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Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 9

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Mentre fondavano i Papi in Italia la loro independenza e il loro dominio, le Immagini, ch'erano state la primaria cagione della loro rivolta, si restauravano nell'Impero d'Oriente280. Sotto il segno di Costantino V aveva l'unione del poter civile e del potere ecclesiastico281 rovesciato l'albero della superstizione senza sbarbicarne la radice. Quella classe di uomini e quel sesso che sono più dediti alla divozione, amavano nel lor segreto il culto degli idoli, così nomandosi allora le Immagini,282 e l'alleanza dei monaci e delle donne283 vinse decisamente la prova contro la ragione e l'autorità. Leone IV sostenne, ma con minor rigore la religion del padre e dell'avo mentre sua moglie, la bella e ambiziosa Irene, era imbevuta del fanatismo degli Ateniesi, eredi dell'idolatria assai più che della filosofia dei loro antenati. Vivente il marito, le sue inclinazioni non fecero che invigorirsi vie più pei rischi a cui l'esponevano, e per la dissimulazione che ne fu la conseguenza; solamente potè ella adoperarsi nel proteggere, e promovere alcuni monaci favoriti, che trasse dalle loro spelonche per collocarli sulle Sedi metropolitane dell'Oriente; ma non così tosto cominciò a regnare in nome proprio, e in quello del figlio, ella intese più seriamente alla ruina degl'Iconoclasti, e con un editto generale a favor della libertà di coscienza aperse la via alla persecuzione. Richiamando i monaci, espose delle Immagini a migliaia alla pubblica venerazione, e da quel punto s'inventarono mille leggende di martirii e di miracoli. Ad un Vescovo morto o scacciato, erano immantinente sostituiti uomini animati dalle sue passioni.

A. D. 787

Coloro che più ardentemente cercavano i favori temporali e celesti, prevenivano l'elezione che farebbe la sovrana, e non mancavano d'approvarla. La promozion di Tarasio, suo segretario, alla dignità di Patriarca di Costantinopoli, la fece arbitra della Chiesa d'Oriente: ma i decreti d'un Concilio generale non si poteano rivocare, che da un'assemblea della stessa qualità284; gl'Iconoclasti da lei radunati, fatti forti dal possesso attuale, pareano poco inclinati alle discussioni, e la debole voce dei loro Vescovi era avvalorata dalle grida assai più formidabili dei soldati e della plebe di Costantinopoli. Fu differito per un anno il Concilio; e in quest'intervallo si ordirono maneggi, si separarono le squadre mal affezionate, e finalmente, per toglier di mezzo tutti gli ostacoli, fu deciso che si congregherebbe il Concilio in Nicea; così secondo l'uso della Grecia fu un'altra volta la coscienza dei Vescovi in mano dei principi. Non si assegnarono che diciotto giorni pur l'esecuzione di sì grande affare; comparvero gl'Iconoclasti nell'Assemblea non come giudici, ma come rei o penitenti; la presenza dei Legati del Papa Adriano e dei Patriarchi dell'Oriente crebbero la pompa di quella scena285. Tarasio, che presedeva al Concilio, stese il decreto, che fu confermato e ratificato dalle acclamazioni e dalla sottoscrizione di trecentocinquanta Vescovi. I quali con voce unanime dichiararono, che il culto delle Immagini è conforme ai dettami della Scrittura e della ragione, dei Padri e dei Concilii; ma stettero in forse quando si volle determinare, se questo culto sia relativo, o diretto, se la Divinità e la figura di Gesù Cristo ponno ammettere la stessa forma d'adorazione. Abbiamo già gli Atti di questo secondo Concilio di Nicea; monumento singolare di superstizione e d'ignoranza, di menzogna e di follia. Solamente riferirò il giudizio dato dai Vescovi sul merito comparativo del culto che si rende alle Immagini, e della moralità nelle azioni della vita. Aveva convenuto un monaco286 una tregua col demonio della fornicazione, a patto che cesserebbe di fare le solite orazioni quotidiane davanti un'Immagine sospesa al muro della sua cella. Fu dagli scrupoli indotto a consultare il suo abate. «È meglio, gli rispose il casuista, entrare in tutti i lupanari; e visitare tutte le prostitute della città, che astenerti dall'adorar Gesù Cristo e sua Madre nelle lor sante Immagini287».

A. D. 841

È gran disgrazia per l'onor dell'ortodossia o per lo meno di quello della Chiesa romana, che i due principi i quali convocarono i due Concilii di Nicea si sieno macchiati del sangue del loro figlio288. Irene approvò e mandò despoticamente ad effetto i decreti della seconda di queste Assemblee, e ricusò ai suoi avversari quella tolleranza che da prima aveva conceduta a' suoi amici. La lite fra gli Iconoclasti e i difensori del culto delle Immagini durò trentott'anni, o sia per cinque regni consecutivi, collo stesso furore, benchè con diversi successi; ma non è mio intendimento di rivangare minutamente fatti simili ai già narrati. Diede Niceforo su questa materia una libertà generale di discorsi e di contegno; e i monaci indicarono questa sola virtù del suo regno come origine delle sue disgrazie in questo Mondo, e della sua dannazione eterna. Superstizione e debolezza fecero il carattere di Michele I; ma non valsero nè i Santi nè le Immagini, a cui offeriva omaggio continuamente, a sostenerle sul trono. Quando Leone ottenne la porpora, col nome d'Armeno, ne prese pure la religione, e le Immagini coi lor sediziosi aderenti furono di bel nuovo sbandite. Avrebbero i partigiani delle Immagini santificato cogli elogi l'assassinio di un empio tiranno; ma Michele II suo assassino, e successore, era sin dalla nascita affetto dell'eresie frigie volle interporre la sua mediazione fra le due Sette, e l'intrattabile contegno dei cattolici fece pendere la bilancia a poco a poco dall'altra parte. Per timidezza si mantenne nella moderazione; ma Teofilo, suo figlio, incapace del pari di timore e di compassione, fu l'ultimo e il più crudele degl'Iconoclasti. Allora erano sfavorevoli ad essi le disposizioni generali, e gl'Imperatori che vollero fermare il torrente, non conseguirono altro che l'odio pubblico. Morto Teofilo, una seconda moglie, Teodora sua vedova, a cui lasciò la tutela dell'Impero, finì il trionfo compiuto delle Immagini. I suoi provvedimenti furono arditi e decisivi. Per rimettere in onore la riputazione e salvar l'anima di suo marito, ebbe ricorso alla supposizione di un tardo pentimento. La punizion degl'Iconoclasti, che li condannava a perdere gli occhi, fu commutata in una flagellazione di duecento colpi di sferza; tremarono i Vescovi, mandarono grida di gioia i monaci, e la Chiesa cattolica celebra annualmente la festa del trionfo delle Immagini. Non rimaneva più da discutere che una quistione, cioè, se abbiano esse una santità loro propria ed inerente: se ne trattò dai Greci dell'undecimo secolo289, e quest'opinione è tanto assurda, che mi fa maraviglia il vedere che non sia stata ammessa in modo più positivo. Approvò Papa Adriano e pubblicò in Occidente i decreti del Concilio Niceno, rispettato oggi dai cattolici come il settimo dei Concilii ecumenici. Roma e l'Italia furono docili alla voce del lor Padre spirituale; ma la maggior parte dei cristiani della Chiesa latina rimasero in questo proposto molto addietro nella carriera della superstizione. Le Chiese di Francia, di Germania, d'Inghilterra, di Spagna s'apersero una strada fra l'adorazione e la distruzione delle Immagini, le quali da quei popoli sono ammirate ne' lor templi, non come oggetti di culto, ma come cose atte a richiamare e conservar la memoria di qualche fatto che concerne la Fede. Comparve sotto il nome di Carlomagno un libro di controversia scritto collo stile della collera290291. Si adunò a Francoforte sotto l'autorità di questo principe un Concilio di trecento Vescovi292. Questi biasimarono il furore degl'Iconoclasti, ma furon più severi nel censurare la superstizione dei Greci e i decreti del preteso loro Concilio, il quale fu lunga pezza vilipeso dai Barbari dell'Occidente293. Non fece il culto delle Immagini presso di loro che progressi taciti ed impercettibili; ma la loro esitazione e i loro indugi furono bene espiati dalla grossolana idolatria dei secoli che precedettero la riforma, e da quella che regna in diverse contrade tanto dell'Europa che dell'America, tuttavia ottenebrate dalla caligine della superstizione.

