Za darmo

Storia d'Italia dal 1789 al 1814, tomo VI

Tekst
0
Recenzje
iOSAndroidWindows Phone
Gdzie wysłać link do aplikacji?
Nie zamykaj tego okna, dopóki nie wprowadzisz kodu na urządzeniu mobilnym
Ponów próbęLink został wysłany

Na prośbę właściciela praw autorskich ta książka nie jest dostępna do pobrania jako plik.

Można ją jednak przeczytać w naszych aplikacjach mobilnych (nawet bez połączenia z internetem) oraz online w witrynie LitRes.

Oznacz jako przeczytane
Czcionka:Mniejsze АаWiększe Aa

Nè più si ristavano i difensori dell'apostolica sedia all'argomento addotto della prammatica di Bourges, perchè lei nulla e di niun valore, per essenziale vizio della sua origine, predicavano, siccome quella, che per l'autorità secolare ed incompetente del re era stata concertata e pubblicata: che se poi nulla la chiamavano per vizio originario, nulla maggiormente la predicavano per decreto della Chiesa universale, perchè il quinto concilio Lateranense l'aveva abrogata, annullata, ed anzi dichiarata scismatica. Ora mettendo anche caso, che non fosse viziata d'origine, e che tutta si potesse riferire all'autorità ecclesiastica, cioè ad un concilio nazionale di Francia, l'autorità di un concilio nazionale può forse prevalere a quella di un concilio universale? Può la decisione di una parte più forza avere che la decisione del tutto? Forse nei concilj particolari risiede la infallibilità? Forse non negli ecumenici? La chiesa gallicana stessa, il clero del 1682 è forse mai trascorso a dire una simile enormità? Non ha egli forse definito al contrario, che la infallibilità risiede nel concilio universale unito al papa? Se questo è vero, come è verissimo, come si potrà sostenere la proposizione, che la prammatica di Bourges non sia scismatica? Come ciò sostenere il clero di Francia senza contraddire a se medesime? La lateranense condanna pruovare l'errore del consiglio ecclesiastico, e la necessità del mandato pontificio per acquistare la giurisdizione episcopale. Del resto avere il concordato di Leone decimo e Francesco primo abolito la prammatica, nè potersi a modo niuno risuscitare; avere il concilio tridentino, cioè la Chiesa universale, appruovato il concordato medesimo, e l'autorità pontificia, come indispensabile per l'instituzione canonica dei vescovi, in solenne modo confermata e definita. Nè valere il dire, che il concilio tridentino non sia stato accettato in Francia, quanto alla disciplina, perchè il mandato immortale dei successori di san Pietro non è regola di disciplina, bensì instituzione divina, e perciò attinente al dogma. Oltre a ciò il re di Francia, cioè la potestà secolare sola non volle accettare, cioè pubblicare il concilio di Trento, ma il clero gallicano l'accettò veramente, e presso ai re continuamente insistè, perchè il pubblicassero.

Nè maggior valore avere, continuavano, l'allegazione della necessità, perchè egli è evidente, che per ministrare un rimedio straordinario, anche nel caso di necessità, si richiede la facoltà di ministrarlo: senza una tale facoltà il rimedio sarebbe veleno, e darebbe morte, non vita. Ora certamente il clero gallicano non ha facoltà di modificare, molto meno di annullare quello, che supponendo eziandio che non fosse d'instituzione divina, è stato dichiarato, definito e decretato dalla Chiesa universale: in simili casi, non da se, ma dalla provvidenza si debbono aspettare i rimedj.

