Se fosse fuggita

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CAPITOLO DUE

Kate e DeMarco erano riuscite tutte e due a dormire un po’ sul volo notturno da Washington a Chicago. Ma nel caso di Kate era stato un sonnellino come minimo molto intermittente. Quando si svegliò durante l’atterraggio a Chicago alle 6:15, non si sentiva molto riposata. I pensieri le andarono istantaneamente a Melissa, Michelle e Allen. Il senso di colpa la colpì come un mattone quando guardò Chicago apparire nella tenue luce dell’alba attraverso il finestrino dell’aereo.

Trascorse quel primo momento a Chicago odiandosi. Andò meglio quando lei e DeMarco attraversarono l’aeroporto per andare allo sportello del noleggio auto.

Ora, mentre guidavano nella piccola cittadina di Frankfield, Illinois, il senso di colpa c’era ancora ma più come un fantasma nella testa, con catene sbattute e assi del pavimento scricchiolanti.

DeMarco era al volante, a sorseggiare la bevanda di Starbucks che aveva preso all’aeroporto internazionale O’Hare. Guardò Kate, che guardava fuori dal finestrino, e le diede una gomitata.

«Ok, Wise» disse DeMarco. «C’è un elefante bello grosso nella stanza, e puzza. Che succede? Sembri infelice.»

«Siamo già a livello profondità?»

«Non ci siamo sempre state?»

Kate si raddrizzò e sospirò. «Stavo facendo da babysitter a Michelle quando mi sono accorta della chiamata persa di Duran. Me la sono dovuta filare. Peggio, l’ho lasciata con Allen perché Melissa e suo marito stanno passando un brutto momento. Questa faccenda mi divora.»

«Sono contenta che tu sia qui con me» disse DeMarco. «Ma avresti anche potuto dirgli di no. Non sei sotto stretto contratto, no?»

«No. Ma dire di no non è semplice come penseresti. Forse ci sono troppo dentro. È così che sto trovando il mio scopo, penso.»

«Fare la nonna non basta come scopo?» chiese DeMarco.

«Oh, sì. Però… non so.»

Lì la voce le morì, e DeMarco le concesse il suo silenzio… per un attimo. «Dunque, il caso» disse DeMarco. «Pare chiarissimo, giusto? Hai letto i fascicoli?»

«Sì. E sembra proprio bello chiaro. Ma senza piste né indizi e nemmeno la più piccola indicazione da parte di forze dell’ordine del posto, sarà una sfida.»

«Allora… l’ultima vittima era una donna di cinquantaquattro anni. A casa da sola due pomeriggi fa. Nessun segno di ingresso forzato. Trovata dal marito quando è tornato dal lavoro. Pare che sia stato un brutto strangolamento che le ha penetrato in profondità il collo.»

«E questa potrebbe essere la pistola fumante della situazione» disse Kate. «Che diavolo usi per uno strangolamento che riesca anche a segare il collo della vittima?»

«Filo spinato?»

«Ci sarebbe stato più sangue» commentò Kate. «La scena sarebbe stata assolutamente raccapricciante.»

«E i rapporti dicono che era piuttosto pulita.»

«Questo spiega perché la polizia del posto sta avendo tanti problemi. Ma ci deve essere un inizio, no?»

«Be’, scopriamolo» disse DeMarco rallentando a passo d’uomo e facendo un cenno col capo avanti a destra. «Siamo arrivate.»

***

C’era un solo poliziotto in loro attesa quando risalirono il vialetto a U. Sedeva nell’auto di pattuglia sorseggiando una tazza di caffè. Rivolse un cenno educato a Kate e DeMarco quando si avvicinarono all’auto. Portava l’uniforme, e il distintivo a forma di stella indicava che era lo sceriffo. Se avesse dovuto tirare a indovinare, Kate avrebbe detto che non avrebbe mantenuto quella posizione ancora per tanto. Era tranquillamente vicino ai sessant’anni; lo dimostrava soprattutto nelle sopracciglia e nella lucentezza quasi completamente grigia dei capelli.

«Agenti Wise e DeMarco» disse Kate mostrandogli il distintivo.

