Za darmo

Storia d'Italia dal 1789 al 1814, tomo VI

Tekst
0
Recenzje
iOSAndroidWindows Phone
Gdzie wysłać link do aplikacji?
Nie zamykaj tego okna, dopóki nie wprowadzisz kodu na urządzeniu mobilnym
Ponów próbęLink został wysłany

Na prośbę właściciela praw autorskich ta książka nie jest dostępna do pobrania jako plik.

Można ją jednak przeczytać w naszych aplikacjach mobilnych (nawet bez połączenia z internetem) oraz online w witrynie LitRes.

Oznacz jako przeczytane
Czcionka:Mniejsze АаWiększe Aa

Crebbero a dismisura gli sdegni, quando si scoverse l'affare di Dastros. Sclamava il Parigino ministro, la pontificia lettera esser fonte di ribellione; girare il papa le incendiarie faci all'intorno; parlare di concordia, suscitare la discordia. Poi per bocca imperiale comandava al prefetto di Montenotte, badasse bene a non lasciare trapelar lettere, nè per dentro, nè per fuori della papale stanza, e non mancasse; parlasse più risolutamente al papa; gl'intuonasse alle orecchie, che dopo la fulminata scomunica, ed il procedere suo a Roma, che tuttavia continuava a Savona, l'imperatore il tratterebbe come meritava; che tanto era oramai il secolo oltre nei lumi, che sapeva distinguere le dottrina di Gesù Cristo da quelle di Gregorio settimo.

I fatti seguitavano le minacce. Per dispetto, e per speranza di ottener concessioni col terrore, ordinava l'imperatore, che ogni apparato esteriore si sbandisse dall'abitazione pontificia: trovarono i rigidi comandamenti diligenti esecutori. Camillo Borghese principe toglieva le carrozze al papa, toglievagli Sarmatoris e gli altri servitori, sopprimeva ogni segno di rispetto, gl'interdiceva penna ed inchiostro, gl'intimava per ordine di Napoleone imperatore, che gli era fatta inibizione di comunicare con alcuna chiesa dell'impero, nè con alcun suddito dell'imperatore sotto le pene di disubbidienza tanto per lui, quanto per loro; che cessava di essere l'organo della Chiesa colui che predicava la ribellione, colui che aveva l'anima tinta di fiele; che poichè niuna cosa il poteva far savio, se gli faceva a sapere, che sua Maestà abbastanza era forte, perchè potesse far quello che i suoi antecessori avevano fatto, e deporre un papa.

Si credeva a Parigi che i comandamenti ripetuti avessero maggior forza. Per la qual cosa Bigot di Préameneu novellamente inculcava, si intimasse a Pio, che per cagion sua i cardinali, ed i vicari generali perdevano la libertà, i canonici le prebende; che queste occulte trame erano indegne di un papa; ch'egli sarebbe cagione delle disgrazie di tutti coloro, che avrebbero a far con lui; che dichiarato nemico dell'imperatore doveva quietamente starsene, e poichè da sè si chiamava carcerato, operare come se fosse carcerato, nè avere con nissuno pratica o corrispondenza; che gran disgrazia era per la Cristianità lo avere un papa così ignorante di quanto è dovuto ai sovrani: che del resto, non sarebbe la pace dello stato turbata, e che il bene si farebbe senza di lui.

