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Dizionario storico-critico degli scrittori di musica e de' più celebri artisti, vol. 4

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Taglini (Carlo), professore nell'università di Pisa, pubblicò verso il 1650, Lettere scientifiche sopra varii dilettevoli argomenti di fisica, nella prima delle quali parla de' suoni prodotti dal violino, e vi dimostra in quale maniera la differenza loro proviene dalla grossezza, lunghezza e varia tensione delle corde. Nella terza spiega egli come si formano nella gola i suoni.

Taillard (Mr.), musico francese assai rinomato pel suo talento sul flauto: viva era la sua esecuzione, brillante ed animata. Sin dall'età di dodici anni fu ascoltato con piacere da più sovrani: negli anni 1760 e 1767 sono state impresse alcune collezioni di sue sonate per quell'istromento pregiatissime. Vi ha di lui altresì: Méthode pour guider les compositeurs. Morì egli in Parigi nel 1783.

Tailler (Simone), domenicano scozzese verso il 1240, scrisse due libri de Pentacordis, un altro de Tenore musicali, e de Cantu ecclesiastico corrigendo, de' quali fa menzione il Fabricio nella Biblioteca latina.

Talete di Mileto nella Jonia, uno dei sette savj della Grecia, e uno dei precettori di Pitagora, fiorì sette secoli prima di G. C. Oltre all'essere egli stato il più antico filosofo e caposcuola tra' Greci, sappiamo da Plutarco aver tenuto anche scuola di musica. “Trovando Licurgo, egli dice, a Creta un uomo savio e civile chiamato Talete, lo persuase con l'amicizia e co' prieghi a passar seco in Sparta. Era Talete stimato musico lirico di ottimo gusto; e quivi insegnava l'arte sua, e faceva quegli ufficj, che sono soliti a fare gli ottimi legislatori: perciocchè il canto suo si riduceva a certe preghiere, le quali co' modi, e co' loro leggiadri e gravi ritmi conducevano gli uomini all'ubbidienza de' loro maggiori, ed a stare bene uniti in società, co' suoi canti s'infrenavano e si acchetavano le passioni, e avvezzavansi gli uomini a lasciare la rustica malevolenza, e ad abbracciare le cose oneste; e così esso preparolli in certo modo, e disposeli all'osservanza degli onesti insegnamenti di Licurgo.” (In vit. Licurg.). Dal che chiaramente si rileva che l'antica educazione era in mano de' musici, d'onde derivano quei tratti storici degli antichi, ne' quali vien detto, che alcune greche provincie erano divenute inselvatichite e feroci per avere unicamente negletta la coltura della musica; essendo allora lo stesso il tralasciar questo studio che il tralasciare la civile e religiosa educazione.

Tansur (William), musico inglese, nel 1735 pubblicò un'opera col titolo: A complete melody, in 3 vol. nel primo de' quali vi ha un'introduzione ai veri elementi della musica vocale ed instrumentale, con un nuovo e facil metodo: ella è, dice M. Gerber, una compilazione in dieci capitoli di ciò, che si è scritto sulla musica da' Greci, Romani, Francesi, ed Italiani. Gli altri due volumi contengono alcuni canti scelti a più voci. Alcuni anni dopo diè egli al pubblico altre sue opere col titolo di Universal harmony, ossia Armonia universale, e l'altra: A new musical grammar, cioè: nuova grammatica della musica.

Tarchi (Angiolo), nato in Napoli nel 1760. Fu per lo spazio di tredici anni nel Conservatorio della Pietà de' turchini, sotto i cel. Tarantino e Sala, e due anni dopo esserne uscito, ne divenne il maestro, compito avendo allora, secondo gli statuti, il vigesimo quarto anno dell'età sua. Nel 1781, essendo ancora allievo nel Conservatorio scrisse la sua prima opera buffa, l'Architello, di cui tale ne fu il successo, che il sovrano Ferdinando volle sentirla nella sua villa di Caserta: nel 1783 avendo tuttora la tonaca di panno sbiavato come allievo della Pietà, compose pel teatro nuovo di Napoli, la Caccia di Enrico IV, opera burlesca, che ebbe grandissimo incontro, e fu incaricato di tre altre opere pel teatro del Fondo. Passò quindi in Roma, in Milano, in Firenze, a Mantova, a Venezia, a Padova, in Torino e scrisse per quei teatri più opere serie con grandi applausi. Nel 1789 compose in Londra il Desertore, e Alessandro nell'Indie drammi serj, che incontrarono moltissimo, e sino al 1793 era di ritorno in Italia, e diede gli oratorj l'Isacco a Mantova, e l'Ester a Firenze. Dopo il 1796 era egli a Parigi, ove ha composta molta musica pel teatro dell'opera comica. Il successo, ch'egli vi ha ottenuto, sostiene in Francia l'alta riputazione della scuola di Napoli, d'onde è sortito. In Napoli si sono anche eseguite di Tarchi molte messe e vespri a più voci.

