Za darmo

Il Volto della Morte

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No, eccolo di nuovo: una voce umana, impossibile sbagliarsi.

Ascoltò con attenzione, girando la testa nella direzione giusta del vento, affinando i sensi il più possibile. Scrutò in avanti,come se vedere l’origine del suono potesse renderlo più chiaro. Ok, erano due voci, quindi due uomini. Probabilmente in avvicinamento, passo dopo passo.

“Ci siamo,”disse uno degli uomini.

L’altro rispose qualcosa, ma la voce era troppo bassa per capire cosa.

“Oh, piantala di brontolare. Ogni bestiaccia con una pelliccia di valore lo sa già che siamo qui. Gli animali sentono i nostri passi. Due chiacchiere non cambieranno un accidenti. Una volta appostati, non aprirò più bocca.”

Socchiuse gli occhi, analizzando le loro parole. Cacciatori, quasi sicuramente. Pronti ad appostarsi sugli alberi, in attesa che il bosco si adegui alla loro presenza e che le piccole e indifese creature che lo popolano si dimentichino di loro. Un lungo gioco di pazienza.

Non sarebbe riuscito ad avere la meglio su di loro.

Doveva andare via, di corsa.

Le sue tracce erano ancora intatte, quelle del sangue portavano direttamente dalla sua auto al cadavere. Ma non poteva farci nulla. Doveva scappare, prima che i due cacciatori sentissero il rumore di un ramoscello rotto o un fruscio della scopa improvvisata e si accorgessero della sua presenza. O, ancora peggio, che gli sparassero, credendolo un qualche tipo di animale. Era tempo di andarsene, non poteva fare nient’altro.

Corse rapidamente verso la propria auto, facendo attenzione a dove mettesse i piedi, tenendosi lontano dalla scia di sangue per evitare di calpestarla e di lasciare impronte dietro di sé. Deviò lateralmente per gettare via il ramo, lontano dal percorso che la ragazza aveva tracciato con il proprio sangue, sperando che nessuno lo notasse. Un ramo caduto tra gli altri rami caduti. Niente di tutto questo era finito, ma avrebbe dovuto esserlo altrimenti lui avrebbe dovuto fermarsi, adesso, prima di terminare il resto.

Il suo lavoro era tutt’altro che finito. Dovevano morire altre persone, e lui non si sarebbe fermato fino a quando non fossero tutte morte dissanguate, e lo schema non fosse completo.

CAPITOLO UNDICI

Zoe sorseggiò il primo caffè della giornata e gettò la tazza di polistirolo nel cestino dei rifiuti. Rimbalzò sul bordo posteriore con una soddisfacente efficacia, scomparendo per posarsi al suo interno, insieme a molti dei suoi fratelli e sorelle.

“Il caffè qui è orribile,”commentò Shelley, fissando la sua tazza con aria triste.

Zoe non potè fare a meno di essere d’accordo.

Si strofinò gli occhi, cercando di spalancarli ulteriormente. Iniziare di prima mattina era sempre difficile quando si finiva a tarda notte, ma col tempo ci aveva fatto l’abitudine. La routine era semplice: bastava riempire il corpo con una quantità sufficiente di caffeina da metterlo in movimento, e il cervello l’avrebbe seguito.

Tuttavia, guardare i filmati di tutte le telecamere di sicurezza dislocate entro un raggio di otto chilometri dalla stazione di rifornimento – pochi file, considerando la sua ubicazione – fu una sfida persino per questa sua routine. Il suo sguardo continuava a cogliere soltanto numeri irrilevanti e fastidiosi, oppure si abbandonava alla noia derivante dal fatto di non vedere nulla per minuti.

I suoi occhi facevano incessantemente la spola dall’indicatore temporale situato nella parte bassa dello schermo e la videata principale, mentre si avvicinava all’orario dell’omicidio. Nessuna vettura era ancora arrivata o aveva lasciato il campo visivo dell’area di sosta dei camion. Era una zona più popolata rispetto alla stazione di servizio, persino di sera, ma i tir nel parcheggio si erano sistemati lì prevalentemente per trascorrere la notte. Non si muoveva nulla.