Oltre i comandamenti del ministro dei culti, e del principe governatore del Piemonte, perciocchè tutto il governo Napoleonico era mosso contro il prete di Savona, intuonava dalle sponde dell'investigatrice e dispotica Senna la polizia, si guardasse bene dentro e fuori della pontificia abitazione; si stillasse tutto, si spiasse tutto; niuna cosa, per minima che fosse, trapelare, o, per usare le parole stesse, filtrare potesse, senza che la polizia la sapesse; si guardasse attentamente al grande, si guardasse colla medesima gelosìa al minuto; non si prestasse fede di tutto a tutti, ma solo ai più fidi; se alcuno mentisse, fosse punito; se alcuno dicesse la verità, fosse ricompensato; vigilante fosse la investigazione, e continua, ma invisibile, fosse anche proteiforme; fossero gli agenti di tutte le lingue, di tutte le forme, di tutti i mestieri, varj ed infiniti i pretesti, ma sempre naturali, perchè il lambiccato svela l'arte; si usasse ogni astuzia, ogni strattagemma, ogni scaltrimento; superassersi in astuzia, queste parole stesse portavano le lettere, i preti, anche i più maliziosi; si avesse l'occhio massimamente alle strade da Savona a Torino, perchè là era il marcio; si guardasse addosso ai pedoni molto diligentemente, e per ogni parte si ricercassero; non mancherebbero i pretesti per non dar sospetto; ora si motivasse di un vagabondo, ora di uno scappato di galera, qui si cercasse un soldato fuggitivo, là un truffatore condannato, poi un po' di scusa velerebbe il segreto: le Savonesi terre desolate dalla polizia. Voleva ancora, essa polizia, si procurasse, che pei concorsi d'uomini o di alta o di bassa condizione, gli autorevoli e di buona favella intendessero alle persuasioni, dicendo, che l'imperatore aveva ragione, il papa torto; che più amava l'imperatore la religione, che il papa l'amasse. Insinuava altresì, che le sacristìe ed i confessionali farebbero servizj grandi, se si facesse sentire ai curati instrutti, ed ai preti giurati, che la loro obbedienza e sommessione erano conosciute, e che sarebbero anche premiate; se qualche canonico, o se qualche regolare passato a vita secolare compiangesse o titubasse, se gli facesse tosto suonare all'orecchie l'interesse personale, la perdita delle pensioni, e che la polizia sapeva tutto; se qualcheduno ricalcitrasse, si mettesse in luogo dove gli passerebbe voglia; finalmente con ogni sorta di cortesi dimostrazioni, tanto in pubblico, quanto in privato si accarezzassero, ed al ministro dei culti si raccomandassero gli ecclesiastici che si mostrassero più fedeli, che usassero l'autorità loro per ridurre i compagni a fedeltà, e che predicassero che ogni potestà temporale viene da Dio, e che il Vangelo insegna e raccomanda l'obbedienza e la sommessione verso i principi; ponessesi mente ad operare che tutti gli spiriti s'imbevessero di quest'opinione, che l'imperatore non tornava mai indietro, che per la sua munificenza infinita sempre premiava chi fedelmente e devotamente il serviva, ma che per la sua giustizia mai non perdonava a chi denigrasse, a chi ricalcitrasse, a chi dissidj e discordie seminasse.

Queste che abbiamo raccontate, furono le cautele poste in opera dai Napoleonici per murare il papa, e per fare, che nissuno sapesse, o dicesse, o facesse altro che quello che piaceva a Napoleone. Arti veramente perfette erano queste, e da servir per esemplare a chi ama il comandare da se. L'imperatore veduto che nè le persuasioni, nè le minacce, nè gli spaventi, nè la strettezza del carcere non avevano potuto piegare l'animo del pontefice, e credendo, per le opinioni dei popoli, di non potere da se, e senza che gli estremi mezzi prima si fossero tentati, fare questa gravissima mutazione, che i vescovi di Francia, e di tutti i paesi sudditi a lui più non ricevessero la instituzione canonica della sede apostolica, si era risoluto ad usare più efficacemente il sussidio del consiglio ecclesiastico adunato in Parigi. Opinava, che il parere di ecclesiastici di grado o di dottrina, fosse per operare fortemente in favor suo sulla mente dei popoli, caso che per la necessità delle cose si avesse a rompere quel legame, che congiungeva l'episcopato Francese alla Chiesa di San Pietro.

