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La plebe, parte IV

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– Avete giurato di recargli la morte per sottrarlo alle mani del boia… E s'io voglio che queste mani infami si prendano la vita di quell'avvenente che voi amate, nulla lo potrà sottrarre a tal destino… Che voi possiate penetrare ancora presso di lui dipende in tutto e per tutto da me.

– Voi ci avete spiati! esclamò la donna, che si sentiva dominare da quella nuova forza che le si rivelava.

Barnaba contrasse la faccia turbata in un amarissimo sogghigno.

– Sì: rispose crudamente: è il mio mestiere… E voi gli è da anni che seguita cautamente il mio spionaggio… Dacchè, tornato in paese, mi avvenne di vedervi… bella, più bella e desiderabile che mai… brillante, famosa, corteggiata da tutti, comperata dai più ricchi…

– Signore!

– Oh quante volte volli presentarmi a voi, e mai non n'ebbi ardimento: quante volte volli venirvi a dire come vi amassi e vi odiassi, quanto vi desiderassi e vi disprezzassi, e nol feci, sapendo mi avreste fatto scacciare come un miserabile… Allora sognai meco stesso di far giungere un momento, in cui voi avreste avuto bisogno di me, avreste dovuto supplicarmi, dipendere dal mio volere… E questo momento è venuto.

Zoe guardava quell'uomo con uno stupore che toccava alla paura.

– Ma chi siete voi? domandò. Che cosa vi ha di comune fra noi? Che pretendete da me?

– Chi son io? esclamò l'uomo. Guardatemi bene!

Diede un colpo al coprilume e lo fece cadere per terra: tutta la luce della lampada percosse la faccia tormentata di quell'individuo, a cui sarebbe stato impossibile assegnare un'età precisa.

– Mi riconoscete? domandò egli, avanzando il suo volto verso di lei.

– No: rispose la cortigiana, che lo guardava con occhi sbarrati e con un segreto turbamento che non sapeva spiegare a se stessa.

Barnaba sorrise amaramente.

– È giusto… Che cos'è un uomo che per voi ha commesso un delitto, che ha affrontato la forca per voi, che si è condannato ad un'intera vita d'abiezione per voi?.. Egli non merita pure un posticino di memoria nella vostra anima di donna… Non è vero, Martuccia?

All'udire questo suo antico nome, da lei medesima quasi obliato, fu un vero spavento che assalse la cortigiana, come se vedesse innanzi a sè sorgere uno spettro: ed era in vero lo spettro del suo lontano passato che le compariva in quell'enimma di uomo.

– Voi conoscete quel mio nome!.. Ma chi siete dunque?

– Mi domandaste che cosa vi ha di comune fra di noi? C'è un orribile vincolo che ci lega: un delitto, il sangue d'un uomo ucciso per vendicar voi e me…

Allora essa lo riconobbe finalmente; gettò un grido e chinandosi verso di lui a guardarlo meglio, esclamò:

– Gran Dio! Voi siete Pagliaccio?

– Son quello… Sono il compagno della vostra infanzia, il compartecipe dei vostri tormenti d'allora; il testimonio all'assassinio della vostra innocenza.

Quella donna indurita al vizio, incallita oramai alla corruzione, al rievocare di tal memoria si coprì colle mani la faccia.

L'antico pagliaccio continuava:

– Che cosa pretendo da voi?.. Voglio della vostra beltà che fino dalla prima giovinezza, fino dall'adolescenza ha posto nel mio sangue un ardore insensato di desiderio… Voi non sapete, non potete pure immaginare quanto io vi amassi fin d'allora, quanto io vi abbia sempre amata di poi, quanto vi ami tuttora!.. Nelle taciturne meditazioni a cui m'abbandonava durante la nostra miserabile vita nomade di saltimbanco, quai sogni di felicità io faceva con un destino che ci fosse comune, in cui tutte avrei impiegate le forze dell'anima mia a procurarvi una tranquilla esistenza!.. Quando lo scellerato nostro padrone vi fece quell'empio oltraggio, l'amor mio non isminuì di forza, ma cambiò natura: diventò men puro e forse anche più violento… Avrei voluto dapprima che voi foste morta di dolore e di vergogna per quell'orribile attentato… Vi avrei seguita ancor io nel mondo dei morti, ve lo giuro… Poi venni a desiderarvi con furore, con frenesia… Quante volte non pensai ricorrere ancor io alla violenza, e poi uccidervi ed uccidere me sul vostro corpo palpitante!.. Il pensiero dell'omicidio era entrato nell'anima mia, e mi possedeva come uno spirito maligno: non potevo sottrarmegli… Quel che avvenisse spero non avrete obliato… Quando vidi precipitare a terra morto quell'uomo, non un rimorso, non un rincrescimento mi nacque nell'anima; non pensai che a te! Fu allora soltanto che il tumulto della passione che mi fremeva nell'anima ebbe un primo, solo e fuggitivo sfogo: corsi da te, ti afferrai, ti strinsi in un amplesso fremente, ti baciai sulle labbra. Tu non te lo rammenti più quel bacio!.. Io l'ho portato meco come una sacra reliquia, come l'unico dolce tesoro della mia vita… Se tu allora fosti venuta meco, com'io ti dissi, che sarebbe stato di me, di noi? Chi lo sa? Forse ora tu non avresti l'infamia della cortigiana, ed io quella della spia… Ah! non ti accuso, nè mi lamento, nè rimpiango nulla… Se più non t'avessi rivista, sarei forse vissuto tranquillo nella ignominia del mio mestiere… Ma la fatalità volle mettermi di nuovo fronte a fronte con te.

Tacque un istante, come oppresso dal peso di queste memorie: essa, la Zoe, nella quale un'ardente curiosità, un vivo interesse s'erano desti, afferrò il braccio di lui e dissegli con calda sollecitazione:

– Dove? dove? dove e quando mi hai tu riveduta? E nel frattempo che era egli avvenuto di te?.. Oh dimmi tutto… Non è vero ch'io ti abbia obliato, povero mio Pagliaccio: tu fosti l'amico della mia infanzia, un fratello per me, fosti l'unico amico ch'io abbia avuto nella vita… Quante volte t'ho ricordato, sai, e desiderato rivederti, od almeno sapere di te!

– Ebbene sì, ti dirò tutto: rispose Barnaba dopo un istante di silenzio in cui parve occupato a domare la sua emozione e concentrare le sue memorie. Questo mio passato l'ho tenuto chiuso finora sempre nell'anima mia, senza lasciarne scorgere pure un segno, pure una traccia ad occhio altrui. Ora in tua presenza, insieme colla passione, lo sento traboccare. Ascoltami e impara a conoscermi.

«Fuggii senza saper dove… Non recavo impresso nel mio cervello il grido soffocato dalla morte dell'assassinato padrone, ma quello di stupore uscito dalle tue labbra rosse quando t'afferrai ad un tratto nell'amplesso violento: non avevo nella mente e nell'anima il ricordo del mio delitto, ma quello del bacio ardente che ti aveva stampato sulla bocca… L'istinto non la ragione mi faceva nascondere la mia persona e i miei passi ad ogni vista d'uomo. La ragione in me era compiutamente smarrita in quel tempo: vivevo come in un delirio continuo. Mi nascondevo il giorno, viaggiavo la notte: i miei alimenti li rubavo con miracoli indicibili di audacia e di destrezza. Venni giù lungo il Po, seguitandone il corso, ignaro de' luoghi, senza scopo altro che quello di fuggire. Alla fame che mi toccava sopportare, ero già da tempo avvezzo. Giunsi finalmente presso Ferrara, e là fui arrestato. La polizia pontificia nelle cui mani caddi, sfinito, affamato, presso a terminare i miei guai colla vita, mi tenne parecchi mesi in carcere senza curarsi altro di me; un giorno il carceriere annunziò ai suoi superiori ch'io stava per morire, e in un momento di pietosa ispirazione di qualche direttore fui trasportato all'ospedale.