Un’auto di colore blu attraversò a tutta velocità la piccola sezione di strada che era visibile su un lato del parcheggio. Si era mossa velocemente,e nonostante Zoe tenesse il dito sul pulsante di pausa, riuscì a premerlo soltanto dopo che era uscita dal campo visivo.

Ci riprovò, fotogramma dopo fotogramma, fino a quando non riuscì a inquadrare l’auto nella piccola sezione di schermo che conteneva la strada. Controllò il timestamp: era perfettamente all’interno della loro finestra temporale, quindi l’autista avrebbe avuto tutto il tempo di raggiungere la stazione di servizio, commettere l’omicidio e andarsene, rispettando i tempi che loro avevano stimato.

Andò avanti con il filmato, guardando scorrere il tempo. I minuti diventarono ore. Nessun altro aveva percorso la strada che lei riusciva a vedere allo schermo.

Zoe tornò indietro al preciso istante in cui l’auto poteva essere vista interamente; strizzò gli occhi, avvicinandosi allo schermo così tanto che il suo naso quasi andò a sbatterci, nel tentativo di vedere il numero di targa. Quella era una O oppure una D? Andò avanti e indietro tra i fotogrammi, cercando di venirne a capo.

“Ho trovato qualcosa,”disse, attirando l’attenzione di Shelley. “Le telecamere di sicurezza hanno ripreso un’auto in avvicinamento alla stazione di servizio. La tempistica è giusta e sembra che non passi nessun’altra vettura per almeno un’ora. Ho la targa. Devo solo inserirla nel database.”

Il viso di Shelley si illuminò di entusiasmo mentre si precipitava a guardare l’immagine congelata sullo schermo, oltre le spalle di Zoe. “Potrebbe essere lui, Z,”disse col fiato sospeso.

“Vediamo di tirar fuori qualche dettaglio in più,”disse Zoe, stoppando il filmato e avviando un programma che le avrebbe consentito di cercare la targa nel database nazionale. Il suo primo tentativo, con la D, non ebbe successo. Il secondo andò a buon fine.

“Jimmy Sikes,” lesse Shelley ad alta voce. Ritornò al suo computer, dove il software dell’FBI era già in attesa che inserisse un nome. “Ce l’ho. Vediamo… oh, wow, Z, ha dei precedenti. È stato rilasciato in libertà vigilata qualche mese fa.”

“Per cosa?”domandò Zoe.

“Aggressione,” rispose Shelley, voltandosi verso di lei con occhi spalancati. “Passato violento. Credi possa essere lui il tizio che stiamo cercando?”

Zoe aggrottò la fronte, riflettendoci su. “Potrebbe. Si trovava in zona, e il fatto di avere dei precedenti penali di sicuro rende il tutto più plausibile. Dobbiamo interrogarlo immediatamente.”

“L’indirizzo di libertà vigilata è quello di sua sorella. La chiamo?”

Zoe annuì, guardando Shelley armeggiare con il telefono con il fiato sospeso e digitare il numero, prima di fare un respiro profondo per calmarsi. Era emozionata, ancora inesperta; risolvere un caso la entusiasmava ancora. Anche a Zoe piaceva, ma conosceva abbastanza il mestiere per sapere che identificare un sospetto non equivaleva, neanche lontanamente, alla soluzione della faccenda.

“Salve, parlo con Manda Sikes?”disse Shelley al telefono, spostando lo sguardo da Zoe ad un foglio bianco del suo taccuino e concentrandosi. “Salve, Manda. Sono l’Agente Speciale Shelley Rose, FBI. La chiamo a proposito di suo fratello Jimmy.”

Ci fu una pausa mentre Manda parlava. Shelley annuì, nonostante la donna al telefono non potesse vederla, aprendo e chiudendo la bocca diverse volte in attesa del momento di interromperla.

“No, capisco. Questo non riguarda la sua condanna per aggressione. Vorremmo parlare con lui riguardo un altro caso.”