 

Dopo il secondo Concilio di Nicea, e nel regno della pia Irene, avvenne che i Papi dando l'Impero a Carlomagno, assai meno ortodosso di lei, distaccarono dall'Impero d'Oriente Roma e l'Italia. Era mestieri scegliere fra due nazioni rivali; non fu la religione il solo motivo che prevalse: dissimulando i falli dei loro amici, vedeano con inquietudine e con ripugnanza le virtù cattoliche dei nimici; di già per la differenza di lingua e di costumi s'era perpetuata la nimistà delle due capitali, e settant'anni di scisma le avevano totalmente alienate una dall'altra. In questo spazio aveano i Romani assaporata la libertà, e i Papi la signorìa; se si fossero sottomessi si sarebbero esposti alla vendetta d'un despota geloso, e la rivoluzion dell'Italia avea già svelata l'impotenza ad un tempo e la tirannide della Corte bizantina. Aveano gl'Imperatori greci rimesse le Immagini, ma non restituiti i demanii della Calabria294, nè le diocesi dell'Illiria295, usurpati dagl'Iconoclasti ai successori di San Pietro; e Papa Adriano li minacciò di scomunica se non abiuravano questa eresia pratica296. I Greci allora erano ortodossi, ma potea il monarca regnante infettar col suo soffio la lor religione; i Franchi comparivano restii; ma da un occhio acuto si potea facilmente scorgere che presto passerebbero dall'uso al culto delle Immagini. Il nome di Carlomagno avea la taccia del fiele polemico versato da' suoi scrittori: ma quanto alle opinioni sue proprie s'uniformava il vincitore, con la pieghevolezza d'un uomo accorto, alle varie idee della Francia e dall'Italia. Nei quattro pellegrinaggi, o visite ch'egli fece al Vaticano, era sembrato e per affetto e per credenza unito coi Papi; s'era inginocchiato davanti alla tomba, e per conseguente davanti l'immagine di S. Pietro, e senza scrupolo avea partecipato alle orazioni e alle processioni della liturgia romana. Ma la prudenza e la gratitudine doveano forse impedire ai Pontefici di Roma lo scostarsi dal lor benefattore? Avean essi il diritto di vendere l'Esarcato ricevuto da lui? avean essi l'autorità d'abolirne a Roma il governo? Troppo inferiore al merito e alla grandezza di Carlomagno era il titolo di patrizio, e non avean essi altro modo di sdebitarsi con lui, o di raffermare il proprio Stato, fuor quello di rinnovare l'Impero d'Occidente. Quest'atto decisivo avrebbe per sempre annichilite le pretensioni dei Greci, e Roma si sarebbe sollevata dall'umiliante condizione di città provinciale per riprendere l'antica sua maestà; i cristiani della Chiesa latina sarebbero stati riuniti sotto un Capo supremo nella prisca metropoli, e avrebbero i vincitori dell'Occidente ricevuta la corona dalle mani dei successori di S. Pietro. Si procacciava la Chiesa romana un difensore zelante e formidabile, e sotto la protezione potente dei Carlovingi avrebbe da indi in poi potuto il Vescovo di Roma governare quella capitale con onore e con sicurezza297.

 