Inoltre, a ciò consigliato, e stimolato principalmente dal consiglio ecclesiastico, si era deliberato a convocare un concilio nazionale a Parigi; acciocchè considerasse la necessità presente, e proponesse i mezzi di rimediarvi. Dava favore a questo suo pensiero, oltre la maggior autorità di un concilio, la speranza che i vescovi Italiani chiamati all'assemblea, siccome nutriti, la maggior parte, nelle dottrine che abbracciate in Italia da molti dotti canonisti, avevano negli ultimi tempi trovato una principal sede in Pistoia, avrebbero deliberato in favor d'un'opinione, che, quanto alla trasmissione dell'episcopato, pareva conforme agli usi antichi della Chiesa primitiva.

Ordinate in tal modo le cose, e sicuro di quello che dovesse avvenire, Napoleone stimolava il consiglio ecclesiastico; acciocchè desse principio a quanto si era ordinato. In primo luogo rispondeva il consiglio, non senza molt'arte, a quesiti fatti con maggior arte. Quanto all'articolo, se il governo della Chiesa fosse arbitrario, dichiarò che non era; che quanto alla fede, la santa scrittura, la tradizione, ed i concili servivano di regola; e quanto alla disciplina, l'universale reggevano i decreti della Chiesa universale, la particolare quelli delle Chiese particolari; il che il consiglio non diceva senza cagione. Aggiunse, che la disciplina particolare era sempre stata rispettata dalla Chiesa universale, piena di carità e di condiscendenza. Ragionò, che Dio aveva dato a san Pietro, ed a' suoi successori il primato d'onore e di giurisdizione; ma i consiglieri ecclesiastici, procedendo con questa generalità, e non venendo a nissuna particolarità, non si spiegavano, in che cosa consistesse questo primato di giurisdizione, perchè in ciò appunto stava tutta la difficoltà della materia venuta in controversia; che Dio diede al tempo stesso agli apostoli, continuavano i consiglieri, la facoltà di reggere le Chiese, con subordinazione però al capo degli apostoli: dal che ne risultava, che ove questa subordinazione non si offendesse, avevano i successori degli apostoli pieno mandato di governar le Chiese.

Non potere, statuirono, il papa ricusare il suo intervento negli affari spirituali per cagione dei temporali, quando questi di tale natura non siano, che non impediscano il pontefice di far uso della sua autorità liberamente, e con piena independenza: convenirsi, che nel concistoro intervengano cardinali di ogni nazione, ma dello speciale modo non convenirsi deffinire, dovendosi lasciare qualche libertà al papa nella elezione de' suoi consiglieri; nè in ciò potersi andar più oltre che il concilio Basileense ebbe prescritto, cioè eleggesse il papa cardinali di tutte le nazioni, quanto più comodamente fare si potesse, e secondochè se ne trovassero dei degni. Ma prelati tostamente contraddissero a questa soluzione, nè potevano fare altrimenti, dichiarando, veramente avere l'imperatore raccolti in se stesso tutti i diritti del richieder cardinali, che competevano ai re di Francia, ai principi del Brabante, ai sovrani della Lombardìa, del Piemonte, e della Toscana; dal che ne conseguitava, che, eccettuati i cardinali degli stati ereditarj d'Austria, dovendo presto aggiungersi i diritti di Spagna, tutti i cardinali gli avrebbe nominati egli; e che independenza di papa e di concistoro fosse quella, ponendo eziandìo che il papa si restituisse a Roma, ed al dominio temporale, nissuno è, che nol veda.

 

Il concordato, opinarono, non essere stato violato in niuna essenziale parte dell'imperatore; qui i prelati si trovarono a un duro cimento, perchè sapevano che il papa aveva protestato contro gli articoli organici di Francia, e più ancora contro quei d'Italia. Trovarono per iscampo, che parecchj articoli, di cui s'era il pontefice querelato, erano massime ed usi della chiesa gallicana. Assai migliorata essere, risposero, la condizione del clero in Francia dopo il concordato, ed in questo avevano i prelati ogni ragione, nè tanto non dissero, che non potessero dire molto più.