Un’altra pausa. Più lunga, stavolta. Shelley rivolse uno sguardo a Zoe, allarmata da qualsiasi cosa Manda stesse dicendo.

“Quindi non l’ha più visto da allora? Ed era … giusto, cinque giorni fa. Non si è messo in contatto in nessun modo? Lei non ha provato a chiamarlo? Okay. Bene. Può darmi il suo numero di cellulare?”

Shelley l’appuntò sul blocchetto, scrivendo velocemente un numero con la sua penna. Scambiò qualche altra parola con Manda prima di riagganciare, quindi si rivolse a Zoe con un’espressione pensierosa.

“È da molto che Jimmy Sikes non torna a casa?”chiese Zoe.

“Da prima del nostro primo omicidio. Manda dice di aver cercato di chiamarlo continuamente, ma il suo cellulare risulta spento. All’inizio pensava fossimo i suoi sorveglianti che cercavano di rintracciarlo.”

“Quindi, sembra sempre più probabile che Jimmy possa essere coinvolto nel nostro caso. Mi metterò in contatto con il team al Quartier Generale per rintracciare il suo cellulare e cercherò eventuali segnalazioni riguardanti il suo numero di targa.”

Shelley annuì, posando la penna. “Io finirò di esaminare il nostro video di sorveglianza. Potrebbe non esserci nient’altro, ma almeno sapremo con certezza che quella parte è da depennare.”

Zoe si mosse velocemente, effettuando le opportune chiamate e inserendo i dati nel suo computer, che aveva accesso ai database dell’FBI. Si trattava di un caso ad alta priorità, c’era già un giudice in attesa di autorizzare un mandato di perquisizione, quindi avrebbero fatto tutto molto rapidamente. Tuttavia, ci vollero diverse ore, battiti impazienti di penne e dondolii di ginocchia prima che ricevessero le informazioni richieste.

“Ci siamo,”disse Zoe, tirando fuori la mappa dalla stampante quasi prima che fosse uscita del tutto. “Questi sono i nostri punti di interesse. Tutte le posizioni in cui siamo stati in grado di tracciare Jimmy Sikes durante gli ultimi giorni.”

Shelley si avvicinò ed entrambe fissarono le puntine distribuite su una mappa ricoperta di note riguardanti le tempistiche e le posizioni precise. Il segnale GPS di un cellulare che aveva percorso diverse aree, che i tecnici avevano ristretto a una determinata autostrada lungo la quale si era spostato, di città in città. Tutti i punti indicavano zone nelle cui vicinanze erano stati ritrovati i corpi. Un casinò, una tavola calda, aree di sosta per i camion qua e là con il riconoscimento del numero di targa dal parcheggio: ne veniva fuori una forma vaga, che presentava vuoti in lungo e in largo nelle zone in cui la tecnologia non era ancora abbastanza avanzata.

 

Zoe analizzò la distribuzione delle puntine, desiderosa che lo schema diventasse più chiaro. Visualizzò le linee, quasi completamente diritte, a eccezione delle svolte che la strada faceva attorno alle colline e ai corsi d’acqua. Avrebbe benissimo potuto disegnare il percorso con un righello, se avesse ignorato le strade e guardato solo le fermate. Nonostante i segnali del GPS non fossero totalmente precisi ma restituissero piuttosto una circonferenza più ampia attraverso la quale doveva essere passato il cellulare, quantomeno indicavano un movimento volontario attraverso il paese.

Inoltre,c’erano casinò a ogni tappa intermedia: Zoe tracciò schemi, griglie e curve tra tutti questi, analizzando i dati, fino a quando non fu assolutamente sicura che non ci fossero altre opzioni.

C’era soltanto una direzione nella quale si sarebbe mosso Jimmy Sikes, era chiaro. Seguendola, Zoe vide una linea chiara come il sole, che tagliava la mappa in linea d’aria fino all’unico posto che avesse un senso.

Lui non sapeva che gli stavano alle costole, non ancora. Non avrebbe cercato di modificare il suo schema per depistarle. Lo avevano in pugno. Avrebbe potuto scommettere la propria carriera sulla certezza di sapere dove si stesse dirigendo Jimmy Sikes.