Dicono e sostengono i prelati del consiglio ecclesiastico, che il governo della Chiesa non è arbitrario, che il papa debbe uniformarsi ai canoni, e ne appellano al concilio. Ma quando il papa per venirne all'esecuzion del concordato fatto con Napoleone, non avuto riguardo alcuno ai canoni, usava un'autorità insolita ed inudita, e non ostante, come dichiarò egli medesimo, i concilj, anche i generali, deponeva senza accusa e senza processo tutti i vescovi di un regno, cioè della Francia, questi medesimi prelati, ora tanto gelosi delle gallicane libertà, non esse libertà invocarono, non dei papali arbitrj si lamentarono, non al concilio appellarono; che anzi benignissimamente, e volonterosissimamente si assisero su seggi dei deposti, ed ora si servono dell'autorità, che il papa, a pregiudizio dei deposti, loro diede, per impugnarlo e per predicare, che niuna potestà è independente dai canoni. Allora non domandarono un concilio ecumenico, allora non l'assenso della Chiesa, quando si trattava di acquistar cariche, emolumenti ed onori: ma se allora errarono, e sono inconcussi i canoni, inconcusse le libertà gallicane, come non sono eglino o ignoranti, o impostori, poichè per errore e partecipazione loro non vi sarebbe più in Francia, da dieci anni indietro, giurisdizione legittima, e tutti i vescovi, e tutti i curati intrusi vi sarebbero? Rinunziarono per l'adesione loro al concordato, alle loro libertà, riconobbero implicitamente la superiorità del papa sui canoni, riconobbero la sua infallibilità, ed ora l'impertinente viso loro alzano contro quel medesimo papa, di cui predicarono sì altamente la potenza! Credono essi adunque, che il papa debba, a grado della cupidigia e dell'ambizione loro, ora condannare ciò che appruovava, ed ora appruovare ciò che condannava? Si lamentano del procedere arbitrario del papa? Adunque credono, che solo il loro imperatore, da essi tanto adulato, abbia questa facoltà al mondo di essere arbitrario? Piacciono loro gl'imperiali capricci, non piacciono le pontificali sentenze: nemici del loro capo innocente sono, adulatori del loro tiranno sono: amano meglio uno scomunicato, che un papa.

A ciò, e che voglion significare, continuavano gli avvocati dell'apostolica sede, quelle parole, che i vescovi rappresentano la Chiesa universale? Sono eglino forse, i vescovi, i deputati dei fedeli? Forse il mandato di governar la Chiesa, non lo hanno da Dio sotto la superiorità del successore di san Pietro? Non sono eglino i mandatarj del popolo, ma i deputati del signore. Che può dare di spirituale il popolo? Chi ha dato al popolo la facoltà di reggere la chiesa di Dio? Certo nissuno. L'avvilupparsi in parole subdole giova ai nemici della santa sede. Infatti, che voglion dir essi con quelle parole, che la potestà inerente al carattere dei vescovi da Gesù Cristo immediatamente deriva, senza che nessuna umana potestà si possa arrogare il diritto di alterarla in alcun modo? Ma chi non sa, solo che abbia toccato i primi principj della scienza canonica, che altra cosa è il potere dell'ordine, ed altra il potere della giurisdizione? Per l'ordine possono i vescovi conferire la cresima, conferire l'ordine, consecrar le chiese, consecrar gli altari; possonlo sempre validamente, quantunque non sempre legittimamente: per la giurisdizione, quando l'hanno ricevuta dalla santa sede, possono governar le chiese, far regole pel governo loro, appruovar confessori, decretare segregazione di fedeli, e statuire altre simili cose che si appartengono al governo della chiesa confidata loro dal papa. L'ordine è indelebile, la giurisdizione caduca: questa si dà e si toglie da chi ha dritto di dare e di tôrre, nè alcuno di questi audaci impugnatori della sedia apostolica sarà tanto audace, affermavano i teologi di Roma, che pensi e dica, che un vescovo, a cui il papa ha tolto la facoltà di governare una data chiesa, la possa ancora governare legittimamente; il che pruova la necessità del mandato pontificio. Non perisce la giurisdizione episcopale! ma non perisce ella, continuavano a sclamare i Romani canonisti, in un vescovo eretico, non in un vescovo scismatico, non in un vescovo scomunicato? Chi s'ardirà sostenere la contraria sentenza? Da quanto si è ragionato, opinavano, segue, che l'autorità stessa dei metropolitani era delegata, e derivata dai sommi pontefici: tal essere, aggiungevano, la monarchìa cristiana stabilita da Cristo Salvatore, tali gli ordini cattolici, che non si possono impugnare senza eresia; conciossiachè e le memorie antiche, ed il concilio tridentino ugualmente gli confermano.

