Delitto (e baklava)

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CAPITOLO QUATTRO

London camminava frettolosamente per l’aeroporto JFK, quando le squillò il cellulare.

Oh, ti prego, fa’ che sia Ian, pensò, prendendolo dalla borsa.

Aveva provato a mettersi in contatto con lui immediatamente dopo la fine della conversazione con Jeremy Latham, quella mattina. Ma sapeva che, fin dalle prime ore del giorno,  era andato a giocare a golf con un cliente e non avrebbe mai risposto. Sebbene non fosse entusiasta all’idea di parlargli, non voleva lasciare il paese senza aver risolto la questione con lui.

Rispose ed era proprio Ian.

“Ian, ciao” esordì, con il fiato corto.

“Ciao, London.”

“Um … stavo pensando alla nostra ‘fusione’ e …”

“E?”

London stava riprendendo i suoi bagagli a mano, dopo averli passati nel metal detector.

“Come ho detto ieri sera, sono toccata” riprese. “Ma …”

Ci fu silenzio tra loro.

“Ho ricevuto un’offerta stamattina” disse. “Il CEO della Epoch World Cruise Lines mi ha chiamata e mi ha offerto … beh, un lavoro che non ho potuto rifiutare.”

Sentì un grugnito di impazienza nella voce di Ian.

“Altri viaggi?” le chiese severamente.

La domanda la colse di sorpresa. Naturalmente, la risposta era sì, ma era anche molto di più di questo. Questo lavoro era importante per lei, in un modo che non sapeva come iniziare a spiegargli.

“È diverso da quello che ho fatto finora” rispose. “Si tratta di una crociera fluviale sul Danubio. Il viaggio inizia domani da Budapest. E non sarò più una semplice hostess. Sarò la direttrice dell’intero tour.”

Ci fu di nuovo silenzio.

Non è colpito, pensò.

Nello stesso istante, si chiese: perché dovrebbe esserlo? Quelle qualifiche, hostess e direttrice, non significavano alcunché per lui.

“Questo dove ci porta?” chiese Ian.

London ebbe un sussulto, mentre attraversava frettolosamente l’atrio verso il suo gate di partenza.

“Ian, io … io ho paura di non essere ancora pronta per la tua … “fusione.” Non sto dicendo che sarà così per sempre. Forse tra altri due anni di …”

“L’offerta è scaduta” la interruppe Ian.

Huh? London quasi disse ad alta voce.

“Ti ho fatto la mia migliore offerta” Ian aggiunse. “Ora l’ho ritirata. Temo che la questione non lasci più spazio ad alcuna negoziazione.”

London era perplessa.

Non è negoziabile?

Certamente lei non aveva fatto quella supposizione …

Oppure l’ho fatto?

Forse era stata troppo vaga. Forse lui aveva pensato che lei si fosse solo bloccata.

Oppure volesse trattare.

Le parole di Ian, tutte nel gergo economico, apparivano da un lato quasi spaventose ma, in qualche modo, molto educate al contempo.

“Spero che tu capisca, London. È solo che sono un uomo molto impegnato e non resto con le mani in mano. Il treno ha lasciato la stazione, per così dire, e tu l’hai perso. In ogni caso, ti auguro il meglio, e non serberò alcun rancore nei tuoi riguardi.”

“Io … io sono contenta di sentirlo” London rispose.

“Spero che non ti pentirai di questa decisione” Ian aggiunse. “Perdonami se lo dico, ma non mi pare una scelta molto saggia. Ma, del resto, è una tua scelta, non mia. E ti auguro di fare dei bei viaggi, sebbene l’Ungheria mi sembri un posto molto deprimente.”

“Grazie per … la comprensione” London rispose.

Si salutarono e misero fine alla chiamata.

London improvvisamente respirò meglio, come se un grande peso le fosse stato appena sollevato dal petto. Si sentì inaspettatamente sollevata.

Sebbene avesse detto a Ian che la sua scelta non sarebbe stata permanente, ora si rendeva conto che non poteva vivere la vita di sua sorella, men che meno con qualcuno come. … le ci volle un momento per trovare la parola giusta da usare.

Qualcuno così manageriale come Ian.

Era difficile immaginare che, proprio quella mattina, era stata in dubbio se accettare la “fusione” di Ian.