Per sentenziare se il papa di suo proprio arbitrio potesse rifiutare le instituzioni, i prelati s'aggirarono per molti ragionamenti; imperciocchè in questo giaceva tutto il nodo della difficoltà: che il concordato, esposero, era un contratto sinallagmatico tra il capo dello stato, e il capo della chiesa, pel quale ciascuno di loro si era obbligato verso l'altro; che era anche un trattato politico di sommo momento per la nazione Francese, e per la chiesa cattolica, che per lui Sua Maestà era investita del diritto di nominare gli arcivescovi ed i vescovi, di cui prima godevano i re di Francia pel concordato concluso tra Leone decimo e Francesco primo, ed era riserbato al papa quello di dare l'instituzione canonica agli arcivescovi e vescovi nominati da Sua Maestà, secondo le forme accordate, rispetto alla Francia, prima del cambiamento di governo, ma che il papa, non di proprio arbitrio, ma secondo i canoni doveva dare la instituzione, che a termini del concordato del millecinquecento quindici egli era obbligato a dar le bolle, od allegare motivi canonici del suo rifiuto; a volere ch'egli potesse rifiutare senza cagione, ed arbitrariamente le bolle, e bisognerebbe supporre, che da nissun trattato fosse obbligato, neanco da quello al quale aveva solennemente ratificato, e potesse mancar della fede data all'imperatore, alla Francia, ed alla Chiesa tutta, alla quale il concordato dell'ottocento uno assicurava la protezione del più potente sovrano del mondo. Aggiungevano i prelati, sapersi il papa queste cose, confessare la verità dei narrati principj, ma negare le instituzioni pei motivi addotti nella sua lettera al cardinal Caprara: insussistenti essere questi motivi, non avere l'imperatore alcuna offesa di importanza fatta al concordato: dei motivi politici non poter loro giudicare; diverse essere le temporali cose, diverse le spirituali; il senatus-consulto, che unì Roma alla Francia, non avere offeso l'autorità spirituale del papa, nè il temporale dominio essere necessario all'esercizio della potestà pontificia; non avere la presa di Roma violato il concordato, nè il concordato aver dato sicurtà al papa di Roma; non come principe temporale, ma come capo della Chiesa avere quel solenne atto stipulato; il principe non esser più, ma essere il pontefice, e la pontificia autorità rimanersi intatta; avere potuto il papa protestare, potuto richiamarsi della Romana possessione, ma non potere usar mezzi per ridurre in atto le proteste ed i richiami, non iscomunicare; dichiarare l'imperatore, che nulla voleva innovare nella religione; protestarsi che voleva l'esecuzione dei patti convenuti; non potere per motivi temporali tirarsi il papa indietro; nè Clemente settimo da Carlo quinto oltraggiato essere venuto a tale estremo. Restava che i prelati parlassero della libertà violata, della perfetta segregazione del pontefice; posciachè il papa di tali ingiurie si era doluto nella sua lettera al Caprara, e sopra di esse principalmente fondava il rifiuto delle bolle. A questo passo con brevissime parole osservarono, che facilmente l'imperatore s'accorgerebbe di tutta la forza e giustizia delle lagnanze del papa. Con questo freddo discorso favellarono prelati cattolici, prelati che da Pio tenevano i seggi loro, dell'atroce caso del pontefice, nè in ciò sono a modo alcuno scusabili; conciossiachè, posto eziandio, che circa la questione canonica l'imperatore avesse ragione, il papa torto, il fatto solo della carcerazione del pontefice rendeva dal canto loro ogni opinare impossibile. Il concordato, che era un vero trattato, supponeva equalità di condizione nelle due parti, e libertà di deliberazione sì nell'una che nell'altra: ma quale libertà di deliberazione fosse in un papa prigioniero, e quale equalità di condizione tra un papa carcerato ed un imperatore carcerante, ciascuno potrà facilmente da per se stesso giudicare. Certamente debbe stare inconcussa la libertà dei principi, debbonsi troncar le strade agli abusi pontificj, e chi arrivasse a stabilir bene questo punto, meriterebbe bene del mondo cattolico, anzi di tutta l'umanità. Ma la carcerazione del pontefice turbava ogni cosa, e prima di trattare la questione canonica, si doveva definir quella della liberazione.