“Lì,” disse, indicando un punto. “Se ci muoviamo ora, sarà lì che lo troveremo.”

Shelley abbassò lo sguardo sulla mappa. “Il casinò? Come puoi esserne così sicura?”

Zoe lottò internamente con la necessità di fornirle una spiegazione plausibile, contro la necessità di tenere tutto per sé. Se anche avesse voluto, quello non era il momento adatto per rivelarle il fatto che potesse leggere i numeri e gli schemi. E poi, lei non voleva farlo.

“Gli piace giocare d’azzardo,”disse alla fine. “Dai un’occhiata. Il suo primo punto di ritrovo, circa cinque giorni fa, è stato in questo casinò, vicino l’abitazione di sua sorella. È qui che è iniziato tutto. Ha anche fatto un salto in un altro casinò, qui; stiamo ancora aspettando il filmato di sorveglianza interno, ma è altamente probabile che sia entrato, considerando la presenza della sua auto nel parcheggio. Questo è il casinò successivo lungo il suo tragitto. Come vedi, sono equamente distribuiti: paesi diversi, proprietari diversi. Si ferma nei casinò in cui può recarsi senza il timore di essere riconosciuto e sbattuto fuori. Non mi sorprenderebbe se stesse giocando per guadagnare i soldi per continuare il viaggio.”

Shelley esaminò i punti indicati da Zoe, tenendo fermi i suoi capelli biondi dietro le spalle in modo che non ricadessero in avanti, offuscandole la vista. Le lanciò un’occhiata interrogativa, salvo ripensarci a causa della determinazione dipinta sul volto di Zoe. Dopo una pausa, annuì e si raddrizzò. “Okay, sei tu il capo. Lo fai da più tempo di me, quindi immagino tu ne sappia più di quanto io possa immaginare.”

A Zoe non piacque l’ambiguità nel tono di Shelley, ma non poteva farci nulla adesso. Dovevano muoversi. “Andiamo,”disse. “Ci dirigeremo lì. Intanto, chiama la direzione del casinò e digli di stare all’erta per il suo veicolo e per un uomo che combaci con la sua descrizione. Con un po’ di fortuna, riusciremo a prenderlo prima che vada via.”

CAPITOLO DODICI

Il casinò sorgeva poco oltre il confine del Missouri, nel Kansas. Per l’ennesima volta, Zoe fu lieta del fatto che gli agenti dell’FBI non fossero vincolati dai confini statali.

Zoe guardò Shelley muovere le dita sul proprio telefono e tirare fuori ancora una volta i dettagli della vettura. Un’auto blu, con la targa che Zoe aveva visto attraverso il video di sorveglianza. Abbastanza facile da individuare, tranne per il fatto che il casinò era piuttosto famoso e affollato e il parcheggio era quasi pieno.

Si fermarono nel proprio stallo di sosta e Zoe maledisse tra sé e sé l’inevitabile disegno del comportamento umano, che lasciò a loro disposizione soltanto gli spazi più lontani. Anche se forse era un bene, dato che avrebbero potuto individuare l’auto mentre si dirigevano verso l’ingresso del casinò.

“Spero sia ancora qui,”mormorò Shelley. Agitava i piedi, giocando con la sua collanina. Zoe avvertì il suo nervosismo, la necessità di muoversi che anche lei sentiva impellente. La seconda auto, che trasportava i rinforzi scelti dalla squadra dello sceriffo, accostò poco più avanti.

Non avevano ancora avuto notizie del ritrovamento di cadaveri durante la notte. Questo poteva dire due cose: che l’assassino fosse stato sviato per qualche motivo dal suo schema, oppure che avesse reso il suo omicidio un tale successo che la vittima giaceva ancora lì fuori, da qualche parte. In attesa di essere rinvenuta. A Zoe non piacque quest’idea, poiché ogni ora trascorsa voleva dire ulteriori possibili alterazioni della scena del crimine e di qualsiasi indizio lasciato per sbaglio dall’assassino.