In realtà, forse, se Jeremy Lapham l’avesse davvero licenziata anziché offrirle un lavoro tanto allettante, lei e Tia si sarebbero trovate a progettare il suo matrimonio in quello stesso momento.

Me la sono cavata per un pelo, pensò, mentre mostrava la sua carta d’imbarco all’assistente di volo al gate; poi, si unì alla fila di passeggeri, per imbarcarsi sull’aereo.

*

London spalancò gli occhi, al suono della voce del pilota.

“Siamo appena arrivati all’Aeroporto Internazionale di Budapest Ferenc Liszt, dal nome del grande pianista, direttore d’orchestra, organista e compositore, Franz Liszt …”

Sorrise, mentre lo stesso annuncio veniva ripetuto in francese, tedesco, italiano e naturalmente, ungherese. Fu meraviglioso svegliarsi al suono di tutte quelle lingue.

Sono davvero in Europa, di nuovo, si disse.

Erano ormai le otto del mattino passate, lì a Budapest, sebbene London sapesse che il suo corpo avrebbe continuato a provare a convincerla di essere ancora ore indietro. Ma da viaggiatrice esperta, aveva dei trucchi per diminuire il jet lag del viaggio transatlantico. Da un lato, aveva dormito quanto più possibile nel corso del volo della durata di otto ore mezza. Al momento, si sentiva piuttosto rinvigorita.

Si alzò dal sedile ed aprì la cappelliera, per tirare fuori i suoi bagagli; poi, s’immise nella fila di passeggeri, per scendere dall’aereo. Si sentiva euforica persino per lo schiacciamento dei corpi, mentre proseguiva verso il controllo immigrazione e presentava il form che aveva compilato durante il volo.

“Buona permanenza a Budapest” il sorridente ufficiale addetto all’immigrazione le disse con un accento inglese.

London fece appello al suo coraggio per provare una parola in ungherese.

“Köszönöm” rispose, sorridendogli a sua volta.

Il cenno divertito dell’uomo le suggeriva che poteva non avere pronunciato perfettamente la parola “grazie”, ma che apprezzava lo sforzo.

Poi, si recò a ritirare i bagagli, che arrivarono rapidamente sul nastro trasportatore. Visto che non aveva nulla da dichiarare, non fu necessario fermarsi alla dogana. Un facchino le sistemò i bagagli su un carrello, e lei lo seguì fino al terminal principale.

La vista dell’ampia e moderna “Sky Court” le strappò un’esclamazione di sorpresa: si estendeva tutta intorno a lei, con un soffitto altissimo e una galleria sopraelevata, stracolma di negozietti che vendevano riviste e souvenir.

London si sentì improvvisamente più libera di quanto lo fosse stata da lungo tempo. Si divertì particolarmente a osservare la massa di persone che si riversava in ogni direzione; notò che alcune parlavano lingue delle quali non riuscì a cogliere una sola parola. Era caotico, certamente, ma si trattava del tipo di caos che le si addiceva, certo non di quello che c’era a casa della sorella.

Seguì il facchino all’esterno, dove fermò rapidamente un taxi e caricò le valigie nel portabagagli.

Il tassista la portò nel cuore della parte della città nota come Pest, dove luccicanti edifici in vetro cedevano gradualmente il posto ad altri più vecchi in mattoni, e la città rivelava sempre di più il suo carattere antico.

Infine, London sussultò di meraviglia, mentre la piccola auto gialla svoltava in Soroksári Road. Una melodia familiare riecheggiava nella sua mente: “Sul Bel Danubio Blu.”

Il magnifico fiume era appena apparso davanti a loro, e la scena mozzafiato dimostrava che il famoso valzer aveva il titolo appropriato. Il Danubio era una seducente sfumatura di blu, baciato dalla luce del mattino, e fiancheggiato su ciascun lato da una delle più belle città al mondo.

Budapest si estendeva intorno a lei come una sorta di sogno per metà dimenticato. I grandi monumenti di questa antica città risplendevano nei suoi bellissimi ricordi di ampi edifici in mattoni, cupole e torri, parchi, negozi e artisti di strada.

London sorrise rammentando ciò che Ian le aveva detto prima della partenza.

“L’Ungheria mi sembra un posto molto deprimente.”

Si chiese come diamine si fosse fatto tale idea. Non c’era nulla di deprimente in quella splendida città.