«Sceriffo Bannerman» disse il poliziotto anziano. «Contento che ce l’abbiate fatta. Questo caso ci lascia stupefatti.»

«Le va di accompagnarci dentro e darci i dettagli?» chiese Kate.

«Ma certo.»

Bannerman le condusse su per le ampie scale del portico decorato al minimo. L’interno era ugualmente minimalista, e faceva sembrare la casa già enorme ancora più grande. La porta principale si apriva su un ingresso piastrellato che cedeva poi il passo a un ampio corridoio e a una rampa di scale ricurve che andavano al primo piano. Bannerman le accompagnò giù per il corridoio a destra. Entrarono in uno spazioso salottino, con la parete in fondo occupata da una gigantesca libreria incassata nel muro. Il salotto conteneva un unico ed elegante divano e un pianoforte.

«L’ufficio della vittima è per di qua» disse Bannerman accompagnandole attraverso il salotto in una zona piastrellata alla stessa maniera dell’ingresso. Contro alla parete in fondo c’era una semplice scrivania. A destra, una finestra dava su un orto circolare. Nell’angolo giaceva un grosso vaso di steli di cotone. Sembravano semplici e chiaramente finti, però nella stanza ci stavano benissimo.

«Il corpo è stato scoperto alla scrivania, su questa sedia» disse Bannerman. Stava facendo un cenno a una sedia da scrivania semplicissima. Però era il tipo di semplicità che si sarebbe vantata di un cartellino dal prezzo esoso. Solo a guardarla, Kate si sentiva il sedere e la schiena comodi.

«La vittima era Karen Hopkins, una del posto per la maggior parte della vita, credo. Lavorava, quando è stata uccisa. L’email che non ha mai terminato era ancora sullo schermo quando il marito ne ha trovato il corpo.»

«I rapporti dicono che non c’erano segni di effrazione, giusto?» chiese DeMarco.

«Esatto. In effetti il marito ci ha detto che tutte le porte erano chiuse a chiave quando è tornato.»

«Quindi l’assassino ha richiuso prima di uscire» disse Kate. «Non è inusuale. Sarebbe un modo sicuro di cercare di confondere le indagini. Però… in qualche modo è entrato.»

«La signora Hopkins è la seconda vittima. Cinque giorni fa ce n’è stata un’altra. Una donna più o meno della stessa età, uccisa a casa sua mentre il marito era al lavoro. Marjorie Hix.»

«Ha detto che Karen Hopkins stava lavorando quando è stata uccisa» disse Kate. «Sa che faceva?»

«Stando al marito, non era un vero lavoro. Solo una cosetta per fare dei soldi extra per anticipare la pensione. Marketing online o una cosa del genere.»

Kate e DeMarco si presero un momento per guardare l’ufficio. DeMarco controllò il bidone dei rifiuti vicino alla scrivania e qualche foglio di carta che si trovava sul piccolo vassoio sul bordo della stessa. Kate esaminò il pavimento in cerca di un frammento qualsiasi, e si ritrovò di nuovo al vaso di cotone finto. Quasi istintivamente allungò la mano e toccò la morbida punta di uno stelo. Come aveva immaginato era finto, ma la sua morbidezza era quasi calmante. Notò qualche stelo rotto prima di riportare l’attenzione alla scrivania.

Bannerman teneva una distanza rispettosa, vagando avanti e indietro tra il margine del salotto e la finestra, guardando il giardino fuori dall’ufficio.

Kate si accorse subito che la scrivania dava sulla parete. Non era una cosa così poco comune; a quel che aveva capito, era un modo ottimo per persone con una breve capacità di concentrazione di migliorare l’attenzione. Sapeva anche che probabilmente la donna non aveva neanche capito che cosa stava per succedere finché non era accaduto.

I sospetti le andarono automaticamente al marito. Chiunque l’avesse uccisa era entrato in casa in silenzio e aveva fatto pochissimo rumore.

Oppure era già dentro e lei non sospettava niente.

