Il Conte Libertino

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Lei strinse i denti e si astenne dal rispondere. Invece, si voltò e uscì dall’edificio, lontano dalla misoginia di Sir Anthony. Non avrebbe rinunciato al suo sogno. Doveva esserci un altro modo, e se c’era, lo avrebbe trovato.

La pioggia non si era fermata mentre era all’interno. La colpiva ad intermittenza, facendole rimpiangere di non essere rimasta all’interno un po’ più a lungo o di non essersi procurata una carrozza. Perché non aveva pianificato tutto un po’ meglio? Perché sarebbe stato troppo sensato… e lei era accecata dalla sua ambizione e dalla necessità di far parte di qualcosa molto più grande di lei. Un giorno avrebbe compreso i vantaggi di un piano ben definito. Sfortunatamente, non era quello il giorno.

«Venite con me.» Lord Harrington si chinò e le parlò all’orecchio. Il suo calore la avvolse, facendole dimenticare per un momento dove si trovava. La prese a braccetto per condurla nella direzione scelta da lui. «La mia carrozza è dietro l’angolo.».

Lei sbatté le palpebre più volte mentre la pioggia continuava a soffocare i rumori di London Street. Che cosa le stava succedendo? Scosse la testa e fece come aveva detto Lord Harrington. Con quel tempo, una carrozza era l’ideale e, per la prima volta da quando lo aveva visto a casa di Sir Anthony, era felice di averlo accanto.

Per fortuna, la carrozza di Lord Harrington non era lontana. Lui l’aiutò a salire ma, purtroppo, era già fradicia. Non vedeva l’ora di tornare a casa e mettere una certa distanza tra di loro. “Disagio” non era una parola abbastanza forte per descrivere come si sentisse, ed essere inzuppata dalla testa ai piedi non le era di alcun aiuto. Doveva avere un aspetto orribile… ma che sciocchezza, perché le importava di sembrare poco desiderabile? Lord Harrington non era un potenziale pretendente neanche se fosse stata in cerca di marito. Era uno dei peggiori mascalzoni e lei aveva i piedi ben piantati a terra. Marian era una donna intellettuale e nubile, il più intoccabile possibile, ed era piuttosto contenta di quel destino. La sua sconsideratezza repressa poteva ridursi al nulla. Non aveva bisogno di un uomo per trovare la felicità.

Forse aveva trovato un po’ di fortuna in un mare di sfortuna. Aveva solo fatto un paio di passi indietro rispetto al suo obiettivo principale. Ciò non significava che non avrebbe trovato un modo per andare avanti. Per ora, avrebbe permesso a Lord Harrington di vedere dove abitava, poi avrebbe incontrato le sue due più care amiche per pensare a un nuovo piano. Quella non era la fine di tutto. Marian decise di vederlo come un inizio. Persone come Sir Anthony e Lord Harrington non l’avrebbero scoraggiata.

CAPITOLO DUE

Un incommensurabile silenzio avvolgeva la carrozza mentre si dirigevano verso la casa di Coventry. Jonas non era sorpreso dal fatto che Lady Marian avesse tentato di ottenere l’accesso alla Royal Medical Society. Coventry parlava spesso di quella sua inclinazione. Il conte caldeggiava l’hobby di sua figlia quando avrebbe dovuto scoraggiarla molto tempo prima.

Una donna non poteva guadagnare praticando qualcosa di rozzo come la medicina. La loro sensibilità era troppo delicata per tali questioni. In teoria, probabilmente Lady Marian pensava che fosse una grande idea ma, se mai avesse affrontato la realtà, senza dubbio sarebbe svenuta alla vista di una persona malata. Le malattie e le ferite erano una questione complicata e spiacevole. Lui quasi rabbrividiva all’idea di avvicinarsi a qualcuno malato o insanguinato.

«Credevate davvero che Sir Anthony avrebbe permesso a una donna di diventare membro?» le chiese Jonas. «È più all’antica della maggior parte degli uomini della sua generazione.».

«Speravo che comprendesse le mie ragioni.» rispose Lady Marian, «Sono abbastanza ferrata e tutto ciò di cui ho bisogno è una guida adeguata per raggiungere il livello successivo. Non permetteranno mai a una donna di studiare liberamente all’università. Questa era la mia ultima possibilità per acquisire le competenze necessarie per assistere le persone bisognose di cure mediche.». Emise un respiro esasperato. «Ma non mi aspetto che voi capiate.».