Abbassò il finestrino del taxi e respirò l’aria fresca e pulita. Prometteva di essere una giornata fresca e piacevole, e Budapest risplendeva tutta intorno a lei, davvero all’altezza del suo soprannome, la “Perla del Danubio.”

Stava percorrendo il lungofiume, intenta ad osservare, fuori dal finestrino del taxi, lo splendido Danubio con i suoi bei ponti. Ogni sorta di barca era ormeggiata lungo la riva: si passava da yacht privati a lunghi battelli da tour fluviali, alcuni dei quali potevano ospitare quasi duecento persone. Lungo il fiume, si affacciava l’altra parte della città, nota come Buda, collinare e boscosa, con vecchi edifici dai tetti rossi.

Questo sembrava un buon momento per esercitarsi un po’ con il suo piccolo vocabolario di ungherese.

“Non vengo a Budapest da un po’ di tempo” disse all’autista in ungherese.

“A quando risale la sua ultima visita?” l’autista chiese, sembrando apprezzare che una straniera si stesse prendendo la briga di comunicare con lui nella sua lingua.

“È difficile da dire” London rispose, come se gli anni dietro di sé sembrassero guardarla a bocca spalancata. “Non dal secolo scorso, direi.”

L’autista fece una risatina.

“Questo restringe il campo a circa cento anni” rispose.

Anche London sorrise.

“Beh, allora, immagino che sia stato durante gli anni ’90” concluse.

“Non è tanto tempo fa come sembra. E Budapest non cambia molto, almeno non nel cuore.”

L’autista indicò un grande edificio moderno vicino alla sponda del fiume. Aveva enormi finestre, e sulla parte anteriore c’erano colonne dritte e semplici e forme angolari sul tetto.

 

“Non può aver visto questo edificio prima” le disse. “È il Müpa Budapest, un centro culturale che ha aperto nel 2005.”

Mentre passavano davanti al Müpa, l’uomo indicò un altro grande edificio, dalla forma particolarmente eccentrica e con un’entrata tondeggiante. “E quello è l’Hungarian National Theatre. Ha aperto nel 2002. Ha un aspetto strano, vero? Almeno, molte persone che vivono qui lo pensano.”

Le date fecero sentire London leggermente nauseata.

È passato davvero così tanto tempo dall’ultima volta che sono stata qui? pensò.

Si sentì improvvisamente più vecchia di quanto in genere pensasse di essere. Ma, almeno, era ancora in grado di porre delle domande in ungherese, e, ancora meglio, riusciva a capire la maggioranza delle risposte.

E vide che la maggior parte della città non era affatto cambiata. Per lo più, era ancora troppo tradizionale e monumentale per cedere al tempo. Dall’altra parte del fiume, vide la Cittadella, un’enorme fortezza di pietra che era stata costruita sulla cima di quella collina nel diciannovesimo secolo. Più distante, lungo la riva opposta, c’era il Castello di Buda, a più di due chilometri di distanza, un edificio mozzafiato con una magnifica cupola che sorgeva al centro. Sembrava persino più grande, mentre proseguivano lungo la sponda.

Vedere il castello fu come un pugno nello stomaco; ricordava di averlo visitato con i suoi genitori quando era stata ancora una bambina. L’avevano portata lì per diversi giorni, ad esplorare le infinite meraviglie dell’edificio: le sue gallerie, i gioielli della corona, le sculture, le fontane e le stanze storiche.

Sembra proprio come se fosse ieri, pensò.

Ma erano trascorsi molti anni, e, per un momento, London sentì bruscamente quanto sua madre le mancasse. Ma rifiutò di lasciarsi scivolare in uno stato di malinconia. C’erano semplicemente troppe meraviglie da vedere.

Appena di là dal castello, il maestoso Szécheny Chain Bridge si estendeva sopra il Danubio. London sapeva che il ponte storico era stato costruito nel 1849, per collegare tre città, Buda, Pest e Obuda, riunendole nella singola città di Budapest.

L’autista rallentò, mentre si avvicinavano al ponte. London si sentì eccitata, quando scorse il nome Nachtmusik sullo scafo di una nave ormeggiata lì.

Eccola lì! Si disse.

La barca era slanciata ed aveva dimensioni inferiori rispetto alle altre barche da crociera fluviale ormeggiate lungo il molo, ma era costruita nello stesso stile basso e allungato. Come le altre, misurava diciotto metri, e una lunga passerella a baldacchino la collegava al molo in pietra. L’autista parcheggiò il taxi, tirò fuori i bagagli di London dal portabagagli, e li appoggiò alla base della passerella. London lo pagò e lo ringraziò, poi restò ferma accanto alle valigie, fissando la barca, mentre il taxi si allontanava.

