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Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 3

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La fondazione di una nuova capitale è naturalmente connessa con lo stabilimento di una nuova forma di amministrazione sì civile che militare. Un distinto esame del complicato sistema di politica introdotto da Diocleziano, migliorato da Costantino, e perfezionato dagl'immediati di lui successori, può non solo dilettare la fantasia con la singolar pittura d'un grande Impero, ma servirà eziandio ad illustrare le segrete ed interne cause della rapida sua decadenza. Nella considerazione di altri rilevanti stabilimenti, possiamo essere spesso condotti a' più antichi o a' più moderni tempi della storia Romana; ma i limiti propri della presente ricerca saran compresi dentro il periodo di circa centotrent'anni, cioè dall'avvenimento al trono di Costantino, sino alla pubblicazione del Codice Teodosiano257; dal quale, ugualmente che dalla Notizia dell'Oriente e dell'Occidente258, trarremo le più copiose ed autentiche istruzioni dello stato dell'Impero. Questa varietà d'oggetti sospenderà per qualche tempo il corso della narrazione: ma tal interrompimento sarà criticato soltanto da que' lettori, che non sentono la importanza delle leggi e de' costumi, quando con avida curiosità leggono gl'intrighi passeggieri d'una Corte o l'accidental evento d'una battaglia.

Il virile orgoglio de' Romani, contento della potenza effettiva, aveva lasciato alla vanità dell'Oriente la formalità e le ceremonie d'una fastosa grandezza259. Ma, quando essi perdettero anche l'ombra di quelle virtù, che nascevano dall'antica lor libertà, la semplicità dei costumi Romani restò insensibilmente corrotta dalla tumida affettazione delle Corti dell'Asia. Dal dispotismo degl'Imperatori abolite furono le distinzioni del merito e del carattere personale, che son tanto cospicue in una Repubblica, e così deboli ed oscure in una Monarchia; in luogo loro fu sostituita una severa subordinazione di gradi, e di uffizi, dagli schiavi titolati, che sedevano sugli scalini del trono, sino a' più vili strumenti dell'arbitrario potere. Questa moltitudine di sudditi abbietti aveva interesse di assicurare l'attual governo dal timore d'una rivoluzione, che ad un tratto avrebbe potuto confonder le loro speranze, ed impedire il premio de' lor servigi. In questa Divina Gerarchia (giacchè in tal modo essa è frequentemente chiamata) veniva indicato con la più scrupolosa esattezza ogni grado, e se ne spiegava la dignità con una quantità di frivole e solenni ceremonie, la cognizione delle quali richiedeva uno studio, ed era un sacrilegio l'ometterle260. Fu corrotta la purità della lingua Latina, ammettendosi nell'uso continuo della vanità e dell'adulazione un'abbondanza d'epiteti, che Tullio avrebbe appena intesi, e che Augusto avrebbe rigettati con isdegno. I primi uffiziali dell'Impero venivano salutati, anche dal Sovrano medesimo, co' bugiardi titoli di vostra Sincerità, vostra Gravità, vostra Eccellenza, vostra Eminenza, vostra sublime ed ammirabil Grandezza, vostra illustre e magnifica Altezza261. Le lettere o sia Patenti del loro uffizio erano curiosamente ripiene di quegli emblemi, ch'eran più adattati a spiegarne la natura e la dignità; come sarebbero l'immagine, o il ritratto del regnante Imperatore, un carro trionfale, il libro delle costituzioni posto sopra una tavola, coperto d'un ricco tappeto, ed illuminato da quattro ceri, le allegoriche figure delle Province da governarsi, o i nomi e le insegne delle truppe, che si dovevan comandare. Alcuni di questi simboli d'uffizio erano realmente collocati nel luogo dove davasi udienza: altri precedevano il loro pomposo treno, allorchè comparivano in pubblico, ed ogni circostanza del lor portamento, dell'abito, degli ornati, e del corteggio era diretta ad ispirare una profonda venerazione per quelli, che rappresentavano la Maestà Suprema. Il sistema del governo Romano da un filosofico osservatore potrebbe prendersi per uno splendido teatro, pieno di attori di ogni grado e carattere, che ripetevano il linguaggio, ed imitavano le passioni del loro originale262.

Furono accuratamente distinti in tre classi tutti quei magistrati, ch'erano di sufficiente importanza da meritar d'aver luogo nello stato generale dell'Impero. Questi erano gli Illustri, gli Spettabili o Rispettabili, ed i Clarissimi, che si possono esprimer dagl'Inglesi colla parola onorevoli. Ne' tempi della Romana semplicità, quest'ultimo epiteto serviva solo per indicare una indeterminata espressione di deferenza, fin tanto che in progresso divenne il titolo particolare e proprio di tutti quelli, ch'erano membri del Senato263, ed in appresso di coloro, che da quel venerabil corpo venivano eletti per governar le Province. Molto tempo dopo si condiscese alla vanità di quelli, che in forza del loro grado ed uffizio potevan pretendere una maggior distinzione sopra il resto dell'ordine Senatorio col nuovo titolo di Rispettabili: ma quello d'Illustri fu sempre riservato ad alcuni personaggi eminenti, che dalle altre due classi si riverivano ed obbedivano come superiori. Esso fu comunicato soltanto 1. a' Consoli ed a' Patrizj; 2. a' Prefetti del Pretorio, ed a quelli di Roma e di Costantinopoli; 3. a' Generali di cavalleria e d'infanteria; e 4. a' sette ufficiali del palazzo, ch'esercitavano le lor sacre funzioni intorno alla persona dell'Imperatore264. Fra quegl'illustri Magistrati, che si stimavano del medesimo grado, l'anzianità nel posto cedeva il luogo alla riunione di più dignità265. Gl'Imperatori, che desideravano di moltiplicare i loro favori, potevano alle volte coll'uso de' codicilli onorarj soddisfare la vanità, ma non l'ambizione de' cortigiani impazienti266.

