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Il Killer della Rosa

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Il Killer della Rosa
Il Killer della Rosa
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Capitolo 18

Mentre guidava verso l'indirizzo che le aveva dato la receptionist della clinica, Riley percepì il suo solito timore all’idea di dover interrogare le famiglie o i coniugi delle vittime. In qualche modo, sentiva che stavolta sarebbe andata persino peggio del solito. Ma il rapimento era appena accaduto.

“Forse, stavolta, la troveremo prima che la uccida” lei disse.

“Se la scientifica riesce a ottenere un indizio su questo tipo” Bill replicò.

“In qualche modo, dubito che salti fuori in qualche database”. L'immagine che Riley stava formando nella sua mente non era di un criminale abituale. Questa cosa era profondamente personale per l''assassino in un modo che lei non era stata in grado di capire. Lo avrebbe compreso abbastanza in fretta, così da fermare il terrore e l'agonia che Cindy stava vivendo in quel momento? Nessun altro avrebbe dovuto provare il dolore di quel coltello … o di quell'oscurità … o di quella fiamma ustionante …

“Riley” Bill disse bruscamente, “è proprio là”.

Riley tornò al presente. Rallentò, posteggiò l’auto e si guardò intorno nel quartiere. Era piccolo e malmesso, ma appariva caldo e accogliente per certi aspetti. Era la zona a basso costo, dove i giovani che non disponevano di molto denaro potevano realizzare i propri sogni.

Naturalmente, Riley sapeva che il quartiere non poteva restare in quel modo. La gentrificazione era indubbiamente in previsione di manifestarsi in qualsiasi momento. Ma forse, sarebbe andata bene per una galleria d'arte. Se la vittima fosse tornata a casa in vita.

Riley e Bill uscirono dall'auto e si avvicinarono alla piccola vetrina della galleria. Una splendida scultura in metallo era esposta nella vetrina frontale dietro un cartello, che annunciava “CHIUSO”.

L'appartamento della coppia era al piano di sopra. Riley suonò il campanello, e insieme a Bill attese per alcuni istanti. Si chiese chi sarebbe arrivato alla porta.

Quando la porta si aprì, lei fu sollevata di essere accolta dal volto compassionevole della specialista delle vittime dell'FBI, Beverly Chaddick. Riley aveva lavorato con lei altre volte. La specialista era nel settore da almeno vent'anni, e aveva un modo meraviglioso di interagire con le vittime sconvolte e con i familiari.

“Abbiamo bisogno di fare alcune domande al Signor MacKinnon” Riley disse. “Spero che ne abbia voglia”.

“Sì” Beverly disse. “Ma andateci piano.”

Beverly guidò Bill e Riley di sopra, al piccolo appartamento. Appena entrata, Riley fu subito colpita  dall’incredibile e allegro disordine dell’immobile, decorato con quadri e sculture. Le persone che vivevano lì amavano celebrare la vita e tutte le sue possibilità. Era tutto finito ora? Il cuore le doleva per la giovane coppia.

Nathaniel MacKinnon, un uomo con meno di trent'anni, era seduto nella zona giorno. La sua compostezza lo faceva apparire ancora più distrutto.

Beverly annunciò con voce gentile: “Nathaniel,  gli agenti Paige e Jeffreys sono qui”.

Il giovane guardò Bill e Riley con aria d'attesa. La sua voce era roca per la disperazione.

“Avete trovato Cindy? Sta bene? E' viva?”

Riley si rese conto che non avrebbe potuto dire nulla di utile. Era ancora più grata che Beverly fosse lì, e che avesse già stabilito un rapporto con il marito distrutto.

Beverly sedette accanto a Nathaniel MacKinnon.

“Nessuno sa ancora niente, Nathaniel” lei disse. “Sono qui per aiutare”.

Bill e Riley si sedettero accanto a lui.

Riley chiese: “Signor MacKinnon, sua moglie ha detto qualcosa di recente su eventuali paure o minacce?”

L'uomo scosse silenziosamente la testa.

Bill s'intromise: “Questa è una domanda difficile, ma dobbiamo fargliela. Lei o sua moglie avete dei nemici, qualcuno che potrebbe volervi far del male?”