Tartaglini (Ippolito) di Modena, uno de' migliori professori di musica nel secolo XVI, il dotto Cardinale Alessandro Farnese fu suo protettore. Si crede però ch'egli sia stato il primo a ricondurre il canto sul teatro coi cori. Alcuni suoi mottetti a 4, e 6 voci sono stampati in Roma nel 1574. Morì egli nel 1580, in età di anni quarant'uno.

Tartini (Giuseppe) nacque a Pirano nell'Istria di assai civile famiglia nel 1692. Entrò dapprima nell'Oratorio di San Filippo Neri; ma distinguendosi ben presto per le sue brillanti disposizioni, fu mandato a Capo d'Istria, per terminare i suoi studj nel collegio dei Padri delle Scuole-Pie: quivi egli ebbe le prime lezioni di musica e di violino. Nel 1710 i suoi parenti lo mandarono all'università di Padova per istudiarvi la giurisprudenza, e formarsi nella profession di avvocato. Ma invaghitosi di una giovinetta, ch'egli sposò di nascosto, abbandonò lo studio del foro, e rovinò la sua fortuna. Questo matrimonio gli trasse addosso l'indegnazione de' suoi parenti, che lo abbandonarono affatto. Tartini tanto più trovossi smarrito, che essendo la sua moglie della famiglia del vescovo di Padova il card. Giorgio Cornaro, aveva altresì a temere il processo, che questi doveva intentargli. Non restogli altro partito che di lasciare la sua donna in Padova, e di fuggirsene in Roma travestito da pellegrino. Non trovando in niun luogo sicurezza, andò vagando di paese in paese; finalmente il gran convento dei francescani in Assisi, il di cui guardiano era suo parente, gli offrì un asilo sicuro contro la persecuzione del cardinale. Restò egli quivi due anni, ed applicossi allo studio del violino, che aveva quasi totalmente negletto in Padova. Le lezioni del P. Boemo, celebre organista di quel convento, terminarono d'iniziarlo nell'arte della musica. Un altro vantaggio, ch'egli trasse da quel solitario soggiorno, fu una totale mutazione del suo carattere. Di violento e collerico ch'egli era, divenne moderato, e mercè questo genere di vita laborioso e tranquillo perdette per sempre i difetti, che cagionato avevano la sua disavventura. Il suo ritiro era lungamente rimasto ignoto; un non previsto accidente il fè discoprire. Sonando di violino nel coro della chiesa, un colpo di vento portò via la cortina, che ne impediva la vista agli astanti, ed ei fu riconosciuto da un abitante di Padova. Tartini si ebbe per perduto: ma qual fu la sua sorpresa, allorchè quegli gli diè nuova, che il cardinale lo aveva perdonato, e cercava di lui per condurlo in braccia alla sua sposa! Di ritorno a Padova, egli fu chiamato in Venezia per esser membro di un'accademia, che doveva formarsi sotto gli auspicj del re di Polonia. Egli vi si rese con la sua sposa: ebbe colà occasione di sentire il cel. violinista Veracini di Firenze, e restò talmente sorpreso della sua maniera di sonare ardita e nuova, che amò meglio lasciar l'indomani Venezia, anzicchè entrar con lui in concorrenza. Mandò sua moglie a Pirano in casa di suo fratello, e ritirossi ad Ancona per vie meglio attendere allo studio del suo stromento. Fu da quest'epoca (nel 1714), ch'egli da se creossi un nuovo modo di sonar di violino: fu anche allora che scoprì il fenomeno del terzo suono, ossia della risonanza della terza nota dell'accordo, allorchè si suonano le due note di sopra. Nel 1721, fu egli posto alla testa dell'orchestra di S. Antonio di Padova: questa cappella, una delle migliori d'Italia, aveva quaranta musici, dei quali sedici eran cantanti. Nel 1723, fu chiamato a Praga per l'incoronazione dell'imperatore Carlo IV, e vi restò per tre anni insieme col suo amico Antonio Vandini, suonatore di violoncello al servigio del conte Kinsky. Quivi fu, che il sentì Quanz