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Il Killer della Rosa

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Il Killer della Rosa
Il Killer della Rosa
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Czyta Caterina Bonanni
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Il posto sembrava essere pieno di bambole. Lei non vide anima viva, solo bambole di tutte le forme e dimensioni.

Riley girò la maniglia della porta. Era chiusa a chiave. Colpì di nuovo la porta. Stavolta, sentì una voce maschile.

“Vada via. Mi lasci in pace. Non ho fatto niente".

Riley pensò di aver sentito qualcuno muoversi all'interno. La porta della roulotte era progettata per aprirsi dall'interno, perciò lei non poteva entrare. Puntò la pistola sulla maniglia chiusa. Sparò e questa si aprì.

Riley si fiondò nella piccola stanza principale. Fu momentaneamente stupefatta dalla gran quantità di bambole. Dovevano essercene a centinaia. Erano proprio ovunque, sugli scaffali, sui tavoli e persino sul pavimento. Ci volle un momento perché lei vedesse un uomo a terra in mezzo ad esse,  appoggiato ad una parete divisoria.

“Non spari” Cosgrove implorò, con le mani sollevate e tremanti. “Non sono stato io. Non mi spari".

Riley balzò su di lui e lo strattonò per i piedi. Lo fece girare e gli fece mettere una mano dietro la schiena. Mise la pistola nella fondina e estrasse le manette.

“Mi dia l'altra mano” lei disse.

Tremando dalla testa ai piedi, l'uomo obbedì senza esitazione. Riley lo ammanettò rapidamente, e lo fece sedere maldestramente su una sedia.

Era un uomo dall'aspetto debole, sulla sessantina con sottili capelli grigi. Appariva patetico, seduto lì con le lacrime che gli rigavano il volto. Ma Riley non mostrò alcuna pietà per lui. Lo spettacolo di tutte quelle bambole fu sufficiente a dirle che era un uomo malato e contorto.

Prima che potesse fargli delle domande, lei sentì la voce di Bill.

“Gesù, Riley. Hai fatto saltare la porta?”

Riley si voltò e vide Bill entrare nella roulotte.

“Lui non mi avrebbe aperto” Riley disse.

Bill brontolò sottovoce. “Pensavo di averti detto di aspettare fuori” lui disse.

“E io pensavo che avresti fatto meglio a credere che lo avrei fatto” Riley disse. “In ogni caso, sono contenta che tu sia qui. Questo sembra il nostro uomo”.

L'uomo ora si stava lamentando.

“Non sono stato io! Non ho fatto niente! Ho scontato la mia pena! Ho messo tutta la roba dietro di me!”

Riley chiese a Bill: “Che cos'hai scoperto su di lui?”

“E' stato dentro per tentata molestia a minori. Più niente fino ad ora".

Questo aveva molto senso per Riley. Quel piccolo uomo mostruoso si era indubbiamente spostato su una preda più grossa, mostrando una maggior crudeltà.

“Questo è stato anni fa” l'uomo disse. “Sono stato buono da allora. Prendo le mie medicine. Non  ho più quei desideri. Fa tutto parte del passato. Avete commesso un errore.”

Bill chiese in tono cinico: “Quindi, sei innocente allora?”

“E' così. Qualunque cosa pensiate io abbia fatto, non sono stato io".

“E allora che cosa ci fai con tutte le bambole?” Riley chiese.

Attraverso le lacrime, Cosgrove sorrise convulsamente.

“Non sono belle?” lui disse. “Le ho collezionate a poco a poco. Sono stato fortunato qualche settimana fa, perché ho trovato un grande negozio a Shellysford. Così tante bambole e tanti vestiti diversi. Ho speso tutta la mia Pensione Sociale in quel modo e ho comprato tutto quello che mi potevo permettere".

Bill scosse la testa. “Di certo non voglio sapere che cosa ci fai con loro” lui disse.

“Non è come pensa” Cosgrove disse. “Loro sono come la mia famiglia. Le mie sole amiche. Sono tutto quello che ho. Resto solo a casa con loro. Non che possa permettermi di andare da qualche parte. Mi trattano bene. Non mi giudicano".

Riley si preoccupò di nuovo. Cosgrove stava nascondendo una vittima in quel momento?

“Voglio controllare i tuoi capanni là fuori” lei gli disse.

“Vada pure” lui disse. “Lì non c'è niente. Non ho niente da nascondere. Le chiavi sono proprio laggiù".