La materia, quanto più si va oltre, tanto più si stringe. Non potere, risposero i prelati, aversi il concordato per abrogato, perchè non era già esso una transazione meramente personale fra l'imperatore e il papa, bensì un trattato che costituiva parte del dritto pubblico di Francia, ed in cui si contenevano i principj fondamentali, e le regole del governo della chiesa gallicana; importare adunque, che, quandanche il papa perseverasse, in quanto a lui si atteneva, nel non volerlo eseguire, la sua esecuzione continuamente si addomandasse, e della medesima il sovrano pontefice si richiedesse: ma se il papa tuttavia perseverasse nel ricusar le bolle, doversi protestare contro questo rifiuto illegale, ed appellarne o al papa meglio informato, o al suo successore. Quivi i prelati erano arrivati all'estremo passo; perchè o che il concordato come abrogato, o solamente come sospeso si riputasse, un rimedio diveniva necessario. Ora, stantechè la religione cattolica non può sussistere senza l'episcopato, e l'episcopato non si può avere senza la instituzione canonica, nè senza la giurisdizione unita all'ordine, e stante ancora che la chiesa gallicana, parte tanto nobile e tanto essenziale della Cristianità cattolica, venuta, non per sua colpa, in queste fatali strette, non doveva e non poteva nè abbandonare se stessa, nè lasciarsi perire, nè non trovar modi di conservazione, i prelati opinarono, e così all'imperatore rappresentarono, che si ricercasse quanto negli antichi tempi della chiesa, ed in quelli più vicini si fosse praticato. Descrissero, nei primi secoli della Chiesa, i vescovi essere stati nominati dai suffragi dei vescovi conprovinciali, dal clero, e dal popolo della chiesa che del vescovo abbisognava; essere stata la elezione confermata dal metropolitano, o se del metropolitano si trattasse, dal concilio della provincia: nella serie dei tempi posteriori poi, avere gl'imperatori, o gli altri principi cristiani grandemente partecipato nelle nomine dei vescovi: di grado in grado non essersi più chiamati alle elezioni il popolo ed il clero della campagna, e devolute essere le elezioni al capitolo della chiesa cattedrale, ferma sempre però stando la necessità del consenso del principe, e della conferma del metropolitano, o del concilio provinciale: la disusanza di queste assemblee, le contese frequenti, che nascevano dalle elezioni, la difficoltà di terminarle sui luoghi, il vantaggio che trovavano i principi di trattare immediatamente col papa, avere introdotto l'uso di promuovere queste cause innanzi alla santa sede, e per tal modo essere i sovrani pontefici appoco appoco venuti in possessione del confermare la maggior parte dei vescovi: tale essere stata la condizione delle cose ai tempi del concilio Basileense, di cui la Chiesa di Francia accettò i decreti relativi alla nomina, ed alla confermazione dei vescovi, e statuiti per la sanzione prammatica di Bourges nel millequattrocentotrent'otto; per lei essersi mantenute le elezioni capitolari, e la confermazione, o instituzione lasciata ai Metropolitani: così colla prammatica di Bourges essersi rimediato alla mancanza dell'instituzione pontificia: essere poscia circa un secolo dopo, sorto il concordato fra Leone decimo e Francesco primo, dal quale la nomina del re fu sostituita alla elezione capitolare, e la conferma, od instituzione canonica riservata al papa: per tale forma essersi trasfusa la potestà dell'instituzione dai metropolitani, e dai concilj provinciali nel sovrano pontefice, e le elezioni capitolari nel capo temporale dello stato. Ora adunque, ristringendo il discorso loro, dicevano i prelati, poichè la necessità non ha legge, e la conservazione della chiesa gallicana da ogni umana e divina legge è non solo raccomandata, ma comandata, volersi, persistendo il papa nei rifiuti, tornare all'antico dritto dei metropolitani, non per sempre nè definitivamente, ma temporaneamente e transitoriamente, insino a che piacesse a chi muove a posta sua gli umani cuori, voltar quello del pontefice in meglio verso di quella grande, affezionata, e zelante gallicana chiesa: la prammatica disusata di Bourges avere ad essere il rimedio dei mali presenti. Grave ed enorme passo era questo: però aggiunsero al parer loro i prelati, opinare, che si convocasse un concilio nazionale: non volere i prelati giudicare anticipatamente delle risoluzioni del concilio, ma presumere, che nel caso in cui egli sentenziasse di risuscitare la prammatica, supplicherebbe prima il pontefice, e scongiurerebbelo, che della gallicana chiesa gli calesse, ed a lei la vita coi vescovi ridonasse; ma se nè le preci, nè le supplicazioni potessero vincere l'ostinazione del pontefice, decreterebbe il concilio, per ultima necessità, e per non perire, che la prammatica si rinnovasse.

