorni e le notti a cantar Inni in onore del loro Dio, o a saccheggiare e ad ammazzare i servi del loro Principe. Fu portata per le strade in punta ad un'asta la testa d'un monaco, amato da Anastasio, e, secondo il linguaggio dei fanatici, l'amico del nimico della Santa Trinità; e le torce ardenti scagliate contro le case degli eretici, portarono indistintamente l'incendio sugli edifici dei più ortodossi. Furon messe in pezzi le statue dell'Imperatore; Anastasio corse a celarsi in un sobborgo, sino a tanto che finalmente dopo tre giorni prese coraggio ad implorare la clemenza dei sudditi. Comparve egli sul trono del Circo senza diadema, e in figura di supplicante. I Cattolici recitarono alla sua presenza il Trisagion primitivo ed originale; ed accolsero con grida di trionfo la proposta che per la voce d'un Araldo fece ai medesimi d'abdicare la porpora: si arresero nondimeno alla osservazione con cui furono avvertiti, che non potendo tutti regnare, doveano prima di quella abdicazione accordarsi per la scelta d'un sovrano; ed intanto accettarono il sangue di due ministri abborriti dal popolo, che dal lor padrone vennero senza esitanza condannati ai leoni. Queste furiose, ma momentanee sedizioni prendean vigore dalle vittorie di Vitaliano, che con un esercito di Unni e di Bulgari, per la maggior parte idolatri, si fece campione della Fede cattolica: conseguenze di questa pia ribellione furono lo spopolamento della Tracia, l'assedio di Costantinopoli, e la strage di sessantacinquemila Cristiani. Continuò Vitaliano le devastazioni sino al tempo in cui ottenne, che fossero richiamati i Vescovi, ratificato il Concilio di Calcedonia, e data al Papa quella soddisfazione che domandava. In punto di morte Anastasio sottoscrisse suo malgrado questo Trattato ortodosso, e lo zio di Giustiniano ne adempiè fedelmente le condizioni. Tale fu l'esito della prima guerra religiosa97 intrapresa sotto il nome del Dio di Pace dai suoi discepoli98.

A. D. 514-565

Abbiamo già mostrato Giustiniano come principe, conquistatore, e legislatore: ci rimane di delinearne il ritratto come teologo99; e ciò che anticipatamente ne dà un'idea sfavorevole, il suo ardore per le materie teologiche, forma uno de' tratti più marcati del suo carattere. Al pari de' suoi sudditi, nutriva in cuore una gran venerazione pe' Santi viventi, e morti. Il suo Codice, e particolarmente le sue Novelle, confermano ed estendono i privilegi del clero, ed ogni volta che nasceva un dibattimento tra un monaco o un laico, propendeva a decidere che dal lato della Chiesa stava mai sempre la giustizia, la verità, l'innocenza. Nelle sue divozioni pubbliche e private assiduo ed esemplare, uguagliava nelle orazioni, nelle vigilie, ne' digiuni le austerità monastiche: ne' sogni della sua fantasia credeva o sperava d'essere inspirato: si tenea sicuro della protezione della Santa Vergine, e di San Michele Arcangelo, e attribuì all'aiuto de' SS. Martiri Cosimo e Damiano la sua guarigione da una malattia pericolosa. Empiè di monumenti della sua religione la capitale e le province100; e quantunque al suo gusto per le arti, ed alla sua ostentazione riferire si possa la maggior parte di que' sontuosi edificii, probabilmente il suo zelo era animato da un sentimento naturale d'amore e di gratitudine verso i suoi invisibili benefattori. Fra i titoli delle sue dignità, quello che più gli piaceva era il soprannome di Pio. La cura degl'interessi temporali e spirituali della Chiesa fu la più seria occupazione della sua vita, e spesso sagrificò i doveri di padre del popolo a quelli di difensore della Fede. Le controversie del suo tempo erano analoghe al suo naturale, e al suo animo, e ben doveano i professori di teologia ridersi in lor secreto d'un principe che faceva l'ufficio loro, e trascurava il suo. «Che potete voi temere da un tiranno che è schiavo della sua divozione? diceva a' suoi colleghi un ardito cospiratore; egli passa le intere notti disarmato nel suo gabinetto a discutere con vecchioni venerandi, e a confrontare le pagine de' volumi ecclesiastici101.» Egli espose il frutto delle sue vigilie in molte conferenze, ove fece gran figura ugualmente per forza di pulmoni, per sottigliezza d'argomenti, e in molti sermoni ancora che, sotto il nome d'editti e d'epistole, annunciavano all'impero la dottrina teologica del Padrone. Nel mentre che i Barbari invadevano le province, o le legioni vittoriose marciavano sotto le insegne di Belisario e di Narsete, il successore di Traiano, ignoto a' suoi eserciti, era contento di trionfare presedendo ad un Sinodo. Se avesse invitato a quelle adunanze un uom ragionevole e disinteressato, avrebbe potuto imparare «che le controversie religiose derivano dall'arroganza e dalla stoltezza; che la vera pietà meglio si manifesta col silenzio e colla sommessione: che l'uomo che non conosce la natura propria, non debbe essere ardito di scandagliare la natura del suo Dio, e che a noi basta il sapere che la bontà, e la possanza sono le attribuzioni della Divinità102».