Il marito sembrò avere difficoltà nel comprendere la domanda.

“No, no” lui balbettò. “Ascolti, a volte ci sono piccole faide sul lavoro. Ma si tratta solo di piccole stupidaggini,  litigi tra artisti, non persone che farebbero cose come …”

Si fermò a metà frase.

“E tutti … vogliono bene a Cindy” dichiarò.

Riley scorse in lui ansia e incertezza relativamente all'utilizzo del tempo presente. Sentiva che interrogare quell'uomo era probabilmente futile e forse impossibile. Lei e Bill dovevano probabilmente rinunciare e lasciare la situazione nelle mani capaci di Beverly.

Nel frattempo, però, Riley si guardò intorno nell'appartamento, provando a trovare anche la minima traccia di un indizio.

Non aveva bisogno che le dicessero che Cindy e Nathaniel MacKinnon non avevano figli. L'appartamento non era abbastanza grande, e inoltre, le opere d'arte circostanti non erano affatto opera di mani infantili.

Ad ogni modo, sospettava che la situazione fosse diversa da quella vissuta con Margaret e Roy Geraty. Lo stomaco di Riley le suggerì che Cindy e Nathaniel non avevano figli per scelta, e solo temporaneamente. Stavano aspettando il momento giusto, di avere più denaro, una casa più grande, una vita più stabile.

Credevano di avere tutto il tempo del mondo, Riley pensò.

Ripensò alla sua prima supposizione, cioè che l'assassino scegliesse le madri. Si chiese di nuovo come potesse essersi sbagliata in quel modo.

Qualcosa d'altro sull'appartamento stava cominciando a sorgere in lei. Non vide alcuna foto di Nathaniel o Cindy da nessuna parte. Questo non era assolutamente sorprendente. Come coppia, erano più interessati nella creatività degli altri, piuttosto che a foto che ritraesse loro stessi Non erano affatto narcisisti.

Nonostante questo, Riley sentì il bisogno di avere un'immagine più chiara di Cindy.

“Signor MacKinnon” lei chiese con cautela, “ha delle foto recenti di sua moglie?”

L'uomo la guardò inespressivo per un istante. Poi, la sua espressione s'illuminò.

“Ecco, sì” fu la risposta. “Ne ho una nuova proprio qui sul mio cellulare.”

Trovò la fotografia sul cellulare e la passò a Riley.

Il cuore di Riley le saltò in gola quando la vide. Cindy MacKinnon era seduta con una bambina di tre anni in grembo. Entrambe erano raggianti per la gioia, mentre stringevano una bambola splendidamente vestita in mezzo a loro.

Occorse un momento a Riley per riprendere di nuovo a respirare. La donna rapita, una bambina e una bambola. Si era sbagliata. Almeno, non completamente. Doveva esserci una connessione tra l'assassino e le bambole.

“Signor MacKinnon, chi è la bambina nella foto?” Riley chiese, quanto più calma possibile.

“E' la nipote di Cindy, Gale” fu la risposta di Nathaniel MacKinnon. “E' la figlia di Becky, la sorella di Cindy”.

“Quando è stata scattata questa foto?” Riley gli chiese.

L'uomo si fermò a pensare. “Credo che Cindy me l'abbia inviata venerdì” disse. “Sì, ne sono certo. E' stato al compleanno di Gale. Cindy ha aiutato la sorella con la festa. E' uscita prima dal lavoro, per aiutarla”.

Riley lottò con i suoi pensieri, incerta per un istante su che cosa avrebbe dovuto chiedere ora.

“La bambola era un regalo di Cindy per la nipote?” lei chiese.

Nathaniel annuì. “Gale ne è stata elettrizzata. Questo ha reso Cindy così felice. Ama davvero vedere Gale felice. E' quasi come una figlia per lei. Mi ha telefonato subito per dirmelo. E' stato allora che mi ha inviato la fotografia”.

Riley si sforzò di mantenere ferma la sua voce. “E' una bambola graziosa. Capisco perché ha reso Gale tanto felice”.