A. D. 800

Prima della caduta del paganesimo, dalla concorrenza pel Vescovado di Roma, erano sovente nate turbolenze ed uccisioni. Nel tempo di cui parliamo era meno numerosa la popolazione, ma erano più rozzi i costumi, più rilevante il conquisto, e però dagli ecclesiastici ambiziosi, che aspiravano al grado di sovrani, era con furore disputata la Cattedra di S. Pietro. Il lungo regno d'Adriano I298 fu anche più lungo di quello de' suoi predecessori, e dei Papi che vennero di poi299; trofei della sua gloria furono l'erezione delle mura della città di Roma, il Patrimonio della Chiesa, la distruzion dei Lombardi, l'amicizia di Carlomagno; innalzò segretamente il trono dei suoi successori, e in un picciolo teatro spiegò le virtù d'un gran principe. Fu rispettata la sua memoria; ma quando fu d'uopo sostituirgli un altro, fu preferito un sacerdote della Chiesa di Laterano, Leone III, al suo nipote ed al suo favorito, da lui investiti delle prime dignità ecclesiastiche. Costoro, sotto la maschera della sommessione o della penitenza, dissimularono per quattr'anni gli orrendi loro disegni di vendetta; finalmente in una processione, un drappello di cospiratori furibondi, dopo aver dispersa una moltitudine inerme, si avventò alla sacra persona del Papa; che fu oppresso da colpi e da ferite. Voleano torgli la vita o la libertà; ma, fosse confusione o rimorso, non conseguirono l'intento. Leone, lasciato come morto sulla piazza, riavutosi dallo svenimento sofferto nel perdere il sangue, ricuperò la parola e la vista: e su questo accidente naturale fu poi fabbricata la storia miracolosa aver lui ricuperati gli occhi e la lingua, di cui l'avea privato due volte il ferro degli assassini300. Scampò dalla prigione, e si riparò nel Vaticano; volò il duca di Spoleto in suo soccorso; Carlomagno fu irritato da tanto misfatto, e il Pontefice di Roma, invitato da lui, o spontaneamente, andò a visitarlo nel campo di Paderborna in Vestfalia. Ripassò Leone le alpi, scortato da conti e da vescovi, che dovean difendere la sua persona, e sentenziare ch'egli era innocente; e non senza rincrescimento indugiò il vincitor dei Sassoni fino all'anno seguente d'andare esso stesso a compiere questo pio dovere in Roma. Vi si trasferì di fatto Carlomagno per la quarta ed ultima volta, e fu accolto cogli onori dovuti al re de' Franchi, e al patrizio di quella capitale. Fu permesso a Leone di scolparsi col giuramento dai delitti imputatigli; i suoi nimici furon ridotti al silenzio, e troppo umanamente puniti furono coll'esilio i sacrileghi assassini che aveano cospirato contro la sua vita. Nel giorno di Natale dell'ultimo anno del secolo ottavo, si trasferì Carlomagno alla Basilica di S. Pietro: per satisfare alla vanità dei Romani avea cangiato l'abito semplice della sua nazione, in quello di patrizio di Roma301. Dopo la celebrazione dei Santi Misteri improvvisamente Leone pose sul capo del principe una corona preziosa302, e risonò la Chiesa di questa acclamazione «Lunga vita e vittoria a Carlo, piissimo Augusto, coronato dalla mano di Dio, grande e pacifico Imperator dei Romani». Gli fu versato l'olio reale sulla testa e sul corpo. Secondo l'esempio de' Cesari fu salutato e adorato dal Pontefice; nel giuramento della sua incoronazione era inchiusa la promessa di mantener la Fede e i privilegi della Chiesa, e ne furono il primo frutto le ricche offerte che depose sulla tomba del Sant'Apostolo. Protestò per altro l'Imperatore, ne' suoi colloqui famigliari, di avere ignorata l'intenzione del Papa; che se ne fosse stato consapevole, l'avrebbe delusa colla sua assenza; ma per altro gli apparecchi della cerimonia doveano averne palesato il secreto, e prova il viaggio di Carlomagno ch'egli s'aspettava questa incoronazione; egli avea confessato d'ambire il titolo d'Imperatore, e da un Sinodo tenuto in Roma era stato detto quello essere il solo guiderdone proporzionato al suo merito e a' suoi servigi303.

A. D. 768-814

Soventi volte fu dato il soprannome di Grande, e talora giustamente; ma non v'ha che Carlomagno per cui questo nobile epiteto sia stato indissolubilmente accoppiato al nome proprio. Questo nome è stato collocato nel calendario di Roma fra quello dei Santi; e, per una sorte ben rara, questo Santo ottenne gli elogi degli storici e dei filosofi d'un secolo illuminato304. È fuor di dubbio per altro, che il suo merito reale risalta di più per la barbarie del secolo e della nazione sulla quale egli si sollevò; ma gli oggetti acquistano pure una grandezza apparente dal confronto della picciolezza di quelli che stan loro d'intorno, e alla nudità del deserto son debitrici le rovine di Palmira di gran parte della loro maestà. Io posso senz'ingiustizia notare alcune macchie sulla santità e la grandezza del restauratore dell'Impero occidentale. La continenza non è tra le sue virtù morali quella che risplenda di più305: per altro nove mogli o concubine, altri amorazzi meno osservati e meno durevoli, i tanti bastardi, che tutti furon da lui collocati nell'Ordine ecclesiastico, il lungo celibato e i licenziosi costumi delle sue figlie306, le quali, per quanto sembra, erano da lui amate più del dovere, non avranno forse avuto conseguenze realmente funeste alla pubblica felicità. Appena si vorrà permettermi d'accusare l'ambizione d'un conquistatore; ma in un giorno di ricompense, i figli di Carlomano suo fratello, i principi Merovingi d'Aquitania, e i quattromila cinquecento Sassoni decapitati nel luogo medesimo, avrebbero qualche rimprovero da fare alla giustizia e all'umanità di Carlomagno. Il trattamento che soffersero i Sassoni307 fu un abuso del dritto della vittoria. Le sue leggi non furono men sanguinarie delle sue armi, e nell'esame de' suoi motivi tutto quello che non si attribuisce alla superstizione debbe essere imputato al suo naturale. Il lettor sedentario stupisce dell'instancabile attività dello spirito e del corpo di quel gran principe; e i suoi sudditi erano sorpresi del pari che i suoi nemici delle subitanee comparse, con cui veniva lor sopra, quando lo credeano nelle contrade più lontane dell'Impero. Non riposava nè in tempo di pace, nè in tempo di guerra; non nel verno, non nella state; e la nostra immaginazione non sa facilmente conciliare gli annali del suo regno colle particolarità geografiche delle sue spedizioni. Ma quella prontezza era una virtù nazionale piuttosto che personale: a que' giorni il Francese passava la sua vita vagabonda alla caccia, in pellegrinaggi, o in avventura militari; nè differivano i viaggi di Carlomagno se non per una serie più numerosa di corse, e per un oggetto più rilevante. A ben giudicare della fama, che ottenne nel mestiere dell'armi, è d'uopo considerare quali fossero le sue soldatesche, i suoi nemici e le azioni sue. Alessandro fece i suoi conquisti coi soldati di Filippo; ma i due eroi, che avean preceduto Carlomagno, gli lasciarono in eredità col nome gli esempli loro, ed i compagni delle lor vittorie. Con queste vecchie milizie, di gran lunga più numerose, sconfisse egli nazioni selvagge o tralignate, inette a riunirsi per la sicurezza comune; e giammai non ebbe a combattere un esercito ugualmente copioso, o paragonabile al suo per armi o per disciplina. La scienza della guerra s'è perduta e ravvivata colle arti della pace; ma le campagne non sono state illustrate da verun assedio o da veruna battaglia molto difficile, o di successo molto strepitoso; e dovette con occhio d'invidia vedere i trionfi del suo avo sui Saracini. Dopo la sua corsa di Spagna, il suo retroguardo fu sbaragliato nei Pirenei; e i suoi soldati, che vedeansi in un cimento irreparabile e dove il valore era inutile, poterono morendo accusare il lor Generale di poca abilità o circospezione308. Con tutto il rispetto farò un cenno delle leggi di Carlomagno, tanto lodate da un giudice sì rispettabile. Le quali non formano già un sistema, ma una serie d'editti minuziosi pubblicati secondo i bisogni del momento per la correzion degli abusi, la riforma dei costumi, l'economia dei suoi possedimenti, la cura del suo pollame, ed anche la vendita delle sue uova. Volea migliorare la legislazione, e l'indole dei Francesi, e meritano elogio i suoi tentativi comecchè deboli ed imperfetti: sospese o alleviò colla sua amministrazione i mali inveterati che gravitavano sul suo secolo309; ma nelle sue instituzioni non so scorgere che di rado le mire generali e lo spirito immortale d'un legislatore, che sopravvive a sè stesso pel bene della posterità. L'unione e la fermezza del suo Impero dipendevano dalla sua vita unicamente: egli seguì l'usanza pericolosa di dividere il regno tra i figli, e dopo le tante Diete che tenne lasciò tutti i punti della Costituzione incerti, fra i disordini dell'anarchia e quei del dispotismo. Fu sedotto da' suoi riguardi per la pietà e pei lumi del clero a porre fra le mani di questo Ordine ambizioso i demanii temporali, e una giurisdizione civile; e quando Luigi suo figlio fu accusato e deposto dal trono per opera de' Vescovi, potea aver qualche dritto di accagionarne l'imprudenza del padre. Ingiunse colle sue leggi il pagamento della decima perchè i demonii avevano gridato per aria, che una penuria di grani era succeduta per motivo che non s'era pagata la decima310. Il suo gusto per le lettere è provato dalle scuole che fondò, dalle arti che introdusse ne' suoi Stati, dalle Opere pubblicate col suo nome, e dal suo commercio familiare con quei sudditi e forestieri che chiamò alla sua Corte, affinchè attendessero alla sua educazione e a quella del suo popolo. Tardivi furono i suoi studii, laboriosi ed imperfetti: se parlava il latino, e se intendeva il greco, aveva apparato più nel conversare che sui libri ciò che ne sapea di queste due lingue; e solo in età matura s'ingegnò il sovrano dell'Impero Occidentale di familiarizzarsi coll'arte dello scrivere, che oggi sin dall'infanzia è conosciuta da tutti i paesani311. Allora non si studiava la grammatica, la logica, l'astronomia, la musica che per farne uso in servigio della superstizione; ma la curiosità dello spirito umano debbe finalmente perfezionarlo, e gl'incoraggiamenti dati alle scienze sono i più puri e i più bei raggi della gloria di cui si cinse il carattere di Carlomagno312. La sua figura maestosa313, il lungo suo regno, la prosperità delle sue armi, la forza della sua amministrazione, gli omaggi che gli tributarono le nazioni lontane lo sollevano sopra la turba dei Re; e la rinnovazione dell'Impero d'Occidente, ristabilito da lui, incominciò una nuova epoca per l'Europa.