Del rimanente, a qual fine si narrano tutte queste cose, e che voglion significare? Siano pur salve le gallicane libertà. Forse ne conseguita, che fuori di Francia abbiano ad aver forza, e ad obbligare le genti? Serbinsi in Francia, se tal è l'umore di quel clero e di quei popoli; ma con quale diritto, e con quale ragione volerle trasportare in Italia? Forse per l'Italia stipulava il clero gallicano del 1682? E chi lo dice, e chi lo fa? un decreto di Napoleone, un senatus-consulto di Napoleonici! adunque perchè Napoleone disse, voler Torino, Genova, Milano, Firenze e Roma, tosto hanno queste provincie a diventar soggette delle gallicane libertà, e l'assemblea del 1682 tenuta in Parigi ha ad esser legge per loro? dov'è il mandato di Napoleone per turbare le ecclesiastiche cose in Italia, massimamente in Roma? Chi s'ardirà dire, che un decreto civile abbia effetti ecclesiastici?

Molte cose si son dette, e molte ancora si dicono, si continuava a discorrere dalla parte di Roma, sull'abuso dell'autorità pontificia. Certamente errarono i pontefici, che turbarono le province per rispetti temporali, come errarono i principi, che le turbarono per rispetti spirituali: da qual parte in questo sia maggiore il torto, e più si sia errato, non è questo il luogo di dire, e le storie il narrano. Bene non si sa vedere, quali sinistri effetti abbia prodotto negli stati della casa d'Austria, ed in tutta l'Italia, e così anche nella Spagna, e nel Portogallo, l'autorità del papa dell'istituire i vescovi. Neppure si sa vedere qual male sia nato da questa stessa autorità, poichè di questa sola è nato dissidio, e si tratta, in Francia, in Inghilterra, ed in altri paesi della cristianità; imperciocchè, se si eccettuano le discordie nate ai tempi di Luigi decimoquarto, le quali veramente versavano su questo punto della instituzione, non si scorge che alcuna da questa medesima cagione sia nata. Altre ed assai più ampie radici ebbero le controversie Germaniche, dalle quali sorse l'eresia di Lutero. Similmente per altre maggiori questioni, e da quella dell'instituzione assai diverse discordò Arrigo ottavo dalla santa sede, donde risultò la separazione dell'Inghilterra. Senza entrare nei meriti di quelle antiche o dolorose cause, nè diffinire da qual parte fosse la ragione o il torto, questo è certo, che l'instituzione ne è stata o innocente, o piccola parte. Del resto, qual segno, quale apparenza era, che Pio settimo fosse per abusare della facoltà dell'instituzione a fine di turbare lo stato quieto della Francia? Come sarebbe potuto cadere in lui la volontà di turbare la Francia di Napoleone, in lui, che nella sua vecchia età, per aspri monti, nella stagione più rigida dell'anno, a malgrado dei principi d'Europa, contro la sentenza di molti cardinali se n'era andato a Parigi per incoronarlo? Qual presagio aveva dato Pio di se, che altri potesse credere, che volesse assumere o in Francia od altrove un'autorità eccessiva, una dominazione intollerabile? Dicono, guardate nell'avvenire; ma per guardar nell'avvenire, e' bisogna prima guardar nel passato: guardate in questo, e vedrete, dove sia stato l'incomportabile dominio. Nè qui si parla di libertà ecclesiastica, perchè questo discorso non potrebbe piacere a prelati che la vogliono dar in preda all'imperio: solo si osserverà, quale sarà essa per diventare, se la nomina dei vescovi ai principi secolari, e l'instituzione loro ai metropolitani, o ad altri vescovi sudditi di essi principi si appartenessero. Correggevasi la nomina dei principi dall'instituzione pontificia: se l'una e l'altra sono in mano loro, quella immediatamente, questa per mezzo di prelati sudditi, la religione è serva, ed in caso di voglie a lei contrarie, anche in materia di fede, dei principi, non rimarrebbe altro scampo a' suoi ministri, che l'abbominazione dell'eresia, o i tormenti del martirio. Resiste papa Pio, resiste ad un'incomportabile tirannide: la Chiesa debbe restargli obbligata per sempre, i principi ancora, poichè vinto il papa, la cristianità, il mondo è servo: trattare il papa la libertà di tutti.