 

I. Fintanto che i Consoli Romani furono i primi magistrati d'uno Stato libero, dall'elezione del popolo nasceva il diritto ch'essi avevano d'esercitare la lor potestà; e fintanto che gl'Imperatori condiscesero a mascherare la servitù, che imponevano a Roma, i Consoli continuarono ad esser eletti da' voti o reali o apparenti del Senato. Ma sino dal regno di Diocleziano furono aboliti anche questi vestigi di libertà, ed i felici candidati, che venivano insigniti degli annuali onori del Consolato, affettavan di deplorare l'umiliante condizione de' loro predecessori. Gli Scipioni ed i Catoni eran ridotti a sollecitare i voti de' plebei, a sostenere le gravi e dispendiose formalità d'una elezione popolare, e ad esporre la lor dignità alla vergogna di un pubblico rifiuto; laddove il loro più fortunato destino gli avea serbati ad un secolo e ad un governo, in cui si dispensavano i premj della virtù dall'infallibil sapienza di un grazioso Sovrano267. Dichiaravasi nelle lettere, cui l'Imperatore spediva a' due Consoli eletti, ch'essi erano stati creati per la sola di lui autorità268. I loro nomi e ritratti, incisi sopra tavolette d'avorio dorate, si spargevano per l'Impero come presenti, che facevansi alle Province, alle Città, a' Magistrati, al Senato ed al Popolo269. Si faceva la solenne loro inaugurazione dov'era la residenza Imperiale, e per lo spazio di centovent'anni Roma fu continuamente priva della presenza degli antichi suoi magistrati270. La mattina del primo di Gennaio, i Consoli assumevano le insegne della lor dignità. Si vestivano in tal occasione d'un abito di porpora con ricami di seta e d'oro, ed alle volte con ornati di sontuose gemme271. In questa solennità erano corteggiati da' più eminenti uffiziali dello Stato e della milizia, in abito di Senatori; ed i littori portavano avanti di loro gli inutili fasci, armati colle, una volta, formidabili scuri272. La processione dal palazzo273 andava al Foro o piazza principale della città, dove i Consoli salivano sul lor Tribunale, e si assidevano sulle sedie curuli, fatte all'usanza degli antichi tempi. Essi esercitavano subito un atto di giurisdizione, manumettendo uno schiavo, ch'era loro presentato per quest'effetto; e tal ceremonia era diretta a rappresentare la celebre azione dell'antico Bruto, autore della libertà e del Consolato, allorchè diede la cittadinanza al fedel Vindice, che avea scoperta la cospirazione de' Tarquinii274. La pubblica festa durava più giorni in tutte le città principali, in Roma per costume, in Costantinopoli per imitazione; in Cartagine, in Antiochia ed in Alessandria per amor del piacere, e per la sovrabbondanza delle ricchezze275. Nelle due capitali dell'Impero gli annuali giuochi del teatro, del circo e dell'anfiteatro276 costavano quattromila libbre d'oro, cioè intorno a trecento e ventimila zecchini; e se una sì grave spesa oltrepassava le forze e la volontà de' magistrati medesimi, si suppliva dal tesoro Imperiale277. Tosto che i Consoli avevano adempiuto questi doveri di consuetudine, potevano ritirarsi all'ombra della vita privata, e godere nel rimanente dell'anno la tranquilla contemplazione della propria grandezza. Essi non presedevano più alle adunanze della nazione, nè più eseguivano le pubbliche determinazioni di pace o di guerra. Le loro facoltà (qualora non fossero impiegati in altri uffizi di maggior efficacia) erano di poco momento; ed i loro nomi non servivano che di legittima data per l'anno, in cui avevano essi occupato il seggio di Mario e di Cicerone. Contuttociò per altro si sentiva, e si confessava negli ultimi tempi della schiavitù Romana, che questo vuoto nome poteva paragonarsi, ed anche preferirsi al possesso della sostanzial potenza. Il titolo di Console fu sempre l'oggetto più splendido dell'ambizione, ed il premio più nobile della virtù e della fedeltà. Gli stessi Imperatori, che disprezzavano la debole ombra della Repubblica, conoscevano di acquistare maggior maestà e splendore ogni volta che assumevano gli annuali onori della dignità consolare278.

La più superba e perfetta divisione, che possa trovarsi in ogni tempo o paese fra i nobili e la volgar gente, è forse quella de' patrizi e de' plebei, quale fu stabilita ne' primi tempi della Repubblica Romana. I primi possedevano quasi esclusivamente le ricchezze e gli onori, le cariche dello Stato e le ceremonie della religione: e con la più insultante gelosia279 conservando essi la purità del lor sangue, tenevano i loro clienti in una specie di coperto vassallaggio. Ma queste distinzioni, tanto incompatibili con lo spirito d'un popolo libero, furono dopo lungo dibattimento abolite, mediante i continui sforzi de' Tribuni. I più attivi e fortunati fra' plebei accumulavano ricchezze, aspiravano agli onori, meritavano Trionfi, contraevano parentele, e dopo alcune generazioni assumevano l'orgoglio dell'antica nobiltà.280 Le famiglie patrizie, per lo contrario, il primitivo numero delle quali non era stato accresciuto fino al termine della Repubblica, o mancarono secondo l'ordinario corso di natura, o furono estinte in tante guerre di fuori e domestiche, o per mancanza di merito o di fortuna insensibilmente si frammischiarono con la massa del popolo281. Ben poche ne rimanevano, che potesser dimostrare pura e genuina l'origine loro fin dal principio della città o anche da quello della Repubblica, quando Cesare ed Augusto, Claudio e Vespasiano dal corpo del Senato prescelsero un numero competente di nuove famiglie patrizie, colla speranza di perpetuare un ordine, che si considerava sempre come onorevole e sacro282. Ma questi artificiali supplementi (ne' quali era sempre inclusa la casa regnante) furono rapidamente tolti di mezzo dal furore de' tiranni, dalle frequenti rivoluzioni, dal cangiamento de' costumi e dalla mescolanza delle nazioni283. Quando Costantino salì sul trono, poco più vi restava che una indeterminata ed imperfetta tradizione, che i Patrizi erano stati una volta i primi fra' Romani. Formare un corpo di nobili, l'influenza de' quali può restringere l'autorità del Monarca nel tempo che l'assicura, sarebbe stato molto incoerente al carattere ed alla politica di Costantino; ma quand'anche si fosse da lui nutrito seriamente questo pensiero, avrebbe oltrepassato i limiti del suo potere il ratificare con un editto arbitrario una instituzione che aspettar dee la conferma dal tempo e dall'opinione. Egli richiamò, è vero, a nuova vita il titolo di Patrizi; ma lo richiamò come una distinzione personale non ereditaria. Essi non cedevano che alla passeggiera superiorità de' Consoli annuali; ma godevano la preeminenza sopra tutti i grandi uffiziali dello Stato col più famigliare accesso alla persona del Principe. Fu dato loro quest'onorevole dignità a vita; e siccome per ordinario essi erano favoriti e ministri, che avevano invecchiato nella Corte Imperiale, così dalla ignoranza e dall'adulazione fu pervertita la vera etimologia di quel nome, ed i Patrizi di Costantino furono venerati come i padri adottivi dell'Imperatore e della Repubblica284.