Intanto le dottrine dei partigiani dell'antica disciplina vieppiù si spargevano, le Italiane contrade principalmente ne risuonavano. Coloro che a queste opinioni erano addetti, credevano essere venuto il tempo ch'elleno avessero a prevalere, si rallegravano della diminuzione dell'autorità pontificia, ed affermavano ch'ella era medicina non solamente utile, ma ancora necessaria al corpo infermissimo, come il chiamavano, della Chiesa. La ricordanza del milleottocentuno, e ciò, che era accaduto al concilio di Parigi in quell'anno, non gli rendevano accorti del procedere e delle intenzioni di Napoleone: che il corpo, spargevano, dei vescovi esercenti, rappresentasse la Chiesa, e fosse per rappresentarla finchè ella durasse; che attentato condannabile dei papi degli ultimi tempi fosse l'aver voluto diminuire e frenare la potestà divina dei vescovi; che la potestà inerente al carattere dei vescovi immediatamente, e senza che nissuna umana potestà potesse arrogarsi il diritto di alterarla, derivasse da Gesù Cristo; che non mai potesse la giurisdizione episcopale perire, che i concilj prima del mille non avessero mai voluto riconoscere per veri e legittimi vescovi, se non quelli che dai rispettivi metropolitani erano stati ordinati; che così avevano statuito, così definito i concilj Niceni, tanto venerati in quei primi e purissimi tempi della cristiana comunità; che le massime contrarie solamente dai concilj Lateranensi, concilj quasi domestici dei papi, erano state introdotte; che insomma, continuavano, i metropolitani dovessero dare la giurisdizione ai vescovi; che l'arrogarsi i papi di volerla dar soli, fosse usurpazione; che avesse Dio dato a Pietro il primato d'onore, e la potestà suprema di regolare e mantener sana la disciplina, sana la fede in tutte le chiese che la universale compongono, ma non il privilegio di giurisdizione nel caso di cui si tratta: che la potestà di giurisdizione, per quanto spetta alla transmissione della potestà ecclesiastica, fosse in ciascun vescovo, per diritto ed ordinazione divina, piena, come piena era nel supremo pontefice; così avere ordinato Cristo Redentore nel dare ai vescovi la facoltà di reggere le chiese, così richiedere la sicurezza degli stati, e l'independenza della potestà temporale. È giusto forse, sclamavano, è conveniente, è consentaneo alla divina volontà, che i papi possano, con mettere l'interdetto, o a continuazione dell'episcopato ricusando, turbare le coscienze dei fedeli, sconvolgere le province, e i regni? Non è assurdo il supporre, che Dio non abbia dato a ciascuna società il mezzo di conservarsi sana e salva da se stessa? E che sicurezza, e che salute può esservi, se elleno da un forestiero dipendono? Varj e diversi essere stati i modi immaginati dai principi per preservare gli stati proprj dai pericoli, che a loro sovrastavano pei decreti della Romana sede, ora prammatiche, ora appelli, ora concordati: ma tutti essere stati insufficienti, perchè sempre si lasciò sussistere la radice del male, cioè l'eccessiva ed illegittima potenza dei papi: ripullulare i pericoli e le turbazioni ad ogni Romano capriccio, concepir timore gli animi ad ogni elevazione di papa, un cardinale di più o di meno nel pontificio concistoro poter mandar sossopra una provincia intiera: essere oggimai tempo di strigarsi da questi fino allora inestricabili lacci; la Romana tirannide doversi conculcare, ora che un principe potentissimo il voleva; restituissesi all'episcopato tutta la sua dignità, tutta la sua potenza; l'independenza da Roma sarebbe la libertà universale; sarebbe altresì la purezza delle dottrine cattoliche; perciocchè l'avere mescolato le cose temporali con le spirituali, che fu fonte di tanti scandali, e di un deplorabile scisma, essere stato opera di Roma; fosse la religione tutta spirituale, e non turberebbe gli stati, nè darebbe cagione ai malevoli di denigrarla, e più imperio avrebbe e quelli stessi che in lei non credevano, rispettata l'avrebbero: la cristianità cattolica tuttavia piangere la perduta Germania, la perduta Inghilterra; tale doloroso smembramento alla prepotenza di Roma, alle usurpazioni dei papi, alle temporali cupidigie loro doversi certamente ed unicamente scrivere: tornassesi adunque, predicavano, a quel sistema, che stabilito da Cristo e dagli apostoli aveva durato per tanti secoli nella primitiva Chiesa, che gli uomini più pii, più dotti, più esemplari avevano sempre inculcato, e coi più intensi desiderj loro chiamato: da lui solo poter derivare la purezza della religione, e la incolumità degli stati. Vivevano ancor fresche, massime in Italia, le onorate memorie di Leopoldo e di Ricci: non pochi ecclesiastici, anche di prima condizione, e per dottrina e per virtù compitissimi, vi seguitavano le medesime vestigia, e sostenevano le medesime dottrine; non per ambizione nè per desiderio di servire a chi allora tutti servivano, e principalmente gli avversari loro, ma per convinzione propria, per ritirar la Chiesa, come credevano, all'antica sua constituzione, per riformarne gli abusi, per rinstaurare e confermare la libertà dei principi offesa dalla potenza immoderata dei papi.