Una piccola e accogliente imbarcazione era una vista sorprendente dopo anni passati a lavorare su enormi navi da crociera oceanica, che potevano ospitare letteralmente migliaia di passeggeri. Per quanto amasse il proprio lavoro, si era stufata della profonda vastità di quelle enormi navi.

Provò immediatamente affetto per questa imbarcazione slanciata e dall’aspetto amichevole. Sarebbe stata la sua nuova casa per il prossimo futuro, e questo le piaceva.

Non appena London si avvicinò alla passerella, sentì una voce chiamarla da sopra l’imbarcazione.

“London Rose! Non ci posso credere!”

London rise di cuore, riconoscendo l’accento del Bronx che l’aveva raggiunta dall’altra parte dell’acqua. L’alta donna bionda, che correva sulla passerella verso di lei, era la sua vecchia amica Elsie Sloan.

“Elsie!” London gridò. “Che cosa ci fai qui?”

“Potrei farti la stessa domanda! L’ultima volta che ho sentito parlare di te, ho saputo che eri sulla crociera ai Caraibi.”

“E io, di te, che stavi navigando intorno all’Est asiatico.”

“Beh, i tempi cambiano.”

“Lo fanno” London rispose, colpita da quanto vere sembrassero quelle parole in quel momento. Mentre si abbracciavano e salutavano, London si rese conto che Elsie non era affatto cambiata da quando avevano lavorato un anno e mezzo insieme su una nave, lungo la costa dell’Australia. Erano state colleghe inseparabili per diversi anni, finché erano state geograficamente separate dai compiti loro assegnati.

La carnagione rossastra di Elsie quasi ancora rivaleggiava con la grande luminosità dei suoi capelli, ed entrambe erano in netto contrasto con la familiare uniforme della Epoch World Cruise Lines, caratterizzata da pantaloni blu scuro con camicetta e gilet.

Un marinaio si fiondò dietro Elsie, in fondo alla passerella, e quest’ultima gli disse di portare le valigie di London nella cabina 110. L’uomo le impilò su un carrello e salì sulla nave con esse.

Elsie disse: “Non ci ho creduto quando il concierge mi ha detto che saresti arrivata stamattina per lavorare su questa crociera. Ma ho tenuto gli occhi aperti, ed eccoti qua! Ho insistito nel voler essere la prima persona ad accoglierti, e a mostrarti tutto della bella Nachtmusik, allora eccoci, andiamo! La amerai, ne sono sicura.”

“Abbiamo tanto da raccontarci” London rispose, mentre camminavano insieme lungo la passerella.

“Ti racconterò” Elsie disse. Poi aggiunse con un occhiolino: “Ma posso intuire dalla tua espressione radiosa che hai avuto una vita amorosa folle ed eccitante ultimamente.”

“Non esattamente” London chiarì. “Ma un uomo mi ha chiesto di sposarlo l’altro ieri sera.”

“Un uomo ricco?”

“Beh, stabile, almeno.”

“Presumo che tu gli abbia detto di no. Altrimenti non saresti qui.”

“Esatto.”

Elsie sospirò, quasi ansiosa.

“Beh, mi conosci, la stabilità non fa per me. Come te, mi piace una vita di libertà ed avventura. Ciò nonostante, spero che tu non abbia commesso un errore.”

“Che cosa intendi?” London chiese.

“Sono sicura che tu abbia saputo che la Epoch World Cruise Lines si trova in grossi problemi finanziari. Da ciò che ho sentito dire, le crociere fluviali europee sono l’ultima risorsa della società. E questa crociera sul Danubio sarà la prima. Se non andrà bene …”

La voce di Elsie scemò, ma London sentiva di sapere ciò che non aveva espresso ad alta voce. Ricordò come Jeremy Latham l’avesse assicurata durante la loro video conferenza, che la Epoch World non avrebbe dichiarato “fallimento”, e che c’era “molta vita” nella società.

Ma che cos’altro mi aspettavo di sentirgli dire?

Aveva provato a proporle un nuovo lavoro, dopotutto.

Inoltre, aveva anche detto: “C’è molto in ballo in questa nuova impresa.”