 

II. Le vicende de' Prefetti del Pretorio furono totalmente diverse da quelle de' Consoli e de' Patrizi; questi videro la loro antica grandezza ridursi ad un vano titolo, quelli a grado a grado innalzandosi dalla condizione più bassa, furono investiti dell'amministrazione sì civile che militare del mondo Romano. Dal regno di Severo fino a quello di Diocleziano si confidavano alla loro soprantendenza le guardie del palazzo, le leggi e le finanze, le armate e le province; e come i Visir dell'Oriente, con una mano essi tenevano il sigillo, e coll'altra la bandiera dell'Impero. L'ambizione de' Prefetti sempre formidabile, e qualche volta fatale a' signori medesimi a' quali servivano, era sostenuta dalla forza delle truppe Pretoriane; ma dopo che quel superbo corpo fu indebolito da Diocleziano, e finalmente soppresso da Costantino, i Prefetti che sopravvissero alla caduta di quello, senza difficoltà si ridussero alla condizione di utili ed obbedienti ministri. Quando essi non furono più responsabili della sicurezza della persona Imperiale, dimisero la giurisdizione, che avevano fino a quell'ora preteso d'avere, e s'esercitarono in tutti i dipartimenti del palazzo. Tosto che cessarono di condurre alla guerra sotto i loro ordini il fiore delle truppe Romane, furono spogliati da Costantino d'ogni militar comando; ed in ultimo i capitani delle guardie, per una singolare rivoluzione, trasformati furono in civili magistrati delle province. Secondo il sistema di governo stabilito da Diocleziano, ciascheduno de' quattro Principi aveva il suo Prefetto del Pretorio, e dopo che la Monarchia si fu di nuovo riunita nella persona di Costantino, egli continuò a creare l'istesso numero di quattro Prefetti, ed alla lor cura affidò le stesse province, ch'essi già amministravano, 1. Il Prefetto dell'Oriente stendeva l'ampia sua giurisdizione alle tre parti del globo, che eran sottoposte a' Romani, dalle cateratte del Nilo ai lidi del Fasi, e dalle montagne della Tracia fino alle frontiere della Persia; 2. Le importanti province della Pannonia, della Dacia, della Macedonia e della Grecia riconoscevano una volta l'autorità del Prefetto dell'Illirico; 3. La potestà del Prefetto dell'Italia non si ristringeva soltanto al paese da cui prendeva il titolo, ma s'estendeva di più al territorio della Rezia fino alle sponde del Danubio, alle dipendenti isole del Mediterraneo ed a tutta quella parte del continente dell'Affrica, che trovasi fra' confini di Cirene e quelli della Tingitania: 4. Il Prefetto delle Gallie, sotto questa plurale denominazione, comprendeva le contigue province della Britannia e della Spagna, ed era obbedito, dalla muraglia d'Antonino fino al forte del monte Atlante285.

Dopo che i Prefetti del Pretorio furono dimessi da ogni militar comando, le civili funzioni, che fu ordinato loro d'esercitare sopra tante soggette nazioni, erano adequate all'ambizione ed all'abilità de' più consumati ministri. Alla lor saviezza fu commessa l'amministrazione suprema della giustizia e delle finanze; oggetti che in tempo di pace comprendono quasi tutti i respettivi doveri del Sovrano e del popolo; del primo per difendere i cittadini, che sono ubbidienti alle leggi; del secondo per contribuire quella porzione di lor sostanze, che si richiede per le spese dello Stato. Dall'autorità de' Prefetti del Pretorio si regolavano il conio delle monete, le pubbliche strade, le poste, i granai, le manifatture e tutto ciò, che interessar potea la pubblica prosperità. Come immediati rappresentanti della maestà Imperiale avevan la facoltà di spiegare, di ampliare, o qualche volta di modificare gli editti generali per mezzo delle prudenziali loro dichiarazioni. Invigilavano essi sulla condotta de' Governatori delle province, deponevano i trascurati, e punivano i delinquenti. In ogni affar d'importanza o civile o criminale si poteva appellare da qualunque inferior tribunale a quello del Prefetto; ma le sentenze di esso eran finali ed assolute, e gl'Imperatori medesimi ricusavano d'ammettere alcuna querela contro il giudizio, o l'integrità di un magistrato, ch'essi onoravano di tanto illimitato potere286. Il suo stipendio era conveniente alla sua dignità287; e se era dominato dalla passione dell'avarizia, gli si presentavano frequenti occasioni di fare una doviziosa raccolta di gratificazioni, di presenti e di profitti d'ogni genere. Quantunque gl'Imperatori non avessero più timore dell'ambizione de' loro Prefetti, avevano però l'avvertenza di contrabbilanciare il potere di questa gran carica con l'incertezza e la brevità della sua durata288.

Le sole città di Roma e di Costantinopoli, per causa della somma loro dignità ed importanza, erano eccettuate dalla giurisdizione de' Prefetti del Pretorio. L'immensa grandezza della città, e l'esperienza della tarda ed inefficace azione delle leggi aveva somministrato alla politica d'Augusto uno specioso pretesto d'introdurre in Roma un nuovo Magistrato, che solo potesse tenere in freno una servile e turbolenta plebaglia col forte braccio del potere arbitrario289. Per primo Prefetto di Roma fu destinato Valerio Messala, affinchè la sua riputazione favorisse un atto sì odioso; ma in capo a pochi giorni quel buon cittadino290 dimise il suo uffizio, dichiarando con un animo degno dell'amico di Bruto, ch'egli si riconosceva incapace d'esercitare un potere incompatibile colla pubblica libertà291. Quando incominciò a divenir più debole il sentimento di libertà, si videro con più chiarezza i vantaggi del buon ordine; ed al Prefetto, che sembrava esser destinato solo per terrore degli schiavi e de' vagabondi, fu permesso d'estendere la sua civile e criminale giurisdizione sulle famiglie nobili ed equestri di Roma. I Pretori, che ogni anno creavansi come giudici della legge e dell'equità, non poterono contrariar lungo tempo il possesso del Foro ad un Magistrato vigoroso e permanente, che ordinariamente ammettevasi alla confidenza del Principe. I lor tribunali erano abbandonati, il loro numero, che altre volte era stato variamente fra i dodici e i diciotto292, fu appoco appoco ridotto a due o tre, e le loro importanti funzioni si ristrinsero alla dispendiosa obbligazione293 di dare i giuochi per divertimento del Popolo. Dopo che l'uffizio de' Consoli Romani si cangiò in una vana pompa, che rare volte si sfoggiava nella capitale, i Prefetti presero il vacante lor posto in Senato, e furono ben presto riconosciuti come i Presidenti ordinari di quella augusta assemblea. Ricevevano essi gli appelli fino alla distanza di cento miglia, e risguardavasi come un principio di giurisprudenza, che da loro soli dipendeva tutta l'autorità municipale294. Nell'esecuzione del suo laborioso impiego, era il Governatore di Roma assistito da quindici uffiziali, alcuni de' quali in origine erano stati uguali o anche superiori di esso. Le principali sue incumbenze si riferivano al comando di una copiosa guardia, stabilita per difender la città dagli incendi, da' rubamenti e da' notturni disordini; alla custodia e distribuzione del grano e delle provvisioni pubbliche; alla cura del porto, degli acquedotti, delle comuni cloache, della navigazione e del letto del Tevere; ed all'inspezione sopra i mercati; i teatri e le opere sì private che pubbliche. La lor vigilanza risguardava i tre principali oggetti di una regolar polizia, vale a dire la sicurezza, l'abbondanza e la mondezza della città; ed era destinato un particolare inspettore per le statue in prova dell'attenzione del governo a conservar lo splendore e gli ornamenti della Capitale: questi era come un custode di quell'inanimato popolo, che secondo lo stravagante computo d'un antico Scrittore, appena era inferiore di numero a' viventi abitatori di Roma. Circa trent'anni dopo la fondazione di Costantinopoli, fu creato anche in quella Capitale nascente un magistrato simile al Prefetto di Roma per i medesimi usi, e colle medesime facoltà; e fu stabilita una perfetta uguaglianza fra la dignità de' due Prefetti municipali, e de' quattro del Pretorio295.