Tutti i segni puntavano al marito. Ma era un vicolo cieco, perché sulla base di ciò che sapevano il marito aveva un alibi solido. Certo, poteva verificare, ma la storia le diceva che quando qualcuno aveva un alibi che riguardava il lavoro, raramente quell’alibi aveva delle incrinature.

Prima di dirlo a DeMarco o Bannerman, entrò nel salotto. Per entrare nell’ufficio si doveva passare per il salotto. Il pavimento era coperto da un tappeto orientale molto carino. Il sofà sembrava essere stato usato raramente e il piano sembrava antico – del tipo mai suonato ma bello da vedere.

I libri alle pareti erano un assortimento di titoli, che per la maggior parte presumeva non fossero mai stati aperti… solo libri da sala d’aspetto che fossero belli sugli scaffali. Solo vicino alla fine dell’ultimo scaffale vide dei volumi che mostravano danni da usura: dei classici, qualche tascabile thriller e alcuni libri di cucina.

Cercò qualsiasi cosa che potesse sembrare strana o fuori posto, ma non vide nulla. Anche DeMarco entrò nel salotto e le rivolse un cipiglio e una scrollata di spalle.

«Pensieri?» chiese Kate.

«Penso che dobbiamo parlare col marito. Persino con un alibi solido come la roccia, magari può svelare qualche perla, in termini di informazioni.»

Bannerman si trovava all’ingresso del salotto a braccia conserte quando le guardò. «Lo abbiamo interrogato, ovviamente. Ha un alibi a prova di proiettile. Almeno nove persone al lavoro l’hanno visto e ci hanno parlato mentre la moglie veniva uccisa. Ma ha anche affermato di essere disposto a rispondere a tutte le domande che abbiamo.»

«Dove sta?» chiese Kate.

«A casa della sorella, a circa tre miglia da qui.»

«Sceriffo, ha un fascicolo sulla prima vittima?»

«Sì. Posso farvene inviare per email una copia, se volete.»

«Sarebbe ottimo.»

Bannerman aveva l’esperienza dell’età. Sapeva che le agenti avevano finito con la casa della Hopkins. Senza che gli venisse detto, si voltò e andò alla porta principale con Kate e DeMarco dietro di sé.

Mentre tornavano alle auto, ringraziando Bannerman per averle incontrate, il sole finalmente aveva raggiunto il suo posto fisso nel cielo. Erano appena passate le otto, e a Kate pareva che il caso fosse già in moto.

 

Sperava che si trattasse di un buon presagio.

Certo, quando montarono in macchina e notò vagare delle nuvole grigie da tempesta, cercò di ignorarle.

CAPITOLO TRE

Bannerman aveva già chiamato per informare il marito che stava venendo a parlare con lui l’FBI. Quando dieci minuti dopo Kate e DeMarco arrivarono alla casa della sorella, Gerald Hopkins sedeva sul portico con una tazza di caffè. Salendo le scale per andargli incontro, Kate vide che l’uomo era esausto. Sapeva com’era uno sguardo di dolore, e non donava a nessuno. Ma quando la spossatezza era parte dell’equazione, peggiorava di molto le cose.

«Grazie di aver accettato di parlare con noi, signor Hopkins» disse Kate.

«Si figuri. Qualsiasi cosa possa fare per trovare il colpevole.»

Aveva la voce tirata e sottile. Kate immaginava che avesse trascorso molti degli ultimi due giorni a piangere, singhiozzare, e forse persino urlare. E dormendo pochissimo. Guardò la sua tazza di caffè, gli occhi nocciola che parevano potersi chiudere in qualsiasi momento. Kate pensò che se non fosse stato sopraffatto da un dolore così orrendo, Gerald Hopkins probabilmente sarebbe stato un uomo piuttosto bello.

«Sua sorella c’è?» chiese DeMarco.

«Sì. È dentro, si occupa delle… disposizioni.» Lì si fermò, fece un respiro profondo per combattere quello che Kate pensava essere un attacco di pianto, e poi fremette un po’. Sorseggiò il caffè e proseguì. «È stata fantastica. A occuparsi di tutto, a combattere per me. A tenere lontani i fastidiosi stronzi della città.»