L'uomo indicò con un cenno del capo un mazzo di chiavi, appeso vicino alla porta sfondata. Riley le raggiunse e le afferrò.

“Vado a dare un'occhiata” lei disse.

“Non senza di me, non lo farai” Bill disse.

Insieme, Bill e Riley usarono le manette di Bill per agganciare Cosgrove alla porta del suo frigorifero. Poi, uscirono e camminarono intorno alla roulotte. Aprirono il lucchetto del primo capanno e ci guardarono all'interno. Non conteneva niente, tranne che un rastrello da giardino.

Bill entrò nel capanno e si guardò intorno.

“Niente” lui disse. “Nemmeno uno schizzo di sangue".

Passarono poi al capanno successivo, lo aprirono e guardarono al suo interno. Oltre ad un tagliaerba manuale, il capanno era completamente vuoto.

“Deve averle tenute da qualche altra parte” Bill disse.

Bill e Riley tornarono alla roulotte. Cosgrove era ancora seduto lì, che guardava la sua famiglia di bambole. Riley lo trovava inquietante, era un uomo senza una vita propria e certamente senza futuro.

Ma lui la colpì come un enigma. Decise di fargli un paio di domande.

“Gerald, dov'eri la mattina di mercoledì scorso?”

“Cosa?” Cosgrove rispose. “Che cosa intende? Non lo so. Non ricordo mercoledì. Qui, immagino. Dove altro sarei potuto essere?”

Riley lo guardò con crescente curiosità.

“Gerald” lei disse, “che giorno è oggi?”

Gli occhi di Cosgrove si guardò intorno in disperata confusione.

“Io, io non lo so” l'uomo balbettò.

Riley si chiese come potesse essere vero? Non sapeva che giorno fosse? Lui sembrava perfettamente sincero. Certamente non appariva amareggiato o arrabbiato. Non riconobbe alcuna aggressività in lui. Solo paura e disperazione.

Poi, rammentò inflessibilmente a se stessa di non lasciargli prendere il sopravvento. Un vero psicopatico a volte riusciva persino a mentire totalmente ad un perfetto veterano.

Bill staccò Cosgrove dal frigorifero. L'uomo era ancora ammanettato dietro la schiena.

Bill tuonò: “Gerald Cosgrove, sei in arresto per gli omicidi di tre donne …”

Bill e Riley lo scortarono duramente fuori dalla roulotte, mentre Bill continuava ad elencare i nomi delle vittime e a citare i diritti di Cosgrove. Poi, lo portarono all'auto con cui era arrivato Bill, un veicolo ben equipaggiato del Bureau, dotato di una sorta di gabbia con sbarre, tra i sedili anteriori e posteriori.  Riley e Bill lo spinsero sul sedile posteriore. Gli misero la cintura e lo ammanettarono saldamente. Dopodiché, restarono entrambi immobili per un momento, senza dire una parola.

“Dannazione Riley, ci sei riuscita” Bill borbottò con ammirazione. “Hai preso il bastardo, persino senza distintivo. Il Bureau ti riaccoglierà a braccia aperte”.

“Vuoi che venga con te?” Riley chiese.

Bill alzò le spalle. “No, ce l'ho sotto controllo. Lo terrò in custodia. Tu riporta indietro la tua auto".

Riley decise di non litigare, chiedendosi se Bill nutrisse ancora risentimento nei suoi confronti, per l'altra sera.

Mentre osservava Bill allontanarsi, Riley volle congratularsi con se stessa per il successo, e la sua redenzione. Ma ogni senso di soddisfazione la abbandonò. Qualcosa continuava a tormentarla. Continuava a sentire le parole del padre.

Continua semplicemente a seguire l'istinto.

A poco a poco, mentre guidava, Riley cominciò a realizzare qualcosa.

L'istinto le stava dicendo che avevano preso l'uomo sbagliato.

Capitolo 33

Il mattino seguente, Riley accompagnò April a scuola, e non appena la ragazza scese dall'auto, quella sensazione la stava ancora attanagliando. L'aveva accompagnata per tutta la notte, senza lasciarla dormire.

E' lui l'uomo? Continuò a chiedersi.

Prima che April uscisse dall'auto, si voltò verso di lei con un'espressione di vera preoccupazione.

“Mamma, che cosa c'è che non va?” lei chiese.

Riley fu leggermente stupita dalla domanda. Lei e sua figlia sembravano essere entrate in una nuova fase del loro rapporto, che era molto meglio di quanto fosse stato prima. Ma Riley non era abituata al fatto che April si preoccupasse dei suoi sentimenti. Era bello, ma strano.

