Marchesa Anna Di Fontanarosa, 22 anni
Marchese Arturo Di Fontanarosa, 35 anni
Il Dottor Fulvio Salvetti, 39 anni
Giuliano D'Alma, 30 anni
Il Conte Sandro Dionigi, 24 anni
Renato Albenga, 35 anni
Gustavo Rivoli, 40 anni
Antonio, vecchio servo
Filippo, giardiniere
Epoca: verso il 1890.
La scena rappresenta il salotto del villino abitato della marchesa di Fontanarosa, in una campagna non frequentata da villeggianti. Nella sua grande eleganza, questo salotto ha qualche cosa di campestre e di capriccioso.
Nessun divano, ma seggiole e poltrone di tutte le dimensioni. Sgabelletti civettuoli, quadri, statuine, mobili varii, tavolini con su ninnoli, fiori, giornali. La camera è di forma ottagonale, e però lo spettatore ne vede, naturalmente, cinque pareti. Una porta alla parete destra, una alla parete sinistra, una porta a due battenti alla parete centrale, in fondo, con tendine da potersi distendere su tutto il vano. La porta maggiore, che dà adito alla sala d'ingresso, si apre in una delle pareti collaterali a quella del centro. Nell'altra parete collaterale si apre un finestrone ampio, dal quale si scorgono i rami degli alberi del giardino contiguo e le tinte tenui e vaporose del cielo.
N. B. – Tre poltrone, tra le altre, in prima linea devono formare una specie di gradazione: la seconda poltrona deve essere più bassa e più comoda della prima; la terza più bassa e più comoda della seconda: esse serviranno a Rivoli, nella prima scena del 1º atto. È anche necessario che l'uscio della camera di Anna si apra in fuori, sul palcoscenico (e ciò servirà ad Anna per le scene culminanti del 2º e del 4º atto) e che le portiere siano dentro, cioè nelle quinte.
(Tutti sono seduti, con aria di persone di casa. Giuliano D'Alma ha un libro in mano, e legge estasiato. Renato Albenga ha in mano un taccuino ed un lapis con cui scrive. Il più appartato è Gustavo Rivoli.)
(ad Albenga) Non perde tempo il nostro drammaturgo!..
Eh!
Scrivete sempre?
Butto giù degli appunti. Noialtri artisti psicologici siamo gli apparecchi sismografici dell'umanità.
Scusate se è poco!
(Si alza, si avvicina a uno specchio e comincia a tormentare la sua cravatta.)
Noi osserviamo tutto. Valutiamo tutto. In ogni più piccolo movimento, l'uomo ha per noi una rivelazione.
Attento! Attento!
Che è?
Occhio al conte Dionigi! Egli è dinanzi a uno specchio. Chi sa quante cose può rivelare!..
(disdegnosamente, continua a scrivere.)
(sincero) Io rivelo che questa cravatta non va con questo colletto.
Che disgrazia!
Sì, sì, mi sento infelice! Ed è una cravatta di Boivais!
(entusiasticamente, sempre con gli occhi sul libro)Oh, bella! Molto bella!
(mirandosi) Bellissima, ma ci vorrebbe un altro colletto! (Torna a sedere.)
(a Dionigi) Ma che colletto?!.. Parlavo di questa pagina, che è stupenda. Sentite voi, dottor Salvetti.
Son tutto orecchi.
(legge ritmicamente) «La caducità della materia implica l'imperfezione dell'amore carnale. Ciò che è costituito da una combinazione chimica e che è destinato a dissolversi non può essere la sede dell'amore. (Con enfasi) Due esistenze che si amano male sono due linee convergenti, ma quando la donna…
(venendo dalla porta a sinistra) Si sta vestendo… e viene subito. (Attraversa la stanza ed esce dalla porta comune.)
(leggendo)… e l'uomo si amano bene, le loro esistenze sono due linee parallele, le quali non s'incontrano che all'infinito. Ed ecco l'amore spirituale ed eterno, ecco la perfezione!».
Ho già messo io qualcosa di simile in bocca al protagonista del mio dramma psicologico «la Vittoria».
(un po' distratto) Io, una volta, avevo un yachtche si chiamava così. Filava sedici nodi all'ora con vento fresco.1
(alzando le spalle) Oh! (Scrive di nuovo.)
(a Dionigi) Voi invece, con la marchesa, filate anche senza vento…
Dunque, dottore, non vi va questa specie d'amore?
Grazie, no. Non ne prendo. Ma lo consiglio spesso agli altri: «soluzione di amore spirituale». È una delle mie ricette.
(pigramente) Per quali malattie?
Per la vostra, ad esempio.
Ma io sto benone. (Si alza con lentezza da una poltrona e si sdraia in un'altra più bassa e più comoda: la sua schiena è alquanto curva e le sue gambe sono visibilmente fiacche nelle giunture.)
Si vede!
Che si vede?
Una schiena e due gambe che sembrano di pasta frolla.
Dovreste vederle alla prova!