 

La tolleranza non era la virtù del suo secolo, nè frequente virtù de' Principi è l'indulgenza verso i ribelli; ma quando si digrada un sovrano ad avere le basse mire e le passioni irascibili d'un teologo polemico, agevolmente è solleticato a supplire coll'autorità alla mancanza de' suoi argomenti, e a punire senza pietà il perverso accecamento di coloro che chiudono gli occhi alla luce delle sue dimostrazioni. Nel regno di Giustiniano veggiamo una scena uniforme, benchè variata, di persecuzione, e per questa pare che abbia superati i suoi indolenti predecessori, sia nella invenzione delle leggi penali, sia nella severità della esecuzione. Egli non assegnò che tre mesi per la conversione o per l'esilio di tutti gli eretici103, e se costantemente dissimulò l'infrazione di questa legge, erano però sotto il suo giogo di ferro privati non solo di tutti i vantaggi sociali, ma di tutti i diritti di nascita che poteano pretendere come uomini e come cristiani. Dopo quattro secoli, i Montanisti della Frigia104 respiravano tuttavia quel salvatico entusiasmo di perfezione, e quel foco profetico, ond'erano stati infiammati da' loro Apostoli, maschi o femmine105, particolari strumenti dello Spirito Santo. Essi all'avvicinarsi de' sacerdoti, e de' soldati cattolici coglievan con trasporto la corona del martirio; perivano nelle fiamme il Conciliabolo, e li congregati; ma l'anima dei primi fanatici viveva ancora la stessa trecent'anni dopo la morte del lor tiranno. A Costantinopoli non aveva la chiesa degli Ariani protetta dai Goti, temuto il rigor delle leggi: in ricchezza e in magnificenza non cedevano i loro preti al senato, e poteano benissimo l'oro e l'argento che loro tolse Giustiniano essere rivendicati come i trofei delle province, e le prede dei Barbari. Un picciol numero di Pagani, tuttavia nascosti tanto nelle classi più costumate, quanto nelle più rozze della società erano odiati dai Cristiani, ai quali forse non piaceva, che veruno straniero fosse testimonio delle lor liti intestine. Fu nominato Inquisitor della fede un Vescovo, il quale non tardò a svelare alla Corte, ed alla città magistrati, giureconsulti, medici, sofisti, sempre adetti alla superstizione dei Greci. Venne loro intimato positivamente di eleggere, senza indugio, o di spiacere a Giove od a Giustiniano, poichè non sarebbe più permesso ai medesimi di celare l'avversione che avevano per l'Evangelo sotto la scandalosa maschera dell'indifferenza, o della pietà. Il patrizio Fozio fu probabilmente il solo, che si mostrasse fermo di vivere e di morire come i suoi antenati; con un colpo di pugnale si tolse alla servitù, e lasciò al Tiranno il miserabile piacere di esporre ignominiosamente agli sguardi del Pubblico il cadavere di colui, che avea saputo fuggirgli di mano. Gli altri suoi fratelli, meno coraggiosi, si sottomisero al Monarca temporale. Ricevettero il Battesimo, e s'ingegnarono con uno zelo straordinario di cancellare il sospetto, o d'espiare il delitto della loro idolatria. Nella patria d'Omero, e nel teatro della guerra troiana covavano le ultime faville della greca mitologia: per opera del Vescovo stesso, o sia Inquisitore, di cui ragionammo testè, si trovarono, e furono convertiti settantamila Pagani nell'Asia, nella Frigia, nella Lidia, e nella Caria. Si fabbricarono novantasei chiese per li Neofiti; e la pia munificenza di Giustiniano somministrò i lini, le Bibbie, le liturgie, e i vasi d'oro e d'argento106. Gli Ebrei, a poco a poco spogliati delle loro immunità, furono obbligati da una legge tirannica a celebrare la Pasqua nel giorno medesimo dei Cristiani107. Ebbero motivo di lagnarsene con più ragione, poichè i Cattolici stessi non andavan d'accordo sui calcoli astronomici del sovrano. Erano avvezzi gli abitanti di Costantinopoli a cominciare la quaresima una settimana dopo l'epoca determinata dall'Imperatore, e quindi avevano il piacere di digiunar sette giorni, nei quali per ordine dell'Imperatore eran pieni di carne i mercati. I Samaritani della Palestina108 formavano una razza bastarda, una Setta equivoca; i Pagani li trattavano da Giudei, i Giudei da Scismatici, e i Cristiani da Idolatri. La croce che da quelli si risguardava come una abbominazione stava già piantata sopra la santa montagna di Garizim109; ma per la persecuzione di Giustiniano, non rimase loro che l'alternativa tra il Battesimo, o la ribellione; elessero l'ultimo partito: comparvero in armi sotto le bandiere d'un Capo disperato, e col sangue d'un popolo senza difesa, co' suoi beni, co' suoi templi pagarono i mali che avevano dovuto soffrire. Finalmente furono soggiogati dalle milizie dell'Oriente: se ne contarono di trucidati ventimila, altri ventimila furon venduti dagli Arabi agl'Infedeli della Persia e dell'India, e gli avanzi di questa sciagurata nazione meschiarono col peccato dell'ipocrisia il delitto della ribellione. Si è fatto il conto, che la guerra dei Samaritani costò la vita a centomila sudditi dell'impero110, e coperse di ceneri una provincia ubertosa che fu cangiata in un orrido deserto. Ma nel Simbolo di Giustiniano si potea senza taccia scannare i miscredenti, ed egli piamente adoperò il ferro ed il fuoco per rassodare l'unità della Fede cristiana111.