“E' così evidente, vero?” Riley disse.

“Certo che lo è” April disse. Prese gentilmente la mano della madre. “Coraggio, dimmi".

Riley rimase in silenzio a riflettere per un momento. Quella sua sensazione non era semplice da esprimere a parole.

“Io…” lei esordì, poi si bloccò, incerta su che cosa dire. “Non sono certa di aver arrestato la persona giusta".

Gli occhi di April si spalancarono.

“Non … sono certa di che cosa fare” aggiunse Riley.

April fece un lungo respiro.

“Non dubitare di te stessa, mamma” April rispose. “Hai fatto tanto. E rimpiangi sempre di averlo fatto. Non è quello che mi dici sempre anche tu?”

April sorrise, e Riley ricambiò.

“Farò tardi se non vado in classe” April disse. “Possiamo parlarne più tardi".

April baciò Riley sulla guancia, uscì dall'auto e si precipitò verso la scuola.

Riley restò seduta lì, a pensare. Non se ne andò immediatamente. Invece, chiamò Bill.

“Allora?” gli chiese, quando rispose al telefono.

Sentì Bill fare un lungo sospiro.

“Cosgrove è uno strano personaggio” lui disse. “In questo momento, è un vero disastro, esausto e depresso, e piange molto. Penso che presto crollerà. Ma …”

Bill s'interruppe. Riley sentiva che anche il partner era attanagliato dal dubbio.

“Ma cosa?” Riley chiese.

“Non lo so, Riley. Mi sembra disorientato, e non sono nemmeno certo che sappia quello che sta succedendo. Talvolta, non sembra capire che è stato arrestato. Forse, tutte quelle medicine che sta prendendo lo stanno distruggendo. O forse, è solo semplice vecchia psicosi".

Gli stessi dubbi che la tormentavano …

“Che cosa ti ha detto?” gli chiese.

“Soprattutto, continua a chiedere delle sue bambole” Bill disse. “E' preoccupato per loro, come se fossero figli o animali domestici che non dovrebbe lasciare a casa da soli. Continua a ripetere che non possono stare senza di lui. E' completamente innocuo, neanche un pizzico aggressivo. Ma non ci sta dando alcuna informazione. Non sta accennando alle donne, o se ne tiene una prigioniera al momento".

 

Riley riascoltò le parole di Bill nella sua mente, per un momento.

“Allora che cosa ne pensi?” lei chiese infine. “E' lui?”

Riley riconobbe una frustrazione crescente nella voce di Bill.

“Come potrebbe non esserlo? Voglio dire, tutto porta a lui e a nessun altro. Le bambole, il registro dei criminali, tutto. Era nel negozio alla stessa ora in cui c'era lei. Che cos'altro si potrebbe chiedere? Come potremmo esserci sbagliati?”

Riley non disse niente. Non poteva contraddirlo. Ma poteva dire che Bill stava lottando con il suo stesso istinto.

Poi lei chiese: “Qualcuno ha indagato sui passati impiegati di Madeline?”

“Sì” Bill rispose. “Ma non ha portato da nessuna parte. Madeline assume sempre delle liceali a lavorare al registro. Lo fa sin da quando è entrata in affari".

Riley borbottò scoraggiato. Quando avrebbero avuto una pausa da quel caso?

“Comunque” Bill disse, “uno psicologo del Bureau interrogherà Cosgrove oggi. Forse, potrà ottenere dei risultati, darci indicazioni.

“D'accordo” Riley disse. “Tienimi aggiornata".

La donna mise fine alla telefonata. Il motore della sua auto era acceso, ma non si era ancora mossa dalla scuola. Dove doveva andare? Se Newbrough stava davvero tentando di farla reintegrare, non l'aveva ancora fatto. Infatti, non aveva ancora un distintivo, o un lavoro.

Dovrei andare tornare a casa, lei pensò.

Ma non appena cominciò a guidare, le parole del padre tornarono a scorrerle nella mente.

Continua semplicemente a seguire l'istinto.

Proprio ora, l'istinto le stava dicendo chiaro e tondo che aveva bisogno di tornare a Shellysford. Non sapeva esattamente il perché, ma doveva farlo e basta.

*

Il campanello sopra la porta del negozio d'abbigliamento suonò, quando Riley entrò. Non vide alcun cliente. Madeline stava lavorando, e sollevò lo sguardo dal bancone con un'espressione accigliata. Riley vide che la negoziante non era affatto felice di rivederla.