 

Già il disegno ordito contro un papa carcerato, era pronto a colorirsi: i soldati e le spie facevano l'opera loro in Savona, i prelati s'accingevano a farla da Parigi. Erano quindici o cardinali, o arcivescovi, o vescovi, Fesch, Maury, Caselli cardinali, gli arcivescovi di Tours, di Tolosa, di Malines, i vescovi di Versailles, di Savona, di Casale, di Quimper, di Monpellieri, di Troja, di Metz, di Nantes e di Treveri. S'aggiunse il vescovo di Faenza. Comandava l'imperatore, che mandassero una deputazione a muovere il papa a Savona. Elessero l'arcivescovo di Tours, ed i vescovi di Nantes e di Treveri. Il concilio nazionale convocato in Parigi pel dì nove giugno, parte ancor egli della macchina imperiale per intimorire il papa, stava pronto a proporgli i termini d'accordo voluti dall'imperatore. Comandava Napoleone ai deputati, che annunziassero al papa, essere convocato il concilio, essere abrogato il concordato a cagione che il papa, una delle parti contrattanti, ricusava di osservarne le clausole; dovere in avvenire i vescovi, come avanti al concordato di Francesco primo, essere instituiti secondo le forme che saranno regolate dal concilio, ed appruovate dall'imperatore: tuttavia mandare l'imperatore i prelati con facoltà di negoziare a Savona; ma queste facoltà non usassero, se non nel caso in cui trovassero il pontefice disposto a convenire: due convenzioni doversi fare, l'una independente dall'altra, e con atti separati: nella prima si trattasse dell'instituzione dei vescovi, ed in questa consentirebbe l'imperatore a tornarne all'esecuzione del concordato, con ciò che però il papa instituisse i vescovi già nominati, ed in avvenire le nomine fossero comunicate al papa, a fine di conseguirne l'instituzione canonica; e che se il papa non avesse instituito nel termine di tre mesi, fosse la nomina comunicata al Metropolitano, il quale dovesse instituire il suffraganeo, e questi ugualmente instituisse l'arcivescovo, se si trattasse dell'arcivescovo. Nella seconda voleva l'imperatore, che si accordassero gli affari generali, ferme stando le condizioni seguenti: il papa tornasse a Roma, se consentisse a prestare il giuramento prescritto dal concordato; se ricusasse il giuramento potesse risiedere in Avignone: quivi avrebbe gli onori sovrani, quivi due milioni per onoranza e per vivere, quivi residenti delle cristiane potenze, quivi finalmente libertà di governar le faccende spirituali, ma tutto sotto condizione espressa, che promettesse di fare niuna cosa nell'impero, che fosse contraria ai quattro articoli del 1682. Se il papa accettasse le narrate condizioni, l'imperatore proponeva molte speranze e faceva molte offerte: s'inclinerebbe volentieri ad accordarsi col papa, sì pel libero esercizio delle sue funzioni spirituali, come per fondare nuovi vescovati, tanto in Francia, quanto nei Paesi Bassi: farebbe inoltre ogni sforzo per proteggere i religiosi della terra santa, per riedificare il santo sepolcro, per dar favore alle missioni, per ordinare la dataria, per restituire gli archivj pontificj; ma prima e soprattutto si tagliasse interamente la speranza al papa di ricuperare la sovranità temporale di Roma; se gli facesse sentire, che il concilio era convocato, e la chiesa di Francia capace di fare quanto richiedessero la salute delle anime, ed il bene della religione.