In effetti, lui non capiva e non aveva intenzione di provarci. Perché qualcuno, uomo o donna che sia, si lascerebbe coinvolgere dalla medicina? Jonas non ne comprendeva l’attrattiva. C’erano cose migliori da fare con una donna, specialmente nel suo letto. Riguardo agli uomini, l’idea di toccarne uno per qualsiasi motivo al di fuori degli incontri di pugilato al “Gentlemen Jack” lo faceva rabbrividire. Preferiva colpirli, piuttosto che sanare qualunque malattia li affliggesse.

«Bene.» le disse con calma, «Dovremo convenire di non essere d’accordo sulla questione. Fortunatamente per entrambi, non dipende da me che voi proseguiate con questa ridicola abitudine. Lascerò che sia vostro padre a guidarvi correttamente.».

Lei si voltò a guardarlo. «Avete perfettamente ragione. Se io dovessi sopportare la vostra compagnia ogni giorno, potrei persuadere un essere supremo affinché ponesse fine alla mia miseria. Grazie al cielo, il destino ci ha collocati agli opposti di ogni questione immaginabile e ci ha salvati da un innegabile disastro.».

«Dubito che sia così grave, mia cara.» rispose lui seccamente, «Deve pur esserci qualcosa che ci accomuni.».

«Non credo.» ribatté lei, «Voi siete il peggior tipo di uomo. Condiscendente e ignorante, convinto del contrario.».

Lui alzò un sopracciglio. «Come mai? Che cosa ho fatto per darvi un’impressione così riprovevole?».

«Respirate.» gli disse lanciandogli un’occhiataccia, «Non è già abbastanza?».

Jonas non riuscì a ricordare di essersi divertito di più. Di solito gli piaceva colpire qualcosa per alleviare la mente dallo stress di vivere la sua vita. Apparentemente, gli sembrava di avere tutto. Un futuro titolo di duca e una considerevole fortuna di diritto… peccato che non desiderasse ottenere il titolo di suo nonno né cercasse moglie. Era in guerra con se stesso. Voleva che il Duca di Southington morisse di una miserabile morte e vivesse per sempre allo stesso tempo. Ad ogni modo, lui era sia vincitore che vinto. Lady Marian gli aveva fatto dimenticare tutto per qualche istante. Una cosa che non accadeva spesso, e avrebbe dovuto ringraziarla per questo. Tuttavia, non pensava che lei avrebbe accettato la sua gratitudine.

«È increscioso che troviate irritante la mia capacità di vivere.» le rispose, «Odio creare fastidio.». Mantenne la voce più neutra possibile, «Fortunatamente per voi, stiamo per essere separati. Forse, quando ci incontreremo di nuovo, non sarete così avversa alla mia esistenza.».

«Preferirei non rivedervi mai più.», lei si agitò sul sedile. I suoi capelli rossi, ancora umidi per la pioggia, si erano appiccicati al suo collo. Grosse ciocche ricadevano dagli spilloni che li tenevano in ordine, conferendole un aspetto quasi mascolino. Il che le si addiceva abbastanza: aveva idee contro natura e un’aura selvaggia che la circondava. Niente e nessuno avrebbe potuto impedirle di fare ciò che voleva. Jonas la trovava piuttosto attraente e la cosa non gli piaceva. «Le buone maniere prevedono che io vi sia grata per il vostro aiuto e vi esterni la mia gratitudine… non sono in grado di soddisfare tali aspettative. Vi trovo piuttosto rozzo e indelicato. È stato difficile trattenere la mia piena opinione.».

«Allora lasciatela andare.» la incoraggiò. La sua voce aveva un tono forte che lui non poté evitare neanche se avesse voluto. Quella conversazione aveva preso la piega sbagliata e trasformarla in qualcosa di più piacevole era al di sopra delle sue capacità. «Non vorrei che soffriste per lo sforzo. Fidatevi di me, sono in grado di gestire tutto ciò che vorrete scagliarmi contro.».