A. D. 532-698

Con tai sentimenti era almeno mestieri aver sempre ragione. Ne' primi anni del suo regno segnalò il suo zelo, come discepolo e protettore della Fede ortodossa. Nel riconciliarsi dei Greci e dei Latini il tomo di San Leone divenne il Simbolo dell'Imperatore e dell'Impero; i Nestoriani e gli Eutichiani erano dalle due parti investiti dalla spada a due tagli della persecuzione, e i quattro Concilii di Nicea, di Costantinopoli, d'Efeso e di Calcedonia furono ratificati dal codice d'un legislatore cattolico112; ma nel mentre che Giustiniano non lasciava cosa intentata per mantener l'uniformità della Fede e del Culto, sua moglie Teodora, i cui vizi non si consideravano incompatibili colla divozione, aveva dato orecchia alle prediche monofisite; quindi sotto la protezione dell'Imperatrice ripreser coraggio, e si moltiplicarono i pubblici o secreti nemici della Chiesa. Un dissidio spirituale metteva a soqquadro la capitale, il palazzo, ed il talamo; ma tanto era dubbia la sincerità di Giustiniano e di Teodora, che assai persone accagionavano dell'apparente loro dissensione una clandestina lega malefica contro la religione e la felicità del popolo113. La famosa disputa dei tre Capitoli114 che ha empiuto più volumi, quando bastavano poche linee, dimostra assai questo spirito d'astuzia e di mala fede. Volgevano tre secoli da che il corpo di Origene115 era pasto dei vermi, l'anima sua, della quale egli aveva insegnato la preesistenza, era in mano del suo creatore; ma i monaci della Palestina avidamente ne leggevano i libri. L'occhio acuto di Giustiniano vi scorse dentro più di dieci errori di metafisica, e perì il dottore della prima Chiesa in compagnia di Pittagora e di Platone, e fu dannato dal Clero all'eterno fuoco infernale, poichè aveva osato negare l'esistenza dell'inferno. Sotto questa condanna stava celato un perfido assalto contro il Concilio di Calcedonia. Aveano i Padri udito senza inquietarsi l'elogio di Teodoro di Mopsuesta;116 e la lor giustizia o indulgenza aveva restituito alla comunion de' Fedeli Teodoreto di Cirra e Ibasso di Edessa; ma questi Vescovi d'Oriente erano tacciati d'eresia; maestro fu il primo di Nestorio, amici di quell'eretico gli altri due; i passi i più sospetti de' loro scritti furono denunciati sotto il titolo dei tre Capitoli; e con questa macchia impressa sulla loro memoria era per necessità messo a repentaglio l'onor d'un Concilio che dal Mondo cattolico era nominato con venerazione, almeno in apparenza. Nondimeno, se questi Vescovi o innocenti, o colpevoli erano sepolti nella notte eterna, non poteano svegliarli i clamori che si faceano sulla lor tomba un secolo dopo la lor morte; se in un'altra supposizione stavano già in balìa del demonio, non potea più l'uomo nè aggravarne, nè mitigarne i tormenti; e finalmente, se godevano in compagnia dei Santi e degli Angeli la ricompensa dovuta alla lor pietà, dovean ridere del vano furore degli insetti teologici, che strisciavano ancora sulla faccia della terra. L'Imperator de' Romani, ch'era di quegli insetti il più arrabbiato, vibrava il suo pungiglione, e scagliava il veleno senza avvedersi probabilmente dei veri moventi di Teodora e degli ecclesiastici che l'assecondavano. Non eran più soggette le vittime al suo potere, e i suoi editti con tutta la lor veemenza non valevano che a pubblicarne la dannazione, e ad invitare il clero dell'Oriente ad unirsi con lui per caricarli d'imprecazioni e di anatemi. Stettero esitanti i Prelati orientali nel congiungersi per questo oggetto col loro sovrano; fu tenuto a Costantinopoli il quinto Concilio generale, ove intervennero tre Patriarchi, e cento sessantacinque Vescovi, e gli autori, come pure i difensori dei tre Capitoli, furono separati dalla comunione de' Santi, e consegnati solennemente al principe dello tenebre. Le Chiese latine aveano più zelo per l'onor di Leone e del Concilio di Calcedonia; e se, come erano solite, avessero combattuto sotto lo stendardo di Roma, avrebbero forse fatto sì che trionfasse la causa della ragione e della umanità; ma il loro Capo era prigioniero, e in mano del nemico; il trono di San Pietro deturpato dalla simonìa fu tradito dalla viltà di Vigilio, il quale dopo una lunga e strana lotta, si sottomise al despotismo di Giustiniano e ai sofismi dei Greci. Per la sua apostasia s'adontarono i Latini tutti, nè vi furono che due Vescovi, che volessero conferire gli Ordini sacri a Pelagio, suo diacono e successore. Pure la perseveranza del Papi trasferì a poco a poca nei loro avversari il titolo di scismatici: la potenza civile del pari che l'ecclesiastica sostenute dalla forza militare, venivano opprimendo, benchè con fatica, le Chiese dell'Illiria, dell'Affrica, e dell'Italia:117 i Barbari, lontani dalla sede dell'impero, si attenevano alla dottrina del Vaticano; e in men d'un secolo lo scisma dei tre Capitoli morì in un cantone oscuro della provincia veneta118; ma pel mal'umore degli Italiani irritati da quella disputa religiosa s'erano agevolate le conquiste dei Lombardi, e già gli stessi Romani erano avvezzi a sospettare della Fede, come a detestar l'amministrazione del tiranno regnante in Bizanzio.

Non seppe Giustiniano star fermo nè consentaneo a sè nelle risoluzioni difficili che volle usare per determinare l'incertezza delle sue opinioni e di quelle dei sudditi: era malmenato in gioventù quando non s'allontanava poco nè punto dalla linea ortodossa; in vecchiezza trascorse egli stesso al di là della linea d'una moderata eresia, ed i Giacobiti, come i Cattolici furono scandalezzati; udendolo dichiarare che il corpo di Cristo era incorruttibile, e che la sua umanità non avea mai provato alcun bisogno, o infermità della nostra vita mortale. Questa fantastica opinione sta registrata ne' suoi ultimi editti: alla sua morte, che succedette veramente a tempo; aveva il Clero ricusato di sottoscriverla, e già il principe s'apparecchiava a cominciare una persecuzione; e il popolo era apparecchiato a soffrirla o farle resistenza. Un Vescovo di Treveri, che si vedeva sicuro per la sua situazione dai colpi del monarca dell'Oriente, gli diresse alcune osservazioni collo stile dell'affetto e dell'autorità. «Graziosissimo Giustiniano, gli disse, sovvengati del tuo Battesimo, e del Simbolo della tua Fede, e non disonorare i tuoi crini bianchi con una eresia. Richiama dall'esiglio i Padri e rimovi i tuoi aderenti dalla via di perdizione. Tu non puoi ignorare, che già l'Italia e la Gallia, la Spagna e l'Affrica piangono la tua caduta, e vomitano anatemi sul tuo nome. Se non ritratti immantinente quello ch'hai insegnato, se non dichiari ad alta voce: sono caduto in errore, ho peccato; anatema a Nestorio, anatema ad Eutiche: tu ti condanni a quelle fiamme, che ti consumeranno in eterno119». Egli morì senza dar segno di ritrattazione. Colla sua morte ritornò in qualche modo la pace alla Chiesa; e, cosa rara e felice, i suoi quattro successori, Giustino, Tiberio, Maurizio e Foca non figurano punto nella storia ecclesiastica dell'Oriente120.