Zoe non condivideva le speranze di Shelley, per il semplice motivo che non aveva alcun dubbio. Lui era qui. I dettagli relativi agli ultimi giorni le avevano svelato tutto ciò che doveva sapere. Jimmy Sikes era in quel casinò e loro lo avrebbero trovato.

Inoltre, erano state avvertite dal personale di sicurezza della presenza della sua auto e Zoe aveva dato l’ordine di tenere sotto controllo le uscite e di assicurarsi che non lasciasse il posto. In pratica, era ancora lì dentro.

L’unica nota di preoccupazione riguardava la chiamata che Zoe aveva ricevuto soltanto qualche istante prima, che le aveva comunicato che l’addetto alla sorveglianza era stato sviato dal suo compito per un disordine e che, di conseguenza, aveva perso di vista il loro uomo sulle telecamere. Lei aveva sollecitato affinché la richiamassero non appena lo avessero individuato nuovamente, e di assicurarsi intanto che fosse ancora all’interno del casinò.

Uscirono dall’auto e Zoe fece un cenno all’altra squadra. Avevano già ricevuto i loro ordini: senza far rumore, si disposero a ventaglio, muovendosi a coppie lungo le file di auto, esaminando le targhe e le tipologie di veicoli. Erano tutti armati, pronti, nel caso in cui l’uomo avesse fatto resistenza, e ovviamente tesi, in quanto consapevoli della forte possibilità che si verificasse uno scenario del genere.

Zoe e Shelley si mossero insieme lungo la propria fila, camminando velocemente senza però deconcentrarsi. Il tempo era prezioso. Dovevano sbatterlo dentro il prima possibile in modo che non avesse alcuna possibilità di farla franca.

Lo sguardo di Zoe colse le targhe di diversi stati, soprattutto di Missouri e Kansas. I numeri invasero la sua mente senza il suo permesso, disponendosi accanto a ogni vettura. Nessuna di queste era quella giusta.

La radio che Zoe teneva in mano emise un crepitio e lei la sollevò per ascoltare il messaggio. “Trovata. Ultima fila a sinistra, livello medio. Il veicolo è vuoto.”

Zoe e Shelley alzarono lo sguardo, le teste delle altre due squadre oscillavano all’unisono mentre si dirigevano verso la fila più lontana del parcheggio. Una mano si sollevò, agitandosi brevemente e indicando la posizione dell’auto.

Zoe portò la radio alla bocca. “Noi entriamo,”disse. “Voi due restate nei pressi del veicolo nel caso tornasse. Se dovesse accadere, avvisateci immediatamente. Gli altri, con noi.”

Si incontrarono frettolosamente all’ingresso, tutti in stato d’allerta, occhi spalancati e postura tesa. C’era tensione nel gruppo, il tipo di nervosismo innescato dalla consapevolezza che molto presto avrebbero dovuto confrontarsi con il loro uomo.

“Cosa facciamo?”domandò Shelley, dando la precedenza alla maggiore esperienza e competenza della sua partner. Momenti come questi ricordarono a Zoe che Shelley non fosse così esperta come le impressioni suggerivano.

“Due gruppi,”disse Zoe, guardandosi attorno per assicurarsi che chiunque la stesse ascoltando. “Metà con me, l’altra metà con l’Agente Speciale Rose. Io entrerò dall’ingresso principale, l’altra squadra da quello sul retro. Dopodiché ci divideremo. Lasciate una persona a ogni uscita. Avete tutti le copie?”

Ci furono cenni di assenso da parte di tutti e quattro gli agenti locali e da parte di Shelley.

“Guardatele un’ultima volta per studiare nuovamente la sua faccia prima di entrare,”suggerì Zoe. “Non appena lo avvistate, comunicateci via radio la sua posizione precisa. Convergeremo su di lui per arrestarlo.”

Ci furono mormorii di approvazione e di intesa attorno a lei, mentre tutti accendevano gli schermi dei loro telefoni o tiravano fuori dalle tasche dei fogli di carta piegati per dare un’ulteriore rapida occhiata alla foto di Jimmy Sikes.