«Ad un prete che mi venne intorno per farmi pensare all'anima, dissi tutto. Questo tale che aveva ingerenza nella Polizia vide in me una certa tenacia di propositi, una forza di volontà, onde avrebbe potuto vantaggiarsi il Governo papale; ne parlò al cardinale legato, e quando la robustezza della gioventù e la mia cattiva sorte mi trassero a risanare, venne dalla parte dell'autorità a farmi la proposta seguente: «mi mettessi al servizio della Polizia pontificia e sarebbesi ignorato sempre il mio passato e datomi i mezzi di vivere agiatamente; se rifiutassi sarei cacciato di là della frontiera e consegnato, come micidiale che ero, al Governo Sardo.»

«Non mi venne pure in mente di rifiutare: ed anzi mi parve quella una ventura. La mia vita anteriore non era tale da darmi scrupolosità nessuna circa i mezzi di guadagnarmi la vita. Il nostro padrone m'avea ispirato un tal odio contro gli scellerati miserabili, che mi sorrideva in pensiero di dar loro la caccia, parendomi che col perseguitare altri sciagurati uguali al saltimbanco, avrei continuato ancora la mia vendetta. Fui accanito nemico di ladri, assassini e liberali; fui tutt'insieme spia, sgherro, agente provocatore…

Zoe fece un moto quasi di ribrezzo.

– Ah! non inorridire… e non meravigliare se io ti dico ciò senza la menoma vergogna… Abbandonati a noi, coll'infanzia che avevamo passata, che cosa si poteva diventare se non quello che siamo?.. Tu una meretrice, io… quel che dissi… E di me non ho vergogna, e te non accuso. Siamo un effetto fatale delle circostanze.

«Ebbi la fortuna di rendere importanti servigi e progredii nella intrapresa carriera. Fui chiamato a Roma a quell'uffizio centrale, e colà sarei rimasto assai facilmente per sempre, se tu non ci fossi venuta, se non ti avessi rivista.

«Entrai un giorno nell'anfiteatro dove avevano luogo le rappresentazioni d'una compagnia equestre venuta dall'Alta Italia. Avevo udito parlare come di una vera meraviglia dell'agilità, della grazia e insieme della forza e del coraggio d'una saltatrice, fra le attrattive della quale non era ultima e meno efficace quella d'un'originale e potente bellezza. Tutta Roma se ne occupava: dicevano le male lingue che parecchi monsignori facevano omaggio del loro cuore e dei loro denari a quella figliuola d'Erodiade mandata dall'inferno per la loro perdizione. Io di donne non mi davo punto pensiero. Era questa anzi una delle mie forze: su di me venivano a spuntarsi le seduzioni delle Sirene, come le vere lagrime delle oneste fanciulle. Era il tuo pensiero che mi premuniva. I sensi e l'anima, tutto avevo assorto nella memoria dell'esser tuo; nessuna mi aveva riprodotto, che? adombrato nemmeno dinanzi quel tipo di cui mi rimanevi nella mente la più perfetta espressione. Entrai in quell'anfiteatro affollatissimo di gente ansiosamente aspettante senza il menomo stimolo di curiosità; quella sorta di spettacoli anzi mi ripugnava; ogni qual volta trovavo di quei saltimbanchi ambulanti, de' quali ero stato uno ancor io, me ne allontanavo con ripulsione; essi mi ricordavano le mie sofferenze infantili e il mio delitto; se non ci fossi stato tratto per ragion di servizio, forse nemmeno in quel circo di Roma non ci sarei entrato mai.