Lei esitò di nuovo, guardando l'immagine della bambola, come se volesse dirle quello che aveva bisogno di sapere. Certamente quel sorriso dipinto, quei vuoti occhi blu, contenevano una chiave per le sue domande. Ma non sapeva neanche che cosa chiedere.

Con la coda dell'occhio, vide Bill osservarla attentamente.

Perché un assassino brutale dovrebbe mettere le sue vittime in posa per farle sembrare delle bambole?

Finalmente, Riley gli domandò: “Sa dove Cindy ha comprato la bambola?”

Nathaniel apparve davvero perplesso. Anche Bill assunse tale espressione. Indubbiamente, lui si chiese dove Riley volesse arrivare con questo. La verità era che Riley non ne era ancora del tutto sicura.

“Non ne ho idea” Nathaniel disse. “Lei non me l'ha detto. E' importante?”

“Non lo so” Riley ammise. “Ma pensò che possa esserlo”.

Nathaniel si stava agitando ancora di più adesso. “Non capisco. Di che cosa si tratta? Sta dicendo che mia moglie è stata rapita a causa della bambola di una ragazzina?”

“No, non sto dicendo questo.” Riley provò a sembrare calma e convincente. Naturalmente, realizzò, lo stava dicendo. Pensò che la moglie probabilmente era stata rapita a causa della bambola di una ragazzina, sebbene non avesse alcun senso.

Nathaniel era visibilmente stressato. Riley vide che Beverly Chaddick, la specialista delle vittime che era seduta lì vicino, la stava osservando con imbarazzo. Scuotendo lievemente la testa, sembrò che Beverly stesse provando a comunicare che Riley aveva bisogno di andarci più piano con il marito distrutto. Riley rammentò a se stessa che interrogare le vittime e le loro famiglie non era il suo forte.

Devo stare attenta, si disse. Ma aveva anche un forte bisogno di sbrigarsi. La donna era prigioniera. Che fosse in gabbia o legata, poco importava. Non le restava molto da vivere. Era questo il momento per trattenere ogni fonte d'informazione?

“Esiste un modo per scoprire dove Cindy l'ha comprata?” Riley chiese, provando ad esprimersi in un tono più gentile. “Soltanto in caso avessimo bisogno di quell’informazione”.

“Cindy e io teniamo delle ricevute” Nathaniel disse. “Solo per le spese deducibili dalle tasse. Non penso che avrebbe tenuto lo scontrino per un regalo di famiglia. Ma ci guarderò”.

Nathaniel si diresse ad un armadio, e vi estrasse una scatola da scarpe. Si sedette di nuovo e aprì la scatola, che era piena di ricevute di carta. Cominciò a cercare tra quelle, ma le mani gli tremavano incontrollabilmente.

 

“Non credo di farcela” lui disse.

Beverly prese gentilmente la scatola dalle sue mani.

“Va tutto bene, Signor MacKinnon” lei disse. “Cercherò io”.

Beverly cominciò a rovistare nella scatola. Nathaniel era vicino alle lacrime.

“Non capisco” l'uomo disse con voce rotta. “Lei ha solo comprato un regalo. Potrebbe essere stato qualunque cosa. In qualsiasi posto. Penso che stesse considerando diverse possibilità, ma alla fine ha scelto una bambola”.

Riley provò un dolore allo stomaco. In qualche modo, decidere di acquistare una bambola aveva gettato Cindy MacKinnon in un incubo. Se avesse optato per un animale di peluche invece, ora sarebbe stata a casa, viva e felice?

“Vorrebbe per favore spiegarmi che cosa significa questa storia della bambola?” Nathaniel insistette.

Riley sapeva che l'uomo meritava più di una spiegazione. Non riusciva a trovare un modo gentile di parlargliene.

“Penso” lei cominciò a scatti. “Penso che il rapitore di sua moglie possa essere ossessionato dalle bambole”.

Lei era consapevole delle reazioni immediate degli altri presenti nella stanza. Bill scosse la testa e abbassò lo sguardo. La testa di Beverly si curvò in segno di stupore. Nathaniel la guardò con un'espressione di grande disperazione.