Ben era degno quest'Impero del suo titolo314; ed il principe che per diritto d'eredità o di conquista regnava ad un'ora sulla Francia, sulla Spagna, sull'Italia, sulla Germania, sull'Ungheria, potea considerarsi come possessore della maggior parte de' più bei reami d'Europa315. I. La provincia romana della Gallia era divenuta la monarchia di Francia; ma nel decadere della linea dei Merovingi ne furono ristretti i limiti dall'independenza de' Bretoni e dalla rivolta dell'Aquitania. Carlomagno incalzò i Bretoni sino alle rive dell'Oceano, confinò sulle coste quella feroce tribù, per l'origine e pel dialetto tanto rimota dai Francesi, e per gastigo le impose tributi, ne trasse ostaggi, e obbligolla alla pace. Dopo lungo contrasto, la provincia d'Aquitania fu confiscata, e i suoi Duchi perdettero libertà e vita. Sarebbe stata questa una punizione troppo rigorosa per governatori ambiziosi, rei soltanto d'aver voluto troppo imitare i Prefetti del Palazzo; ma una carta non guari scoperta316 prova che quelli erano gli ultimi discendenti di Clodoveo, e i legittimi eredi della sua corona per parte d'un ramo cadetto proveniente da un fratello di Dagoberto. Era ridotto l'antico loro regno al Ducato di Guascogna, colle contee di Fesenzac e d'Armagnac, situate alle falde de' Pirenei; se ne propagò la razza fino al cominciamento del sesto secolo; e sopravvissero ai Carlovingi, loro oppressori, per provare l'ingiustizia o il favore d'una terza dinastia. Unendo a sè l'Aquitania acquistò la Francia quell'estensione, che oggi conserva, aggiugnendovi i Paesi Bassi sino al Reno; II. I Saracini erano stati cacciati di Francia dal padre e dall'avo di Carlomagno; ma rimanevano padroni della maggior parte della Spagna, dalla rupe di Gibilterra fino ai Pirenei. Nel tempo delle lor dissensioni civiche, un Arabo, l'Emir di Saragossa, andò alla Dieta di Paderborna a implorar la protezione dell'Imperatore. Carlomagno si trasferì in Ispagna, ripose in carica l'Emir, e senza far distinzione, tra le varie credenze, oppresse i cristiani che vollero resistere, e premiò l'obbedienza e i servigi de' Musulmani. Indi partendo, statuì la Marca spagnuola317 che si prolungava dai Pirenei sino alla riviera dell'Ebro: il governator francese presedeva in Barcellona e reggeva le contee di Rossiglione e di Catalogna, e i piccioli regni d'Aragona e di Navarra soggiacevano alla sua giurisdizione; III. come Re dei Lombardi, e patrizio di Roma, Carlomagno governava la maggior parte dell'Italia318, la quale dalle Alpi fino alle frontiere della Calabria aveva un'estensione di mille miglia. Il Ducato di Benevento, feudo lombardo, erasi a spese dei Greci allargato su tutto il paese che forma oggi il regno di Napoli. Ma il Duca allora regnante, Arrechis, non volle partecipare alla servitù del suo paese; si dichiarò principe independente, e oppose la sua spada alla monarchia Carlovingia. Si difese egli con fermezza, nè fu senza gloria la sua sommessione; l'Imperatore si contentò ad esigerne un tributo modico, la demolizion delle Fortezze, e l'obbligo di riconoscere nelle sue monete la superiorità d'un Signore. Grimoaldo, figlio d'Arrechis, lusingando Carlomagno, e scaltramente onorandolo col nome di padre, sostenne del pari la propria dignità con prudenza, e a poco a poco Benevento si sottrasse al giogo francese319. IV. Carlomagno è il primo che sotto lo stesso scettro tenesse la Germania. Il nome di Francia orientale sussiste nel Circolo di Franconia; e per la conformità di religione e di governo s'erano recentemente incorporati gli abitanti dell'Assia e della Turingia alla nazion dei vincitori. Gli Alemanni, sì formidabili a Roma, eran divenuti i fidi vassalli e gli alleati dei Franchi, e il lor paese abbracciava il territorio dell'Alsazia, della Svevia e della Svizzera. I Bavaresi, a cui pure si lasciavano le leggi e i costumi patrii, erano più intolleranti di dominio estero; le continue tradigioni del lor Duca Tasillo giustificarono l'abolizione della sovranità ereditaria, e fu divisa l'autorità dei Duchi fra i conti che doveano custodire ad un tempo quella rilevante frontiera francese, ed esercitarvi l'officio di giudici. Ma la parte settentrionale dell'Alemagna, che dal Reno s'estende oltre l'Elba, era sempre nemica e pagana, e solo dopo una guerra di trentatre anni abbracciarono i Sassoni il cristianesimo, e furono soggetti a Carlomagno. Si discussero gl'idoli e i loro adoratori: la fondazione dei vescovadi di Munster, di Osnabruck, di Paderborna, di Minden, di Brema, di Verden, d'Hildesheim e d'Halberstadt, segnò dalle due rive del Veser i confini della Sassonia antica: formarono quei vescovadi le prime scuole e le prime città di quella terra selvaggia, e così la religione e l'umanità instillate ai fanciulli espiarono in qualche modo la strage dei padri. Al di là dell'Elba, gli Slavi, o Schiavoni, popoli di conforme costume, benchè diversi di nome, occupavano il territorio, che oggi forma la Prussia, la Polonia, la Boemia; e da qualche indizio di temporaria obbedienza furon condotti gli Storici francesi a prolungare l'Impero di Carlomagno fino al Baltico ed alla Vistola. È più recente il conquisto o la conversion di quel paese; ma si può riferire alle armi di quel principe la prima congiunzione della Boemia al Corpo Germanico. V. Agli Avari o Unni della Pannonia rendette le calamità, onde avean essi aggravate le nazioni, e dal triplice sforzo d'un esercito francese, che penetrò nella loro contrada per terra e pei fiumi, attraversando i monti Carpazii che ingombrano per lo lungo la pianura del Danubio, furono atterrate le fortificazioni dei boschi che ne cingeano i distretti e i villaggi. Dopo una lotta sanguinosa di otto anni, fu colla strage dei loro Nobili primarii vendicato l'eccidio d'alcuni Generali francesi: il resto della nazione si sottomise. Fu devastata e al tutto distrutta la reggia dal Chagan, e i tesori accumulati in due secoli a mezzo di rapine arricchirono le milizie vittoriose, o andarono ad ornare le Chiese dell'Italia e della Gallia320. Dopo l'assoggettamento della Pannonia, non ebbe l'Impero di Carlomagno altri confini che il confluente del Danubio, della Teyss e della Sava: acquistò senza fatica, ma con poco profitto, le province d'Istria, di Liburnia e di Dalmazia; e per un effetto della sua moderazione soltanto, rimasero i Greci possessori, veri o titolari, delle città marittime; ma l'acquisto di que' paesi rimoti giovò più alla sua fama che alla sua potenza, e non ebbe il coraggio di avventurare qualche fondazione ecclesiastica per togliere i Barbari alla lor vita vagabonda, ed all'idolatria. Non fece che pochi tentativi per aprire qualche canale di comunicazione tra la Saona e la Mosa, il Reno e il Danubio321. Questo divisamento se fosse stato compiuto avrebbe dato vita all'Impero; e in vece Carlomagno sprecò spesse volte, nel costruire una cattedrale, più denari e lavori di quelli che avrebbe costato sì fatta impresa.