«Per quanto sia tentata di fare come suggerite, devo rifiutare.». Gli rivolse un sorriso sensuale, quel piccolo sfacciato doveva sapere che cosa stava facendo. Ciò aumentò il livello di calore tra loro, già sull’orlo dell’ebollizione; tuttavia, questa volta bruciava in un modo completamente diverso. La rabbia che si scatenava nel profondo si era placata, e rapidamente si era trasformata in un desiderio che non aveva mai provato prima. L’impulso di baciarla era troppo allettante e dovette tenersi a distanza. Lei lo aveva incantato con le sue parole dure, l’arguzia acuta e il viso stupendo.

«Non vi capiterà di nuovo.» ribatté lui, non poteva fare a meno di provocarla. Si comportava come il mascalzone che lei credeva che fosse e non le mostrava un briciolo di più. Se lei voleva che fosse scortese, allora non avrebbe potuto deluderla. «Siete sicura di voler rifiutare?». La parte malata e contorta di sé preferiva quel loro fervido battibecco.

«È meglio che io rifiuti.». La carrozza si fermò e lei aprì la porta per uscire in fretta. «Se mi vedrete di nuovo, fate un favore ad entrambi e ignoratemi. Sarebbe spiacevole dover trovare qualcos’altro di odioso l’uno dell’altra… ma, d’altra parte, che cosa abbiamo da perdere? A mai più rivederci, Lord Harrington. Non mi trovereste così ben disposta, se accadesse. Non ho paura di dire ciò che penso.». Con quelle ultime parole, scese dalla carrozza e non si voltò indietro.

Non c’era bisogno che lo informasse della propria schiettezza, lui lo aveva dedotto appena l’aveva incontrata. Era sempre stata una donnina sfacciata. Ad essere onesti, quella era stata forse la conversazione più lunga che avessero mai tenuto. Una parte di sé non poteva fare a meno di ammirare la sua tenacia. Una cosa era certa però, lei si era fatta strada e aveva ottenuto la sua attenzione. Non c’era modo di tornare indietro. Che cosa diavolo era successo? E, ancora più sorprendente, non vedeva l’ora di farlo di nuovo…


Marian entrò in casa e andò direttamente in salotto. Le sue care amiche dovevano essere già lì, in attesa del suo arrivo. Le risate che echeggiavano lungo il corridoio la misero a suo agio. Entrò e vide sua cugina, Lady Kaitlin Evans, con la sua cara amica Lady Samantha Chase, che confabulavano. Le due donne erano tutto per Marian, non sapeva che cosa avrebbe fatto senza di loro. Sostenevano e incoraggiavano i suoi sogni, mentre suo padre non credeva che li avrebbe mai realizzati. Marian voleva dimostrargli che si sbagliava. Lo amava, dopotutto era suo padre, ma in qualche modo era cattivo come Sir Anthony e Lord Harrington.

 

Samantha alzò lo sguardo all’arrivo di Marian. Le sue trecce color mezzanotte erano raccolte in un elegante chignon, con dei riccioli che incorniciavano il suo bel viso. I suoi occhi erano di un blu così scuro da sconfinare nel nero. Un tratto distintivo della sua famiglia che era stato tramandato di generazione in generazione: anche suo fratello, Gregory Cain, l’attuale Conte di Shelby, li aveva uguali. Lo rendevano quasi diabolico. Un qualcosa che molte donne immaginavano, e ognuna di esse credeva di poterlo accalappiare. Era un libertino e un mascalzone peggiore di Lord Harrington.

«Oh, sei tornata.» disse Samantha alzandosi in piedi. «Vieni, siediti e raccontaci tutto.» disse indicando un posto vuoto.

«Sir Anthony ha accettato di aiutarti?» chiese Kaitlin. Si portò una ciocca dorata dietro l’orecchio, i suoi occhi blu erano l’opposto di quelli di Samantha, erano del colore di un fiordaliso. Kaitlin era l’epitome di tutto ciò che un gentiluomo inglese avrebbe potuto desiderare. Era bionda, con gli occhi azzurri e dolce come i dessert più deliziosi. Sfortunatamente, la sua timidezza la penalizzava. La maggior parte dei possibili pretendenti la ignorava perché non spiccava.

Marian scosse la testa, «Ha rifiutato.».

«Mi dispiace.» disse Kaitlin.