“Che cosa glielo fa credere?” lui chiese con una voce strozzata. “Che cosa sa di lui? Perché non me lo dice?”

Riley cercò una risposta utile, ma riuscì a riconoscere una tremenda realizzazione nei suoi occhi.

“L'ha già fatto prima, non è vero?” l'uomo disse. “Devono esserci state delle altre vittime. Ha qualcosa a che fare con?”

Nathaniel si sforzò di ricordare qualcosa.

“Oh mio Dio” disse. “L'ho letto sui giornali. Un serial killer. Ha ucciso altre donne. I loro corpi sono stati trovati al Mosby Park, e nel parco nazionale vicino a Daggett, e da qualche parte intorno a Belding”.

Lui si piegò in due e cominciò a singhiozzare in maniera incontrollata.

“Lei crede che Cindy sia la sua prossima vittima” gridò. “Crede che sia già morta”.

Riley scosse insistentemente la testa.

“No” Riley disse. “No, non lo pensiamo”.

“Allora che cosa credete?”

I pensieri di Riley erano tormentati. Che cosa poteva dirgli? Che probabilmente sua moglie era viva, ma profondamente terrorizzata, e in procinto di venire brutalmente terrorizzata e mutilata? E che i tagli e le coltellate sarebbero andati avanti e avanti, finché Cindy non fosse stata salvata o morta?

Riley aprì la bocca per parlare, ma le parole non vennero fuori. Beverly si allungò, poggiando una mano sul braccio di Riley. Il volto della specialista era ancora caldo e amichevole, ma le dita erano piuttosto ferme.

Beverly parlò molto lentamente, come se stesse spiegando qualcosa ad un bambino.

“Non riesco a trovare lo scontrino” lei disse. “Non c’è”.

Riley comprese il significato non espresso verbalmente da Beverly. Con i suoi occhi, Beverly le stava dicendo che l'interrogatorio era uscito fuori dai binari, ed era giunto il momento che se ne andasse.

“Ci penso io adesso” Beverly mimò con la bocca in un sussurro a malapena udibile.

Riley le sussurrò a sua volta: “Grazie. Mi dispiace.”

Beverly sorrise ed annuì empatica.

Nathaniel si sedette coprendosi il viso con le mani. Non sollevò nemmeno lo sguardo verso Riley, mentre insieme a Bill si alzarono per andarsene.

Lasciarono l'appartamento, e scesero per le scale, raggiungendo la strada. Entrarono entrambi nell'auto di Riley, ma lei non accese il motore. Sentì le sue stesse lacrime salirle agli occhi.

Non so dove andare, lei pensò. Non so che cosa fare.

In quei giorni, sembrava che si stesse ripetendo la storia della sua vita.

“Sono bambole, Bill” lei disse. Stava provando a spiegare la sua nuova teoria a se stessa, quasi quanto a lui. “Senz'altro ha a che fare con le bambole. Ricordi che cosa ci ha detto Roy Geraty a Belding?”

Bill alzò le spalle. “Lui ha detto che la sua prima moglie, Margaret, non amava le bambole. La rendevano triste, così ha detto. E anche che la facevano piangere.”

“Sì, perché non poteva avere dei figli suoi” disse Riley. “Ma aggiunto anche dell'altro. Che lei aveva vari amici e parenti con figli loro; che lei andava continuamente alle feste prima delle nascite, e aiutare con la preparazione delle feste.”

Riley comprese, dall'espressione sul volto di Bill, che ora stava cominciando a comprendere.

“Perciò, qualche volta, lei ha dovuto comprare delle bambole” continuò. “Sebbene la rattristassero.”

Riley colpì il volante con il pugno.

“Hanno tutti comprato delle bambole” lei disse. “Lui le ha viste mentre lo facevano. E le ha viste comprare le bambole nello stesso posto, nello stesso negozio”.

Bill annuì. “Dobbiamo trovare quel negozio” lui disse.

“Giusto” Riley disse. “Da qualche parte nella nostra area di migliaia e più miglia, c'è un negozio di bambole in cui si sono recate tutte le donne rapite. E anche lui ci è andato. Se riusciremo trovarlo, forse, e dico forse, potremo trovare lui”.