«Sappiamo che la polizia l’ha già interrogata, quindi saremo brevi» disse Kate. «Se può, vorrei che descrivesse l’ultima settimana che ha trascorso con Karen. Può farlo?»

Lui scrollò le spalle. «Immagino che sia stata come qualsiasi altra settimana. Io sono andato al lavoro, lei è rimasta a casa. Io tornavo a casa, facevamo le basilari cose di una coppia sposata. Eravamo entrati in una routine… un po’ noiosa. Alcune coppie potrebbero chiamarla monotonia.»

«Qualcosa di brutto?» chiese Kate.

«No. Noi… non so. Negli ultimi anni, da quando tutti i ragazzi si sono trasferiti, be’, abbiamo smesso di provarci. Ci amavamo ancora, ma era tutto molto banale. Noioso, sa?» Lì sospirò, e poi fremette un’altra volta. «Ah, merda. I ragazzi. Stanno arrivando. Henry, il più grande, dovrebbe arrivare tra un’ora. E poi devo… devo affrontare tutto…»

Abbassò la testa e lasciò uscire un piagnucolio disperato che si chiuse in un lamento simile a un singhiozzo. Kate e DeMarco si allontanarono, per dargli spazio. Gli ci vollero circa due minuti per riprendersi. Allora si asciugò gli occhi e alzò lo sguardo come per chiedere scusa.

«Si prenda il tempo che le ci vuole» disse Kate.

«No, va tutto bene. Vorrei solo essere stato un marito migliore alla fine, sapete. C’ero sempre, ma non davvero. Penso che si sentisse sola. A dire il vero, lo so che si sentiva sola. È che non volevo sforzarmi di più. Non è miserabile da parte mia?»

«Sa se qualcuno può essersi visto con lei negli ultimi giorni?» chiese Kate. «Incontri o appuntamenti, qualcosa del genere.»

«Non ne ho idea. La casa la gestiva Karen, praticamente. La metà del tempo non sapevo neanche che cosa succedesse in casa mia… nella mia cazzo di vita. Faceva tutto lei. Faceva quadrare i conti, prendeva appuntamenti, organizzava l’agenda, pianificava le cene, badava a quel maledetto orto circolare che aveva, stava dietro ai compleanni e alle riunioni di famiglia. Io praticamente ero inutile.»

«Ci permetterebbe di aver accesso alle sue agende?» chiese DeMarco.

«Tutto quello che vi serve. Tutto. Bannerman e i suoi uomini hanno già avuto accesso alla nostra agenda sincronizzata. Facevamo tutto sui telefoni. Può farvi entrare.»

«Grazie, signor Hopkins, per adesso la lasciamo, però la prego… se ricorda qualcosa di utile, potrebbe contattare noi o lo sceriffo Bannerman?»

Lui annuì, ma era chiaro che mancava pochissimo perché si rimettesse a piangere.

Kate e DeMarco se ne andarono, e tornarono all’auto. Non era stato un incontro molto produttivo, però aveva aiutato Kate a convincersi che era impossibile che Gerald DeMarco avesse ucciso la moglie. Non si può fingere tanta sofferenza. Aveva visto moltissimi uomini provarci nel corso della sua carriera, e non erano mai parsi autentici. Gerald Hopkins era fuori di sé dal dolore, e a lei dispiaceva moltissimo per lui.

«Prossima fermata?» chiese DeMarco mettendosi al volante.

«Vorrei tornare alla casa degli Hopkins… magari parlare con i vicini. Ha menzionato l’orto circolare, appena fuori dalla finestra dell’ufficio. Si vedeva una casa da quella finestra. È un salto nel buio, ma magari ne vale la pena.»

DeMarco annuì e uscì dal vialetto. Tornarono verso la residenza Hopkins mentre, tra le nuvole da tempesta, le prime cominciavano a prendere lentamente posto davanti al sole.

***

Cominciarono con il vicino alla destra della residenza Hopkins. Provarono con la porta principale ma non ebbero risposta. Dopo un’attesa di trenta secondi, Kate bussò di nuovo ma con lo stesso risultato.