Quelli, che nell'Imperial gerarchia distinguevansi col titolo di Rispettabili, formavano una classe intermedia fra gl'Illustri Prefetti e gli Onorevoli Magistrati delle Province. In questa classe i Proconsoli dell'Asia, dell'Acaia, e dell'Affrica pretendevano la preeminenza, che accordavasi alla memoria dell'antica lor dignità; e l'appello dal lor tribunale a quello de' Prefetti era quasi l'unico segno di lor dipendenza296. Ma il governo civile dell'Impero era distribuito in tredici ampie Diocesi, ognuna delle quali uguagliava la giusta estensione di un potente Regno. La prima di queste diocesi era sottoposta alla giurisdizione del Conte d'Oriente; e si può formare un'idea dell'importanza, e del numero delle sue funzioni col solo riflettere che per l'immediato di lui uso erano impiegati seicento apparitori, che ora si direbbero segretari, giovani assistenti o messi297. Non era più occupato da un Cavalier Romano il posto di Prefetto Augustale d'Egitto: ma ne fu ritenuto il nome, e furon continuate nel Governatore di quella diocesi le straordinarie facoltà, che una volta la situazione del paese ed il temperamento degli abitanti rendettero indispensabili. Le altre undici diocesi dell'Asia, del Ponto e della Tracia; della Macedonia, della Dacia, e della Pannonia o sia dell'Illirico occidentale; dell'Italia e dell'Affrica; della Gallia, della Spagna, e della Gran-Brettagna erano governate da dodici Vicari o Viceprefetti298, il nome de' quali spiega abbastanza la natura e la dipendenza del loro uffizio. Può aggiungersi ancora, che i luogotenenti generali degli eserciti Romani, ed i Conti e Duchi militari, de' quali dovremo da qui avanti parlare, goderono la dignità ed il titolo di Rispettabili.

A misura che prevaleva ne' consigli degl'Imperatori lo spirito di gelosia e d'ostentazione, attendevano essi a dividere con diffidente sollecitudine la sostanza, ed a moltiplicare i titoli del potere. I vasti paesi, che i conquistatori Romani avevan uniti sotto la medesima semplice forma di governo, furon senz'avvedersene sminuzzati in piccioli frammenti; finchè in ultimo tutto l'Impero fu diviso in cento sedici Province, ognuna delle quali aveva un dispendioso e splendido stabilimento. Tre di queste eran governate da Proconsoli, trentasette da Consolari, cinque da Correttori, e settantuna da Presidenti. Diversi erano i nomi di questi magistrati, disposti in successivo ordine i loro gradi, ingegnosamente variate le insegne della lor dignità, e la lor situazione secondo le accidentali circostanze diveniva più o meno piacevole o vantaggiosa. Ma tutti (eccettuati solo i Proconsoli) erano ugualmente compresi nella classe degli onorevoli, ed era ugualmente affidata loro in ogni rispettivo distretto l'amministrazione della giustizia e delle finanze, finattanto che piacesse al Principe, sotto l'autorità però de' Prefetti o de' lor deputati. I ponderosi volumi de' Codici e delle Pandette299 darebbero gran materia per una minuta ricerca di quanto fosse migliorato il sistema del governo provinciale dalla saviezza de' Romani Politici e Giurisconsulti nello spazio di sei secoli. Sarà però sufficiente per un Istorico lo scegliere due singolari e salutevoli provvedimenti, diretti a restringer l'abuso dell'autorità. 1. Per mantener la pace ed il buon ordine i Governatori delle Province erano armati colla spada della Giustizia. Essi infliggevano pene corporali, e trattandosi di delitti capitali avevano il potere di vita e di morte. Ma non avevan la facoltà di concedere al condannato la scelta del supplizio, nè di condannare a veruna delle più miti ed onorevoli specie d'esilio. Queste prerogative si riservavano ai Prefetti, i quali soli potevano imporre la grave ammenda di cinquanta libbre d'oro, mentre i loro Vicari non potevan passare la piccola quantità di poche once300. Tal distinzione, la quale par che accordi un maggior grado d'autorità nel tempo stesso che ne toglie un minore, si appoggiava sopra un motivo assai ragionevole. Il grado più piccolo di potenza era infinitamente più soggetto all'abuso. Le passioni d'un Magistrato Provinciale potevano spesso indurlo ad atti di oppressione, che non attaccassero che la libertà o le sostanze dei sottoposti; ma per un principio di prudenza, e forse anche d'umanità, sempre avrebbe avuto orrore a versare un sangue innocente. Può in simil guisa riflettersi che l'esilio, le considerabili pene pecuniarie, o la scelta d'una morte più mite, si riferiscono particolarmente a' ricchi ed a' nobili; e perciò le persone più esposte all'avarizia, o alla collera di un provincial Magistrato si toglievano all'oscura di lui persecuzione per soggettarle al più augusto ed imparzial tribunale del Pretorio. 2. Poichè a ragione temevasi che si potesse corrompere l'integrità del giudice, se vi poteva entrare il proprio di lui interesse, o impegnarvisi le sue affezioni, si fecero i più rigorosi regolamenti per escludere, senza una special dispensa dell'Imperatore, ogni persona dal governo di quella Provincia, dov'era nata301, e per impedire al Governatore o a' suoi figli di contrar matrimonio con alcuna nazionale o abitante302, o di comprare schiavi, terre, o case dentro i limiti della propria giurisdizione303. Nonostanti queste rigorose precauzioni, l'Imperator Costantino, dopo venticinque anni di regno, deplora la venalità e l'oppressione, che s'usava nell'amministrar la giustizia, ed esprime col più ardente sdegno, che l'udienza del Giudice, la spedizione o la dilazion degli affari e la diffinitiva sentenza eran pubblicamente vendute o dal giudice medesimo, o da' ministri del suo tribunale. La ripetizione di leggi impotenti e di minacce inefficaci dimostra la continuazione, e forse anche l'impunità di questi delitti304.