Era indubbio che l’intero futuro della Epoch World dipendesse dal primo tour in Europa, quindi da London, Elsie e dal resto del personale, con la speranza che tutti avrebbero fatto del loro meglio nelle loro mansioni.

“Che cosa farai qui sulla Nachtmusik?” London chiese.

“Bartender. Nella lounge principale. E tu? Nessuno me l’ha ancora detto.”

“Direttrice” London rispose.

Elsie sgranò gli occhi.

“Direttrice! Oh mio Dio. Allora, sei tu …”

La sua voce scemò.

“Sarà un problema?” London chiese.

“Spero di no” Elsie rispose, facendo spallucce. “Te lo dirò quando ci saremo sistemate.”

London si sentì per la prima volta leggermente a disagio da quando era giunta a Budapest.

Per quanto emozionata fosse per questo nuovo lavoro, sentiva di essersi cacciata in qualche guaio.

Potrebbero esserci problemi in paradiso, pensò.

CAPITOLO CINQUE

London ed Elsie attraversarono la passerella, giungendo all’area reception, che assomigliava alla lobby di un albergo piccolo ma lussuoso.

“Siamo sul ponte Minuetto” Elsie disse, mentre London firmava nel registro. “I ponti traggono i loro nomi da Eine Kleine Nachtmusik.”

London sussultò alla menzione del pezzo che sua madre aveva suonato così spesso, quando lei era stata piccola.

Meglio abituarsi a sentirne parlare, pensò.

La nave aveva il nome di quella composizione, dopotutto.

“Inizieremo dalla cima e, poi, scenderemo” Elsie riprese, mentre entravano in ascensore, che le portò al piano superiore.

Qui trovarono il ponte superiore della nave, che Elsie disse chiamarsi il ponte Rondò. Era un enorme ponte soleggiato, con sedie a sdraio, disposte tutte intorno ad una piccola vasca ad immersione. La vista tolse di nuovo il fiato a London, che si girò a godersela tutta. Era la vista migliore sulla città che avesse avuto fino ad allora.

Elsie accompagnò London fino alla parte anteriore della nave, dove la vetrata del ponte torreggiava su tutto.

Elsie indicò il ponte e gridò.

“Yoo-hoo! Oh, Capitano Hays!”

Un corpulento uomo di mezz’età, con baffi da tricheco, infilò la testa fuori dalla porta. Sembrava che stesse conferendo con alcuni membri del suo staff.

“Sì?” chiese.

“Le ho portato l’ultimo acquisto del nostro personale” Elsie gridò. “Questa è la nostra direttrice, London Rose. London, questo è il nostro intrepido capitano, Spencer Hays.”

Le sopracciglia del capitano ammiccarono in modo un po’ provocante.

“‘London Rose,’ giusto?” disse con uno spiccato accento inglese. “Mi fa piacere che ce l’abbia fatta. Un nome grazioso per una donna graziosa. Incantato, ne sono sicuro.”

London rispose: “Sono onorata di essere a bordo, Capitano Hays.”

“Brava!” il capitano esclamò. “Avremo più tempo per conoscerci durante il viaggio. Farò tutto ciò che è in mio potere per rendere piacevole la sua presenza qui.”

Tornò dentro il ponte, per continuare a conferire con lo staff.

“Vieni, prendiamo le scale” Elsie la invitò.

London seguì l’amica lungo le scale a spirale, che le condussero al ponte Minuetto. Dettero una rapida occhiata alla lounge sulla prua della nave, che aveva sedute dall’imbottitura morbida ed enormi finestre con una vista spettacolare sul fiume. Una melodia familiare iniziò a riecheggiare attraverso gli altoparlanti della lounge. Elsie non conosceva il nome della composizione, ma era certa che si trattasse dell’opera di Mozart.

“Questa è l’Amadeus Lounge” Elsie le disse. “Io sono il capo bartender qui” aggiunse con orgoglio. “Ho uno staff composto da quattro membri, o cinque? Ad ogni modo, sarà sufficiente a farmi ubriacare di potere. Mi piacerà davvero comandare le persone.”

“Sono sicura di sì” London replicò con un ghigno.

Passarono di nuovo per l’area reception, attraversando un corridoio caratterizzato dalle cabine. Indicando le insegne sulle porte delle cabine, Elsie disse: “Puoi vedere che abbiamo un tema per le cabine e le suite più lussuose: la musica del Danubio.”