«Non è colpa tua, Katie.» disse Marian dolcemente, «Ad essere sincera, non mi aspettavo che accettasse.».

Anche se Lord Harrington non fosse stato lì, Sir Anthony l’avrebbe comunque allontanata. Non era incline a pensare che le donne fossero abbastanza intelligenti per le letture, figuriamoci per studiare medicina. Non avrebbe dovuto darvi peso, ma doveva tentare qualcosa. In quale altro modo avrebbe potuto continuare gli studi?

«Può darsi.» iniziò Samantha, «Ma ci sarà un altro modo.».

«Per essere ammessa?» Marian era confusa. Non c’era un altro modo per essere ammessa alla Royal Medical Society. «Non è possibile.».

«Hai ragione.» disse Samantha, «Non ha niente a che vedere con quegli uomini antiquati e presuntuosi.» disse Kaitlin, poi sorrise. «Abbiamo sentito parlare di una dottoressa che sa più cose di tutti i membri della Royal Medical Society messi insieme.».

«Una diceria non è mai veritiera.» rispose tristemente Marian. Loro volevano il suo bene, ma lei non poteva affidare tutte le sue speranze e i sogni a qualcosa che non avrebbe mai potuto realizzarsi. Non esisteva nessuna mitica dottoressa in grado di insegnarle. «Non ho speranze.», voleva continuare a lavorare per il suo sogno, ma a volte sognare è l’unica cosa che rimane.

«Non capisci.» insistette Samantha, «È tutto vero.».

«No.» replicò Marian, «Non posso continuare così. È ora di lasciar perdere.».

Kaitlin sussultò sulla sedia e iniziò a battere le mani. «Tu non farai niente del genere. Andrai a una festa privata.». Prese un invito dal tavolo e lo porse a Marian. «La Duchessa di Weston sarà lì e le parlerai dei tuoi sogni.».

«E perché mai questa duchessa dovrebbe degnarsi di ascoltare che cosa ho da dire?». Era ridicolo. Doveva finirla una volta per tutte. «Una festa in casa non fa per me. Non socializzo, lo sapete entrambe. Inoltre, dubito che mio padre mi darebbe il permesso di andare. I suoi affari lo tengono occupato qui a Londra e non si prenderà il tempo di portarmi lì.».

«Penseremo a questo più tardi. Sono sicuro che ci sia qualcuno in grado di farlo, potrei parlare con Shelby.».

«A mio padre piace tuo fratello.» disse Marian, «Ma dubito che gli affiderebbe la mia virtù.». Non che lei avrebbe ceduto a quel mascalzone, ma non aveva importanza. Se fosse rimasta da sola con lui per un lungo viaggio in carrozza, la sua reputazione sarebbe stata rovinata. Anche la breve distanza percorsa con Lord Harrington era stata rischiosa, avrebbe dovuto trovare un modo per rifiutare. Non aveva una dama di compagnia come accompagnatrice, e se qualcuno li avesse visti… in questo caso, la pioggia era stata la sua ancora di salvezza. Di solito, nessuno nella società si prendeva la briga di uscire con un forte acquazzone.

«Ti accompagno io, ovviamente.» disse Samantha, «Questo eviterebbe ogni biasimo.».

Marian sospirò, «So che lo fate per me ma…».

«Non puoi dire di no.» la interruppe Kaitlin, «La duchessa è un medico. Lo so.».

«Come puoi esserne certa?», odiava essere dura… beh, almeno con sua cugina. Kaitlin aveva avuto una vita difficile e lei non voleva rincarare la dose. Adesso la sua famiglia erano loro due, il fratello di Kaitlin, Colin, e suo padre. Dovevano restare uniti. Colin si trovava a Eton per terminare gli studi e raramente tornava alla residenza, quindi in realtà erano solo loro due. «E se ti sbagliassi?».

«Impossibile.» disse, «Ho sentito per caso il Marchese e la Marchesa di Seabrook ad un ballo. Non si erano accorti della mia presenza, come accade sempre.».

Povera Kaitlin… «E che cosa hanno detto?», Marian poteva almeno ascoltarla. «Qual è il loro legame con la duchessa?».

«La marchesa è la sorella del duca. Sono parenti.».