Mentre lo facevano, Zoe si rivolse ad un membro del personale di sicurezza del casinò, mostrandogli rapidamente il distintivo senza che nessuno dei passanti lo notasse. Dopo aver scambiato qualche mormorio, l’uomo prese una radio di riserva da Zoe e si diresse velocemente verso il proprio centro di controllo.

Quindi si separarono, tre in ogni direzione; Shelley guardò brevemente indietro verso Zoe, come se volesse essere rassicurata. La sua collega le rivolse un cenno col capo e Shelley si voltò, proseguendo.

Zoe si preparò, facendo un respiro profondo e avvicinandosi alla porta d’ingresso. L’altro team ci avrebbe messo più tempo per raggiungere il retro dell’edificio. Non c’era nessuna fretta, non ancora.

Ma non fu per quello che esitò. Lo fece perché era già stata all’interno di un casinò e sapeva cosa le avesse provocato. Cosa stava per capitare alla propria mente.

Rivolse una rapida occhiata ai due agenti alle sue spalle per assicurarsi che fossero pronti, quindi si mossero tutti in avanti, spingendo le larghe porte di legno e facendosi strada in quel caos rumoroso e indistinto.

L’illuminazione era soffusa, intenzionalmente bassa per nascondere le macchie e per ingannare i clienti, facendo loro perdere la cognizione del tempo. La stanza era lunga e larga, organizzata in varie sezioni, alcune nascoste alla sua vista. Le slot machines, in parte alte e vistose, le bloccavano la visuale di quasi tutto il lato destro. Sulla sinistra c’erano tavoli da gioco e altre attrazioni, oltre a un bar che permettesse agli avventori di prendere qualcosa da bere ogniqualvolta ne avvertissero la necessità.

E, naturalmente, un classico dei casinò: un sentiero tortuoso che conduceva sempre e soltanto ad una nuova occasione di gioco, piuttosto che indicare ai clienti una direzione chiara attraverso la sala.

Zoe fece un respiro profondo, cercando di mantenere l’orientamento e di non lasciarsi sopraffare dai numeri, dal rumore delle slot, delle persone e della musica lounge di sottofondo, e dall’inebriante atmosfera serale che, quasi immediatamente, offuscò il ricordo del mattino che splendeva all’esterno. Quelle distrazioni erano ovunque si voltasse. Incrociò un tavolo da blackjack: i calcoli apparvero nella sua mente non appena vide tutti e cinque i set di carte sullo schermo pubblico e capì che il giocatore seduto sulla destra avrebbe fatto meglio a pescare, in quanto aveva una probabilità dell’80% di ritrovarsi tra le mani la carta di basso valore di cui aveva bisogno per portare il suo punteggio a sedici.

Dall’altra parte, i numeri che brillavano su di una slot machine annunciarono un enorme jackpot, disponibile attraverso una rete interstatale, che raggiungeva quasi una cifra record. La donna che sedeva davanti alla slot, giocando un dollaro per volta con risoluta determinazione, doveva essere consapevole, esattamente come Zoe, che la macchinetta stesse per esplodere.

Guardò la disposizione della sala, vide quali slot avrebbero dato più spesso risultati: erano situate in punti strategici per entusiasmare e incoraggiare altri giocatori. La sua attenzione fu attirata dal rumore stridente di una pallina da roulette che rotolava sul disco, e si rese conto, senza dover aspettare il risultato, che l’uomo con tutte le sue fishes puntate sul quattordici nero non avrebbe vinto nulla.

Zoe sapeva che sarebbe stata in grado di sbancare un posto del genere. Ai tavoli del blackjack avrebbe potuto vincere una fortuna, ma a quelli da poker – erano alla sua sinistra, quattro uomini in giacca e cravatta, dall’aria grave, intenti a fissare intensamente il mazziere mentre girava un asso di fiori, garantendo al secondo giocatore dalla destra un 75,5% circa di probabilità di fare colore – insomma, lì avrebbe potuto ripulire tutti.