“Madeline, mi dispiace per ieri” Riley disse, dirigendosi verso il banco. “Sono stata così goffa e me ne scuso. Spero di non aver rotto niente alla fine”.

Madeline incrociò le braccia e guardò Riley.

“Che cosa vuole da me stavolta?” lei chiese.

“Sto ancora lavorando al caso” Riley disse. “Mi serve il suo aiuto".

Madeline non rispose per alcuni secondi.

“Ancora non so chi è lei, e nemmeno se è dell'FBI” lei disse.

“Lo so, e non la biasimo per non essersi fidata di me” Riley insisté. “Ma avevo lo scontrino di Reba Frye, ricorda? Soltanto il padre poteva avermelo dato. Mi ha davvero mandata lui qui. Lo sa che questo è vero".

Madeline scosse tristemente la testa.

“Ecco, immagino che questo significhi qualcosa. Che cosa vuole?”

“Mi faccia soltanto dare un'altra occhiata alla collezione di bambole” Riley disse. “Prometto di non fare un pasticcio stavolta".

“D'accordo” Madeline disse. “Ma non la lascerò da sola".

“E' giusto” Riley rispose.

Madeline tornò sul retro del negozio e aprì le porte pieghevoli. Quando Riley entrò nella stanza, in mezzo alle bambole e agli accessori, Madeline restò sulla porta a sorvegliarla come un  falco. Riley comprendeva i dubbi della donna, ma quello sguardo indagatore minava la sua concentrazione, specialmente dato che non sapeva davvero che cosa cercare.

Proprio allora, il campanello del negozio suonò. Tre clienti piuttosto chiassosi entrarono nel negozio.

“Oh, santo cielo” Madeline esclamò. Si precipitò nel negozio d'abbigliamento, per servire quei clienti. Riley ebbe le bambole tutte per sé, almeno per il momento.

Le studiò attentamente. Alcune erano in piedi, altre invece, erano sedute. Tutte le bambole indossavano vestiti e abiti da sera. Ma sebbene fossero vestite, le bambole sedute erano esattamente nella stessa posa in cui erano state ritrovate le vittime nude degli omicidi, con le gambe spalancate rigidamente. L'assassino aveva ovviamente tratto ispirazione da quel tipo di bambola.

Ma non era sufficiente affinché Riley andasse avanti. Doveva esserci qualche altro indizio nascosto lì.

Gli occhi di Riley furono catturati su dei libri illustrati su uno scaffale più in basso. Si chinò e cominciò a prenderli dallo scaffale, ad uno ad uno. I libri contenevano delle bellissime illustrazioni di storie avventurose, con bambine come protagoniste che assomigliavano esattamente alle bambole. Le bambole e le bambine sulle copertine indossavano persino gli stessi vestiti. Riley si rese conto che i libri e le bambole erano originariamente stati realizzati per essere venduti assieme, proprio come un set.

A Riley si gelò il sangue, vedendo una copertina specifica. La bambina aveva lunghi capelli biondi e grandi occhi blu. Il suo abito da ballo rosa e bianco aveva delle rose appuntate sulla gonna. Aveva un nastro rosa nei capelli. Il libro era intitolato Un Gran Ballo per una Bellezza del Sud.

A Riley venne la pelle d'oca, mentre guardava più attentamente il volto della bambina. Aveva gli occhi di un blu brillante, davvero spalancati, con enormi ciglia scure. Le labbra, curvate in un sorriso esagerato, erano sottili e di un rosa brillante. Non c'era alcun dubbio. Riley seppe per certo che l'assassino si era ispirato proprio a quell'immagine.

In quel momento, il campanello suonò di nuovo, quando i tre clienti lasciarono il negozio. Madeline tornò a passo svelto verso la stanza sul retro, visibilmente sollevata che Riley non avesse causato danni. Riley le mostrò il libro.

“Madeline, ha la bambola abbinata a questo libro?” lei chiese.

Madeline guardò la copertina, poi scrutò gli scaffali.

“Ecco, dovevo averne diverse una volta o l'altra” la donna disse. “Non ne ho più ora.” Poi, rifletté per un istante, e aggiunse: “Ora che ci penso, ho venduto l'ultima molto tempo fa”.

Riley riuscì a malapena ad impedire alla sua voce di tremare.

“Madeline, so che non lo vuole. Ma deve aiutarmi a cercare i nomi delle persone che potrebbero aver comprato questa bambola. Non posso doverle dirle quanto sia importante".