Questo cambiava tutto. Se erano imparentati, dovevano essere a conoscenza delle abilità della duchessa. Forse incontrarla non era una cattiva idea, dopo tutto. Tuttavia, aveva bisogno di ulteriori informazioni prima di prendere una decisione.

«Ti abbiamo convinta, vero?» disse Samantha. Le sue labbra si curvarono in un sorriso, «Non dire una parola. Vado a casa e inizio l’opera di convincimento con Shelby affinché ci accompagni. Mio cara, dovrai preparare le valigie per due settimane in campagna.».

«Non ho detto di sì.» la informò Marian.

«Ma lo farai.» ribatté Samantha. La sua voce conteneva un pizzico di arroganza. «So come la pensi, ti abbiamo irretita con quelle poche informazioni. Ammettilo.».

Marian sospirò, «D’accordo. Sono curiosa. Di che cosa hanno discusso il Marchese e la Marchesa?».

«Erano piuttosto riservati e cercavano di mantenere la voce bassa.» rispose Kaitlin, «Ma hanno detto che, una volta, lei ha salvato la vita a suo marito. Ha eseguito un intervento chirurgico su di lui prima che si sposassero. Ma, soprattutto, pensavano che fosse in grado di aiutare qualcuno che conoscevano e che era stato ferito nello stesso modo in cui era stato ferito il duca. Il marchese non credeva che il duca sarebbe stato felice di darle il permesso.».

«Oh.». La storia era affascinante. Che cosa sapeva esattamente la duchessa, e come lo aveva appreso? «Di che ferita si trattava?».

«Un colpo di pistola.» rispose Kaitlin compiaciuta.

Accidenti… il cuore le batteva per l’emozione… quante possibilità… «D’accordo. Avete ragione, devo incontrarla.». Poi si rivolse a Samantha: «Fammi sapere quando avrai convinto tuo fratello.». Incrociò lo sguardo di Kaitlin, «Verrai anche tu?».

Lei annuì, «Questo è il tuo sogno, Mary. Voglio essere presente quando lo raggiungerai. E poi mi piacerebbe conoscere la duchessa.».

«Sembra decisamente audace.» rispose Marian allegramente, «Non vedo l’ora di incontrarla.».

«Ti scriverò dopo che avrò parlato con Shelby.» disse Samantha alzandosi, «Mi aspetto che tu sia pronta non appena avremo organizzato tutto, spero che non ci voglia molto a convincerlo.».

Con queste parole, Samantha uscì dal salotto, lasciando Kaitlin e Marian da sole. C’era molto da fare. Prima di tutto c’era da convincere suo padre a permetterle di viaggiare. Poteva dare ordine alla cameriera di iniziare a preparare le valigie mentre lei studiava l’approccio migliore. Doveva funzionare, era la sua ultima speranza.

CAPITOLO TRE

Jonas fischiettava mentre si dirigeva verso il club. Aveva trascorso una giornata particolarmente lunga e non vedeva l’ora di rilassarsi con alcuni dei suoi amici più cari. Asthey e Shelby sarebbero arrivati, prima o poi. Avrebbero deciso se rimanere al club o andare a divertirsi altrove. Talvolta Shelby doveva accompagnare sua sorella a un ballo o a una festa. Quando Jonas e Asthey erano dell’umore, si univano a lui per supporto morale o per prenderlo in giro.

Fortunatamente, lui non aveva una sorella minore di cui occuparsi, e neanche un fratello, per dirla tutta. La sua era stata un’infanzia solitaria, ma era grato che suo nonno non avesse nessun altro da torturare. Era già abbastanza difficile proteggere se stesso, figuriamoci un fratello o una sorella. Ciò era incluso nel motivo per cui Jonas non voleva sposarsi. Certo, non dare a suo nonno un altro erede era un ulteriore motivo, ma in particolare non intendeva mettere in pericolo una moglie o un figlio. Sarebbero stati una debolezza che il duca avrebbe sfruttato ben volentieri. Era meglio che rimanesse solo per il resto dei suoi giorni. Almeno finché suo nonno non si fosse deciso a morire e a lasciarlo in pace. Il vecchio stava combattendo fino all’ultimo respiro. Probabilmente sapeva che sarebbe andato all’inferno e non voleva entrare nelle sue profondità infuocate.