«Sai» disse Kate «dopo aver lavorato abbastanza a lungo in quartieri del genere, ci si aspetta quasi che almeno uno della coppia sia a casa.»

Bussò un’altra volta, e quando alla porta non venne nessuno mollarono. Se ne andarono, attraversando il giardino degli Hopkins per avventurarsi dall’altro vicino. Nel mentre Kate scrutò la zona che stava tra le due case, oltre il prato. Vedeva a malapena i margini della casa visibile dalla finestra dell’ufficio di Karen Hopkins. Ne stava guardando il retro, dato che la parte anteriore era situata lungo una strada che apparentemente incrociava quella in cui vivevano gli Hopkins.

Mentre andavano alla casa sulla sinistra, Kate si accorse delle prime gocce di pioggia che scendevano dalle nuvole di tempesta sparpagliate sulla loro testa. Presero i gradini non appena sentì il telefono vibrare nella tasca. Lo estrasse e controllò il display. Era Melissa. Un piccolo nodo di senso di colpa le strinse il cuore. Era sicura che la figlia stesse chiamando per deplorare il fatto che ieri notte avesse lasciato Michelle con Allen. E adesso, un po’ più lontana dalla sua decisione, Kate sentiva che Melissa aveva ogni diritto di essere arrabbiata.

Ma sicuramente non era pronta a parlarne in quel momento, mentre salivano i gradini della casa del vicino. Stavolta bussò DeMarco. La porta venne aperta quasi subito da una donna dall’aria giovane che aveva in braccio un bambino di forse sedici o diciotto mesi.

«Sì?» disse la giovane.

«Salve. Siamo le agenti Wise e DeMarco dell’FBI. Stiamo indagando sull’assassinio di Karen Hopkins e speravamo di ottenere qualche informazione dai vicini.»

«Be’, io non sono proprio una vicina» disse la giovane. «Ma forse sì. Mi chiamo Lily Harbor, faccio da tata per Barry e Jan Devos.»

«Conosceva bene la coppia Hopkins?» chiese DeMarco.

«In realtà no. Ci davamo del tu, ma forse parlavo con loro una o due volte alla settimana. E anche in quei momenti si trattava solo di un saluto veloce quando ci incrociavamo.»

«Si era fatta un’idea di che tipo di persone fossero?»

«Abbastanza rispettabili, a quel che ho capito.» Si fermò lì quando il bambino che aveva in braccio si mise a tirarle i capelli. Si stava facendo un po’ irrequieto. «Però, ripeto, non li conoscevo a livello profondo.»

«I Devos li conoscono bene?»

«Immagino di sì. Barry e Gerald di tanto in tanto si prestavano cose a vicenda. Benzina per il tagliaerba, carbonella per la griglia, cose del genere. Ma non penso che si siano mai davvero frequentati. Erano cortesi gli uni con gli altri, ma non proprio amici, sapete.»

«Conosce qualcuno della zona che invece li conosceva bene?» chiese Kate.

«No. La gente qui è piuttosto riservata. Questo non è esattamente un isolato festaiolo, sapete. Però… e mi fa male dirlo… se volete sapere tutto su praticamente chiunque del vicinato, andate dalla signora Patterson.»

«Chi sarebbe?»

«Vive sulla strada seguente. Dal patio dei Devos si vede casa sua. Sono piuttosto sicura che dal portico posteriore degli Hopkins si veda.»

«Qual è l’indirizzo?»

«Non so bene. Però è abbastanza facile da trovare. Sul portico ha dappertutto delle spaventose statue di gatti.»

«Pensa che possa essere d’aiuto?» chiese DeMarco.

«Penso che sia l’opzione migliore, sì. Non sono sicurissima di quanto saranno veritiere le informazioni che vi darà, ma non si sa mai…»

«Grazie di averci concesso il suo tempo» disse Kate. Rivolse al bimbo un sorriso, e sentì la mancanza di Michelle. Le venne pure in mente che molto probabilmente sulla segreteria del telefono aveva un messaggio furioso di sua figlia.