che così ne parla: Tartini è un violinista di primo ordine; produce de' suoni bellissimi. Le sue dita, il suo arco del pari gli ubbidiscono bene: eseguisce senza stento le più difficili cose, fa a perfezione con tutte le dita dei trilli, e fin anco dei doppj trilli, e suona molto negli acuti. Ma la sua esecuzione non tocca affatto; non è nobile il suo gusto; ed assai volte ancora è tutto opposto alla buona maniera. Tartini senza dubbio seppe acquistar poi dal canto dell'espressione, e del gusto quel, che a giudizio di Quanz, mancavagli allora; poichè ogni volta che sentiva sonar con destrezza, ma senz'anima, quest'è bello! diceva, quest'è difficile! ma non parla al cuore. Da Praga tornò coll'amico Vandini a Padova, e da quel tempo in poi nulla potè risolverlo ad accettare un servigio straniero, malgrado le più vive, e le più vantaggiose sollecitazioni. Nel 1728 fondò in Padova, una scuola di musica, e pochi maestri hanno formato ormai così bravi scolari. Gli Italiani chiaman Tartini il maestro delle nazioni. La di lui scuola ha provveduto di gran musici la Francia, l'Inghilterra, l'Alemagna, e l'Italia. Pagin intraprese espressamente il viaggio di Padova per formarsi sotto la direzione di Tartini. Nardini, Alberghi, Bini, Ferrari, Carminati, mad. Sirmen, Lahoussaye e Capuzzi, nomi illustri, e tutti suoi allievi. Questo gran maestro si rese benemerito dell'arte per tutti quei mezzi che contribuiscono all'avanzamento di essa. Egli era per natura uom riflessivo, perspicace, voglioso dell'ottimo, paziente de' penosi indugj, e non isbigottito delle difficoltà, che convien vincere per conseguirlo. Sì nel comporre, che nell'eseguire egli è stato vero inventore; ed ecco fin dove il condussero l'osservazione e la sperienza. Osservò egli in primo luogo, che il violino è per natura uno stromento acuto e stridente; che chi lo arma di cordicelle sottili non ne può trar altro, che un suono fievole e smilzo. Si avvisò quindi di armarlo di corde grosse un pò più dell'usato. Con questa leggiera mutazione sentì addolcirsi la crudezza natía, ed uscirne più grato e più morbido il suono. Osservò poscia, che l'arco usato dalla scuola Corelliana è troppo corto; che però uno appena in venti di quella scuola riesce a cavar una voce piacevole, bella, e pastosa. Laonde ei si pose ad usar arco più steso, non trovandovi niun de' difetti, e tutt'i vantaggi dell'arco breve. Da questi saggi cambiamenti passò egli tosto ad un doppio studio, l'uno del modo d'adoprar l'arco, faticando per impadronirsene sì nel guidarlo allo in su, che allo in giù, sì nel trar senza stento e secondo il bisogno or lunghe e melodiose, or brevi e snelle le arcate. Con siffatte minute attenzioni, delle quali ogni egregio suonatore, e niun mediocre o cattivo ravviserà l'importanza, pervenne il Tartini a singolar eccellenza nel suono. Vediamo or pure, quanto egli nel comporre siasi dipartito altresì dall'uso comune: nel che riuscì meglio a riprendere e schivare gli altrui difetti, che a vedere e correggere i suoi. Quando Tartini cominciò ad apparire, dominava ancora tra gli scrittori d'Italia quel barbaro gusto delle fughe, de' canoni, e di tutti in somma i più avviluppati intrecci d'un ispido contrappunto. Questa increscevol pompa di armonica perizia, questa gotica usanza d'indovinelli e di logogrifi musicali: questa musica gradita agli occhi, e crudel per gli orecchi, piena d'armonia e di romore, e vuota di gusto e di melodia, fatta secondo le regole, seppure le regole hanno l'atrocità di permettere di far cose dispiacevoli, fredde, imbrogliate, senz'espressione, senza canto, senza leggiadría, qual altro pregio veracemente aver può, che quel di abbagliar gli eruditi, e di uccidere