A. D. 629

Le facoltà del senso e del raziocinio son poco capaci di operare sopra se medesime; l'occhio nostro è il più inaccessibile di tutti gli oggetti per la nostra vista, e nulla sfugge tanto al nostro pensiero, quanto le operazioni dell'animo nostro; tuttavolta pensiamo, ed anche sentiamo, che ad un ente ragionevole e consapevole della sua esistenza, compete essenzialmente una volontà, vale a dire un sol principio d'azione. Quando Eraclio tornò dalla guerra di Persia, quest'eroe ortodosso dimandò ai Vescovi se il Cristo ch'egli adorava in una sola persona, ma in due Nature, fosse mosso da una sola, o da una doppia volontà. Essi risposero, che una sola volontà animava il Cristo, e l'Imperatore sperò che questa dottrina, scevera certamente d'inconvenienti, e che sembrava la vera, poichè veniva insegnata dagli stessi Nestoriani121, richiamerebbe dall'errore i Giacobiti dell'Egitto e della Siria. Ne fu fatta la prova, ma inutilmente; e fosse zelo, fosse timore, non si credettero lecito i Cattolici di dar indietro neppure in apparenza davanti un nemico astuto ed audace. Allora gli Ortodossi ch'erano dominanti, nuove formole inventarono, nuovi argomenti, e nuove interpretazioni: supposero in ciascheduna delle due Nature di Cristo un'energia propria e distinta: la differenza divenne impercettibile, quando confessarono essere invariabilmente la stessa tanto la volontà umana che la divina122. Si palesò la malattia coi sintomi ordinari; ma i Sacerdoti greci, quasi fossero già sazi dell'interminabil controversia sopra l'Incarnazione, diedero al principe ed al popolo eccellenti consigli. Si dichiararono Monoteliti (difensori d'una sola volontà); ma risguardarono per nuovo il vocabolo, e per superflua la quistione, e raccomandarono un religioso silenzio, siccome la cosa più conforme alla prudenza ed alla carità evangelica. In processo di tempo questa legge di silenzio venne statuita dall'Ectesi, o esposizione di Eraclio, e dal tipo o formolario della fede di Costanzo, suo nipote123; e i quattro Patriarchi di Roma, di Costantinopoli, d'Alessandria, e d'Antiochia sottoscrissero quegli editti del principe, gli uni con piacere, gli altri a malincuore. Ma il Vescovo, e i Monaci di Gerusalemme gridarono all'armi: le Chiese latine scorsero un errore celato nelle parole, o ben anche nel silenzio dei Greci, e dall'ignoranza più temeraria dei successori di Papa Onorio fu ritrattata, o censurata l'obbedienza da lui prestata agli ordini del suo sovrano. Condannarono l'esecrabile ed abbominevole eresia dei Monoteliti, che rinovavano gli errori di Manete, di Apollinare, d'Eutiche etc. Sopra la tomba di S. Pietro segnarono il decreto di scomunica; l'inchiostro fu mescolato al vino del sacramento, cioè, al Sangue di Cristo; nè fu dimenticata veruna cerimonia, che giovasse ad empiere d'orrore o di terrore gli spiriti superstiziosi. Come rappresentanti della Chiesa d'Occidente, papa Martino e il Concilio di Laterano scomunicarono il colpevole e perfido silenzio dei Greci: centocinque Vescovi d'Italia, quasi tutti sudditi di Costanzo, non temettero di rigettare il suo tipo odioso, l'empia Ectesi del suo avo, e di confondere gli autori, e i loro aderenti con ventuno eretici conosciuti disertori della Chiesa, e stromenti del demonio. Sotto un principe anche dei più sommessi alla Chiesa, non sarebbe rimasa impunita cotanta ingiuria. Papa Martino terminò la vita sulla costa deserta del Chersoneso Taurico, e l'Abate Massimo, ch'era il suo oracolo, fu crudelmente punito coll'amputazion della lingua, e della mano destra124. Ma trasmisero la propria ostinazione ai successori: il trionfo dei Latini li vendicò della sconfitta che avevano sofferta, e cancellò l'obbrobrio dei tre Capitoli. Furono raffermati i Sinodi di Roma dal sesto Concilio generale tenuto a Costantinopoli nel palazzo, e sotto gli occhi d'un nuovo Costantino discendente d'Eraclio. La conversion del principe si trasse dietro quella del Pontefice di Bizanzio e del maggior numero dei Vescovi125; i dissidenti, dei quali era Capo Macario d'Antiochia furon condannati alle pene spirituali e temporali, sancite contro l'eresia; s'acconciò l'Oriente a ricevere lezione dall'Occidente, e fu in termini definitivi regolato il Simbolo della Fede, che insegna ai Cattolici di tutti i tempi, che la persona di Gesù Cristo univa in sè due volontà, o due energie, le quali operavano di accordo fra loro. Due Sacerdoti, un Diacono, e tre Vescovi rappresentarono la maestà del Papa, e del Sinodo romano; ma questi oscuri teologi dell'Italia non aveano nè soldati per sostenere le loro opinioni, nè tesori per comperare partigiani, nè eloquenza per attirare proseliti; e non so per qual'arte indurre potessero il superbo Imperatore dei Greci ad abiurare il cattechismo della sua infanzia ed a perseguitare la religione degli avi suoi. Forse, che i Monaci e il popolo di Costantinopoli126 favoreggiavano la dottrina del Concilio di Laterano, che in fatti è delle due la men ragionevole;127 questo sospetto viene avvalorato dalla considerazione che non era di naturale troppo moderato il Clero greco, il quale parve sentire in questa lite la sua debolezza. Mentre il Sinodo stava discutendo la questione, un fanatico propose per più breve espediente quello di risuscitare un morto; assistettero all'esperienza i Prelati, ma l'unanimità con cui si decise che il miracolo era mancato potè divenire una prova, che le passioni e i pregiudizi della moltitudine non sosteneano la parte dei Monoteliti. Nella generazion successiva, quando il figlio di Costantino fu deposto, e messo a morte dal discepolo di Macario, gustarono il piacere della vendetta e della dominazione: il simulacro, o il monumento dal sesto Concilio ecumenico fu tolto di mezzo, e gli Atti originali di quel tribunale ecclesiastico furon dati alle fiamme. Ma nel secondo anno di regno fu balzato dal trono il loro protettore; i Vescovi dell'Oriente furono liberati dalla legge di conformità, cui erano stati momentaneamente sottomessi; fu rimessa la fede della Chiesa romana sopra basi più salde dai successori ortodossi di Bardane; e la disputa più popolare, e più sensibile sul culto delle Immagini mandò in dimenticanza i bei problemi sull'Incarnazione128.