Non ci tengo.
Per invidia?
Forse.
Difatti, la marchesa vi ha già qualificato: «astemio».
Meglio.
Non vi fidate, Rivoli. Il dottore è come un buon cavallo da corsa montato dal più astuto dei fantini. Lungo la pista, ha l'abitudine di lasciarsi distanziare, ma «tiene la corda», come diciamo noi, e all'ultimo giro, in vista del palo d'arrivo, guadagna terreno. Voi lo quotate dieci contro uno; ma io, se faccio da book-maker, nella peggiore previsione, lo do alla pari.
Risparmiatevi questa pena, perchè io non corro.
Play or pay, dottore!
Questo non so che significa, ma non importa! Il certo è, giovanotto mio, che sulle piste femminili, il palo d'arrivo muta di posto a seconda delle condizioni fisiologiche d'una donna. Non si tratta di correre; si tratta di aspettare. Nella vita di lei c'è sempre un quarto d'ora in cui non si ha che a stendere la mano per afferrarla… come un frutto maturo.
Oh, oh, dottore! Poco elegante tutto questo, poco di buon gusto! Poco comme il faut!
Ma molto vero.
Io sostengo che è assurdo!
(con importanza) Nè assolutamente vero, nè assolutamente assurdo. Sono fenomeni che io ho approfonditi. Il quarto d'ora della vulnerabilità arriva ma esso è determinato da una influenza, da un fluido, da una forza fascinatrice…
(si alza lentamente e si sdraia meglio in un'altra poltrona anche più bassa e più soffice, stendendo le gambe sopra uno sgabello e respirando:) Ah!
(continua) E questa forza, signori miei, può essere la bellezza, può essere la bontà, può essere l'astuzia, può essere… non spetterebbe a me il dirlo… ma può essere, ed è, spesse volte, l'arte…
Dio buono! Meno teorie e più fatti!
E dire che sono i fatti quelli che vi hanno liquidato!
Uhm! Non ancora.
(sporgendo la testa dalla porta a sinistra e nascondendo il capo dietro la portiera, chiama:) Conte Dionigi!
(alzandosi subito) Marchesa? (Tutti s'alzano e s'inchinano.)
Per un vestito d'amazzone, in campagna, che colore mi consigliereste?
(cercando di vedere) Se potessi indovinare…
Ah, no! Dovete essere… indipendente.
Ebbene, il grigio.
E voialtri?
Io direi il bleu. C'è una mia protagonista che si veste così.
Il color Valkiria, marchesa!
Non c'è! E voi, dottor Salvetti?
Le donne a cavallo mi sono odiose in tutti i colori.
Orso!
(paziente) Orso.
Uno!.. Due!.. E tre!.. (Viene fuori d'un salto e si ferma.) – (Risatina.) Eccomi qua! (Indossa un vestito d'amazzone grigio. Porta in mano guanti, frusta e cappellino.) Conte, non siete voi che avete indovinato il mio colore, sono io che ho indovinato il vostro.
Molto inglese! (Analizzando seriamente il vestito di lei) Molto chic! molto chic!
A voi! (Stendendo il braccio) Si procede al baciamano.
(Tutti si dispongono in fila come dinanzi allo sportello d'un bigliettinaio, aspettando il loro turno.
La Marchesa resterà ferma col braccio teso, ed essi le si accosteranno l'uno dopo l'altro, ordinatamente.)
(le prende la mano e gliela bacia con estrema eleganza.)
(gliela bacia guardando lei con occhi pieni di pensieri importanti.)
(le solleva le dita con le dita e timidamente indugia accostandovi la bocca.)
Coraggio, signor Giuliano, coraggio!
Non ne ho mai quando so di profanare quello che tocco. (Le sfiora le dita con le labbra.)
(che era già dietro a Giuliano D'Alma, aspettando il suo turno) Io ne ho sempre quando so di toccare quello che profano. (Le bacia la mano avidamente e vorrebbe continuare.)
(ritirando il braccio) Ho sentito, ho sentito!
(con subitanea risoluzione) Per conto mio, rinunzio.
(con lieve moto di dispetto) Lo so che siete astemio!
(a Salvetti) Non ve l'ho detto, io?
Sicchè, il programma di oggi, marchesa, è indicato dalla vostra toilette?..
Come? Non s'era già stabilito d'andare a cavallo sino al laghetto e di fare colazione alla Capannella d'oro?
No, marchesa…
Oh, che testa! che testa che ho io! Ma è spaventevole! (Ride) Ah ah ah! Intendo. L'avrò sognato… Da che sono in campagna non faccio che sognare!
(con dolcezza poetica) Come me.
(con un rimpianto di cupidigia lasciva) Come me.
E sapete, per esempio, l'altra notte che sognai? Sognai… d'averlo finalmente trovato.
Chi?!
Non so bene chi, ma era lui! Era lui, era proprio lui, era proprio quello che viceversa cerco da due anni (declamando per celia) e che forse non troverò giammai. (Risatina.)