per la fatica il compositore, e per la noja i dormigliosi ascoltanti? Tartini sedotto sul principio dall'amor del difficile, si logorò anch'egli per qualche tempo, e stese alcune sonate in questo gergo enigmatico e sibillino. Ma di poi avvedutosi, che tal profusione di scienza, ben raro è il caso, che riesca opportuna, e ancor più raro che ella rechi diletto, se prima, come fa il pittore, aveva cercato il maraviglioso aggiugnendo; si volse poscia a cercare il bello, come lo scultore, togliendo. E in fatti quanto egli ha scritto dopo tal suo ravvedimento, tutto spira la nobile semplicità, linda e schietta è pur sempre l'armonia: intelligibile e andante il pensiero; sgombra di rancidumi la cantilena. (V. Cont. S. Raffael. lett. 2). Egli ebbe inoltre due pregi insigni, dov'egli non soffre eguali. Il primo d'aver un metodo esatto, e limpidissimo d'insegnar l'arte. I suoi precetti eran sì chiari, e sì precisi, che lo scolare, seppur non era un gonzo madornale, preveniva il maestro, e godea di suggerirgliene gli esempli. L'altro suo pregio raro ben anco e prestante si era l'essere scevro affatto d'invidia, di gir sommamente guardingo nel dar giudizio dell'altrui valore, di largheggiar nelle lodi senz'adulazione, e di accennare i difetti senza livore, da solo a solo, non pel piacer inumano di riprendere, ma pel vero vantaggio del ripreso, cui moderatamente avvertiva, dicendogli i motivi della sua disapprovazione, udendone chetamente le discolpe, cedendo se si trovava convinto, soffrendo in pace, che non gli si desse ragione da quegli ostinati, che non credono mai d'aver torto. Tal era l'indole, e il merito di questo eminente caposcuola nell'arte del suono. Ci resta ora a considerarlo come autore, ed inventore di un nuovo sistema di teoria musicale, sotto il quale riflesso, se censure piuttosto che lodi verranno da me riferite, il farò protestandomi di non voler in nulla derogare al rispetto, che per altri titoli a sì grand'uomo è dovuto. All'epoca in cui si credeva non poter dare alla musica un fondamento nella natura, se non con darlene uno nella fisica, Tartini ebbe la debolezza, come in Francia Rameau, di cedere a questa bizzarría. Volle egli creare un sistema, prendendo per la sua base il fenomeno del terzo suono, sistema, che non è stato possibile a capirsi da niuno per le folte profonde tenebre che lo involvono, e che l'autore senza dubbio non ha saputo egli stesso comprendere. A tale oggetto diè egli fuori il suo Trattato di musica secondo la vera scienza dell'armonia, Padova 1754, in 4º. Tartini sin dal 1714, aveva osservato la coesistenza di un suono grave uguale all'unità, e se ne serviva come di base alla sua scuola: ma non rese pubblica questa sua scoverta, che nel 1754 in quel suo trattato; onde è che se gli ha voluto torre l'onor dell'invenzione, con attribuirla alcuni a M. Sorge, altri a M. Romieu. “Ma il suo libro, dice M. d'Alembert, è scritto in una maniera così oscura, che ci è impossibile il recarne alcun giudizio; e ben si sa averne in tal guisa altresì giudicato Letterati di gran nome.” Tali furono il Rousseau, che dandone un estratto nel suo Dizionario sembra tuttavia preferir le idee di Tartini a quelle di Rameau; tali il Scheibe, il Forkel tra i tedeschi, l'Eximeno, il Bettinelli e più altri. M. Serre di Ginevra nel 2º cap. delle sue Osservazioni su i principj dell'armonia fece delle oggezioni al sistema del Tartini, a cui oppose egli: Risposta di G. Tartini alla critica del di lui trattato di musica di M. Serre, Venezia 1767, in 8º. E cercando di evitare i difetti oppostigli da M. Serre, diè al pubblico: Dissertazione de' principj dell'armonia musicale, contenuta nel diatonico genere, Padova 1767, in 4º. M. Mercadier