Raffrontando i grandi tratti di questa dipintura geografica si vedrà, che l'Impero dei Francesi si estendeva fra l'Oriente e l'Occidente dall'Ebro all'Elba, o alla Vistola; fra il Settentrione e il Mezzodì, dal Ducato di Benevento alla riviera d'Eyder, che ha sempre separata la Germania e la Danimarca. Lo stato di miseria e la divisione del rimanente dell'Europa davan maggiore risalto personale e politico a Carlomagno. Gran numero di principi, d'origine Sassone o Scozzese, si contendeano fra loro le isole della Gran Brettagna e dell'Irlanda; e dopo la perdita della Spagna il regno dei Goti cristiani, governati da Alfonso il Casto, fu limitato da un'angusta catena dei monti delle Asturie. Riverivano quei regoli la potenza o la virtù del monarca Carlovingio; imploravano l'onore e la protezione della sua alleanza, lo nomavano padre comune, sommo e supremo Imperatore dell'Occidente322. Trattò più da pari a pari col Califfo Harun al Rascid323, i cui Stati andavano dall'Affrica fino all'India, e dagli ambasciatori di questo principe ricevette una tenda, un orologio da acqua, un elefante e le chiavi del Santo Sepolcro. Non è agevol cosa a comprendere la personale amicizia d'un Francese e d'un Arabo che non si eran veduti giammai, e che aveano sì diverso il linguaggio e la religione; ma quanto al loro carteggio pubblico era fondato sulla vanità; e la lontananza dell'uno dall'altro non permetteva che i loro interessi potessero trovarsi in concorrenza. Furono soggetti a Carlomagno i due terzi dell'Impero posseduto da Roma nell'Occidente, ed egli era ben compensato della parte che gliene mancava col dominio di nazioni inaccessibili e indomabili della Germania; ma nello scegliere i suoi amici fa maraviglia ch'egli preferisse sì spesso la povertà del Settentrione alle ricchezze del Mezzodì. Le trentatre campagne che fece con tante fatiche nelle foreste e nei paduli della Germania, avrebbero bastato a cacciare d'Italia i Greci, di Spagna i Saracini, e a procacciargli così tutto l'Impero di Roma. La debolezza dei Greci gli prometteva sicura e facile vittoria; la gloria e la vendetta avrebbero mosso i sudditi ad una Crociata contro i Saracini, la quale avrebbe avuto i suffragi della religione e della politica. È probabile che nelle sue imprese al di là del Reno e dell'Elba avesse in mira di sottrarre la sua monarchia al destino dell'Impero romano, di disarmare i nemici delle culte nazioni, e di sterpare i germi delle trasmigrazioni future. Ma fu saggiamente osservato dover le conquiste di precauzione essere universali per conseguire l'intento, avvegnachè allargando la sfera delle conquiste, non si fa che ingrandire il circolo de' nemici intorno alle proprie frontiere324. Coll'assoggettar la Germania s'aperse il velo che sì lungamente aveva celato all'Europa il Continente o sia le isole della Scandinavia; si risvegliò allora in que' barbari abitanti il sopito valore. Gl'idolatri della Sassonia che aveano più energia, scamparono dalle mani dell'oppressore cristiano, e cercarono un asilo nel Settentrione; ingombrarono di corsari l'Oceano e il Mediterraneo, ed ebbe Carlomagno il dolore di scorgere i funesti progressi dei Normanni, che in meno di settant'anni di poi accelerarono la ruina della sua razza, non che della sua monarchia.