(con aria di competenza) Marchesa, dalle mie osservazioni mi risulta che le mogli, che hanno il vostro temperamento, sono avide di libertà, ma non possono vivere che di tirannia. Esse fuggono il marito, sì, come faceste voi, ma cercano un altro tiranno.
(seria) Aimè! Mio marito non è stato neppure un tiranno.
E poi non sarebbe mica di buon gusto. Voi, marchesa, ça va sans dire, avete il diritto di cercare uno schiavo…
Un amante, che diamine!
Un «reagente»!
Un'anima… parallela!
(con umorismo) L'anima parallela non mi dispiacerebbe. Ma tutte queste distinzioni sono di ordine secondario. Io cerco, purtroppo, quel che è più raro e più irreperibile, al giorno d'oggi, sulla faccia del mondo. Io cerco… un uomo!!
Eh?!!
(non si regge più sulle gambe si ritrae indietro e siede sul bracciuolo di una poltrona.)
A voi pare una cosa facile?.. V'ingannate. Per gli uomini, si sa, tutti gli uomini sono uomini. Ma per noi donne, è diverso! (Risatina) Ognuna di noi non ammette che un uomo solo: quello che sa conquistarla. Orbene, amici miei, non potete disconoscere che, ai tempi nostri, la galanteria è divenuta molto diffusa, ma punto tentatrice. Ricordate, eh?, tutta quella numerosa schiera di giovanotti che in città ingombravano il mio salotto? Io vi domando: quale poteva essere per me un vero conquistatore? Dieci di essi mi facevano la corte per vendicarsi dei fiaschi ottenuti con le mie nemiche; altri dieci me la facevano per farla… alle mie amiche, ed era un po' come quel grazioso giuoco, quello che voi, conte, conoscete così bene…
(stupidamente) Il bézigue?
Ma no!.. Un giuoco di bigliardo…
Ah! La carambole…
Benissimo!.. la carambola: urtarne due per non fermarsi, possibilmente, a nessuna… E quelli, poi, che mi facevano la corte per non farla che a me, avevano un'aria così indolente, così pigra, così stanca – peggio di Rivoli, veh!..
(si dirizza d'un subito in piedi, a guisa d'una molla.)
(continuando)… che non avrei osato di sceglierne uno senza sentire il dovere di dirgli: «Scusi l'incomodo». (Ride) Ah ah ah! Almeno, qui, in questo eremitaggio, non ci sono che io. Marchesa di Fontanarosa a tutto pasto! Voi potete giocare a… carambola sul mio bigliardo; ma nel mio salotto non più; ed io (scherzosa) posso contare sulle vostre intenzioni, perchè… mettiamo le cose a posto… se siete riuniti in questo recondito angolo del mondo, significa che mi ci avete seguìta!
– Naturale!..
– Senza dubbio!..
– È vero!..
– È evidente!
Domando scusa, marchesa: io non vi ci ho seguita: io vi ci ho incontrata.
Ma ci rimanete.
Ci rimango…
E non ci rimanete forse per me?..
In qualità di medico.
Ma io non sono malata.
La vita di una donna senza marito è sempre una malattia!..
Che voi non sapete curare…
Mi ci provo.
(pungente) Ma non ci riuscite!
(mettendo la mano sul petto all'uso schermistico.)«Toccato», dottore!
(condiscendente) «Toccato».
(con solennità gioconda, salendo sopra uno sgabbelletto)Si mette ai voti il programma della gita a cavallo!
Accettato all'unanimità!
(insieme) All'unanimità!
Meno uno!
Peggio per quell'uno.
(a Rivoli, guardandogli le gambe) Come!! Ci andate anche voi a cavallo?
E perchè non dovrei andarci?
Avete un bel fegato!
Conte, mi cedete il vostro Black boy?
Mi permetterei piuttosto di offrirvi la mia cavallina. Black boy è troppo duro di bocca e devo lavorarmelo io. Se mi date licenza, vado io stesso a insellare Lady Florence.
E gli altri?
Noleggeremo i bucefali del Santoro.
Ma sin là c'è una tappa di un chilometro.
Ci andrete voi, Rivoli.
… Con piacere.
E presto, eh?
Volo, marchesa. (Si allontana, sforzandosi, invano, di affrettare il passo, ed esce.)
Abbiate pazienza, Albenga: andateci voi pure, perchè Rivoli non mi sembra molto disposto a volare.
Vi servo, marchesa. (Esce.)
Io corro alla scuderia.
Grazie.
Prego… (Esce.)
(accomiatandosi) Ed io, giacchè ho da restar solo, vado a fare un po' di onesta colazione.
Superfluo il dirvi, dottore, che durante la mia assenza voi siete padrone della mia casa come di solito. Qui, troverete seggiole a sdraio, libri, giornali illustrati: tutte cose di cui difetta il vostro alberghino, esageratamente campestre.
Troppo buona, marchesa. Profitterò. (Via.)