Kate e DeMarco tornarono all’auto. Per quando furono di nuovo in strada, la pioggia aveva cominciato a scendere un po’ più fitta.

«Pare che questa signora Patterson che vive in una casa che si vede dal patio dei Devos possa essere quella che ho visto dalla finestra dell’ufficio di Karen Hopkins» disse Kate. «Tutti questi giardini collegati con solo delle recinzioni a dividerli… il paradiso di vecchie ficcanaso.»

«Be’» disse DeMarco «vediamo che cos’è stata in grado di scoprire la signora Patterson.»

***

Kate non poté evitare di accorgersi che gli occhi della signora Patterson si erano spalancati quando aveva visto due agenti dell’FBI sul suo portico. Non era uno sguardo di paura a toccarle il viso; era uno sguardo di entusiasmo. Kate immaginava che la vecchia stesse già pensando a come raccontare la storia alle amiche.

«Ho sentito quello che è capitato a Karen, sì» disse la signora Patterson, come si fosse trattato di una medaglia al valore. «Povera cara… era una donna così affascinante e gentile.»

«Quindi la conosceva» disse Kate.

«Un pochino, sì» disse la signora Patterson. «Ma prego… accomodatevi.»

Fece entrare in casa Kate e DeMarco. Come entrarono, Kate si girò a guardare ciò che aveva fatto capire loro di trovarsi nel posto giusto. C’erano otto diverse statue di gatti, ornamenti che parevano pizzicati direttamente a una stramba vendita dell’usato o a un mercato delle pulci. Alcuni erano proprio irritanti, proprio come aveva detto Lily Harbor.

La signora Patterson le accompagnò nel soggiorno. C’era la tv accesa, sintonizzata su Good Morning America a volume piuttosto basso. Questo fece pensare a Kate che la Patterson fosse una vedova incapace di abituarsi a vivere sola. Da qualche parte aveva letto che gli anziani tendevano ad avere sempre il televisore o lo stereo accesi in casa dopo la perdita del coniuge, perché così la casa sembrava continuamente viva e attiva.

Sistemandosi su una poltrona reclinabile, Kate guardò fuori dalla finestra del soggiorno che si trovava sul lato orientale della casa. Vide la strada e fece del suo meglio per valutare la disposizione del giardino e della via. Era piuttosto sicura di trovarsi proprio nella casa che aveva scorto dalla finestra dell’ufficio di Karen Hopkins.

«Signora Patterson, mi chiarisca una cosa, per favore» disse Kate. «Quando siamo state a casa degli Hopkins, ho guardato fuori dalla finestra di Karen e ho visto una casa dall’altra parte del giardino sul retro. Era la sua, vero?»

«Sì» disse con un sorriso la signora Patterson.

«Lei ha detto di conoscere gli Hopkins un pochino. Può approfondire?»

«Ma certo! Karen mi faceva domande sul suo giardinetto, di tanto in tanto. Ne ha uno proprio fuori dalla finestra del suo ufficio, sapete. Non ci ha fatto crescere tanto, solo erbe da usare in cucina: basilico, rosmarino, un po’ di coriandolo. Io ho sempre avuto una specie di pollice verde. Tutti lo sanno nel vicinato, e di solito vengono da me per qualche consiglio. Ho un giardino mio nel retro, se volete vederlo.»

«No, grazie» disse cortesemente DeMarco. «Siamo un po’ di fretta. Abbiamo solo bisogno che ci dica quello che sa sugli Hopkins. Sembravano felici quando li vedeva insieme?»

«Immagino di sì. Non conosco tanto bene Gerald. Però talvolta li beccavo sul portico del retro. Piuttosto di recente li ho visti là fuori a tenersi la mano. Proprio carino, a vedersi. Hanno i figli tutti grandi e se ne sono andati, immagino che lo sappiate. Mi piaceva immaginare che stessero facendo progetti per la pensione, per dei viaggi eccetera.»

 

«Ha mai sospettato che avessero dei problemi?» chiese Kate.

«No. Non mai sentito né visto niente che faccia pensare una cosa del genere. Per quanto ne so, erano una coppia qualsiasi. Però immagino che ogni coppia possa avere potenziali problemi quando i figli non sono più a casa. Non è inusuale, sapete.»