280Il rimanente dell'istoria delle Immagini de Irene fino a Teodora, è stata fatta, per parte dei cattolici, da Baronio e Pagi (A. D. 780-840), da Natalis Alexander (Hist. N. T. seculum 8, Panoplia adversus haereticos, p. 118-178), e da Dupin ( Bibl. ecclés., t. VI. p. 136-154); per parte de' protestanti da Spanheim (Hist. Imag. p. 305-639), da Basnagio (Hist de l'Eglise, t. I. p. 566-572, t. II. p. 1362-1385), e da Mosheim (Institut. Hist. eccles. secul. VIII. IX). I protestanti, trattone Mosheim, sono inaspriti dalla controversia, ma i cattolici, eccetto Dupin, si danno a divedere ardenti di tutto il furore e di tutta la superstizione monastica; nè da questo odioso contagio sa preservarsi lo stesso Le Beau (Hist. du Bas-Empire) il quale era pure un uom di mondo e un letterato.
281Non è maraviglia, che Costantino V Copronimo iconoclasta, ed anche generalmente incredulo, abbia unito inconvenientemente in lui il potere civile all'ecclesiastico. Gli illuminati governi conoscono i limiti d'ambedue. (Nota di N. N.)
282Le Immagini non erano considerate idoli dai cattolici istruiti come non lo sono neppure oggidì, e come abbiamo già mostrato; gli Iconoclasti poi le consideravano tali, e perciò per uno zelo che diveniva male inteso le proscrivevano. (Nota di N. N.)
283Rimandiamo il lettore alla nostra nota in proposito. Vedi a pag. 248. (Nota di N. N.)
284Vedi gli Atti in greco e in latino del secondo Concilio Niceno, coi documenti relativi, nel volume ottavo dei Concilii (p. 645-1600 ). Una version fedele, corredata d'annotazioni critiche, moverebbe i lettori, secondo che fossero disposti nell'animo, o al riso o al pianto.
285I Legati del Papa che intervennero al Concilio erano messaggeri inviati a caso, sacerdoti senza missione speciale, che furon disapprovati nel lor ritorno. I cattolici persuasero alcuni monaci vagabondi a rappresentare i Patriarchi d'Oriente. Questo curioso aneddoto ci vien rivelato da Teodoro Studita, uno dei più Iconoclasti del suo secolo (Epist. 1, 38 in Sirmond, Opp. t. V, p. 1319.)
286Che ha a fare una estrinseca particolarità degli Atti del cattolico, e generale Concilio di Nicea II, la quale partecipava delle idee di que' tempi, colla decisione di lui che ristabilì il culto delle Immagini? quella particolarità nulla toglie all'autorità del Concilio. (Nota di N. N.)
287Συμφερει δε σοι μη καταλιπειν εν τη πολει ταυτη πορνειον εις ο μη εισελθης, η ινα αρνηση το προσκυνειν τον κυριον ημον και θεον Ιησουν Χριςον μετα της ιδιας αυτου μητρος εν εικονι. Queste visite non poteano essere innocenti poichè il Δαιμων πορνειας (il demonio della fornicazione) επολεμει δε αυτον… εν μια ουνως επεκειτο αυτω σφοδρα, Actio IV, pag. 109; Actio V, p. 1031.
288Se Costantino che convocò il primo Concilio generale di Nicea, presieduto dai Legati di Silvestro Papa, l'anno 325, che vi fu presente con gran pompa imperiale, e con soldatesche, e dove contro i Vescovi, e contro tutti gli altri numerosissimi seguaci d'Ario, per cui furon detti Ariani, fu determinato secondo l'Evangelo, che Gesù Cristo era consustanziale al Padre, espressione che fu posta nel Credo, si lasciò trasportare da furiosa gelosia, e fece uccidere Crispo suo figlio, e indi conosciuta la calunnia della moglia Fausta, matrigna di Crispo, perchè questi non aveva voluto condiscendere alla sua brama, mise a morte anch'essa, ciò nulla pregiudica l'ortodossia, cioè la retta opinione dei cattolici, a' quali Costantino non solo diede pace ma protezione validissima, e pubblica, mettendo la religione cattolica in trono, perseguitando da una parte la religione politeistica nella quale era nato, e cresciuto, e dall'altra, gli Ariani, e colmando di ricchezze e d'autorità il Papa, i Vescovi cattolici, e tutto il Clero cattolico, onde venne accrescimento e splendore a tutto il Corpo ecclesiastico, ed alla religione. Se l'Imperatrice Irene fece cavar gli occhi a suo figlio, Costantino VI, per feroce avidità di regnare, ciò neppure pregiudica l'autorità, ed il retto giudizio del Concilio generale VI, di Nicea II, da lei convocato per far decretare il culto delle Immagini, e la cui decisione osservano i cattolici anche oggidì. (Nota di N. N.)
289Vedi alcune particolarità su questa controversia nell'Alessio d'Anna Comnena (lib. V. p. 129), e in Mosheim (Instit. Hist. ecclés. p. 371, 372.)
290Noi intendiamo di parlare del Libri Carolini (Spanheim, p. 443-529) composti nella Reggia o nei quartieri d'inverno di Carlomagno a Worms, (A. D. 790), e mandati da Engeberto al Papa Adriano I, che ricevutili, scrisse una grandis et verbosa epistola. (Concil., t. VIII, p. 1553.) Quei Carolini propongono cento venti obiezioni contro il Concilio Niceno; ecco qualche saggio dei fiori rettorici che vi si incontrano: Dementiam priscae gentilitatis… obsoletum errorem… argumenta insanissima et absurdissima… derisione dignas naenias, etc.
291Crediamo che il lettore sia già munito abbastanza, dalle cose dette, contro questi scherzi inconvenienti, e queste ironie. Quanto poi ai libri detti Carolini, mandati dall'Imperatore Carlomagno al Papa Adriano I, contro il generale Concilio VI, di Nicea II, furono essi condannati da questo Pontefice colla sua lettera; e quanto al Concilio di Francoforte di 360 Vescovi, che decretò contro il culto dalle Immagini e condannò il Concilio generale VI suddetto, essendo provinciale, o nazionale, come si voglia, non ha alcuna autorità contro il Concilio generale di Nicea convocato da Irene, avvalorato, e legittimato dalla presenza dei Legati, o procuratori del Papa. (Nota di N. N.)
292Le assemblee convocate da Carlomagno concernevano l'amministrazione ad un tempo e la Chiesa; e i trecento Membri (Nat. Alexander, sec. VIII. p. 53.) che sedettero e diedero voto nell'Adunanza di Francoforte, dovean comprendere non solo i Vescovi, ma gli abati e i laici ragguardevoli.