Madeline ora sembrò simpatizzare con l'agitazione di Riley.

“Mi dispiace, ma non posso” lei disse. “Non che non voglia, ma non posso. Sono passati dieci o quindici anni ormai. Persino il mio libro maestro non arriva così indietro”.

L'umore di Riley crollò. Un altro vicolo cielo. Lei lo aveva preso, dirigendosi quanto più lontano possibile. Andare lì era stata una perdita di tempo.

Riley si voltò per andarsene. Attraversò il negozio e aprì la porta, e non appena l'aria fresca la investì, qualcosa la colpì. L'odore. L'aria fresca fuori le fece realizzare di quanto l'aria lì fosse stantia. Non stantia, ma… pungente. Sembrava fuori posto in un negozio frivolo e femminile come quello. Che cos'era?

Poi, Riley comprese. Ammoniaca. Ma che cosa significava?

Segui il tuo istinto, Riley.

A metà strada fuori dalla porta, lei si fermò e si voltò, guardando Madeline.

“Ha pulito i pavimenti oggi?” le chiese.

Madeline scosse la testa, perplessa.

“Chiamo un'agenzia di impiego temporaneo” rispose. “Inviano un provvisorio".

Il cuore di Riley batteva più forte.

“Un provvisorio?” chiese, con una voce a malapena udibile.

Madeline annuì.

“Viene durante le ore del mattino. Non ogni giorno. Si chiama Dirk".

Dirk. Il cuore di Riley balzò, e le venne la pelle d'oca.

“Dirk come” le chiese.

Madeline sollevò le spalle.

“Temo di non conoscerne il cognome” la negoziante rispose. “Non gli faccio io gli assegni. L'agenzia temporanea potrebbe, ma è una squadra piuttosto malmessa, davvero. Dirk non è molto affidabile, a dire il vero”.

Riley fece dei lunghi e brevi respiri per allentare i nervi.

“E' stato qui stamattina?” lei chiese.

Madeline annuì silenziosamente.

Riley le si avvicinò, e la guardò molto intensamente.

“Madeline” lei la incoraggiò, “qualunque cosa faccia, non lasci che quell'uomo torni nel suo negozio. Mai più”.

Madeline la guardò scioccata.

“Intende dire che lui è—?”

“E' pericoloso. Estremamente pericoloso. E devo trovarlo subito. Ha il suo numero di telefono? Ha un'idea di dove vive?”

“No, dovrà chiederlo all'agenzia temporanea” Madeline disse in un tono spaventato. “Hanno loro tutte le informazioni. Venga, le do il loro biglietto da visita”.

Madeline frugò intorno al banco, e trovò un biglietto della Miller Staffing Agency. Lo diede a Riley.

“Grazie” Riley disse con un sussulto. “Grazie mille".

Senza aggiungere un'altra parola, Riley si precipitò fuori dal negozio e entrò in auto, e provò a raggiungere l'ufficio temporaneo. Il telefono continuava a squillare. Non c'era nessun messaggio vocale.

Si appuntò mentalmente l'indirizzo e cominciò a guidare.

*

La Miller Staffing Agency distava meno di un paio di chilometri da Shellysford. Situata in un edificio in mattoni con una vetrina, sembrava esistere da molti anni.

Quando Riley entrò dentro, vide che si trattava di un'operazione decisamente a basso contenuto tecnologico, proprio non al passo con i tempi. C'era un solo computer obsoleto in vista. Il posto era davvero affollato, con diversi disoccupati che stavano compilando delle schede di candidatura, ad un lungo tavolo.

Altre tre persone, clienti apparentemente, erano radunati intorno al banco. Si stavano lamentando ad alta voce, tutti insieme, relativamente a problemi che stavano avendo con gli impiegati dell'agenzia.

Due uomini con i capelli lunghi lavoravano al banco reception, respingendo quei soggetti e provando a rispondere alle telefonate. Sembravano dei veri ventenni scansafatiche, e non riuscivano a gestire bene il tutto.

Riley riuscì a farsi largo fino al banco, dove si rivolse ad uno dei giovani, nel bel mezzo delle telefonate. Il nome sul cartellino diceva “Melvin".

“Sono l'Agente Riley Paige, FBI” lei annunciò, sperando che nella confusione, Melvn non le avrebbe chiesto di mostrargli il distintivo. “Sono qui per indagare su un omicidio. Sei il manager?”