In quel momento, il cellulare di Bill squillò.

“Pronto?” lui disse. “Sì, Agente Walder, sono Jeffreys”.

Riley represse un gemito. Si chiese che tipo di grattacapo stesse per dare loro Walder.

Vide la bocca di Bill spalancarsi per l'incredibile sorpresa.

“Gesù” lui disse. “Gesù. Va bene. Va bene. Arriviamo subito”.

Bill terminò la telefonata e stette a guardare Riley, stupito per alcuni secondi.

“Walder e quei ragazzi che erano con lui” disse.  “L'hanno preso”.

Capitolo 19

Riley e Bill arrivarono all'Unità di Analisi Comportamentale e trovarono Walder ad aspettarli sulla porta.

“Ce l'abbiamo” Walder disse, accompagnandoli nell'edificio. “Abbiamo il nostro uomo”.

Riley riuscì a sentire entusiasmo e sollievo nella sua voce.

“Come?” lei domandò.

“Agente Paige, ha seriamente sottovalutato Huang e Creighton” Walder disse. “Dopo che ve ne siete andati, la receptionist ha detto loro di un uomo raccapricciante che è stato visto intorno alla clinica di recente. Si chiama Darrell Gumm. Le pazienti donne si sono lamentate di lui. Si avvicinava troppo a loro, così hanno dichiarato, senza rispettare il loro spazio personale. E una volta o due, alla fine si è intrufolato nel bagno delle signore”.

Riley ci rimuginò su, confrontando quel comportamento  con le sue supposizioni in merito al colpevole. Potrebbe essere lui, lei pensò. Sentì un'ondata di eccitazione in gola.

Bill chiese a Walder: “Nessuno alla clinica ha chiamato la polizia per dire di Gumm?”

“Stavano lasciando gestire la questione al proprio uomo della sicurezza. La guardia ha detto a Gumm di stare lontano. In quel tipo di struttura, arrivano spesso tipi strambi. Ma Huang e Creighton hanno raccolto la descrizione. Si sono resi conto che corrispondeva a quella dell'uomo che stiamo cercando. Hanno ottenuto il suo indirizzo dalla receptionist, e così siamo arrivati tutti al suo appartamento”.

“Come fate a sapere che è lui?” Riley domandò.

“Ha confessato” Walder disse fermamente. “Abbiamo ottenuto una confessione da lui”.

Riley cominciò a sentirsi sollevata. “E Cindy MacKinnon?” lei chiese. “Lei dov'è?”

“Ci stiamo lavorando su” Walder rispose.

Il sollievo di Riley svanì. “Che cosa significa 'ci stiamo lavorando su'?” lei chiese.

“Abbiamo degli agenti sul campo a setacciare il quartiere. Non pensiamo che possa averla portata molto lontano. Comunque, ce lo dirà molto presto. Avrà molte cose da dire”.

Sarà meglio che sia lui, Riley pensò. Cindy MacKinnon doveva semplicemente essere viva. Non potevano perdere ancora un'altra donna innocente a causa di questo bruto contorto. Il suo tempo si stava restringendo, ma certamente lei non poteva essere già morta così presto, dopo il rapimento. Non aveva ancora avuto il piacere di torturarla.

Bill chiese a Walder: “Dov'è il sospettato ora?”

Walder indicò la strada. “Si trova nel centro di detenzione preventiva” lui disse. “Forza.  Sono diretto lì ora”.

Walder li aggiornò, mentre camminavano nell'esteso complesso BAU, fino all'edificio dove erano tenuti i sospettati.

“Quando abbiamo mostrato i nostri distintivi” Walder disse cupamente, “ci ha invitati ad entrare e a metterci a nostro agio. Bastardo sicuro di sé”.

Riley pensò che combaciava. Se Darren Gumm fosse stato davvero il loro uomo, l'arrivo degli agenti poteva essere stato proprio il finale che stava aspettando. Forse aveva sempre voluto essere catturato, dopo un brillante e lungo gioco del gatto col topo, con le autorità. Forse, la ricompensa che stava aspettando di ricevere da sempre era la fama, quei quindici minuti di fama.