293Qui supra sanctissima patres nostri (episcopi et sacerdotes) omnimodis servitium et adorationem imaginum renuentes, contempserunt, atque consentientes condemnaverunt. (Concil. t. IX p. 101. canon. 2. Francoforte.) Sarebbe necessario un cuor ben duro per non sentir compassione delle fatiche del Baronio, del Pagi, d'Alexander e di Maimburgo ec. impiegate ad eludere questa sciagurata sentenza.
294Teofane (p. 343) indica i demanii della Sicilia e della Calabria che davano una rendita annua di tre talenti e mezzo d'oro, forse settemila lire sterline. Luitprando fa una numerazione più pomposa dei patrimonii della Chiesa romana, nella Grecia, nella Giudea, nella Persia, nella Mesopotamia, in Babilonia, nella Libia, ingiustamente ritenuti dall'Imperator greco (Legat. ad Nicephorum, in Script. rerum Ital., t. II. part. I. p. 481.)
295Qui si parla della gran diocesi dell'Illiria orientale con l'Apulia, la Calabria e la Sicilia: Thomassin (Discip. de l'Eg., t. 1. p. 145). Per confessione dei Greci, aveva il Patriarca di Costantinopoli distaccati da Roma i Metropolitani di Tessalonica, d'Atene, di Corinto, di Nicopoli e di Patrasso (Luc. Holsten. Geograph. sacra, p. 22) e i suoi conquisti spirituali andavano fino a Napoli ed Amalfi, (Giannone, Istoria civile di Napoli., t. I, p. 517-524. Pagi A. D. 730 num. 11.)
296In hoc ostenditur, quia ex uno capitulo ab arrota reversis, in aliis duobus, in eodem (era forse lo stesso?) permaneant errore… de diocesi S. R. E. seu de patrimoniis iterum increpantes commonemus, ut si ea restituere noluerit, haereticum eum pro hujusmodi errore perserverantia decernemus. (Epist. Adriani papae ad Carolum Magnum, in Concil. t. VIII, p. 1598.) Aggiunge una ragione che direttamente si opponeva al suo procedere, dicendo, di preferire ai beni di questo Mondo corruttibile la salute dell'anime e la regola della Fede.
297Fontanini non vede negl'Imperatori se non se gli avvocati della Chiesa advocatus, et defensor S. R. E (Vedi Ducange, Gloss. lat. t. I, p. 97). Muratori, suo avversario, considera il Papa come l'Esarca dell'Imperatore. Giusta l'opinione più imparziale di Mosheim (Instit. Hist. ecclés., p. 264, 265), i Papi reggeano Roma come vassalli dell'Impero, e come possessori della più onorevole specie di feudo o di beneficio: queste particolarità, per altro premuntur nocte caliginosa!
298Un epitafio di trentotto versi, di cui si dichiara autore Carlomagno (Concil. t. VIII, p. 520), ne ragguaglia del suo merito e delle sue speranze. Post patrem lacrymans Carolus haec carmina scripsi.Tu mihi dulcis amor, te modo plango pater…Nomina jungo simul titulis, clarissima, nostraAdrianus, Carolus, rex ego, tuque pater. Può credersi che Alcuino facesse questi versi, ma che poi questo glorioso tributo di lagrime venisse da Carlomagno.
299Ad ogni nuovo Papa si fa quest'annuncio «Sancte pater, non videbis annos Petri», i venticinque anni. Esaminando la lista dei Papi si osserva che il termine medio del loro regno è di ott'anni circa; termine assai breve per un Cardinale ambizioso.
300Anastasio (t. III, part. 1. p. 197, 198) lo afferma positivamente, e lo credono pure alcuni Annalisti francesi; ma sono più ragionevoli o più sinceri Eginardo ed altri scrittori dello stesso secolo. «Unus ei oculus paululum est laesus», dice Giovanni, Diacono di Napoli (Vit. episcop. Napol., in Scriptores, Muratori, t. 1, part. 11. p. 312). Un contemporaneo, cioè Teodolfo, vescovo d'Orleans, osserva prudentemente (l. 11. carm. 3 ): Reddito sunt? mirum est: mirum est auferre nequisse. Est tamen in dubio, hinc mirer an inde magis.
301Si fece veder due volte in Roma ad istanza d'Adriano e di Leone, longa tunica et chlamide amictus, et calceamentis quoque romano more formatis. Eginardo (c. 23, p. 109-113) descrive, alla maniera di Svetonio, la semplicità del suo abito, talmente usitato in Francia, che quando Carlo il Calvo ritornò colà con un vestito forestiero, i cani patriotti gli abbaiavano dietro (Gaillard, Vie de Charlemagne, t. IV, p. 109).
302V. Anastasio (p. 199) ed Eginardo (c. 28; p. 124-128). L'unzione è riferita da Teofane (p. 399); il giuramento da Sigonio, (giusta l'Ordo romanus); e dagli Annali Bertiniani (Script. Muratori t. 11, part. II, p. 505) l'adorazione del Papa, more antiquorum principum.
303Questo gran fatto della traslazione o restaurazione dell'Impero Occidentale è narrato e discusso da Natalis Alexander (seculum, 9, Dissert. 1 p. 390-397), dal Pagi (t. III, p. 418), dal Muratori (Annali d'Italia, t. VI. p. 339-352), dal Sigonio (De regno Italiae, l. IV, Opp. t. 2. p. 247-251), dallo Spanheim (De ficta translatione imperii), dal Giannone (t. 1. p. 395-405), da Saint Marc (Abrégé chronologique, t. 1. p. 438-450), dal Gaillard (Hist. de Charlemagne. t. II, p. 386-446). Questi moderni quasi tutti van soggetti a qualche pregiudizio religioso o nazionale.
304Mably (Observ. sur l'Hist. de Franc.), Voltaire (Hist. générale), Robertson (Hist. de Charles V.) e Montesquieu (Esprit. des Lois, l. XXXI. c. 28) hanno profuso a Carlomagno gli elogi. Il Signor Gaillard pubblicò nel 1782 la storia di questo monarca (4. Vol. in 12), la quale mi fu assai profittevole, e ne ho usato liberamente. L'autore è giudizioso ed umano; la sua opera elegante ed accurata. Ho per altro esaminato anche i monumenti originali dei regni di Pipino e di Carlomagno nel quinto volume degli Storici di Francia.
305La visione di Veltin, composta da un monaco, undici anni dopo la morte di Carlomagno, lo mostra in purgatorio, ove un avvoltoio gli sta lacerando l'organo de' suoi peccaminosi piaceri, senza toccare le altre parti del suo corpo, emblemi delle sue virtù (V. Gaillard, t. II, p. 317-360.)
306Il matrimonio d'Eginardo con Emma, figlia di Carlomagno, è abbastanza confutato, per mio avviso, dal probrum e dalla suspicio rovesciate da lui su queste belle fanciulle, senza eccettuarne quella che se gli assegna per moglie (c. XIX, p. 98-100 cum notis Schmincke); un marito avrebbe avuto un animo troppo forte se avesse adempiuto così esattamente i doveri d'uno storico.