 

Queste sparse dottrine piacevano a Napoleone, perchè gli davano occasione d'intimorire il papa e speranza di ridurlo a sua volontà; nè dispiacevano agli arcivescovi ed ai vescovi amatori dell'independenza: quel Romano giogo già pareva loro grave ed intollerabile; quel diventar papi essi sommamente a loro arrideva. Le cose andavano a satisfazione di Napoleone in quanto si atteneva agli ecclesiastici dei suoi stati.

Vinceva il papa non solamente per la costanza, ma ancora per la disgrazia, sempre potente nel cuore degli uomini. Nè i suoi teologi tacevano, benchè Napoleone si fosse sforzato di por loro un duro freno in bocca. Difendevano la sedia apostolica e Romana, non solamente contro le dottrine di Porto Reale e di Pistoja, ma ancora contro le allegazioni del consiglio ecclesiastico. Avere, andavano ragionando, Cristo fondatore sopra Pietro fondato tutto l'edifizio della religione; a lui avere dato primato d'onore, a lui primato di giurisdizione, per lui tutta l'autorità della Chiesa, e per lui solo potersi e doversi tramandare, e trasfondere in altrui: avere per verità Cristo salvatore posto i vescovi a governar la Chiesa, ma non per se medesimi, nè independentemente da Pietro, ma per mandato suo, e sotto la sua dipendenza: Pietro essere il fonte di tutti i rivi, lui il fonte di ogni ecclesiastica potestà; avere per la necessità dei tempi in quei primi secoli, fra una religione contraria, fra le persecuzioni continue, fra un popolo padrone del mondo, che altri Dei confessava ed adorava, fra tante nazioni diverse, e nel vasto campo d'Asia, d'Africa e d'Europa, avere prima gli apostoli per instituzione divina, poscia i vescovi per instituzione apostolica usato la loro autorità senza mandato espresso di Pietro, ma però lui consenziente, imperciocchè non è da credersi, che per condurre una così gran mole, gli apostoli ed i loro successori non si siano accordati, acciocchè a questo ed a quello, senza confusione e senza conflitto, questa o quella provincia fosse di consenso comune devoluta: ciò non ostante rimanere fisso ed inconcusso questo principio, che Pietro aveva un mandato ordinario e perpetuo, gli apostoli un mandato straordinario e caduco da finirsi in loro, o nei successori loro immediati; che quello aveva avuto un mandato per istabile fondamento, e perpetuo governo della Chiesa, questi un mandato temporaneo per la necessità dei tempi; che, cessata questa necessità, tornava il mandato sparso negli apostoli e loro successori immediati al fonte comune, vale a dire ai successori di Pietro; che così la Chiesa nata da un solo tornava in un solo: mirabile, e divino artifizio. Del rimanente anche nella più rimota antichità apparire i segni della trasfuzione del mandato di Pietro nei rettori delle altre chiese del mondo: l'ordine stesso dei metropolitani confermare questa