nel Discorso preliminare al suo Nouveau système de musique fa la confutazione dell'algebra posta in uso dal Tartini nel suo sistema: finalmente il dottissimo Eximeno impiega un capitolo della sua opera per confutare i raziocinj di fisica e di metafisica, i calcoli e le singolari dimostrazioni geometriche della sua teoria. “Tartini non avendo avuto, egli dice, che un lume superficiale di matematica e di filosofia, si abusò dei vocaboli di queste scienze per iscrivere un Trattato dell'armonia, che niuno ha potuto finora intendere, e credo che neppur l'A. intendesse se stesso. Se altri più avveduti filosofi hanno vaneggiato, ognun può figurarsi, qual caos d'illusioni si formi il Sig. Tartini. Comincia a vedersi qualche lume allorchè fa egli utilissime riflessioni circa l'accompagnamento, ed altre materie di pratica, dalle quali si scorge, che il Tartini avrebbe potuto illustrar la teorica, come illustrò la pratica, se la matematica e la fisica non avessero sconcertata la sua fantasia.” (l. 1 c. 4). L'illusione del suo spirito giunse al segno di credere che avesse nel suo sistema la prova dell'uno e trino, com'egli stesso lo affermò all'ab. Bettinelli (V. Risorgiment. c. 4). Egli conservò sino alla morte queste idee metafisico-teologiche, e lasciò morendo al P. Colombo la cura di pubblicare un suo Trattato sulla teoria del suono, ove essendosi trovate siffatte chimere, fu stimato miglior consiglio il non darlo a luce. Maggior profitto può trarsi dagli altri libri, che ci restan di lui, in riguardo alla pratica del suono. Nel t. V dell'Europa letteraria 1770, è stata inserita una sua Lettera alla Sig. Maddalena Lombardini (mad. Sirmen), inserviente ad una importante lezione per i suonatori di violino. M. Fayolle ne ha dato l'originale in francese nel 1810. In fronte alle sue nove opere si trova impressa altresì l'arte dell'arco, di cui ne ha data una nuova edizione M. Cartier nel 1812. L'ab. Fanzago parla di un manoscritto che ha per titolo: Lezioni sopra i varj generi di appoggiature, di trilli, tremoli, e mordenti ec. Mr Denis ne ha pubblicata una traduzione in francese. Per la musica vocale non conosciamo altro di Tartini, che il Miserere eseguito il mercordì santo del 1768 nella cappella Sistina in Roma dinanzi il papa Clemente XIII, che il barone Ag. Forno palermitano, il quale era presente, dice nel suo elogio di Tartini, che questa composizione merita il primo luogo tra tutte quelle dell'autore. Tartini morì in Padova tra le braccia del suo favorito allievo Nardini, a dì 16 Febbraio 1770. Il carattere morale di questo grand'uomo merita somma lode. Egli usò sempre la moderazione di Socrate verso la moglie, che era a suo riguardo una vera Santippe, riottosa e caparbia. Sosteneva molte indigenti famiglie, e molti orfani a sue spese: dava anche delle lezioni gratuite a quegli, che volevano imparar la musica, e non avevano i mezzi onde pagare i maestri. Il posto ch'egli occupò per trent'anni non gli valeva che 400 ducati, e non era obbligato a sonare che nelle grandi festività. Non lasciava tuttavia passar settimana in cui non sonasse più volte. Giulio Meneghini suo succesore dispose in suo onore la funebre pompa che celebrossi nella chiesa de' Serviti. L'ab. Fanzago profferì il suo elogio, e la cappella di S. Antonio eseguì un Requiem composto dal P. Vallotti. Il conte Algarotti attesta, che il Tartini prima di comporre era uso leggere un qualche sonetto del Petrarca, cui somigliava moltissimo nella delicatezza del sentimento, affinchè avesse un oggetto determinato a dipignere; e non perdesse mai di vista il motivo, o soggetto. Così in fatti nelle sue sonate la più gran varietà vien sempre sposata alla più perfetta unità.