Tutti i Magistrati civili erano tratti dal ceto de' Professori di legge. Le famose Istituzioni di Giustiniano son dirette alla gioventù de' suoi dominj, che s'era data allo studio della giurisprudenza Romana; ed il Sovrano si compiace di animare la loro diligenza con assicurarli, che la loro perizia ed abilità sarebbe a suo tempo premiata con aver parte, in proporzion del loro merito, nel governo della Repubblica305. S'insegnavano gli elementi di questa lucrosa scienza in tutte le città considerabili dell'Oriente e dell'Occidente; ma la più celebre scuola era quella di Berito306 sulle coste della Fenicia, che fioriva da più di tre secoli fin dal tempo d'Alessandro Severo, autor forse di uno stabilimento sì vantaggioso al suo paese nativo. Dopo un regolare corso d'educazione, che durava cinque anni, gli studenti si spargevano per le province, andando in cerca di ricchezze e di onori: nè poteva loro mancare un'infinita quantità di affari in un grand'Impero già corrotto dalla moltiplicità delle leggi, delle arti e de' vizi. Il solo tribunale del Prefetto del Pretorio d'Oriente poteva somministrar impiego a centocinquanta Avvocati, sessantaquattro de' quali erano distinti con particolari privilegi, ed ogni anno due se ne sceglievano con l'onorario di sessanta libbre d'oro per difendere le cause del fisco. Si faceva il primo esperimento dei loro talenti rispetto alle materie giudiciali con destinarli ad agire, secondo le occasioni, come assessori dei magistrati; quindi erano spesso innalzati a presedere in quei tribunali, avanti ai quali avean patrocinate le cause; ottenevano il governo d'una Provincia, e coll'aiuto del merito, della riputazione, o del favore successivamente a grado a grado salivano alle illustri dignità dello Stato307. Nella pratica del Foro questi uomini avevan considerata la ragione come un istrumento di disputa; interpretavano essi le leggi secondo i dettami del privato interesse; e le medesime perniciose abitudini restavano sempre inerenti al loro carattere nella pubblica amministrazione dello Stato. L'onore in vero d'una profession liberale si è sostenuto da molti antichi e moderni avvocati, che hanno occupato i più importanti posti con grand'integrità e costumata saviezza; ma nel declino della giurisprudenza Romana l'ordinaria promozione de' Giureconsulti era piena d'inganno e d'infamia. Quella nobile arte, che s'era una volta mantenuta come la sacra eredità dei Patrizi, era caduta nelle mani de' liberti e de' plebei308, che piuttosto colle astuzie che col sapere ne facevano un sordido e pernicioso commercio. Alcuni di loro s'insinuavano nelle famiglie ad oggetto di fomentare le differenze, di promuover le liti, e di preparare una messe di guadagno per loro medesimi, o pe' lor confratelli. Altri, chiusi ne' lor gabinetti, si davano l'aria di gran Professori di legge, somministrando ad un ricco cliente delle sottigliezze per confondere la più patente verità, o degli argomenti per colorire le pretensioni più ingiuste. La classe più copiosa e popolare si componeva dagli avvocati, ch'empivano il Foro col suono della lor turgida e loquace rettorica. Non curanti della riputazione e della giustizia, per la maggior parte ci vengono rappresentati come guide ignoranti e rapaci, che conducevano per un labirinto di spese, di dilazioni, e di ostacoli i loro clienti, dai quali, dopo un tedioso corso di anni, finalmente venivano abbandonati, quando eran quasi esaurite la pazienza e le sostanze di essi309.

III. Nel sistema politico introdotto da Augusto, i Governatori, almeno quelli delle Province Imperiali, erano investiti del pieno potere, che aveva il Sovrano medesimo. Da loro soli dipendevano i ministri sì di pace che di guerra, essi distribuivano i premj e le pene, e comparivano su' lor tribunali con gli abiti della civile magistratura, dopo che tutti armati si eran trovati alla testa delle Romane legioni310. L'influenza del danaro, l'autorità della legge ed il comando della milizia concorrevano a rendere il lor potere supremo ed assoluto; o quando essi eran tentati di violare la loro fedeltà verso il Principe, la provincia fedele, che restava avvolta nella lor ribellione, appena sentiva nel suo stato politico alcun cangiamento. Dal tempo di Commodo fino al regno di Costantino, potrebbero contarsi cento Governatori, che con vario successo innalzarono la bandiera della ribellione; e quantunque troppo spesso venisser sacrificati degl'innocenti, si potevano alle volte anche prevenire de' colpevoli dalla sospettosa crudeltà del lor Signore311. Costantino, per assicurare il suo trono e la pubblica tranquillità da questi formidabili servitori, risolvè di dividere l'amministrazione civile dalla militare, e di stabilire, come una distinzione permanente e di professione, una pratica che non era stata adottata che come un accidentale espediente. La suprema giurisdizione ch'esercitava il Prefetto del Pretorio sugli eserciti dell'Impero, fu trasferita in due Maestri Generali, ch'egli creò, uno per la cavalleria, l'altro per l'infanteria; e sebbene ciascheduno di quest'Illustri ufficiali fosse più specialmente mallevadore della disciplina di quelle truppe, ch'erano sotto l'immediata di lui direzione, pure ambidue promiscuamente comandavano in campo i diversi corpi di cavalli o di fanti, che trovavansi uniti nella medesima armata312. Il loro numero tosto fu raddoppiato, attesa la divisione dell'Oriente dall'Occidente, e furon distribuiti come Generali separati, del medesimo titolo e grado fra loro, nelle quattro importanti frontiere del Reno, dell'alto e del basso Danubio, e dell'Eufrate: e finalmente fu commessa la difesa del Romano Impero ad otto Maestri generali di cavalleria e d'infanteria. Sotto i lor ordini eran disposti nelle varie province trentacinque comandanti militari: tre nella Britannia, sei nella Gallia, uno nella Spagna, uno nell'Italia, cinque sull'alto Danubio, e quattro sul basso, otto nell'Asia, tre nell'Egitto, e quattro nell'Affrica. I titoli di Conti e di Duchi313, per mezzo de' quali venivano essi propriamente distinti, hanno un significato così diverso negl'idiomi moderni, che l'uso di essi può recar qualche maraviglia. Ma converrebbe rammentarsi che il secondo di questi nomi non è che la corruzione d'una parola Latina, che distintamente applicavasi a qualunque capo di milizia. Tutti questi Generali dunque delle Province eran Duchi; ma non ve n'eran che dieci fra loro, i quali fossero decorati del grado di Conti o compagni; titolo d'onore, o piuttosto di favore, che s'era di fresco inventato nella Corte di Costantino. L'insegna, che distingueva l'uffizio dei Conti e dei Duchi, era un cingolo d'oro; ed oltre la paga si donava loro tanto da poter mantenere cento novanta servi e cento cinquant'otto cavalli. Era loro vietato rigorosamente d'ingerirsi in alcuna cosa, che appartenesse all'amministrazione della giustizia o delle pubbliche rendite; ma il comando altresì ch'esercitavan sopra le truppe del lor dipartimento era indipendente dall'autorità de' magistrati. Verso l'istesso tempo, in cui Costantino stabiliva le leggi per l'ordine Ecclesiastico, egli instituì nel Romano Impero il geloso equilibrio fra la potestà civile e militare. L'emulazione, ed alle volte anche la discordia che regnava fra due professioni d'interessi opposti e di costumi non compatibili fra loro, produceva conseguenze ora utili ed ora perniciose. Si poteva rare volte aspettare, che il Generale ed il Governator civile di una provincia cospirassero insieme per disturbar la quiete di essa, o si unissero per procurarne il vantaggio. Mentre l'uno differiva di prestar quell'aiuto, che l'altro sdegnava di sollecitare, le truppe rimanevano bene spesso senza ordini o senza paghe; tradivasi la pubblica sicurezza, ed i sudditi senza difesa erano esposti al furore dei Barbari. L'amministrazione così divisa, qual fu stabilita da Costantino, indebolì il vigor dello Stato, mentre assicurò la tranquillità del Monarca.