Gran fede aveva Napoleone in se, nei prelati, nella forza, poichè si potè persuadere, che un papa a tanto di abiezione potesse venire, che consentisse a tornar suddito là, dove aveva regnato sovrano, che consentisse a giurare obbedienza e fedeltà a Napoleone imperatore con quello stesso giuramento, che sovrano essendo, aveva, come sovrano, coll'imperatore medesimo accordato e statuito; che consentisse a servirgli, per obbligo di giuramento, di delatore e di spia, non eccettuati nemmeno i casi di confessione. Che Napoleone una tale proposizione abbia fatto, certo nissuno sarà per maravigliare; ma che prelati, che portavano in fronte il nome di cattolici, abbiano assunto il carico di significarla, se muove a maraviglia, muove ancora più a sdegno.

I deputati ecclesiastici arrivati a Savona con le cose digerite, ed avuto licenza dal ministro dei culti di favellare al papa, posciachè appunto di questa licenza abbisognavano, se gli appresentarono, e con rispettosi modi s'ingegnarono di renderselo benevolo. Introdotti, ed accolti con significazione grande di amore, vennero nel primo giorno e nei seguenti sul negoziare. Militando sempre le difficoltà della sua carcerazione, rispose, nissuna deliberazione poter fare, nissuna bolla dare, se prima non fosse restituito alla sua libertà, poichè nella condizione, in cui era, privo de' suoi consiglieri naturali, privo de' suoi teologi, privo di libri, di carta, di penne, privo infino del suo confessore, che aveva domandato indarno, nè potendo prendere alcuna informazione sulla idoneità dei soggetti nominati, non potea nulla, non che concedere, esaminare. Non ostante queste prime caldezze del pontefice, speravano i prelati, che appoco appoco o per fastidio della situazione presente, o per timore della condizione avvenire, o finalmente per disperazione di poter cambiare i destini Napoleonici, l'animo suo si sarebbe mitigato, consentendo, se non a tutto, almeno a parte di quanto si domandava. Il modo del negoziare era artifizioso dal canto dei delegati; maggiormente ancora artifiziose erano le fondamenta, sulle quali voleva l'imperatore che si negoziasse. Tutta l'importanza del fatto in questo consisteva, che si provvedesse all'instituzione dei vescovi con fare, che quando in un dato tempo il papa non gli avesse instituiti, i metropolitani avessero facoltà d'instituirgli. Faceva anche un gran momento, che se il papa avesse convenuto coll'imperatore, l'avrebbe purgato dalla scomunica, se non esplicitamente, almeno implicitamente, e pel fatto stesso.

Il papa assalito e conquiso da ogni parte, ritirandosi dalla sua risoluzione di non voler trattare, se prima non fosse libero, incominciò a manifestare le sue intenzioni. Quanto al giuramento, risolutamente negò; quanto alle quattro proposizioni, dalla prima non si mostrò alieno, le tre altre costantemente rifiutò, siccome quelle che gli parevano condannabili. Aggiunse che se accettasse, la Chiesa il chiamerebbe vile, e traditore per fastidio di cattività, che il nome suo ne sarebbe contaminato, che ne concepirebbe un'amarezza incredibile; che del resto, per amor della quiete, nulla avrebbe operato in contrario. Ma venendo al principal soggetto del negoziato, cioè all'instituzione, sclamava, che il termine di tre mesi fosse troppo breve; se consentisse, l'imperatore sarebbe giudice dell'idoneità dei soggetti; che in ultimo il metropolitano sarebbe giudice dei rifiuti della santa sede; che troppo eccessiva mutazione era questa; che un pover uomo, com'era egli, solo e senza consigli non poteva assumersi di farla. Ricordava altresì, e con parole efficaci ed affettuosissime protestava, che sarebbe troppo enorme deviazione, se rinunziasse ai diritti particolari sui vescovi d'Italia, che la sua coscienza ripugnava, che altri sovrani avrebbero domandato le medesime prerogative ed eccezioni, che potrebbe darsi che si nominassero soggetti indegni, o di opinioni sospette nella fede, che la santa sede non sarebbe più la santa sede, che perirebbe il mandato dato da Dio a san Pietro, che nascerebbe l'anarchìa nella Chiesa, ch'ella del tutto si governerebbe a piacere della potestà secolare.