 

Tausher (J. G.), morto verso il 1787, si crede esser l'autore di un Saggio d'istruzione sulla disposizione de' registri dell'organo, e la maniera di perfezionare in generale questi instromenti, Waldenburgo 1775. Vi si trova in fine una relazione di un soffietto, nuovamente inventato dai fratelli Wagner, costruttori di organi, e di cui si è fatto uso nella costruzione dell'organo di Hohenstein.

Taylor (John Brook), cel. matematico inglese, e secretario della Società reale di Londra, fu il primo che nella sua opera, Methodus incrementorum directa et inversa (Londra 1715), giunse a dimostrare con esattezza e con rigore geometrico il problema su le vibrazioni delle corde sonore, e sottomettere al calcolo il moto delle corde oscillanti. Taylor morì in Londra nel 1731.

Tedeschi (Giov.), detto Amadori, e più conosciuto sotto questo nome, fu uno de' più gran cantanti della cel. scuola di Bernacchi. Dopo aver figurato moltissimo ne' più rinomati teatri dell'Italia e della Germania, prese in Napoli nell'anno 1773 l'impresa del R. teatro di S. Carlo. Conoscitore ch'egli era della buona musica, e fissar volendo la volubilità del gusto napoletano, indusse Jommelli a scrivere per quel teatro l'Armida, e un pò dopo il Demofoonte. Amadori avendo per se tratto gran profitto dall'ottima riuscita della musica di questi due drammi, andò in Roma, dove era ito a scriver Jommelli, non avendolo potuto persuadere per lettere, che gli componesse un terzo, che fu l'Ifigenia, e gli offerse doppia ricognizione. Ma per una fatalità incredibile essendo in teatro caduta questa musica, Jommelli restituì generosamente all'impresario Amadori i scudi seicento, prezzo convenuto dell'Ifigenia, col dire, che avendo sbagliata l'opera, doveva aver riguardo al di lui interesse nel metterne un'altra; atto magnanimo e virtuoso, dice il Mattei, che vale per la sua gloria più assai di cento opere ben incontrate. Tedeschi viveva ancora nel 1775.

Telefane di Samo, celebre maestro di canto e suonator di flauto fu amicissimo dell'oratore Demostene. Narra costui che dovendo per incarico della sua tribù mandare al concorso del premio ne' pubblici giuochi i giovani più abili nel canto, stava per esser tradito dalla trascuratezza di Midia, che loro aveva dato per maestro. Pochi giorni prima del concorso avvisato dell'inganno, Demostene licenziato Midia dalla scuola, scongiurò l'amico Telefane a fare in modo, che sotto la sua cura supplissero in que' giorni le lezioni, che i ragazzi avevano perdute fino a quell'ora, acciocchè non facessero disonore alla sua tribù. La maestria di Telefane fu tale, che li dispose con sugose lezioni di armonìa; ed i ragazzi e Demostene fecero bella figura. Viaggiando Pausania per la Grecia trovò un magnifico mausoleo innalzato con una eccellente iscrizione in Megara da Cleopatra sorella del grande Alessandro alla memoria di questo cel. suonatore. Plutarco riferisce, che egli non solo non faceva uso d'imboccatura nel suonare il flauto, ma che cercava di persuadere eziandio i costruttori a non metterne nei loro strumenti. Fu per questa ragione ch'egli non volle entrar mai in lizza ne' giuochi pitici (V. Requeno t. 1).

Telemann (Giorgio Filippo), nato a Magdeburgo fu uno de' più fecondi compositori. Hendel diceva di lui, che scriveva un pezzo di musica a otto parti colla stessa facilità con cui un altro scriverebbe una lettera. Egli mostrò principalmente nella musica di chiesa uno straordinario talento: ma avea più scienza, che gusto, e le sue opere per teatro sono del tutto obliate. Morì in Hamburgo nel 1767. Egli fu membro della Società musicale di Mitzler, che gli diè un vasto campo a far delle ricerche sulla teoria. Abbiamo di lui: 1. Descrizione dell'organo di Castelli; 2. Istruzione sul trasporto; 3. Sistema de' suoni, e degli intervalli, con ispiegazioni, Hambourg 1767.

 

Telemann (Michele), nipote del precedente nato nel 1748 fu precettore nella scuola musicale della cattedrale di Riga. Degno del suo avo non fu men di lui profondo teorico. Nel 1773 diè egli al pubblico Unterricht ossia Elementi del basso continuo. Nel 1785 fece stampare a Lipsia un'altra opera in fol. col titolo di Memorie sulla musica di chiesa, in tedesco. Vi si trovano delle Messe a gran cori, e Sanctus di sua composizione.

Teleste di Selinunte in Sicilia, cel. musico e poeta lirico nel quinto secolo prima dell'era cristiana. Ateneo (l. 14) fa di lui menzione, e reca un frammento di un suo Poema sull'avventura di Pallade, che sonando la tibia si avvide in un fonte, che il suo volto divenivane sconcio, e la gittò via. E poco appresso adduce ancora un passo del di lui Imeneo Ditirambico dove ei favella di uno istromento musico di cinque corde, chiamato Magade.