verità; perchè a quei tempi antichissimi era il mondo diviso, per rispetto alla cristianità, in Oriente ed Occidente; due erano nel primo i metropolitani, quei di Alessandria e di Antiochia, uno nel secondo, quel di Roma; comunicavano il mandato ecclesiastico; cioè l'ordine e la giurisdizione, la qualità e il luogo, i due metropolitani d'Oriente ai vescovi delle loro rispettive province, il metropolitano d'Occidente, successore di san Pietro, a quelli d'Occidente; ma i primi da Pietro nell'origine prima avevano ricevuto le potestà loro: imperciocchè aveva governato egli stesso la chiesa d'Antiochia, ed a lei dato un successore, quando venne a fondare e governare quella di Roma: rispetto alla chiesa d'Alessandria, avere Pietro mandato a governarla san Marco, suo discepolo, ma se la origine scopre il mandato, gli accidenti posteriori il confermano; perchè i Romani pontefici, successori di Pietro, ai metropolitani d'Oriente mandavano il pallio, segno della conferita autorità; essi metropolitani addomandavano la comunione ai pontefici di Roma, e senza la ottenuta comunione non si credevano legittimi. Sonsi anche veduti Romani pontefici deporre metropolitani d'Oriente, o patriarchi, perchè con questo nome poscia si chiamarono: a tutti questi segni, affermavano i curialisti di Roma, riconoscersi la superiorità Romana fin dai tempi primitivi; dal che si deduce la pienezza e la perpetuità del mandato nei papi, la dipendenza e la delegazione nei metropolitani. Ne conseguita altresì, che poichè tutta l'autorità spirituale consiste nella facoltà del trasmettere il mandato di Cristo, il diritto di confermare e d'instituire tutti i vescovi della Chiesa è supremo, e divino e conseguentemente inalienabile, imperscrittibile, non soggetto a interruzione, ad eccezione, e cessazione alcuna, e che a lui niuna potenza che sia, nemmeno quella della Chiesa può portar diminuzione, che se qualche modificazione fu introdotta in qualche tempo, massime nei primitivi, ciò o per determinazione, o per consentimento dei sommi pontefici avvenne.

Rispetto poi alla Francia particolarmente, i Romani teologi insistevano dicendo, assai più manifesta essere la trasmissione del mandato di san Pietro nelle chiese di questo reame, che in qualunque altro; perchè i papi, rispetto a lui, non solamente erano papi, ma ancora metropolitani, essendo metropolitani d'Occidente, e se qualche metropolitano particolare pel miglior governo delle chiese di questa vasta provincia fu creato, lui essere stato creato per autorità pontificia: della nominazione ed instituzione di vescovi fatte dai papi nelle Gallie, anche senza l'intervento dei metropolitani, e dell'autorità regia stessa, aversene esempj, e se si vedono nominazioni, vedersi anche deposizioni; il che dimostra la pienezza dell'autorità pontificia in Francia in tutti i tempi.