«Nell’ultima settimana li ha visti, insieme o da soli?»

«Sì. Ho visto Karen nel suo giardino, a spuntare qualcosa. Sarà stato quattro o cinque giorni fa. Non posso esserne sicura. Quest’anno ho compiuto settantaquattro anni e a volte ho la testa un po’ annebbiata.»

«Le ha parlato?»

«No. Però c’è una cosa a cui ho pensato ieri… una cosa che non avevo necessariamente dimenticato ma a cui non mi sono mai preoccupata di ripensare. E sinceramente… non so neanche in che giorno è successo, quindi…»

«Quando è successo cosa?» chiese DeMarco.

«Be’, sono piuttosto sicura che sia stato martedì… il giorno in cui Karen è stata uccisa, a quel che ho capito. Sono piuttosto sicura di aver visto qualcuno fare il giro del suo giardino, sul retro della casa. Un uomo. Un uomo che non era Gerald Hopkins.»

«Pareva che quest’uomo stesse cercando di entrare in casa?» chiese Kate.

«No. Sembrava quasi a casa sua, se ci crede. Se ne andava in giro come se fosse stato invitato, sapete. Indossava una specie di completo, o un’uniforme. Aveva un piccolo distintivo o una mostrina proprio qui.» Si toccò la zona sopra al petto, sulla sinistra, per indicare il punto di cui stava parlando.

«È riuscita a vedere bene questa mostrina?»

«No. Tutto ciò che posso dirvi è che era per lo più bianca e sembrava a forma di stella. Ma potrei sbagliarmi… ho la vista buona come la memoria, ultimamente.»

«Ma per quanto riguarda le comunicazioni con l’uno o l’altro degli Hopkins, lei dice che nell’ultima settimana non c’è stato nulla?»

«No. L’ultima volta che ho parlato con Karen è stato quando è venuta a chiedermi la ricetta per la torta rovesciata all’ananas. Ed è stato quasi tre settimane fa, credo.»

Kate si scervellò per pensare a quali altre strade la signora Patterson poteva aiutarle ad aprire, ma non giunse a niente. Inoltre avevano questo uomo in uniforme da controllare, quindi non se ne sarebbero certo andate via a mani vuote.

«Signora Patterson, grazie mille di averci concesso il suo tempo. Se le capita di ricordare qualcos’altro, si senta libera di chiamare la polizia locale. Loro possono farci arrivare il messaggio.»

«Mi sento in dovere di chiedervelo… essendoci l’FBI sul caso, posso presumere che l’assassinio precedente sia collegato? È stato quando… circa una settimana fa? Penso che la signora si chiamasse Marjorie Hix.»

«È quello che siamo venute a scoprire» disse Kate. «Lei per caso conosceva Marjorie Hix?»

«No. Non avevo mai neanche sentito il nome, sinceramente, finché una mia amica non mi ha detto quello che era successo.»

Kate fece un cenno e uscì dalla stanza. «Grazie di nuovo del suo tempo.»

DeMarco la raggiunse e tornarono fuori, dove la pioggia scendeva con regolarità, nonostante il sole vi splendesse ancora attraverso.

Kate prese quasi il telefono per vedere se Melissa aveva lasciato un messaggio in segreteria, ma cambiò idea. Tutto quello che avrebbe fatto sarebbe stato darle un’altra cosa su cui stressarsi. E se non avesse imparato a separare la vita personale da quella al bureau, poteva anche restituire subito pistola e distintivo.

Si odiò un pochino, ma scacciò dalla testa Melissa per il momento, mentre tornavano alla macchina.

Nei recessi della mente, una vocina da fantasma prese la parola, infestandole la testa. Ricordi cos’è successo quando in passato l’hai messa da parte per la carriera? Ci è voluto molto tempo per riparare al danno. Vuoi davvero rivivere di nuovo quell’esperienza?

No, non lo voleva. E forse era per quello che si ritrovava a lottare contro alle lacrime mentre DeMarco usciva dal vialetto della Patterson.