Riley sapeva che il problema era che lui poteva ancora sfruttare la sua ultima vittima per giocare con tutti loro. E poteva benissimo essere il tipo da farlo.

“Avreste dovuto vedere dove vive” Walder proseguì. “Uno sporco monolocale, con un divano pieghevole e un minuscolo bagno, che puzza da morire. E sulle pareti, proprio dappertutto, ha attaccato degli articoli di giornali relativi ad aggressioni, stupri e omicidi di tutto il paese. Nessun segno di un computer, è completamente fuori dalla realtà, ma devo dire che ha un database analogico di crimini psicopatici, di cui molti dipartimenti di polizia sarebbero invidiosi”.

“E mi lasci indovinare” Bill s'intromise. “Lui aveva un insieme di storie affisse alle pareti, sui nostri omicidi, per la maggior parte contenenti le informazioni che sono state rese pubbliche su di essi, per tutti e due gli anni”.

“Certo che è così” Walder disse. “Creighton e Huang gli hanno posto alcune domande, e ha agito proprio da sospetto. Infine, Huang gli ha chiesto che cosa sapesse di Cindy MacKinnon, e lui si è azzittito. Era ovvio che sapeva a che cosa l'agente si riferisse. Avevamo abbastanza elementi per arrestarlo. E ha confessato quasi non appena è arrivato qui”.

In quel momento, Walder accompagnò Riley e Bill in una piccola stanza, con una finestra finta, che si affacciava nella stanza degli interrogatori.

L'interrogatorio era già in corso. Da un lato del tavolo, era seduta l'Agente Emily Creighton. L'Agente Craig Huang andava a passo regolare sul pavimento, dietro di lei. Riley pensò che quei due giovani agenti sembravano più capaci rispetto al primo incontro. Dall'altro lato era seduto Darren Gumm, con i polsi ammanettati al piano del tavolo.

Riley ne fu immediatamente disgustata. Era un piccolo rospo, intorno ai trenta anni, di media statura, e un po' tracagnotto. Ma sembrava sufficientemente robusto per rappresentare una plausibile minaccia fisica, specialmente nei confronti delle donne indifese, catturate di sorpresa. La sua fronte scivolava all'indietro, facendo apparire il suo cranio come quello di un ominide estinto da molto. Il mento era praticamente inesistente. Tutto sommato, corrispondeva certamente alle aspettative di Riley. E sembrava che la sua confessione avesse portato alla conclusione del caso.

“Lei dov'è?” la Creighton gridò a Gumm.

Riley intuì dal tono impaziente della voce della Creighton, che aveva già posto quella domanda molte volte.

“Dov'è chi?” Gumm chiese in una voce alta e sgradevole. La sua espressione conteneva equamente disprezzo e insolenza.

“La smetta di giocare con noi” l'Agente Huang disse bruscamente.

“Non devo dire nulla senza la presenza di un avvocato, giusto?” Gumm disse.

La Creighton annuì. “Gliel'abbiamo già detto. Chiameremo un avvocato quando ne chiederà uno. Lei continua a ripetere che non lo vuole. Anche questo è un suo diritto. Può  rinunciare ad un difensore. Ha cambiato idea?”

Gumm sollevò la testa e guardò verso il soffitto, assumendo un simulato sguardo pensieroso.

“Mi ci lasci pensare. No, penso di no. Non ancora, almeno”.

Huang si allungò verso l'altra parte del tavolo, verso di lui, sforzandosi di sembrare minaccioso.

“Glielo chiederò per l'ultima volta” disse. “Dove ha nascosto il furgone?”

Gumm sollevò le spalle. “E io glielo dirò per l'ultima volta, quale furgone? Non posseggo un furgone. Non ho nemmeno un'auto. Cazzo, non ho neanche la patente”.

Parlando a voce bassa, Walder informò Riley e Bill: “L'ultimo pezzo è vero. Nessuna patente, nessuna registrazione di voto, niente carte di credito, niente di niente. Vive davvero isolato. Non deve meravigliarci, se il furgone non aveva una targa. Probabilmente, lui l'ha rubato. Ma non poteva averlo guidata nel frattempo. Deve essere da qualche parte vicino al suo appartamento.”