Gli rappresentavano i deputati i mali imminenti della Chiesa, le perdite irreparabili delle prerogative della santa sede, le calamità di tanti suoi aderenti. Rispondeva Pio, alzando gli occhi al cielo, e sclamando, pazienza: nol permettere la coscienza, non avere con chi consigliarsi, il capo della Chiesa essere in vincoli. Per far novella pruova di vincere gli scrupoli e la costanza del pontefice, i deputati pregarono il vescovo di Nantes, siccome quegli che aveva maggior dottrina e fermezza in queste materie, che gli altri, distendesse uno scritto da presentarsi al papa. Il fece in lingua Francese, il tradusse in Italiano il vescovo di Faenza. Era la sostanza, che, poichè Napoleone non voleva cedere, il papa doveva di necessità cedere egli. Insomma i deputati in questo loro scritto ammonivano, e fortemente richiedevano il papa della clausola dei metropolitani: pretendevano che non era necessaria una lunga discussione, nè bisogno di consiglieri per decidere, se la santa sede conserverebbe o perderebbe per sempre, rispetto ai vescovi di Francia, il diritto d'instituzione. Intendevano per vescovi di Francia, non solamente quei di Francia, ma ancora quelli del regno d'Italia, del Piemonte, di Parma, di Toscana, e dello stato Romano stesso. Offerivano finalmente, vedesse Sua Beatitudine, se nei luoghi vicini fosse qualche prelato, in cui avesse fede: specificavano dello Spina, come se in quei tempi e nel carcere di Savona qualcheduno potesse libero essere, e liberamente consigliare.

Mossero oltre la cattività e la segregazione, i ragionamenti dei deputati l'animo del pontefice per l'aspetto dei mali avvenire, e sebbene sempre fosse titubante, ed ora si ritraesse, ed ora tornasse, cominciava a non mostrarsi alieno dall'accordar con loro la clausola domandata: solo voleva allargare il tempo dell'instituzione da darsi dai metropolitani sino a sei mesi, che l'imperatore avesse un termine necessario per le nomine, siccome egli l'aveva, parendogli, che se questa necessità s'imponesse a lui, non al principe, l'equalità fra le due parti fosse rotta; nel che aveva ragione, anche secondo i deputati; conciossiachè se l'interruzione dell'episcopato non debbe essere in potestà del papa, non debb'esser nemmeno in potestà dei principi.

Restava l'impedimento della scomunica, per la quale l'imperatore era stato separato dal consorzio della Chiesa. A questo passo i deputati, che già vedevano incerto e vacillante il pontefice, siccome quelli che bene avevano imparato alla scuola Napoleonica i tempi morbidi per incalzare, e temendo di dare causa d'indegnazione a Napoleone, se non riuscissero a fare la sua volontà a Savona, si gettarono tutti addosso a Pio, e il pressarono, e l'aggirarono, e gli diedero di mano da tutte parti. Che cosa essere, dicevano, questa scomunica? Non autentica in Francia, non accettata nè da accettarsi mai; non mai la Francia si scosterebbe dalle massime gallicane: pessimi effetti avere lei prodotti fra i popoli, anche fra le persone più aderenti, e divote alla sedia apostolica: a tutti esserne doluto, come di cosa molto pregiudiciale al papa ed alla Chiesa; i cardinali, non solo i rossi, ma ancora i neri (con questo nome chiamavano i cardinali o esiliati o carcerati) non avere mai cessato di comunicare in divinis con Sua Maestà, aver loro cantato in memoria delle imperiali vittorie, avere cantato ogni festa nell'imperiale cappella. Già il pontefice titubava: per espugnarlo del tutto, i deputati se gli pararono innanzi, ammonendolo, che partivano: badasse bene ai mali soprastanti: solo, sarebbene tenuto verso Dio e verso gli uomini: per lui essere stato, che le piaghe della Chiesa non si sanassero: partivano; farebbe il concilio; avrebbe nuove da Parigi.