84Vedi nell'Appendice agli Atti di Calcedonia, la conferma di questo Sinodo fatta da Marciano, (Concil. t. IV, pag. 1781, 1783), le sue lettere ai monaci d'Alessandria (p. 1791), a quei del monte Sinai, (p. 1793), a quei di Gerusalemme e di Palestina (pag. 1798), le sue leggi contro gli Eutichiani (p. 1809, 1811, 1831), il carteggio di Leone coi Sinodi provinciali intorno la rivoluzion d'Alessandria. (p. 1835-1930).
85Fozio (o più veramente Eulogio d'Alessandria) in un bel passo della sua opera confessa, che par ben fondata questa doppia accusa contro Papa Leone e il suo Concilio di Calcedonia (Bibl. cod. CCXXV, p. 768). Facea egli una doppia guerra ai nemici della Chiesa e feriva l'uno o l'altro di costoro cogli strali del suo avversario κατ’αλληλοις βελεσι τους αντιπαλους επετροσκε. Parea che stabilisse contro Nestorio συγχυσις, la confusione delle Nature dei Monofisiti; contro Eutiche confermasse υποσασεων διαφορα, la diversità di sostanze dei Nestoriani. Dice l'apologista, che bisogna interpretare con carità le azioni dei Santi: se si fosse proceduto così riguardo agli eretici le controversie si sarebbero terminate in vani schiamazzi esalati per l'aria.
86Era soprannominato Αιλουρος, il gatto, in grazia delle sue corse notturne. In mezzo all'oscurità, e mascherato girava attorno alle celle del monastero, e dirigeva ai suoi confratelli addormentati parole ch'erano credute rivelazioni (Theo. Lector. l. I).
87Φονους τε τολμηναι μυριους, αιματων πληθει μολυνθηναι μη μονον την γην αλλακαι αυτον αερα, essersi sofferte stragi a migliaia, dalla piena di sangue essere stata contaminata, non la sola terra, ma l'aria stessa. Tal'è il linguaggio iperbolico dell'Ennotico.
88Vedi la Cronica di Vittore Tunninense, nelle Lezioni antiche di Canisio, ristampate da Basnagio (t. 1, p. 326.)
89L'Ennotico è stato trascritto da Evagrio, (l. III, c. 13) e tradotto da Liberato (Brev. c. 18). Pagi (Critica, t. II, p. 411), ed Assemani (Bibl. orient. t. I, p. 343), non ci vedeano eresia di sorta; ma Petavio (Dogm. Theolog. t. V, l. I, c. 13, p. 40) si è fatta lecita una assai strana asserzione, dicendo, Calcedonensem ascivit. Un suo nemico potrebbe dargli l'accusa di non aver mai letto l'Ennotico.
90Vedi Renaudot (Hist. Patriarch. Alex. p. 123, 131, 145, 195, 247). Furono riconciliati da Marco I (A. D. 799-819) il quale promosse i Capi ai vescovadi di Atribis e di Talba, forse Tava, (Vedi d'Anville p. 87) e supplì alla mancanza dei Sacramenti che non erano stati conferiti in una Ordinazione episcopale.
91De his quos baptisavit, quos ordinavit Acacius, maiorum traditione confectam et veram, praecipue religiosae sollicitudini congruam praebemus sine difficultate medicinam. (Gelasio in epist. 1 ad Euphemium. Conc. t. V, p. 286). La proferta d'una medicina prova la malattia, e molti saran periti, prima che arrivasse il medico Romano. Tillemont medesimo (Mém. ecclés. t. XVI, p. 372, 642, etc.) è nauseato dal naturale orgoglio e poco caritatevole dei Papi; presentemente son contenti, egli dice, d'invocar S. Flaviano d'Antiochia e S. Elia di Gerusalemme ec. a cui quando eran viventi ricusavan la comunione. Ma il cardinal Baronio sta saldo e duro come la rupe di S. Pietro.
92Se ne cancellarono i nomi dal dittico della Chiesa: ex venerabili diptycho, in quo piae memoriae transitum ad coelum habentium episcoporum vocabula continentur. (Concil. t. IV, p. 1846). Questo registro ecclesiastico equivaleva dunque al libro della vita.
93Petavio (Dogmat. Theolog. t. V, l. V, c. 2, 3, 4, p. 217-225), e Tillemont (Mém. ecclés. t. XIV, p. 713, etc. 799), ci danno la storia e la dottrina del Trisagion; nei dodici secoli che passarono fra Isaia e il giovanetto S. Proculo, che fu rapito in Cielo alla presenza del vescovo e del popolo di Costantinopoli, era stato ben perfezionato questo Inno. Intese il giovanetto queste parole dalla bocca degli angeli. «Santo Dio! Santo forte! Santo immortale!»
94Pietro Gnafeo, il Gualchieraio, (mestiere ch'egli facea nel suo monastero) patriarca d'Antiochia. La sua noiosa storia si discute lungamente negli annali di Pagi (A. D. 477-490), e in una dissertazione del signor di Valois sulla fine del suo Evagrio.
95I cenni che si riferiscono alle turbolenze accadute sotto il regno d'Anastasio si trovano sparsi qua e là nelle Croniche di Vittore, di Marcellino e di Teofane. L'ultima non era pubblicata al tempo di Baronio; il Pagi, suo censore, è più copioso e più esatto nelle citazioni.
96Tali erano i gridi di una truppa di Monaci tumultuanti, e sediziosi, disapprovati dai veri Cristiani, che amano la pace, e che sono obbedienti ai loro Sovrani. (Nota di N. N.)
97I veri seguaci di Cristo, Dio di Pace, disapprovano queste guerre, queste ribellioni, e questi massacri promossi da monaci, e da preti, che si scostarono intieramente dalle massime cristiane le quali insegnano doversi usare la persuasione, e non la forza, ed aver sempre tolleranza ed amore. (Nota di N. N.)