 

L'Agente Creighton ora stava guardando Gumm con aria di rimprovero.

“Pensa che questo sia divertente, non è vero?” lei disse. “Ha una povera donna legata da qualche parte. L'ha ammesso già. Lei è spaventata a morte, e scommetto che ha anche fame e sete. Per quanto tempo la farà soffrire? Ha davvero intenzione di lasciarla morire in quel modo?”

Gumm esplose in una risatina.

“E' questa la parte in cui mi picchiate?” l'uomo chiese. “O è quella in cui mi dite che riuscirete a farmi parlare senza lasciarmi segni visibili?”

Riley aveva provato a restare in silenzio, ma non era riuscita a trattenersi un istante di più.

“Non stanno facendo le domande giuste” lei disse.

La donna spinse Walder, e andò dritta alla porta che conduceva alla stanza degli interrogatori.

“Si fermi, Agente Paige” Walder comandò.

Ignorandolo, Riley entrò nella stanza. Andò dritta verso il tavolo, ci piantò entrambe le mani e si allungò verso Gumm in maniera intimidatoria.

“Dimmi, Darrell” lei ringhiò. “Ti piacciono le bambole?”

Per la prima volta, il volto di Darrell mostrò una traccia di agitazione.

“Chi diavolo sei tu?” chiese a Riley.

“Qualcuno a cui non mentire” Riley rispose. “Ti piacciono le bambole?”

Gli occhi dell'uomo guardarono intorno nella stanza.

“Non lo so” rispose. “Bambole? Sono carine, immagino”.

“Ecco, pensi che siano più che carine, giusto?” Riley disse. “Tu eri quel tipo di ragazzo da bambino, insomma quello a cui piaceva giocare con le bambole, di cui tutti si prendono gioco”.

Darrell si voltò verso il vetro che era dalla sua parte sulla finta finestra.

“C’è qualcuno là dietro?” lui disse ad alta voce, sembrando ora spaventato. “Qualcuno può allontanare questa pazza da me?”

Riley girò intorno al tavolo, spinse via l'Agente Huang, e si mise vicino a Gumm. Poi, avvicinò il suo viso a quello dell'uomo. Lui si ritrasse, provando a sfuggire al suo sguardo. Ma non gli avrebbe consentito di avere spazio per respirare. I loro volti erano distanti solo 7,10cm tra loro.

“E ti piacciono ancora le bambole, non è così?” Riley sillabò, sbattendo il pugno sul tavolo. “Bambole con le sembianze di ragazzine. Ti piace spogliarle. Ti piace vederle nude. Che cosa ti piace fare con loro quando sono nude?”

Darrell spalancò gli occhi.

Riley lo fissò per un lungo istante. Poi esitò, provando a leggere chiaramente la sua espressione. Era disprezzo o disgusto quello che le faceva fare una smorfia simile con la bocca?

Aprì la bocca per fare altre domande, ma la porta della stanza degli interrogatori si spalancò dietro di lei. Sentì la voce severa di Walder.

“Agente Paige, la voglio fuori di qui subito.”

“Mi dia solo un altro minuto” lei disse.

“Subito!”

Riley restò a guardare Gumm in silenzio per un momento. Ora, appariva proprio sbigottito. Lei si guardò intorno e vide che gli agenti Huang e Creighton la stavano osservando con profondo stupore. Poi, lei si allontanò e seguì Walder fuori nella stanza adiacente.

“Che cosa diavolo pensava di fare?” Walder domandò. “Sta andando oltre. Non vuole che questo caso venga chiuso. E' chiuso. Se ne faccia una ragione. Ora non ci resta altro da fare che trovare la vittima”.

Riley si lamentò forte.

“Penso che abbia capito male” lei disse. “Non credo che quest'uomo reagisca alle bambole nel modo in cui farebbe l'assassino. Mi serve più tempo per assicurarmene”.

Walder la guardò per un istante, poi scosse la testa.