London si accorse dei nomi che erano stati assegnati alle camere: Liszt, Haydn, Schubert e altri compositori della regione del Danubio. Elsie usò una chiave elettronica per aprire la grand suite “Beethoven”. London sentì immediatamente una piacevole musica al piano, che le sembrò di riconoscere dai ricordi dell’infanzia: “Per Elisa”.

La suite era grande e lussuosa, con una zona salotto separata e un balcone. Era decorata da elementi riconducibili alla Vienna del diciannovesimo secolo, incluse pagine di spartiti musicali.

“Non avevo mai visto una suite così grande su una nave” London commentò.

“Sì, ma non sono sicura che verrei qui in luna di miele” Elsie disse, indicando un grande ritratto di Beethoven sopra il letto.

London osservò il compositore, e vide che aveva le braccia conserte e un cipiglio di apparente disapprovazione. Non sembrava che lui fosse dell’umore adatto all’amore.

“Immagino che fosse noto per essere arrabbiato ed irascibile” disse.

“Sì, beh, non ci sono immagini che ritraggono Beethoven sorridente e allegro, come se stesse canticchiando ‘ooh-la-la.’”

Appena tornarono in corridoio, Elsie disse: “Ci sono solo due di queste grand suite. Trovi anche alcune suite più piccole e cabine molto eleganti su questo ponte.”

London seguì Elsie per delle scale ancora più a spirale, fino al livello successivo, il ponte Romanza. Conteneva cabine di grandezza media, che avevano i nomi di altre leggende musicali:  Brahms, Bartok, Johann Strauss II e persino i cantanti della Famiglia Trapp.

Entrarono nello sfarzoso Habsburg Restaurant, dove i tavoli erano perfettamente apparecchiati, in vista del prossimo pasto; poi tornarono alle scale, e scesero per un’altra scalinata fino al piano inferiore, il livello Allegro.

Le camere qui non avevano alcun nome speciale, ed Elsie accompagnò London ad una porta con sopra il numero 110. Ma quando Elsie aprì la porta, London si stupì vedendo che i suoi stessi bagagli erano stati lasciati all’interno.

 

“Oh, cielo!” London sussultò. “Il facchino deve aver portato i miei bagagli nella camera sbagliata!”

Era una camera singola, piccola ma solo leggermente meno lussuosa della suite che aveva visto due ponti più in alto. Era in realtà più bella di alcuni degli alloggi passeggeri più economici che aveva visto sulle sue crociere sull’oceano.

Elsie prese London sottobraccio con finta preoccupazione.

“London, siediti. Ho qualcosa da dirti che potrebbe procurarti un po’ d’agitazione.”

Dette una spintarella a London sul letto, e l’aiutò a sedersi.

“So che sarà uno shock per te” disse, “ma il facchino non ha commesso alcun errore, e non devi affatto perdere i sensi o svenire. Questa è la tua camera. La tua e di nessun altro.”

Sul cuscino accanto a sé, London vide una documentazione informativa con il suo nome scritto sopra, una chiave elettronica della camera, e un tesserino identificativo che diceva:

LONDON ROSE

DIRETTRICE

“Oh, cielo!” London esclamò di nuovo.

“Non proprio come ai vecchi tempi, vero?”

“No, certo che no” London rispose, riprendendo fiato.

Quando lei ed Elsie avevano lavorato insieme sulle navi da crociera, spesso avevano alloggiato in cabine prive di finestre con letti a castello e due o tre altre hostess.

Questa camera conteneva un letto matrimoniale grande ed era decorata da sfumature di grigio e blu. La piccola e alta finestra si affacciava su una bella vista.

“Hai persino un bagno privato” Elsie l’informò. “Con una doccia.” Poi, si diresse verso un armadio e l’aprì. Vi erano appese diverse uniformi da personale, con spazio sufficiente per tutti gli altri vestiti che London aveva messo in valigia e che avrebbe potuto comprare nei negozi europei.

“Faresti meglio a metterti questa” Elsie disse, indicando un’uniforme. “I passeggeri saranno a bordo tra mezz’ora, e dovresti essere tu ad accoglierli.”

London andò in bagno, si lavò rapidamente, e indossò l’uniforme: pantaloni blu scuro con una camicetta e gilet. Si truccò e si acconciò i capelli.