Alcuni giorni erano peggiori di altri. Dopo la morte di suo padre, Jonas non aveva avuto molti giorni felici. Fortunatamente, Charles Lindsay, Conte di Coventry, lo aveva preso a cuore. Jonas non ne capiva ancora il motivo, ma gli era grato per il suo aiuto. Il Coventry Club era stato la sua salvezza sotto tanti aspetti. Gli aveva offerto una fratellanza e un faro di speranza. Coventry era stato determinante nell’aiutarlo a costruire la sua fortuna e, a sua volta, a tenere suo nonno il più lontano possibile da lui. Il duca non si arrendeva facilmente e cercava comunque di farlo tornare all’ovile. Cosa che Jonas non avrebbe mai fatto.

Un vento leggero lo sorprese mentre girava l’angolo. Accelerò il passo quando scorse il club. Il sole stava iniziando a tramontare e presto l’edificio sarebbe stato gremito di gente. Non tutti i conti erano in città nello stesso periodo ma, se anche lo fossero, c’era abbastanza spazio per tutti. Non tutti ricevevano l’invito di ammissione. Ognuno veniva attentamente esaminato e, se il leader lo riteneva idoneo, formalizzava l’invito. Coventry era il loro leader e aveva l’ultima parola su tutti i nuovi membri.

Udì un colpo alle sue spalle. Si voltò per capire cosa stesse succedendo. Asthey teneva premuto il tacco del suo stivale sul petto di un furfante. L’uomo si dimenava, cercando di scappare, finché Asthey non estrasse la pistola che portava e gliela puntò. «Avanti. Dammi una ragione per usarla. Dopo la giornata che ho avuto, mi farà sentire molto meglio.».

«Vi prego, milord.» implorò l’uomo, «Non uccidetemi. Ho una famiglia che ha bisogno di me.».

«Forse avresti dovuto pensarci prima di provare ad aggredire il mio amico.». Jonas spalancò gli occhi mentre ascoltava la conversazione. Era così perso nei suoi pensieri da non aver notato quell’uomo? Era probabile. Dopotutto, era di umore particolarmente sdolcinato. A trent’anni si diventava uomini, o almeno così gli avevano detto. Asthey alzò il grilletto mentre il furfante iniziava a tremare. «Chi ti ha mandato?».

Jonas accorciò la distanza tra loro e scrutò l’uomo. «C’è bisogno di chiederlo? Sono certo che siamo in grado di capire chi è stato così stupido da mandare qualcuno a farmi del male.».

«Non dovevo farvi più male del necessario.» disse l’uomo, «Lui voleva che vi consegnassi relativamente integro.».

«È così, dunque?». Jonas alzò un sopracciglio, «Suppongo sia vero. Non ho adempiuto al mio dovere di generare un erede. Lui non vorrebbe che io morissi prima di averlo fatto.».

«Non essere così superficiale.» Asthey quasi ringhiò, «È la tua vita, queste aggressioni devono finire.».

Jonas era d’accordo, ma non aveva idea di come dissuadere suo nonno dalle proprie idee ridicole. Quell’uomo era troppo insistente e non lo avrebbe lasciato in pace per nessun motivo. «Perché non usiamo il ragazzo per inviare un messaggio a quel vecchio caprone?».

«Vuoi che gli spari e lo faccia consegnare a Southington a pezzi?».

«Che cosa macabra.» disse Jonas. Asthey non faceva sul serio. Oh, avrebbe sparato a quell’uomo, se necessario, ma non aveva mai commesso un omicidio. Qualche tempo prima aveva avuto uno spiacevole incidente che lo aveva reso diffidente verso le persone che non conosceva o di cui non si fidava. Ecco perché portava con sé una pistola. «Non credo ci sia bisogno di arrivare a tanto.».

 

«Vi prego, non uccidetemi.», l’uomo era diventato bianco come un lenzuolo, «Farò tutto quello che volete.».

«Visto? Vuole solo rendersi utile.» Jonas sorrise. Un pizzico di malvagità lo pervase, e lui non riuscì a trattenersi neanche se avesse voluto. «Se non farà ciò che gli chiediamo, puoi sempre sparargli più tardi.».