Melvin sollevò le spalle. “Direi”.

Dalla sua espressione vuota, Riley immaginò che era strafatto o non molto intelligente, o  forse entrambi. Almeno, non sembrava preoccuparsi di vedere una carta d'identità.

“Sto cercando l'uomo che avete impiegato al Madeline's” lei disse. “Un provvisorio. Si chiama Dirk. Madeline apparentemente non conosce il suo cognome”.

Melvin borbottò a se stesso: “Dirk, Dirk, Dirk … Oh, sì, me lo ricordo.  Lo chiamiamo ‘Dirk il Coglione’". Chiamando l'altro giovane, gli chiese: “Randy scusa, che è successo a Dirk il Coglione?”

“L'abbiamo licenziato” Randy rispose. “Continuava a presentarsi tardi a lavoro, quando non si presentava affatto. Una vera spina nel fianco”.

“Questo non può essere corretto” Riley disse. “Madeline dice che sta ancora lavorando per lei. E' stato lì proprio stamattina".

Melvin ora sembrava perplesso.

“Sono certo che l'abbiamo licenziato” lui disse. Si sedette al vecchio computer, e cominciò a fare una sorta di ricerca. “Sì, l'abbiamo licenziato senz'altro, circa tre settimane fa".

Melvin dette un'occhiata allo schermo, più confuso di prima.

“Accidenti, questo è strano” lui esclamò. “Madeline continua a spedirci assegni, sebbene lui non lavori più da lei. Qualcuno dovrebbe chiederle di smettere di farlo. Sta gettando via un sacco di soldi".

La situazione si stava facendo sempre più chiara per Riley. Nonostante il licenziamento, e il fatto che non fosse più pagato, Dirk continuava ancora a lavorare da Madeline. Aveva le sue buone ragioni per farlo, ragioni oscure.

“Qual è il suo cognome?” Riley domandò.

Gli occhi di Melvin vagarono per lo schermo del computer. Apparentemente, stava cercando  i dati dell'ex impiegato Dirk.

“E' Monroe” Melvin disse. “Vuole sapere altro?”

Riley fu sollevata che Melvin non fosse stato troppo scrupoloso in merito alla condivisione di informazioni che avrebbero dovuto essere confidenziali.

“Mi occorrono il suo indirizzo e il numero di telefono” Riley disse.

“Non ci ha dato un numero di telefono” Melvin disse, con lo sguardo ancora fisso sullo schermo. “Comunque, ho un indirizzo. 1520 di Lynn Street".

In quel momento, Randy sembrò trovare interesse nella conversazione. Stava guardando Melvin  oltre la spalla, sullo schermo del computer.

 

“Aspetti” Randy disse. “Quell'indirizzo è completamente fasullo. La numerazione di Lynn Street non va così in alto”.

Riley non ne fu sorpresa. Dirk Monroe ovviamente non voleva che qualcuno venisse a sapere dove vivesse.

“Puoi dirmi il suo numero di Previdenza Sociale?” lei chiese.

“Ce l'ho” Melvin rispose. Trascrisse il numero su un pezzo di carta, e lo diede a Riley.

“Grazie” Riley disse. Prese il pezzo di carta, e uscì. Non appena mise piede fuori, telefonò a Bill.

“Ehi, Riley” Bill disse, quando rispose. “Vorrei darti delle buone notizie, ma il nostro psicologo ha interrogato Cosgrove, ed è convinto che non sia capace di uccidere nessuno, figurarsi quattro donne. Ha detto—”

“Bill” lei l'interruppe. “Ho un nome, Dirk Monroe. E' il nostro uomo, ne sono certa. Non so dove abita. Puoi controllare la sua Previdenza Sociale? Ora?”

Bill prese il numero e mise Riley in attesa. Lei camminò avanti e indietro lungo il marciapiede, in un'attesa estenuante. Finalmente, Bill tornò al telefono.

“Ho l'indirizzo. E' una fattoria a circa 50km ad ovest di Shellysford. E' una strada rurale".

Bill le lesse l'indirizzo.

“Ci sto andando” Riley disse.

Bill bofonchiò.

“Riley, di che cosa stai parlando? Lascia che mandi dei rinforzi. Quel tipo è pericoloso".

Riley sentì tutto il suo corpo fremere con una scarica d'adrenalina.

“Non discutere con me, Bill” lei disse. “Faresti meglio a non farlo, d'ora in poi".

Riley terminò la telefonata, senza neanche salutare. Era già in viaggio.