 

Una volta l’aveva quasi fatto. Anni fa, prima di entrare nel Bureau. Era stata invitata ad andare in un casinò insieme a un gruppo di colleghi di lavoro; conoscenti, in realtà, dato che non si era mai relazionata così strettamente ad altre persone da chiamarle “amici”. Si era seduta a diversi tavoli da gioco, alzandosi sempre con le sue fishes almeno raddoppiate.

La prima volta, avevano riso e l’avevano applaudita, complimentandosi per la sua fortuna. La seconda volta, avevano pensato fosse il suo momento di grazia.

Dalla quarta, avevano iniziato a lanciarle strane occhiate.

Andò via da lì dopo la sesta vincita, incassando le fishes per uscire e non dover mai più passare il suo tempo libero con quelle persone. Aveva bruciato i ponti piuttosto bene. Con quelle persone aveva chiuso nel momento in cui avevano preso a guardarla come se fosse un fenomeno da baraccone, iniziando persino a spettegolare e accusarla di aver barato.

C’erano cose che non poteva fare, cose che attiravano troppo l’attenzione su di sé e sulle capacità che cercava di nascondere. Il gioco d’azzardo era una di queste cose. Dopo quella serata, era tornata a casa e aveva donato i soldi a un ospedale, sperando che il reparto pediatrico ne traesse beneficio e che il senso di colpa che provava per aver usato il suo “potere” per qualcosa del genere si attenuasse. Barare era sbagliato, e lei aveva decisamente barato.

Sicuramente le sarebbe piaciuto giocare ancora. Era stata una serata divertente, molto divertente, fino a quando non aveva iniziato a degenerare. Ma il rischio e il senso di colpa glielo impedirono. Quella notte, promise a se stessa che non avrebbe mai più giocato d’azzardo, e non avrebbe infranto quella promessa oggi.

In qualità di agente speciale impegnato a scovare un pericoloso serial killer, non c’era comunque tempo per pensare a quella roba.

Tuttavia, nonostante questa consapevolezza, non riuscì ad allontanare i numeri. Cercò di concentrarsi sui volti e sui corpi, non sulle carte e sulle puntate. Era inutile sapere che ci sarebbe stata una vincita al prossimo giro di roulette, o quale dei giocatori di poker fosse uno squalo e quale invece non avesse la minima idea di come scommettere. Niente di tutto ciò avrebbe salvato il prossimo obiettivo dell’assassino.

Zoeseguì le curve del percorso; adesso era sola, in quanto gli agenti che erano con lei erano scivolati via: uno si era appostato all’ingresso e l’altro era intento a perlustrare il labirinto di slot alla sua destra. Lei si mosse attraverso i tavoli da gioco, cercando di somigliare meno ad un agente e più ad un giocatore esperto alla ricerca della migliore occasione, sebbene sapesse a malapena distinguere la differenza. Finché guardava i volti, andava tutto bene. Ma quando posava il suo sguardo sui tavoli per salvare le apparenze, i numeri la travolgevano, quasi al punto da distrarla dalla sua missione.

Un movimento attirò la sua attenzione, e subito dopo il suo sguardo si rivolse verso un altro tavolo da roulette, servito da un’attraente croupier bionda. La donna stava trascinando le fiches verso i vincitori, prendendo le scommesse perse e annunciando il prossimo giro. Attorno a lei si erano radunate alcune persone.Quattro … no, cinque: tutti con gli occhi puntati sulla griglia delle scommesse.

E lì, in mezzo a quella gente, girato di lato rispetto a lei, c’era Jimmy Sikes.

Zoe cercò la radio, sollevandola in direzione del viso; lui era impegnato a scherzare con un altro giocatore, ma improvvisamente si voltò, sorridente, mentre Zoe si dirigeva verso di lui. Jimmy notò la radio che lei aveva in mano, vide il suo sguardo fisso su di lui, e la risata gli si smorzò in gola. Dopo un breve istante, una frazione di secondo, si girò e iniziò a correre a perdifiato.