257Il Codice Teodosiano fu promulgato nell'anno di Cristo 438. Vedi i Prolegomeni del Gotofredo c. 1. p. 385.
258Il Pancirolo, nell'elaborato suo Comentario, assegna alla Notizia una data quasi simile a quella del Codice Teodosiano; ma le sue prove o piuttosto congetture sono sommamente deboli. Io sarei anzi inclinato a porre quest'utile opera nel tempo, che passò fra l'ultima divisione dell'Impero (an. 395), e l'invasione fatta con buon successo da' Barbari nelle Gallie (an. 407.) Vedi Hist. des anc. Peupl. de l'Europe Tom. VII. p. 40.
259Scilicet externae superbiae sueto, non inerat notitia nostri (forse nostrae); apud quos vis imperii valet, inania transmittuntur. Tacit. Annal. XV. 31. Può vedersi la degradazione dallo stile di libertà e di semplicità a quello di formalità e di servitù nelle lettere di Cicerone, di Plinio e di Simmaco.
260L'Imperator Graziano dopo d'aver confermato una legge di precedenza, pubblicata da Valentiniano, padre di sua Divinità, così prosegue: Si quis igitur, indebitum sibi locum usurpaverit, nulla se ignoratione defendat; sitque plane sacrilegii reus, qui divina praecepta neglexerit, Cod. Theodos. lib. VI. Tit. V. leg. 2.
261Vedasi la Notit. Dignitat. al fine del Codice Teodos. Tom. VI. p. 316.
262Pancirolo ad Notitiam utriusq. Imper. p. 39. Ma le sue spiegazioni son oscure, ed egli non distingue abbastanza gli emblemi puramente dipinti, dall'effettive insegne d'uffizio.
263Nelle Pandette, che possono riferirsi a' regni degli Antonini, l'ordinario e legittimo titolo d'un Senatore è Clarissimus.
264Pancirol. p. 12-17. Io non ho creduto di dover fare menzione alcuna de' due gradi minori Perfectissimus ed Egregius, che si davano anche a molti non innalzati alla dignità Senatoria.
265Cod. Theod. lib. VI. Tit. VI. Con la più minuta esattezza si determinano le regole di precedenza dagl'Imperatori; e con ugual prolissità vengono illustrate dal dotto interprete di esse.
266Cod. Theodos. lib. VI. Tit. XXII.
267Ausonio (in Gratiar. Action.) s'estende vilmente su questa indegna specie di luogo oratorio, che vien maneggiato con un poco più di libertà e d'ingenuità da Mamertino. Paneg. Vet. XI. 16, 19.
268Cum de Consulibus in annum creandis solus mecum volutarem… te Consulem et designavi et declaravi, et priorem nuncupavi: queste sono alcune dell'espressioni usate dall'Imperat. Graziano verso il poeta Ausonio suo precettore.
269Immanesque… dentes,Qui secti ferro in tabulas auroque micantes,Inscripti rutilum coelato Consule nomenPer proceres et vulgus eant.Claud. in II. Consul. Stilic. 456. Montfaucon ha pubblicato alcune di queste tavolette, o dittici. Vedi il Supplem. all'Antich. spieg. Tom. III. p. 220.
270Consule laetatur post plurima saecula visoPallanteus apex: agnoscunt rostra curulesAuditas quondam proavis: desuetaque cingitRegius auratis Fora fascibus Ulpia lictor.Claudian. in VI. Cons. Honor. 643. Dal regno di Caro fino al sesto Consolato d'Onorio si trova un intervallo di centovent'anni, nel qual tempo gl'Imperatori furono sempre il primo di Gennaio assenti da Roma. Vedi la Cronolog. di Tillemont Tom. III. IV. e V.
271Vedi Claudiano in Cons. Prob. et Olybrii 178 etc. et in IV. Cons. Honor. 585 etc. quantunque, rispetto a quest'ultimo, non è facile il distinguer gli ornamenti dell'Imperatore da quelli del Console. Ausonio ricevè dalla liberalità di Graziano una veste palmata o abito di Ceremonia, in cui era ricamata la figura dell'Imperator Costanzo.
272Cernis et armorum proceres legumque potentes:Patricios sumunt habitus, et more GabinoDiscolor incedit legio, positisque parumperBellorum signis sequitur vexilla Quirini.Lictori cedunt aquilae, ridetque togatusMiles, et in mediis effulget Curia Castris?Claud. in IV. Cons. Honor. 5.… Strictasque procul radiare secures.In. Cons. Prob. 229.
273Vedi Vales. ad Ammian. Marcell. l. XXII. c. 7.
274Auspice mox latum sonuit clamora Tribunal,Te fastos ineunt quater; solemnia luditOmnia libertas; deductum vindice moremLex celebrat, famulusque jugo laxatus heriliDucitur, et grato remeat securior ictu,Claud. in IV. Cons. Honor. 611.
275Celebrant quidem solemnes istos dies omnes ubique urbes, quae sub legibus agunt; et Roma de more et Constantinopolis de imitatione, et Antiochia pro luxu, et discincta Carthago, et domus flaminis Alexandria, sed Treviri Principis beneficio. Auson in gratiar. act.
276Claudiano (in Cons. Mall. Theodor. 279-331) descrive con vivace ed immaginosa maniera i diversi giuochi del circo, del teatro e dell'anfiteatro, dati da' nuovi Consoli. Ma eran già stati proibiti i sanguinosi combattimenti de' gladiatori.
277Procop. in Histor. arcan. c. 26.
278In consulatu honos sine labore suscipitur. Mamertino in Paneg. Vet. XI. 2. Questa esaltata idea del Consolato è presa da un'orazione (II. p. 107) che recitò Giuliano nella servil Corte di Costanzo. Vedi l'Ab. della Bleterie (Memoir. de l'Acad. Tom. XXIV. p. 289) che si studia di cercare i vestigi dell'antica costituzione, e che li trova qualche volta nella fertile sua fantasia.
279Le leggi delle XII Tavole proibirono i matrimoni fra i Patrizi e i Plebei; e le uniformi operazioni della natura umana possono assicurare, che il costume sopravvisse alla legge. Vedasi appresso Livio (IV. 1-6) l'orgoglio di famiglia innalzato dal Console ed i diritti del genere umano sostenuti dal Tribuno Canuleio.