«Preferirei farlo adesso.» rispose Asthey quasi maniacalmente, «Ma colgo la saggezza del tuo piano.». Scostò lentamente lo stivale dal petto dell’uomo. «Non scappare. Sono un asso con questa pistola e non faresti tre passi prima di sentire una pallottola bruciarti nel petto.».

Jonas scosse la testa, doveva molto ad Asthey per il suo aiuto in tutti questi anni. E questa era un’altra cosa da aggiungere alla lista. Non avrebbe mai potuto ripagare appieno i suoi amici per tutto quello che avevano fatto per lui.

«Che cosa volete che faccia?» chiese il furfante, con una mano ancora alzata. Asthey non aveva ancora abbassato la pistola. «Ditemelo e lo farò questa sera stessa.».

«Vai dal duca.» iniziò Jonas, «Raccontagli di questa nostra breve conversazione, nei dettagli. La prossima volta che manderà qualcun altro a fare il lavoro sporco, non sarà felice del risultato. Questo è l’unico avvertimento che gli daremo. Ho chiuso con i suoi giochetti, tutto questo finirà.».

Il duca, probabilmente, non avrebbe ascoltato l’avvertimento, ma Jonas doveva provarci. Tutti gli uomini inviati da suo nonno non erano serviti, ma era ora di cambiare la sua strategia. Non avevano mai minacciato di ucciderne e smembrarne uno, finora. Asthey era abbastanza pazzo che quell’uomo, probabilmente, lo credeva capace di tutto.

«E non tornare più qui.» disse Asthey, «Se lo farai, significa che hai gradito l’attenzione che ti ho riservato stasera.».

L’uomo annuì freneticamente, poi si girò e corse più veloce che poté. Jonas rise quando il furfante scomparve alla vista. «Pensi che andrà a Southington?».

«Se ci tiene alla sua vita, lo farà”.» rispose Asthey, «Quindi direi di sì.».

«Grazie per essertene occupato.» disse Jonas, «Non mi ero accorto che fosse lì.».

«Andiamo dentro.», ad Asthey non piaceva l’emotività. Non avrebbe risposto al suo ringraziamento, ma Jonas aveva capito. Era fatto così ed erano amici di così vecchia data da conoscere i segreti più oscuri e profondi l’uno dell’altro.

«Dopo di te.» Jonas allungò una mano, «Te lo sei meritato.».

«Sei impazzito?» gli chiese Asthey, «Non ho intenzione di perderti d’occhio. Porta subito dentro le tue chiappe.».

Jonas scosse la testa e si diresse all’interno, con Asthey alle calcagna. Entrarono nella stanza principale e Jonas rimase sorpreso di vederla affollata al limite. Quasi, se non tutti, i conti erano nel club. C’era un incontro di cui non era a conoscenza? Come Mosè che spartì le acque, i conti si scostarono per far passare Coventry. L’uomo si diresse verso Harrington. La sua età iniziava a manifestarsi. I suoi capelli erano diventati un misto di bianco e grigio, e attorno ai suoi occhi verde chiaro iniziavano a comparire le rughe. Nonostante ciò, sembrava forte e robusto per la sua età. Quando Coventry raggiunse Jonas, lo abbracciò e poi fece un passo indietro. Poggiandogli le mani sulle braccia, gli disse: «Buon compleanno.». Quindi tutti i presenti sollevarono i calici e ripeterono le stesse parole ad alta voce.

«Che cosa sarebbe?».

«Una celebrazione.» rispose Coventry, «Per questo compleanno e per molti altri a venire, ma soprattutto, per la tua libertà.».

«La mia cosa?».

«Deve aver battuto la testa.» disse Asthey. «È il tuo compleanno, o l’hai dimenticato?».

«No.» disse Jonas con calma, «So bene che giorno è oggi. È la questione della libertà che non capisco.».

«Hai il pieno controllo della tua eredità, ora.» disse Coventry, «Southington non ha più voce in capitolo sulle tue tasche.».

Jonas sospirò, «Ormai da molto tempo non ho più bisogno del denaro degli Harrington per sopravvivere. Non ha importanza per me.».