98I fatti generali della storia dal Concilio di Calcedonia sino alla morte d'Anastasio sono registrati nel Breviario di Liberato (c. 14-19), nel secondo e terzo libro di Evagrio, nell'estratto dei due libri di Teodoro Lettore, negli Atti dei Sinodi e nella Epistole de' Papi (Concil. t. V). Le particolarità successive si trovano con qualche confusione nei tomi decimoquinto e decimosesto delle Mém. ecclés. del Tillemont. Io debbo qui prender commiato da questa guida impareggiabile, la quale fa dimenticare la sua cieca divozione coi pregi eruditi, colla cura che pone nelle sue ricerche, colla veracità ed esattezza scrupolosa che osserva. Gl'impedì la morte di terminare come aveva intenzione il sesto secolo della Chiesa e dell'Impero.
99Le accuse degli aneddotti di Procopio (c. 11, 13, 18, 27, 28), colle dotte annotazioni d'Alemanno son confermate, anzi che contraddette dagli Atti dei Concilii, dal quarto libro d'Evagrio, e dalle lagnanze dell'Africano Facondo in un duodecimo libro de tribus capitalis; cum videri doctus appetit importune… spontaneis quaestionibus ecclesiam turbat. (Vedi Procopio de Bell. Goth. l. III, c. 35).
100Procopio, De Aedific. l. I, c. 6, 7, etc., passim.
101’Ος δε καθηται αφυλακτος ες επι λεσχης τινος αωρι νυκτον ομου τοις των ιερεον γερουσιν ασχετον ανακυκλειν τα Χριστιανον λογια σπουδην εχων. (Procopio, De bell. goth. l. III, c. 32). L'autore della vita di S. Eutichio (apud. Alleman. ad Procop., Arcan. c. 18) fa la stessa pittura di Giustiniano, ma coll'intenzione di lodarlo.
102Procopio che espone questi sensi saggi e moderati (De Bell. goth. l. I, c. 3), è trattato per ciò duramente nella Prefazione di Alemanno, che lo mette nella lista de' cristiani politici; sed longe verius haeresium omnium sentinas, prorsusque atheos: Atei abbominevoli, che raccomandavano d'imitare la bontà di Dio verso gli uomini (Ad. Hist. Arcan. c. 13).
103Quest'alternativa che merita attenzione è stata conservata da Giovanni Malala (t. II, p. 63, edit. di Ven. 1733), il quale è sempre più degno di fede verso la fine della sua opera: dopo aver fatto l'enumerazione dei Nestoriani e degli Eutichiani ec., ne expectent, dice Giustiniano, ut digni venia judicentur; jubemus enim ut… convicti et aperti haeretici justae et idoneae animadversioni subjiciantur. Questo editto del codice è riferito con elogio da Baronio (A. D. 527, n. 39-40).
104Vedi il carattere e le massime dei Montanisti in Mosemio, (De rebus Christ. ante Costantinum, p. 410-424).
105Sono nati i Cristiani eretici detti Montanisti da Montano loro Capo, cui si unirono Priscilla, e Massimilla che abbandonarono i loro mariti; i Montanisti erano visionarii, e fanatici oltre modo. (Nota di N. N.)
106Teofane (Chronique p. 153). Da Giovanni il Monofisita, Vescovo asiatico, ci è data una delle più autentiche testimonianze che aver si possano in questo proposito, poichè impiegato all'uopo dall'Imperatore (Assemani, Bibl. orient. t. II, pag. 85).
107Si confronti Procopio (Hist. Arcan. c. 28 e le note d'Alemanno), con Teofane (Chron. p. 190). Il Concilio di Nicea aveva commessa al Patriarca, o piuttosto agli astronomi d'Alessandria, l'annua pubblicazione della Pasqua; ed ancora oggi noi leggiamo, o piuttosto non leggiamo mai, le lettere Pasquali di S. Cirillo, di cui ne rimane un buon numero. Dopo il regno del Monofisismo in Egitto, furono i Cattolici assai impacciati da un pregiudizio tanto irragionevole, quanto quello per cui i Protestanti non han voluto per lungo tempo accettare lo stile Gregoriano.
108Vedi su la Religione e la storia dei Samaritani, l'Histoire des Juifs, del Basnagio, opera dotta e imparziale.
109Sichem, Neapoli, Naplous, ch'è la residenza antica e moderna dei Samaritani, giace in una valle fra lo sterile Ebal, il monte delle Maledizioni al Nort, e il fertile Garizim, o sia monte delle Maledizioni al Sud, distante da Gerusalemme dieci od undici ore di viaggio. Vedi Maundrel, (Journey from Aleppo etc. p. 59-63).
110Procopio (Anecdot. c. II); Teofane, (Chron. pag. 152), Giovanni Malala, (t. II, pag. 62). Mi ricordo d'aver letto questa osservazione mezzo filosofica, e mezzo superstiziosa, cioè che la provincia devastata dal fanatismo di Giustiniano fu quella stessa, per cui i Musulmani entrarono nell'impero.
111Le espressioni di Procopio sono notabili: ου γαρ οι εδοκει φονος ανθρωπον εινακ, ην γε μη τηςαυτου δοξην οι τελευτωντες τυχοιεν οντες, imperocchè non gli pareva che fosse un fare strage degli uomini, se gli uccisi non erano della sua fede (Anecdot. c. 13).
112Vedi la Cronaca di Vittore p. 328, e la testimonianza originale delle leggi di Giustiniano. Pei primi anni del regno di costui Baronio è molto di buon umore con esso, poichè accarezzò i Papi sino a tanto che li tenne soggetti alla sua volontà.
113Procopio Anecdot. c. 13. Evagrio l. IV, c. 10. Se l'Istorico ecclesiastico non ha letto l'Istorico secreto, provano almeno i lor sospetti comuni, che l'odio del Pubblico era generale.