307Oltre le strage e le trasmigrazioni, a cui furono assoggettati i popoli della Sassonia, decretò Carlomagno la pena di morte ai delitti seguenti: 1. Per chi ricusava il Battesimo; 2. per chi si dicesse battezzato col fine d'evitare il Battesimo; 3. per chi ricadeva nell'idolatria; 4. per chi uccideva un sacerdote o un vescovo; 5. per chi sagrificasse vittime umane; 6. per chi mangiasse carne in quaresima; ma tutti i delitti si espiavano col Battesimo o con una penitenza (Gaillard t. II, p. 241-247); e i Cristiani sassoni diveniano gli eguali e gli amici dei Francesi. (Struv., Corpus Hist. germanicae, p. 133).
308Il famoso Rutlando, Rolando, Orlando fu ucciso in quel fatto cum compluribus aliis. La verità s'incontra in Eginardo (c. 9. Hist. de Charlemagne p. 51-56), e la favola in un supplimento ingegnoso del Signor Gaillard (t. III, p. 474). Van troppo superbi gli Spagnuoli d'una vittoria attribuita dai Monumenti storici ai Guasconi, e dai Romani ai Saracini.
309Schmidt, seguendo le migliori autorità, accenna i disordini interni e la tirannia del suo regno (Hist. des Allemands. t. II, p. 45-49).
310Omnis homo ex sua proprietate legitimam decimam ad Ecclesiam conferat. Experimento enim didicimus, in anno, quo valida illa fames irrepsit, ebullire vacuas annonas a daemonibus devoratas, in voces exprobationis auditas. Tal'è il decreto e l'asserzione del gran Concilio di Francoforte. (Canon. XXV. t. IX, p. 105) Selden (Hist. of Tythes; Works, vol. III, part. 2. p. 1146) e Montesquieu (Esprit des Lois, l. XXXI, c. 12) risguardano Carlomagno come il primo autore legale della decima. Da vero i proprietarii gliene hanno grandi obbligazioni!..
311Eginardo (c. 25, p. 119) asserisce a chiare note: tentabat et scribere… sed parum prospere successit labor praeposterus et sero inchoatus. I moderni hanno pervertito e corretto il senso naturale di queste parole, e dal titolo solo della dissertazione del Signor Gaillard (t. III, p. 247-260) trapela la sua parzialità.
312V. Gaillard, t. III, p. 138-176, e Schmidt, t. II, p. 121-129.
313Il Signor Gaillard (t. III, p. 572) determina la statura di Carlomagno (V. la Dissertazione di Marquard Freher, ad calcem Eginhard. p. 220 etc.) a cinque piedi, nove pollici di Francia, cioè a circa sei piedi, un pollice e un quarto, misura d'Inghilterra. I Romanzieri gli danno otto piedi, e a questo gigante attribuiscono un vigore e un appetito straordinario: con un sol colpo la sua buona spada, la Giojosa, divideva per mezzo un cavaliere col cavallo; mangiava in un sol pasto un'oca, due polli, un quarto d'agnello etc.
314V. un'opera concisa ma esatta ed originale del Signor d'Anville (Etats formés en Europe après la chute de l'Empire rom. en Occident, Paris, 1771, in-4.), con una carta che contiene tutto l'Impero di Carlomagno. Le varie parti sono illustrate, per la Francia dal Valois (Notitia Galliarum), per l'Italia dal Beretti (Dissertatio chorographica), e per la Spagna dal Marca (Marca Hispanica). Confesso di avere pochi materiali per la geografia del medio evo della Germania.
315Eginardo, dopo avere rapidamente narrato le guerre e i conquisti di Carlomagno (Vit. Carol. c. 5-14) ricapitola in poche parole (c. 15) le varie contrade sottomesse al suo Imperio. Struvio (Corpus Hist. german. p. 118-149), ha inserito nelle sue note i testi delle cronache antiche.
316Un diploma conceduto al monastero di Alaon (A. D. 845) da Carlo il Calvo ne dà questa genealogia. Non so se in quella catena tutti gli anelli del nono e decimo secolo sian tanto saldi quanto gli altri. Nulla di meno la genealogia è approvata e difesa tutta intera dal Signor Gaillard, (t. II. p. 60-81. 203-206), il quale afferma, che la famiglia di Montesquieu (non già quella del presidente di Montesquieu), discende, per donne, da Clotario e da Clodoveo. Pretensione innocente.
317I governatori o Conti della Marca spagnuola, verso l'anno novecento, alzarono lo stendardo della rivolta contro Carlo il Semplice; e i Re di Francia non ne han ricuperata che una picciola parte (il Rossiglione) nel 1642 (Longuerne Description de la France; t. I. p. 220-222). Il Rossiglione per altro contiene 188,900 abitanti, e paga 2,600,000 lire d'imposizione (Necker, Administration des Finances, t. I. p. 278, 279); vale a dire che forse contiene più abitanti, e sicuramente paga più che tutta la Marca di Carlomagno.
318Schmidt. Hist. des Allemands, t. II. pag. 200 etc.
319Vedi Giannone, t. I. p. 374, 375, e gli Annali del Muratori.
320Quot praelia in eo gesta! quantum sanguinis effusum sit! testatur vacua omni habitatione Pannonia, et locus in quo regia Cagani fuit ita desertus, ut ne vestigium quidem humanae habitationis appareat. Tota in hoc bello Hunnorum nobilitas periit, tota gloria decidit, omnis pecunia et congesti ex longo tempore thesauri direpti sunt.
321Non intraprese la congiunzione del Reno e del Danubio che per agevolare le operazioni della guerra di Pannonia (Gaillard, Vie de Charlemagne, t. II, p. 312-315). Pioggie esorbitanti, fatiche militari e terrori superstiziosi interruppero questo canale, che sarebbe stato lungo soltanto due leghe; se ne vedono ancora alcune vestigia nella Svevia (Schaepflin, Hist. de l'Accad. des inscript. t. XVIII. p. 256. Molimina fluviorum, etc. jungendorum, p. 59-62).
322Vedi Eginardo (c. 16), e il Signor Gaillard (t. II, p. 361-385), che riportano, senza spiegarsi troppo sull'autorità a cui s'appoggiano, il carteggio di Carlomagno e di Egiberto, il dono della sua spada fatto dall'Imperatore al principe Sassone, e la modesta risposta di questo. Se tale anneddoto è vero, sarebbe stato un ornamento di più per le nostre storie d'Inghilterra.
323Solamente gli Annali francesi parlano di questa corrispondenza di Carlomagno con Harun al Raschid; e gli Orientali hanno ignorato l'amicizia del Califfo per un cane di Cristiano; gentile espressione usata da Harun parlando dell'Imperatore dei Greci.
324Gaillard, t. II, p. 331-365, 471-476, 492. Io ho preso da lui le sue giudiziose osservazioni sul disegno di conquiste di Carlomagno, e la distinzione non men giudiziosa ch'egli fa de' suoi nemici del primo e del secondo circondario (t. II. p. 184-509 ec.).