Insomma il papa tentato da ogni parte, e separato dal consorzio del mondo, promise di venire ad un accordo, il cui importare fosse questo, che Sua Santità, considerato i bisogni, ed i voti delle chiese di Francia e d'Italia a lui rappresentati dai deputati, e deliberatosi a mostrare con un nuovo atto la sua paterna affezione verso le chiese medesime, darebbe l'instituzione canonica ai soggetti nominati da Sua Maestà con le forme convenute nei concordati di Francia e del regno d'Italia; che si piegherebbe ad estendere con un nuovo concordato le medesime disposizioni alle chiese di Toscana, di Parma e di Piacenza; che consentirebbe che s'inserisse nei concordati una clausola, per la quale prometterebbe di spedir le bolle d'instituzione ai vescovi nominati da Sua Maestà in un certo determinato tempo, ch'egli stimava non poter essere minore di sei mesi; e caso ch'ella differisse più di sei mesi, per altri motivi che per quelli dell'indegnità personale dei soggetti, investirebbe, spirati i sei mesi, della facoltà di dar in suo nome le bolle, il metropolitano della chiesa vacante, o, mancando lui, il vescovo più anziano della provincia ecclesiastica. Aggiunse, che Sua Santità a queste concessioni aveva inclinato l'animo per la speranza concetta nei colloquj avuti coi vescovi deputati, ch'elleno fossero per appianar la strada ad accordi, che ristorerebbero l'ordine e la pace della Chiesa, e restituirebbero alla santa sede la libertà, l'independenza, e la dignità che le si convenivano. Fu aggiunto allo scritto contenente queste promesse del pontefice, i deputati affermarono per consenso di lui, il papa per sorpresa, un capitolo concepito in questi termini, che i diversi aggiustamenti relativi al governo della Chiesa, ed all'esercizio dell'autorità pontificia, sarebbero materia di un trattato particolare, che Sua Santità era disposta a negoziare, tostochè a lei fossero restituiti i suoi consiglieri, e la sua libertà.

 

Il pontefice, pensando alla larghezza delle concessioni fatte, e ricorrendogli alla mente le solite dubitazioni, non ebbe dormito tutta la notte. Massimamente gli dava grande angustia il capitolo aggiunto, temendo, che per lui si fosse obbligato a venire ad un negoziato, trattato, o compromesso intorno al governo della Chiesa, ed all'esercizio dell'autorità pontificia, quanto alla parte spirituale. Per la qual cosa, presa il giorno seguente la penna, restituitagli a tempo pel negoziato, scrisse di proprio pugno sullo scritto queste stesse parole: che con sorpresa aveva veduto aggiunte alla bozza delle domande, che gli erano state fatte, le parole, i diversi aggiustamenti con quello che seguitava sin alla fine del capitolo. Continuò, sempre di proprio pugno scrivendo, che le dette domande erano state da lui ammesse, nè come un trattato, nè come un preliminare, ma solamente per dimostrare il suo desiderio di soddisfare alle provvisioni delle chiese di Francia, allorquando, le cose bene considerate, si potesse di loro convenire in un modo stabile, obbligandosi a fare le dette provvisioni transitoriamente, e caso che ciò non si volesse o potesse, si obbligava a trattare di un altro modo di provvisioni. Questa sua protesta non contentando ancora l'animo del pontefice, fatti a se chiamare il prefetto, ed il gendarme Lagorsse, gendarme che era del palazzo pontificale, asseverantemente affermò loro, che non ammetteva l'ultima frase dello scritto accordato tra lui ed i vescovi. Dichiarò loro oltre a questo, che il giorno precedente, non avendo dormito tutta la notte, era come se fosse mezzo ebbro, e che conseguentemente non aveva potuto fare in quel giorno alcuna promessa; che del rimanente non intendeva essersi obbligato nè per un trattato, nè per preliminari di un trattato, che desiderava che ciò fosse chiaramente conosciuto, perchè non voleva esporsi a strepitarne, nè a parere mancar di parola; che del resto, se divenisse necessario, farebbene romore, e voleva che fosse bene inteso, che di nulla dal canto suo si era definitivamente convenuto. Poco importava ai vescovi deputati, che questa giunta fosse o no nello scritto consentito dal papa, perciocchè l'importanza del fatto era nell'instituzione da darsi dal papa o dai metropolitani, nel caso d'indugio da parte della santa sede. Per la qual cosa consentirono facilmente al cassare dallo scritto quest'ultima parte, ed il mandarono al ministro da Torino.