Tempelhof (Giorgio-Feder.), dopo il 1786 precettore del R. principe di Prussia per le matematiche, pubblicò a Berlino Riflessioni sul temperamento di Kirnberger, con una Istruzione per accordare di una facil maniera gli organi, i cembali e li forte-piano, 1775.

Teofrasto, nativo di Eresia città di Lesbo, filosofo greco. Platone fu il primo suo precettore, dalla cui scuola passò a quella di Aristotile. Costui invaghito della facilità del suo spirito, e della leggiadria della sua elocuzione, cambiò il suo primo nome di Tirtamo in quello di Eufrasto, che buon parlatore significa, e un tal nome non rispondendo abbastanza all'alta stima, ch'egli concepito avea della bellezza del suo ingegno, e del suo dire, lo chiamò Teofrasto, cioè un uomo di lingua divina. Aristotile, obbligato a sortire d'Atene, lasciò la sua scuola, l'anno 322 prima di G. C. a Teofrasto. Il di lui nome divenne così celebre in tutta la Grecia, ch'egli giunse ad aver nel suo liceo oltre a due mila scolari: ebbe la stima e la familiarità di più Sovrani: Cassandro re di Macedonia fu suo amico, e Tolomeo figlio di Lago primo re dell'Egitto trattenne sempre seco uno stretto commercio. Teofrasto morì carico d'anni e di fatiche, non cessando di studiare se non cessando di vivere. Tra le molte sue opere dalla voracità del tempo rapiteci, eravi quella dell'Origine della Musica, in tre libri ch'egli avea scritto da metafisico piuttosto che da pratico. L'enciclopedista Plutarco, che l'aveva letta, ci diede nel Simposiaco l'argomento della medesima, dicendo, che questo filosofo riconobbe tre differenti origini del canto: 1. il dolore, da cui derivarono i canti lugubri; 2. il piacere o la gioja, dalla quale ebbero origine le allegre cantilene co' balli; 3. l'estro divino, da cui furono prodotti i canti eroici e profetici; aggiungendo, che per perfezionare queste tre specie di canti, altro principio che l'istinto del cuore e dello spirito non dovesse mai consultarsi. Secondo Laerzio scrisse ancora Teofrasto un Trattato storico de' Musici, ed un altro degli Armonici.

Teofrasto di Pieria, cel. musico dell'antica Grecia fiorì cinque secoli innanzi G. C. Nicomaco afferma ch'egli aggiunse la nona corda alla lira di Mercurio verso la parte grave (Manual. mus. lib. 2).

Teone di Smirna, filosofo platonico, e celebre matematico nel secondo secolo dell'era cristiana, scrisse a lungo della musica nel suo Compendio della dottrina matematica di Platone, ed un altro libro abbiamo di lui intitolato Della Musica, nel quale rapporta le proporzioni de' musicali intervalli secondo la dottrina di Laso ermionese, e d'Ippaso di Metaponto, e disapprova la divisione del tuono data da Aristosseno.

Terpandro, nativo di Lesbo, poeta musico, guadagnò più d'una volta il premio d'onore nei giuochi pubblici della Grecia (V. Euclid. Introd. music.): maggior onore recarongli però le sue scoperte. Da lui fu aggiunto un quarto tetracordo nella cetra, chiamandolo diezeugmenon, che prima tre soli ne avea, due congiunti ed uno disgiunto. Narra Plutarco, che per tal novità fu chiamato a Lacedemone, dove egli dimorava, in giudizio dagli Efori. Terpandro, armato della sua lira, comparve dinnanzi al popolo, e disse primieramente in sua difesa, che la musica non fu solo inventata per istruire, ma eziandio per dilettare, che non consistendo il criterio de' piaceri nel senso o nell'immaginazione di un sol uomo, ma della moltitudine, a questa egli appellavasi; e mettendo mano alla lira fece delle sonate così nuove e piacevoli, che fu assoluto dal popolo, e da' giudici; ed applaudita la novità da lui introdotta nella lira. Compose egli altresì per differenti strumenti alcune arie, che serviron poi di modello: fissò con note il canto, che dar si doveva alle poesie d'Omero: introdusse nuovi ritmi nella poesia, e coll'adattarvi l'azione diede spirito agli inni ne' musicali conflitti (Polluc. lib. 4, Plutar. de mus.) In Lacedemone era chiamato per eccellenza il cantore di Lesbo e gli altri Greci conservaron per lui la stima profonda con cui eran usi onorare i talenti, che contribuivano ai loro piaceri. Terpandro fiorì sette secoli innanzi G. C.