Zoe imprecò sottovoce, premendo il pulsante di chiamata. “Sospetto identificato. È a piedi, sta cercando di scappare dai tavoli da gioco.Tenete sotto controllo le uscite.” Si fidava dei suoi uomini e del personale di sicurezza del casinò. Finché fossero stati tutti in posizione, non ci sarebbe stata alcuna possibilità di lasciarselo scappare.

Prese a inseguirlo, vedendo con la coda dell’occhio che l’agente che si trovava in prossimità delle macchinette aveva anch’egli iniziato a correre nella sua direzione. Sikes era ad un solo tavolo di distanza, ma aveva il vantaggio dei clienti che affollavano il posto: li spingeva via per toglierli dalla sua strada, facendoli sparpagliare, visibilmente sorpresi, e creando ostacoli improvvisati per intralciare l’inseguimento da parte di Zoe.

Diede un’occhiata alle sue spalle e vide quanto lei fosse vicina; i suoi occhi erano spalancati, era fuori di sé. “Fermo! FBI!” urlò Zoe, dandogli la possibilità di fare la scelta giusta.

Ma era inutile, nessuno faceva mai la scelta giusta.

Zoe armeggiò per estrarre la pistola mentre correva, riuscendo finalmente a stringerla saldamente e tenendo la radio con l’altra mano. Se l’uomo fosse stato armato, sarebbe stato impossibile prevedere la sua prossima mossa. Non c’era modo di sapere se avrebbe resistito con violenza all’arresto.

“Fermo e mani sopra la testa!” urlò nuovamente, mentre le persone davanti a lei si allontanavano, rispondendo istintivamente al suo comando. Sikes zigzagò tra i tavoli, guardandosi alle spalle e boccheggiando irregolarmente, il panico chiaramente dipinto sul suo viso.

Sbattè contro un tavolo da blackjack, facendo quasi cadere il croupier, e lo spinse con forza fino a farlo capovolgere, facendo volare fiches e carte. Si venne a creare un crescendo talmente vicino a Zoe che lei quasi ci finì dentro, e ci fu soltanto una brevissima pausa prima che le persone si tuffassero in avanti, lottando per raccogliere il maggior numero possibile di fiches e bloccandole la strada.

“FBI! Toglietevi di mezzo!”gridò disperatamente Zoe, ma per Sikes aveva funzionato. Stava scappando, era sempre più lontano, mentre lei cercava ancora di farsi strada tra la folla. Ora aveva abbastanza vantaggio e lei riuscì a vederlo fuggire; definitivamente, se ce l’avesse fatta a oltrepassare l’agente appostato all’ingresso.

Ma, all’improvviso, Zoe intuì una certa logica nella sua fuga. Con ogni probabilità, l’uomo era qui da ore e si era spostato da un tavolo all’altro per giocare e divertirsi. Conosceva la disposizione della sala, sicuramente meglio di lei. C’era una sorta di criterio nel suo delirio, una serie di angoli acuti che lo portavano avanti e indietro lungo il pavimento del casinò, ignorando totalmente il percorso a favore della strada più veloce verso il retro della sala.

Zoe si fermò e iniziò a osservarlo. Impossibile sparargli, c’erano troppi civili in giro. Altrettanto impossibile raggiungerlo, ora. Ma c’erano almeno altre tre persone in questo casinò che avrebbero avuto l’occasione di fermarlo, e lei avrebbe potuto aiutarli.

Vide il suo movimento, una linea disegnata con un righello nella propria mente, uno zigzag tutt’altro che casuale. Correva a destra e a sinistra, scansando tutti gli altri tavoli e cercando il percorso più evidente verso l’uscita, anche se tutto ciò poteva non avere un senso per chi non riusciva a capire. Le linee continuavano verso la parte posteriore della sala, e adesso Zoe poteva vederle inserirsi nel punto più distante del casinò. Distese davanti a lei da sinistra a destra, Zoe vide le linee sovrapporsi letteralmente alla stanza, indirizzandola nella direzione giusta.

E riuscì a scorgere Shelley farsi strada in direzione dell’uomo.