280Vedansi le vivaci pitture, che fa Sallustio nella guerra Giugurtina dell'orgoglio de' nobili, e fino del virtuoso Metello che non poteva soffrire, che si dovesse dar l'onore del Consolato all'oscuro merito del suo Luogotenente Mario (c. 64.) Dugento anni prima, la stirpe de' Metelli stessi era confusa fra i plebei di Roma; e dall'etimologia del loro nome Caecilius, vi è motivo di credere, che quegli altieri nobili derivassero la lor origine da un venditore di viveri.
281Nell'anno di Roma 800 vi rimanevan ben poche, non solo delle antiche famiglie patrizie, ma anche di quelle, ch'erano state creato da Cesare e da Augusto. (Tacit. Annal. XI. 25.) La famiglia di Scauro (ch'era un ramo della patrizia degli Emilj) erasi ridotta in uno stato sì basso, che suo padre, il quale s'esercitava nel commercio del carbone, non gli lasciò che dieci schiavi, e qualche cosa meno di seicento zecchini. (Valer. Massim. l. IV. c. 4. n. 11. Aurel. Vitt. in Scaur.) Il merito però del figlio salvò la famiglia dall'obblivione.
282Tacito Annal. XI 25. Dione Cass. l. LII p. 693. Le virtù d'Agricola, che fu creato patrizio dall'Imperator Vespasiano, rifletterono l'onore sopra quell'antico Ordine: ma i suoi antenati non oltrepassavano la nobiltà equestre.
283Sarebbe stata quasi impossibile questa mancanza, se fosse vero, come Casaubono costringe Aurelio Vittore ad affermare (ad Sueton. in Caesar. c. 42. vedi Hist. Aug. p. 203 e Casaubono Comment. p. 220) che Vespasiano creò in una volta mille famiglie patrizie. Ma tale stravagante numero è troppo anche per tutto l'Ordine Senatorio, se non vi si voglian comprendere tutti i cavalieri Romani distinti colla permissione di portare il laticlavo.
284Zosim. lib. II. p. 118 e Gotofred. ad Cod. Theod. l. VI. Tit. VI.
285Zosim. l. II. p. 109-118. Se non avessimo per buona avventura questo soddisfacente ragguaglio della divisione del potere, e delle province de' Prefetti del Pretorio, saremmo spesse volte restati perplessi fra' copiosi particolari del Codice e la circostanziata minutezza della Notizia.
286A Praefectis autem Praetorio provocare non sinimus dice Costantino medesimo in una legge del Cod. Giustin. lib. VII. Tit. LXII. leg. 19. Carisio, Giurisconsulto del tempo di Costantino (Heinec. Hist. Jur. Rom. pag. 349), che risguarda questa legge come un fondamental principio di Giurisprudenza, paragona i Prefetti del Pretorio a' Generali di cavalleria degli antichi Dittatori. Pandect. l. I. Tit. XI.
287Allorchè nello Stato già esausto dell'Impero, Giustiniano volle instituire un Prefetto del Pretorio per l'Affrica, gli assegnò un salario di cento libbre d'oro Cod. Justinian. l. I. Tit. XXVII. leg. 1.
288Tanto per questa che per le altre dignità dell'Impero potrem riportarci agli ampi Comentari del Pancirolo, e del Gotofredo, che hanno diligentemente raccolti, e posti con esattezza in ordine tutti i materiali sì legali, che istorici su tal articolo. Il Dott. Howell (Istor. del Mond. Vol. II. p. 24-77) da questi Autori ha formato un compendio molto distinto dello Stato del Romano Impero.
289Tacit. Annal. IV. 11. Euseb. in Chron. p. 155. Dione Cassio nell'oraz. di Mecenate (t. VII. p. 675) descrive quali prerogative al suo tempo aveva il Prefetto di Roma.
290La fama di Messala fu appena corrispondente al suo merito. Nella sua più fresca gioventù fu raccomandato da Cicerone all'amicizia di Bruto. Egli seguì le bandiere della Repubblica, finchè furon vinte ne' campi di Filippi; ed allora accollò e meritò il favore del più moderato de' conquistatori, nè lasciò di sostener la sua libertà e dignità nella Corte di Augusto. La conquista dell'Aquitania giustificò il trionfo di lui. Disputò, come oratore, a Cicerone medesimo la palma dell'eloquenza. Messala coltivò tutte le muse, ed era il protettore d'ogni bell'ingegno. Impiegava egli le sue serate in filosofiche conversazioni con Orazio; ponevasi a tavola in mezzo a Delia e Tibullo; e si prendeva piacere d'incoraggiare i talenti poetici del giovane Ovidio.
291Incivilem esse potestatem contestans, dice il Traduttore d'Eusebio. Tacito esprime la medesima idem con altre parole; quasi nescius exercendi.
292Vedi Lipsio Excurs. D. ad. I. Lib. Tacit. Annal.
293Heinec. Elem. Jur. Civ. secund. ord. Pandect. Tom. I. p. 70. Vedi anche Spanemio De us. Numism. Tom. II. Diss. X. p. 119. Nell'anno 450 Marciano pubblicò una legge, con cui stabilì, che ogni anno tre cittadini fossero eletti dal Senato, ma col loro assenso, Pretori di Costantinopoli. Cod. Justin. l. I. Tom. XXXIX. leg. 2.
294Quidquid igitur intra urbem admittitur ad P. U. videtur pertinere, sed et si quid intra centesimum milliarium. Ulpian. in Pandect. l. I. Tit. XIII. n. 1. Egli prosegue ad enumerare i diversi uffizi del Prefetto, che nel Cod. di Giustiniano (lib. I. Tit. XXXIX. leg. 3) si dichiara dover precedere e comandare a tutte le magistrature civili sine injuria ne detrimento honoris alieni.
295Oltre le nostre solite guide, possiam osservare, che felice Contelorio fece un trattato a parte De Praefecto Urbis e che nel decimoquarto libro del Codice Teodosiano si trovano molte curiose particolarità relativamente alla polizia di Roma e di Costantinopoli.
296Eunapio asserisce, che il Proconsole dell'Asia era indipendente dal Prefetto, lo che per altro si deve intendere con qualche limitazione: egli è fuor di dubbio che non riconosceva giurisdizione del Vice-Prefetto. Pancirolo, p. 161.
297Il Proconsole dell'Affrica aveva quattrocento apparatori; i quali tutti ricevevano stipendi o dal tesoro Imperiale o dalla Provincia. Vedi Pancirolo, p. 26 ed il Cod. Giustin. l. XII. Tit. LVI. LVII.