Elsie applaudì quando London emerse.

“Eccellente!” esclamò. “Rendi giustizia a quell’uniforme!”

Prima che London potesse rispondere, qualcuno bussò bruscamente alla porta. Elsie l’aprì, e una donna bruna entrò.

Elsie disse rapidamente: “London, questa è Amy Blassingame, la nostra concierge e …”

La donna la interruppe, guardando il proprio orologio.

“Vorrei poter dire che è stato un piacere incontrarla, Signorina Rose. Ma temo che sia già in ritardo. I nostri passeggeri sono pronti ad imbarcarsi proprio adesso. Farebbe meglio ad andare ad accoglierli, se vuole conservare il lavoro.”

Amy Blassingame le diede una cartellina.

“Le servirà questa” scattò. “Trascriva ogni necessità e richiesta di ognuno accanto a ciascun nome, poi lasci la lista nella mia cassetta al banco reception. Me ne occuperò io da lì.”

London prese la cartellina, e provò a pronunciare un grazie, ma la donna si voltò e si precipitò fuori senza aggiungere un’altra parola.

Per un momento, London si limitò a vederla andarsene, sbalordita dall’ostilità che sentiva emanare da una completa estranea. Una rapida occhiata alla cartellina rivelava che si trattava di una lista con i nomi dei passeggeri.

“Andiamo” London disse a Elsie. Quando si precipitarono nel corridoio, Amy Blassingame non era da nessuna parte.

“Pensavo avessi detto che avevo mezz’ora” London disse, mentre entrarono in ascensore.

“È quello che Amy ha detto di dirti” Elsie disse affannosamente. “Oh, London, avrei dovuto avvisarti di Amy il Troll del Fiume. Come hai ottenuto questo lavoro?”

“Jeremy Lapham mi ha chiamato personalmente. Solo ieri.”

“E che cos’ha detto?”

“Che la posizione si è aperta inaspettatamente.”

“Esatto” Elsie disse. “La donna che si era candidata si è ritirata. Penso che abbia deciso di  fuggire con il suo amante italiano. Ad ogni modo, Amy si aspettava di ottenere lei il lavoro. Sta fumando dalla rabbia per questo, e per te, da tutta la mattina. Creare confusione con gli orari di imbarco è solo il suo modo …”

“Ma io non avevo …”

“Lo so, non avevi intenzione di sollevare un polverone. Ma temo che Amy il Troll del Fiume ce l’abbia comunque con te. Ma ricorda che tu sei il suo capo, non il contrario. Potresti dover faticare a farglielo accettare, comunque.”

Il cuore di London sprofondò leggermente. Esercitare una vera autorità su membri dello staff risentiti non era qualcosa che aveva imparato a fare, quando era stata una semplice hostess di crociera.

Ci sono sicuramente cose nuove a cui devo abituarmi, comprese.

Ad ogni modo, era determinata a non lasciare che il piccolo problema del troll del fiume smorzasse il suo buonumore.

Quando giunsero all’area d’imbarco, London vide una fila di passeggeri disposti dietro una catena, all’estremità della passerella coperta, collegata alla barca. Aprì dunque le porte di vetro e fece un cenno al facchino responsabile della catena. Scorgendo il suo segnale, l’uomo sollevò la barriera, così che i passeggeri potessero imbarcarsi.

“Buona fortuna” Elsie sussurrò, mentre si allontanava.

London fece un respiro profondo, mentre i primi passeggeri si muovevano verso di lei.

La prima del gruppo era una donna anziana minuta e dallo sguardo severo. Indossava un’inutile pelliccia e abbastanza gioielli da coprire una persona così piccola. Portava con sé un unico grande bagaglio a mano in pelle, ma, alle sue spalle, c’era un’incredibile pila di valigie, trasportate da un facchino.

Nonostante l’arcigna espressione della donna, London le rivolse un sorriso radioso e aprì la bocca per accogliere la primissima ospite, diretta nell’allegra area reception della Nachtmusik.

Poi, l’attenzione di London fu catturata da qualcosa di strano in merito alla borsa.

Ne fuoriuscivano quelli che sembravano lunghi capelli marroni  come se la donna avesse infilato in modo errato una parrucca al suo interno.

Mentre London fissava la parrucca, vide improvvisamente aprirsi un paio di occhi marrone scuro.

La parrucca la stava guardando.

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