Aveva rinunciato alla speranza di avere qualcosa a che fare con la tenuta. Il titolo, in pratica, era solo una formalità da anni. Suo padre non aveva assunto il titolo di cortesia come figlio del duca. Se lo avesse fatto, allora sarebbe stato il Marchese di Starling, così come Jonas dopo la sua morte. Invece, aveva assunto il titolo dell’altro nonno, dalla parte di sua madre, ed era diventato il Conte di Harrington. Era l’unico erede vivente e ciò comportava un onore maggiore.

Con la morte di suo padre, Jonas era stato posto sotto la custodia di suo nonno. Il duca aveva cercato di fargli assumere il titolo di Starling, ma lui lo aveva rifiutato come aveva fatto suo padre. Sfortunatamente, ciò diede al duca il controllo sulla tenuta Harrington e, di conseguenza, macchiò quell’onore. Suo nonno aveva le mani su tutto ciò che riguardava la tenuta Harrington e la governava con ordini duri e crudeltà. I fittavoli erano infelici e il duca provava piacere.

«Non ha importanza?» disse piano Coventry, «Pensaci e, quando sarai pronto a reclamare di nuovo la tua casa, io ti aiuterò.».

Forse doveva rivendicare il suo patrimonio. Odiava avere a che fare con suo nonno, ma lo doveva ai fittavoli da sottrarre al controllo del perfido bastardo. Avrebbero potuto trovare un po’ di felicità, almeno. Qualcuno doveva farlo, anche se non fosse stato lui. Annuì, «Come hai fatto a riunirli tutti qui?».

«Lo stavamo organizzando da un po’.» disse Asthey, «Shelby ed io avevamo deciso che il tuo trentesimo compleanno non sarebbe dovuto passare inosservato senza festeggiamenti.».

Aveva degli amici splendidi. «Grazie.». Jonas si guardò attorno. «Dov’è Shelby?».

«Sono qui.» annunciò Shelby da dietro, «Scusate per il ritardo. Ho avuto una discussione con mia madre.».

Shelby litigava sempre con sua madre, era lei che lo costringeva a scortare sua sorella a qualsiasi ballo. Era suo dovere come parente maschio più anziano. Purtroppo per sua sorella, Shelby odiava le feste e cercava di evitarle il più possibile. Troppe innocenti in cerca di marito, per i suoi gusti.

«Su cosa?» chiese Jonas, anche se sospettava quale fosse la risposta.

«Le solite questioni.» rispose Shelby, «Credete che potrei convincere voi due…» indicò Asthey e poi Jonas «… a partecipare ad un ballo, stasera?».

«Preferirei spararmi con la mia stessa pistola, piuttosto.» rispose Asthey.

«Non essere così melodrammatico.» disse Shelby, alzando gli occhi al cielo, «Non è poi così male.».

«Che cosa ci guadagniamo noi?» gli chiese Jonas, «È il mio compleanno. Dovremmo fare qualcosa che piaccia anche a me.».

Entrambi sarebbero andati al ballo, ma dovevano fingere di non volerlo fare. Era un gioco che facevano spesso ai danni di Shelby. Erano più vicini di quanto potessero esserlo dei fratelli, e si sostenevano a vicenda ad ogni costo.

«Non così in fretta.» disse Shelby, «Abbiamo già preparato la tua sorpresa di compleanno e sono certo che la adorerai.».

Jonas alzò un sopracciglio, «Non mi piace come suona.».

«È andato in fissa per i capelli rossi.» disse Asthey con tono impassibile, «Ti prego, dimmi che hai trovato quella che stava guardando l’altro giorno.».

I suoi amici avevano probabilmente ingaggiato una “cortigiana” per lui.

«Non ho intenzione di rovinargli la sorpresa.» sogghignò Shelby, «Andiamo. Mia sorella starà aspettando e non voglio sentire mia madre urlare perché sono in ritardo.».

«Dove si terrà il ballo?» gli chiese Jonas. Non voleva incontrare la madre di Shelby, quella donna strideva abbastanza da danneggiare l’udito di un uomo. Intendeva evitarla a tutti i costi. «Ci vediamo lì.».

«È il ballo dei Loxton.» disse Shelby, poi sospirò. «Non vi biasimo se non volete accompagnarmi a casa. Amo mia madre, ma mi fa impazzire. Dopo il ballo, però, inizierà il vero divertimento.».

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