“Questa non è stata proprio la sua giornata, vero, Agente Paige?” lui disse. “Infatti, direi che non è stata al meglio durante l'intero caso. Oh, aveva ragione su una cosa. Gumm non sembra aver avuto alcun collegamento con il Senatore, politico o personale. Ma questo ha poca importanza ormai. Sono certo che il Senatore sarà sollevato alla notizia che abbiamo consegnato l'assassino di sua figlia alla giustizia”.

Tutto quello che Riley riuscì a fare per restare calma fu esordire: “Agente Walder, con tutto il dovuto rispetto”.

Walder l'interuppe. “Ed è proprio questo il suo problema, Agente Paige. Il suo rispetto per me è mancato. Sono stanco della sua insubordinazione. Stia tranquilla, non ho alcuna intenzione di farle un rapporto negativo. Ha svolto del buon lavoro in passato, e ora le darò il beneficio del dubbio. Sono certo che sia ancora traumatizzata per tutto quello che ha dovuto passare. Ma ora può andare a casa. Gestiremo le cose da qui”.

Poi, Walder diede un colpetto sulla spalla di Bill.

“Vorrei che restasse, Agente Jeffreys” lui disse.

Ora Bill era furioso. “Se lei se ne va, me ne vado anch'io” l'uomo brontolò.

Bill accompagnò Riley fuori nel corridoio. Walder uscì dalla stanza, per guardarli andar via. Ma, fatti pochi passi nel corridoio, la certezza se ne andò con Riley. Il viso del sospettato aveva mostrato disgusto, lei era sicura di questo ora. Le sue domande sulle bambole nude non lo avevano eccitato. Lo avevano soltanto confuso.

Riley era agitatissima. Lei e Bill continuarono il tragitto, fino all'uscita dall'edificio.

“Non è lui il nostro uomo” disse piano a Bill. “Ne sono sicura”.

Bill la guardò, scioccato e lei si fermò a guardarlo molto intensamente.

Lei è  ancora là fuori” lei aggiunse. “E  non hanno idea di dove sia”.

*

Molto tempo dopo il tramonto, Riley camminava avanti e indietro in casa, rivivendo ogni dettaglio del caso nella sua mente. Aveva persino spedito email ed sms, per avvisare i membri del Bureau che Walder aveva messo dentro l'uomo sbagliato.

Lei aveva accompagnato Bill a casa, e aveva tardato di nuovo tanto a passare a prendere April. Riley fu grata che April non se ne fosse lamentata stavolta. Ancora silenziosa per via dell'incidente con l'erba, April era stata persino piacevole, mentre avevano preparato insieme una cena a quell'ora tarda e avevano chiacchierato.

Giunse e passò la mezzanotte, e per Riley fu come se la sua mente stesse girando in circolo. Non stava arrivando da nessuna parte. Aveva bisogno di qualcuno con cui parlare, qualcuno contro cui far rimbalzare le proprie idee. Pensò di chiamare Bill. Di certo, non si sarebbe arrabbiato nel ricevere una sua telefonata a quell'ora della notte.

Ma no, aveva bisogno di qualcun altro, qualcuno le cui ipotesi non erano facili da trovare, qualcuno il cui giudizio aveva imparato ad accettare dall'esperienza passata.

Infine, si rese conto di chi si trattava.

Digitò un numero sul suo cellulare e fu turbata di sentire ancora un altro messaggio registrato.

“Questo è il numero di Michael Nevins. Vi prego di lasciare un messaggio dopo il segnale acustico.”

Riley fece un respiro profondo, poi disse: “Mike, possiamo parlare? Se ci sei, ti prego, rispondi. E' davvero urgente.”

Nessuno rispose. Lei non fu sorpresa che l'uomo non fosse disponibile. Spesso lavorava a tutte le ore. Aveva soltanto sperato che quella non fosse una di quelle volte.

Infine, disse: “Sto lavorando a un caso difficile, e penso che forse tu sia il solo che possa aiutarmi. Verrò nel tuo ufficio domattina presto. Spero che vada bene. Come ho detto, è urgente.”

Pose fine alla telefonata. Non c'era altro che potesse fare ora. Sperava solo di riuscire a dormire qualche ora.