114Vedi sui tre Capitoli gli Atti originali del quinto Concilio generale tenuto a Costantinopoli; vi si trovano molti fatti autentici, ma inutili (Concil. t. VI, p. 1-419). Evagrio autor greco, è meno minuzioso e meno esatto (l. IV, c. 38) dei tre zelanti Affricani, Facondo (ne' suoi dodici libri De tribus capitulis, pubblicati da Sirmond in modo correttissimo), Liberato (nel suo Breviarum, c. 22, 23, 24), e Vittorio Tunnunense (nella sua Chron. in t. I, antiq. Lect. Canisii, pag. 330-334). Il Liber pontificalis od Anastasio (in Vigilio, Pelagio, etc.), è una prova originale, ma tutta in favore degli Italiani. Potrà il lettor moderno ricavar qualche notizia dal Dupin (Bibl. ecclésiast. t. V, p. 189-207), e dal Basnagio (Hist. de l'Eglise, t. I, p. 519-541); ma il secondo disprezza troppo l'autorità e il carattere de' Papi.
115Origene era di fatto assai propenso ad imitare la πλανη l'errore, e la δυσσεβεια l'empietà degli antichi Filosofi (Giustiniano ad Mennam, in Concil. t. VI, p. 356); mal s'accordavano collo zelo ecclesiastico le sue opinioni moderate, e fu trovato reo dell'eresia della ragione.
116Basnagio (Praefect. p. 11-14 ad tom I; Antiq. Lect. Canis.) ha benissimo pesato la colpa e l'innocenza di Teodoro di Mopsuesta: se compose diecimila volumi, vuole la carità che se gli perdonino diecimila errori. Egli è registrato, ma senza i suoi due confratelli nei cataloghi degli Eresiarchi, formati dopo di lui; ed Assemani (Bibl. orient. t. IV p. 203-207), manca al suo impegno di giustificare quel decreto.
117Vedi le doglianze di Liberato e di Vittore, e le esortazioni di Papa Pelagio al conquistatore ed all'Esarca d'Italia. Schisma… per potestates pubblicas opprimatur. etc. (Concil. t. VI, p. 467, etc.). Si teneva un esercito a reprimere la sedizione in una città dell'Illiria. Vedi Procopio (De Bell. Goth. l. IV, c. 25) ων περ ενεκα σφισιν αυτοις οι Χριςιανοι διαμαχονται, per queste cagioni i Cristiani si facean guerra fra loro. Par che prometta una storia della Chiesa: sarebbe stata curiosa e imparziale.
118Papa Onorio riconciliò colla Chiesa, (A. D. 638), i Vescovi del patriarcato d'Aquileia; (Muratori, Annal. d'Ital. t. V, p. 376); ma ricaddero nello scisma, il quale non s'estinse al tutto che nel 698. Quattordici anni prima tacitamente non avea voluto la chiesa di Spagna sottomettersi al quinto Concilio generale (XIII Concil. Toletan. in Concil. t. VII, p. 487-494).
119Nicezio, vescovo di Treveri. (Concil., t. IV, pag. 511-513) pel suo rifiuto di condannare i tre Capitoli, fu separato dalla comunione dei quattro Patriarchi, non che la maggior parte dei prelati della Chiesa gallicana (San Gregor. epist. l. VII; epist. 5 in Concil. t. VI, p. 1007). Baronio quasi quasi pronuncia la dannazione di Giustiniano (A. D. 565, n. 6).
120Dopo avere Evagrio narrata l'ultima eresia di Giustiniano (l. IV, c. 39, 40, 41), e l'editto del suo successore, (l. V, c. 3), non mette più nella sua storia fatti ecclesiastici, ma solamente civili.
121La Croze (Christian. des Indes, t. I, p. 19, 20) ha notato questa straordinaria e forse inconseguente dottrina dei Nestoriani; vien'essa esposta più minutamente da Abulfaragio (Bibl. orient. t. II, 292; Hist. dynast., pag. 91, vers. lat., Pocock), e dall'istesso Assemani (t. IV, p. 218); pare che ignorino, ch'essi poteano allegare l'autorità positiva dell'Ectesi. Ο μιαρος Νεςοριος καιπερδιαιρων ιην θειαν του Κυριου ενανθρωπησιν, και δυο εισαγων υιους δυο θελεματα τουτων ειπειν ουν ετολμησε, τουναντιον δε ταυτο βουλιαν των… δωο προσωπων εδοξασε, l'iniquo Nestorio, benchè col dividere la divina Umanità del Signore e introdurre due Nature, (rimprovero ordinario dei Monofisiti) non ebbe coraggio di asserire due volontà in esse, e per l'opposito opinò esser una la volontà delle due Persone. (Concil. t. VII, p. 205).
122Vedi la dottrina ortodossa in Petavio: (Dogmata Theolog. t. V, l. IX, c. 6-10, p. 433-447). Tutte le profondità di queste controversie si scontrano nel dialogo greco tra Massimo e Pirro (ad calcem, tom. VIII Annal. Baron. pag. 755-794); e di fatto questo dialogo era stato tenuto in una conferenza che originò una conversione di poca durata.
123Impiissimam Ecthesim… scelerosum typum (Concil. t. VII, pag. 366), diabolicae operationis genimina (forse germina, o altrimenti secondo la greca parola γενεματα, frutti, produzioni, dell'originale), Concil. pag. 363-364. Parole son queste del XVIII anatema. L'epistola di Martino ad Amando, un de' Vescovi della Gallia, maltratta con pari acerbità i Monoteliti, e la loro eresia. (p. 392).
124I mali di Martino e di Massimo son descritti con una semplicità patetica nelle lor lettere, e ne' loro Atti originali. (Concil. t. VII, p. 63-68. Baron. Annal. eccles. A. D. 656 n. 2 et annos subsequent.) Il gastigo per altro della lor disubbidienza, εξορια e σωματος αικιςμος, l'esilio e i tormenti corporali, era minacciato nel tipo di Costanzo (Concil. t. VII, pag. 240).
125Eutichio (Annal. t. II, p. 368), malamente suppone, che i cento ventiquattro Vescovi del Sinodo romano si trasportassero a Costantinopoli; e aggiuntili ai cento sessant'otto Greci, viene così componendo di duecentonovantadue Padri il sesto Concilio ecumenico.