Terradeglias (Domenico) nacque a Barcellona sui principj dello scorso sec. e venne in Napoli a studiar la musica sotto il cel. Durante nel Conservatorio di Sant'Onofrio. Mercè i suoi talenti e l'assiduità allo studio pervenne al rango di uno de' migliori compositori del sec. 18, principalmente pel teatro. Nel suo stile, egli più che altri si avvicina a quello di Majo e del Sassone, ma vi unisce più fuoco e più brio. All'epoca della sua maggiore celebrità, circa 1746, i cantanti amaramente lagnavansi delle difficoltà delle sue opere, il che certo non avverrebbe oggigiorno. Rousseau nella sua lettera sulla musica francese rapporta che Terradeglias parlandogli una volta di alcuni Mottetti da lui composti, dove aveva messo de' cori con gran maestria faticati arrossiva di averne fatti così belli scusandosi sulla sua giovinezza, altre volte, egli diceva, io amava a far del fracasso, cerco adesso di far della musica. Nel Dizionario di musica dice che il Genio guidò questo compositore, nel santuario del buon gusto, e dell'espressione. Un giorno Terradeglias trovandosi in Francia, venne al teatro ove si eseguiva la musica di una grand'opera francese. Al sentir le grida e gli urli, che allora ne formavano l'essenza, e vedendo gli applausi con i quali accoglievansi quelle svenevolezze, i francesi, sclamò egli, hanno le orecchie di corno. Terradeglias si stabilì finalmente in Roma come maestro di cappella di S. Giacomo de' Spagnuoli, e morì quivi nel 1751.

Terza (Giuseppe) nel 1805 pubblicò in Napoli, Nuovo sistema del suono, in 8º, con un rame di esempj. Egli è una specie di Prospetto di un'opera più lunga, che l'autore si propone di pubblicare sull'arte del maestro di musica. Prima d'ogn'altra cosa vi esamina egli le idee di Aristotile, di Descartes, di Newton e d'altri sull'origine del suono, e sviluppa a questo proposito delle estese conoscenze, che prevengono in favore dell'opera ch'egli annunzia.

Tesi (Vittoria), nata in Firenze, fu una delle prime cantatrici dell'Italia nel secolo 18. Francesco Redi maestro di cappella fiorentino le diè le prime lezioni di canto. Ella portossi quindi a Bologna, e vi proseguì i suoi studj sotto la direzion di Campeggi, e frequentò insieme la celebre scuola del Bernacchi; applicandosi con zelo allo studio dell'arte di cantare, il suo gusto naturale la portò sulle scene. Nel 1719 cantò sul teatro di Dresda, e nel 1725 su quello di Napoli: nel 1749 cantò la parte di Didone, dramma del Metastasio messo in musica dal gran Jommelli, nel teatro di Vienna; e tutto che la Tesi sorpassasse allora i cinquant'anni di sua età, piacque più che prima la sua esecuzione. Lo stesso Metastasio scrivendo quell'anno alla principessa di Belmonte, andò in iscena la mia Didone, egli dice, ornata di una musica che giustamente ha sorpresa, ed incantata la corte. La Tesi è ringiovanita di venti anni. Essa stabilitasi in Vienna lasciò il teatro, ed impiegò i suoi ultimi anni nel formare delle giovani cantanti, ed attrici, tra le quali si distinsero la Teuber, e la de Amicis. Burney ne' suoi Viaggi t. 2 p. 236 racconta, che in Vienna ella ricusò generosamente la mano di un conte, per riguardo alla sua famiglia, e sposò un giovane di bassa lega. Il re di Danimarca onorolla nel 1769, della croce dell'ordine della fedeltà e della costanza. Morì ella a Vienna in età di più di 80 anni verso il 1775. Aveva la voce molto estesa, e cantava con uguale facilità sì nell'alto, che nel basso: il genere serio e 'l grazioso le eran familiari ugualmente.