Non senza allegrezza annunziarono i deputati all'imperiale governo le concessioni fatte dal papa: al tempo stesso lo accertarono, che pareva impossibile l'indurre il santo padre a promettere per iscritto, che nulla tenterebbe contro le tre ultime proposizioni del clero del 1682; che solo assicurava, sua intenzione essere di nulla tentare; che ancora era impossibile che prestasse il giuramento, o che rinunziasse al dominio temporale; quanto a' due milioni dichiarare non volergli accettare, poco bastargli per vivere, e di poco voler vivere: soccorrerebbelo, diceva, la pietà dei fedeli. Fra mezzo a tutto questo i deputati si accorsero, e ne informarono il governo, che fissa ed inconcussa deliberazione del pontefice sopra tutte le altre era questa, che non voleva consentire che l'imperatore nominasse i soggetti destinati alle sedi vacanti negli stati pontificj, ed affermava, che dei medesimi a lui solo si appartenesse la nomina e l'instituzione. Come, sclamava con infinita commozione il santo padre, i titoli dei cardinali vescovi, i titoli delle chiese più suburbane saranno, o in parte o in tutto, distrutti senza il consenso della santa sede! Volersi adunque, ch'ei consenta ad un concordato, nel quale l'imperatore nominerebbe a tutti questi vescovati, anche a quelli che di accordo comune sarebbero conservati! Bene terribil cosa sarebbe questa, soggiungeva, se in tutta la cristianità il papa non potesse di suo proprio moto nominare un solo vescovo, e nulla avesse in suo potere per ricompensare i suoi servitori, che bene e fedelmente l'avessero servito nella pontificale amministrazione.

Grande allegrezza sorse, per le agevolezze promesse dal pontefice, negl'imperiali palazzi in cui si stava aspettando con molto desiderio quello, che fosse per partorire l'andata dei prelati a Savona: piacque a tutti la scomunica abolita, la instituzione assicurata. L'imperatore domato in parte il papa, si spinse avanti a soggiogarlo del tutto. Insorse adunque con maggiori richieste, volendo, che quanto nelle instruzioni date ai deputati aveva ordinato, avesse il suo effetto per modo che nissuna eccezione di vescovi si potesse fare, il papa rinunziasse al dominio temporale, e se ne tornasse servo a Roma, o se n'andasse più servo ancora ad Avignone, ed accettasse lo stipendio imperiale. A questo fine si deliberava di usar il concilio. Mandò primieramente al pontefice alcuni cardinali, non già i neri, ma i rossi, e di questi neanco tutti, ma solo quelli che gli parvero meno alieni dal secondar le sue intenzioni, Roverella, Dugnani, Fabrizio Ruffo: grande fondamento poi faceva principalmente sul cardinal Bajana, siccome quello che era molto entrante, e di risoluta sentenza, e sempre era stato nel concistoro consigliatore di deliberazioni quiete verso l'imperatore. Aggiunse monsignor Bertazzoli, arcivescovo in partibus d'Edessa, timida ed accomodante persona, congiunto per antica famigliarità col pontefice, ed in grandissima fede e favore appresso a lui.