126Costanzo, attaccato alla dottrina dei Monoteliti, era odiato da tutti, δια τοι καυτα, (dice Teofane, Chron. p. 292), εμισισθη σφαδρα παρα παντων. Quando il monaco monotelita non riuscì a fare il miracolo che aveva promesso, il Popolo fece alto schiamazzo, ο λαος ανεβοησε il popolo esclamò (Concil. t. VII, p. 1022). Ma questa fu un'emozion naturale e momentanea, e temo assai non sia stata quest'ultima un'anticipazione d'ortodossia nel buon popolo di Costantinopoli.
127È disapprovabile la franchezza dell'Autore nel dar torto (senza presentare lo stato della questione, e senza addurre le ragioni teologiche) ai Concilii di Roma, ed anche al Concilio generale VI tenuto in Costantinopoli contro i Monoteliti, ossia contro i sostenitori di una sola volontà in Gesù Cristo: questi Concilii hanno decretato, contro molti Vescovi ed ecclesiastici, essere in Gesù Cristo due volontà, concordanti per altro fra loro, e questo è ciò che si deve credere. Questa fede poi ha anche il motivo di credibilità. Era stato deciso prima dal Concilio generale III e d'Efeso I, anno 431, non essere in Gesù Cristo che una persona contro Nestorio Patriarca di Costantinopoli, e contra i Vescovi, e preti d'Oriente suoi compagni. Sosteneva egli l'Eretico, essere il Verbo (che vuol dire l'Intelligenza, o parola di Dio) e l'Uomo due persone, e quindi non poter dirsi che Maria fosse Madre di Dio, ma bensì soltanto Madre di Cristo: asseriva, che la Natura divina si è unita colla umana come un uomo che fa un'opera, è unito all'istromento di cui si serve per farla; che l'uomo a cui si unì il Verbo è un tempio nel quale abita il Verbo, il quale lo dirige, e lo anima, e non fa che un tutto con lui, e che questa era la sola unione possibile tra la Natura umana e la divina; non ammetteva che un'unione morale fra il Verbo, e la natura umana; asseriva non potersi ammettere tra la natura umana e la divina unione tale, che rendendo la Divinità soggetta alle passioni, e alle debolezze dell'umanità formi in Gesù Cristo una sola persona; negava in somma l'unione ipostatica del Verbo colla umana natura ossia l'Incarnazione, e diceva essere due persone in Gesù Cristo: soggiungeva che la frase Madre di Dio era un ostacolo alla conversione dei Gentili: imperciocchè, diceva, come si potranno impugnare le loro Divinità quando si ammetta un Dio ch'è nato, un Dio che ha sofferto, un Dio ch'è morto? L'errore di Nestorio, il quale non supponeva, che un'unione morale tra la Natura divina ed umana, asserendo essere due persone in Gesù Cristo, distruggeva tutta l'economia dalla religione cristiana, poichè egli è evidente, che in tal caso ne seguirebbe, che Gesù Cristo nostro Mediatore, e Redentore, non fosse che un semplice uomo, lo che distrugge il fondamento della religione cristiana. Il dogma dell'unione ipostatica vale a dire dell'Incarnazione, fu spiegato, e determinato dal Concilio generale III e d'Efeso I presieduto da S. Cirillo Patriarca d'Alessandria: cotal dogma non è una speculazione inutile come pretendono i liberi pensatori; serve a darci l'esempio di tutte le virtù, ad istruirci con autorità, ed a prevenire infiniti abusi, ne' quali sarebbero caduti gli uomini, quando non avessero avuto per modello, e per mediatore, fra Dio ed essi, che un semplice uomo. In questa vista i S. S. Padri hanno mirato il dogma dell'Incarnazione: ma non è questo il luogo di trattare a lungo di ciò (Vedi S. Agostino De Doctr. Christ. S. Greg. Moral. l. 6, 7). Era stato deciso, secondo gli scritti de' S. S. Padri, dal Concilio generale IV di Calcedonia l'anno 451, che in Gesù Cristo figlio di Dio perfetto nella sua Divinità, e perfetto nella sua Umanità, consustanziale al Padre secondo la Divinità, ed a noi secondo l'umanità, vi furono due Nature unite senza cangiamento, senza separazione, di modo, che le proprietà delle due Nature sussistono, e convengono ad una medesima sola persona, che non è in niun modo divisa in due, ma che è un solo Gesù Cristo figlio di Dio come era stato espresso nel Credo scritto nel Concilio generale I di Nicea, l'anno 325, e ciò contro il Monaco eretico Eutiche, Capo degli Eutichiani, il quale per fuggire l'errore del Nestorianismo delle due persone in Gesù Cristo figlio di Dio, perchè vi sono due Nature, sosteneva che le due Nature fossero talmente unite da non formarne che una sola, e confuse le due Nature in una sola spiegando ciò col dire, che la Natura umana era stata assorbita dalla divina, come una gocciola dal Mare; e così spogliava Gesù Cristo della qualità di Mediatore, e distruggeva i patimenti, la morte e la resurrezione, mentre tutte queste cose s'appartengono alla natura umana, ed alla esistenza di un'anima umana, e di un corpo umano uniti alla Persona del Verbo, e non appartengono in niun modo al solo Verbo. Se dunque era stato prima deciso dal Concilio generale IV di Calcedonia, nell'anno 451, esservi in Gesù Cristo due Nature unite, ma non confuse, ne veniva di conseguenza ch'egli dovesse avere due volontà siccome appunto decise il Concilio generale IV contro i Monoteliti, che sostenevano aver Cristo una sola volontà. Serva questa nota d'istruzione dogmatica a' lettori per que' luoghi tutti ove l'Autore fa parola della Natura, e della persona di Gesù Cristo. (Nota di N. N.)
128L'istoria del Monotelismo sta negli Atti dei Concilii di Roma (t. VII, pag. 77-395, 601-608), e di Costantinopoli (p. 609-1429). Baronio ha tratto alcuni documenti originali dalla Biblioteca vaticana, e le accurate ricerche del Pagi hanno retificata la sua cronologia. Dupin istesso (Bibliot. ecclés., t. VI, pag. 57-71), e Basnagio (Hist. de l'Eglise, t. I, p. 541-555) ne danno un compendio assai pregevole.