298Trovavasi parimente in Italia il Vicario di Roma: e si è molto disputato, se la sua giurisdizione si contenesse nelle cento miglia dalla città, o s'estendesse sopra le dieci Province meridionali dell'Italia.
299Fra le opere del celebre Ulpiano ve n'era una in dieci libri intorno all'uffizio del Proconsole, i doveri del quale, quanto alla sostanza, eran gli stessi che quelli d'un ordinario Governator di Provincia.
300I Presidenti o Consolari potevano imporre soltanto la pena di due once; i Vice-prefetti di tre; i Proconsoli, il conte di Oriente, ed il Prefetto d'Egitto di sei. Vedi Heinec. Jur. Civ. Tom. I. p. 75. Pandect. L. LXVIII. Tit. XIX. n. 8. Cod. Justinian. L. I. Tit. LIV. leg. 4. 6.
301Ut nulli Patriae tuae administratio sine speciali Principis permissu permittatur Cod. Justin. l. I. Tit. LXI. Fu pubblicata la prima volta questa legge dall'Imperator Marco dopo la ribellione di Cassio Dion. l. LXXI. Il medesimo si osserva nella China con ugual rigore ed effetto.
302Pandect. l. XXXIII. Tit. II. n. 38, 57, 63.
303In jure continetur, ne quis in administratione constitutus aliquid compararet Cod. Theodos. l. VIII. Tit. XV. l. 1. Questa massima di Gius comune fu confermata da una serie di editti da Costantino fino a Giustino (vedi il restante del Titolo). Si eccettuano da tale proibizione, che s'estende fino a' più bassi ministri del Governatore, solamente le vesti e le provvisioni per vivere. L'acquisto fatto dentro i cinque anni potea revocarsi; dopo di che, se scuoprivasi, era devoluto al tesoro pubblico.
304Cessent rapaces jam nunc officialium manus; cessent, inquam; nam si moniti non cessaverint, gladiis praecidentur: Cod. Theodos. l. I Tit. VII. leg. 1. Zenone ordinò, che tutti i Governatori per cinquanta giorni dopo spirato il tempo del lor governo, restassero nella Provincia per rispondere a qualunque accusa: Cod. Justin. lib. II. Tit. XLIX leg. 1.
305Summa igitur ope et alacri studio has leges nostras accipite, et vosmetipsos sic eruditos ostendite, ut spes vos pulcherrima foveat, toto legitimo opere perfecto, posse etiam nostram Rempublicam in partibus ejus vobis credendis gubernari. Justinian. Proem. Instit.
306Lo splendore della scuola di Berito, che mantenne nell'Oriente l'idioma e la giurisprudenza de' Romani, si può considerare che durasse dal terzo secolo fino alla metà del sesto. Heinec. Jur. Rom. Hist. p. 351-356.
307Siccome in un tempo anteriore esposi la civile e militare promozione di Pertinace, così inserirò qui gli onori civili di Mallio Teodoro. In primo luogo egli si distinse per la sua eloquenza, mentre perorava come avvocato nel Tribunale del Prefetto del Pretorio; secondariamente governò una Provincia dell'Affrica o come Presidente, o come Consolare, e nella sua amministrazione meritò l'onore di una statua di rame; 3. fu dichiarato Vicario o Viceprefetto di Macedonia; 4. Questore; 5. Conte delle sacre largizioni; 6. Prefetto del Pretorio delle Gallie, mentre poteva anche passare per giovane; 7. dopo una ritirata e forse una disgrazia di molti anni, che Mallio (confuso da alcuni critici col poeta Manilio, vedi Fabric. Biblio. Latin. Edit. Ernest. Tom. I. c. 18. p. 501) impiegò nello studio della filosofia Greca, fu eletto Prefetto del Pretorio dell'Italia nell'anno 397. 8. mentre tuttavia esercitava quella gran carica fu creato nell'anno 399 Console per l'Occidente; ed il suo nome per causa dell'infamia del suo collega, l'eunuco Eutropio, spesse volte si trova solo ne' Fasti; 9. nell'anno 408 Mallio fu fatto la seconda volta Prefetto del Pretorio dell'Italia. Anche nel venale panegirico di Claudiano si scuopre il merito di Mallio Teodoro, il quale per una rara avventura era intimo amico di Simmaco e di S. Agostino. Vedi Tillemont Hist. des Emp. Tom. V. p. 1110-1114.
308Mamertin. in Panegyr. vol. XI. 20. Aster. ap. Phor. p. 1500.
309Il curioso passo d'Ammiano (l. XXX. c. 4), con cui dipinge i costumi de' legali suoi contemporanei, somministra uno strano mescuglio di buon senso, di falsa rettorica e di stravagante satira. Gotofredo (Prolegom. ad. Cod. Theodos. c. 1. p. 185) conferma ciò che dice l'Istorico con querele somiglianti e con autentici fatti. Nel quarto secolo potevan caricarsi molti cammelli co' libri legali. Eunap. in vit. Edesii p. 72.
310Se ne veda un esempio assai splendido nella vita d'Agricola, specialmente ne' cap. 20 e 21. Al Luogotenente della Gran-Brettagna s'affidava l'istesso potere, che Cicerone, Proconsole della Cilicia, aveva esercitato in nome del Senato e del Popolo.
311L'Abbate Dubos, che ha esaminato con accuratezza (vedi Hist. de la Mon. Franc. Tom. I p. 41-100 edit. 1742) le instituzioni e di Augusto e di Costantino, avverte, che, se Ottone fosse stato ucciso il giorno avanti ch'eseguisse la sua cospirazione, egli comparirebbe adesso nell'Istoria ugualmente innocente che Corbulone.
312Zosimo l. II. p. 110. Avanti che finisse il regno di Costanzo i Magistri militum erano già cresciuti fino a quattro. Ved. Vales. Ad Ammian. l. XVI. c. 7.
313Quantunque si faccia spesso menzione de' Conti e dei Duchi militari sì nella storia che ne' codici, tuttavia per avere un'esatta cognizione del numero e delle stazioni di essi, convien ricorrere alla Notizia. Quanto all'instituzione, al grado, a' privilegi de' Conti in generale, vedi il Cod. Teodos. lib. VI. Tit. XII-XX col Comentario del Gotofredo.