 

«Il popolo della città eterna è ancora quello dell'antico tempo, appassionatissimo per siffatti spettacoli. Una fitta immensa di teste coronava a varii ordini l'arena su cui piovevano torrenti di luce, e dove, per divertir quella plebe censita e non censita delle povere creature si esponevano a rompersi il collo ogni momento nei più arrischiati salti e giuochi di equilibrio sul dorso di cavalli correnti. Ne li compensava un entusiasmo strepitante che si manifestava in applausi clamorosissimi e senza fine. Io mi sentiva all'infuori di quell'ardore comune che possedeva tutto quel pubblico; mi trovavo isolato in mezzo a quella folla, ed anzi un velo di mestizia veniva a stendersi sulla mia mente e sull'anima mia. Ad un tratto a quel fragoroso pandemonio di voci, di grida, di battimani, di urla, successe un profondo silenzio, un silenzio quasi religioso. Era stata condotta nell'arena una cavalla bianca a dorso nudo, ornate le briglie di mappe e nastri svolazzanti color di rosa.

« – È la Leggera, vien la Leggera: udii mormorare intorno a me, e tutte le faccie si tesero verso il circo, e corse per tutta l'assemblea un fremito di piacere, come in anticipazione di quello cui ognuno si riprometteva.

«La tenda che pendeva alla porta per cui entravano nel circo gli artisti fu vivamente scartata: la musica fragorosa di stromenti d'ottone intuonò una marcia vivace, e con un salto prodigiosamente leggiero e grazioso si slanciò e fu in mezzo all'arena una donna. Ebbi lo sbarbaglio negli occhi, credetti sognare, mi dissi che quella forma che m'ero vista volare dinanzi nello scintillio dei lustrini del suo abito elegante da rappresentazione era una chimera della mia fantasia, era una visione del cervello malato sempre fisso nel pensiero d'una persona. In quella silfide avevo riconosciuto te, Zoe.

«Tutto il teatro era scoppiato in un tuono tale d'applausi, che chiamarli furibondi è dir poco. Tu t'inchinavi sorridente con grazia un po' superba, facendo cenni di ringraziamento col pome d'argento del tuo frustino; poi d'un balzo, senz'aiuto, fosti seduta sul dorso del tuo cavallo che s'impennava impaziente, contenuto al morso da uno scudiere, raccogliesti nella tua piccola mano nervosa le briglie bianche, e colla tua voce chiara, argentina, che giunse fino a me distinta ed armoniosa in mezzo a tutto quel baccano, gridando: «hop! hop! lasciate andare» ti slanciasti di botto al galoppo per l'arena.

«Avevo riconosciuto la tua persona, avevo riconosciuto la tua voce: eri tu, ma come diversa, essendo pur sempre la medesima! Eri tu, ma completa nella tua bellezza, perfetta nella potenza delle tue attrattive, cinta di quell'aureola di splendore che conveniva all'esser tuo, superba dello sfoggio della tua luce. Facesti due giri seduta sul dorso del cavallo, poscia, senza che ti si vedesse pure fare il balzo, tanto fu leggero il tuo movimento, fosti dritta in piedi sul destriero sempre al galoppo. Le tue forme così perfettamente belle si disegnavano in modo spiccato e preciso nella luminosa infuocata atmosfera di quell'ambiente; le tue chiome d'oro, in cui erano frammisti fiori di color di fuoco, svolazzavano all'aria come raggi di sole intorno al tuo capo; il seno anelante pareva pieno di desiderii e li eccitava rabbiosamente in altrui; le labbra rosse, i denti bianchissimi erano tutta una voluttà nel tuo sorriso; gli occhi saettavano scintille. Ogni atto, ogni mossa era una grazia, una bellezza artistica, un incanto. Tu affrontavi ogni più rischioso passo e lo superavi sorridendo: parevi aver domato il pericolo ed averlo fatto tuo schiavo. Si trepidava, si palpitava, si gioiva acremente a vederti. Tutte quelle migliaia d'occhi maschili ti divoravano, migliaia e migliaia d'ardori ti possedevano colla fantasia.

«Ed io?.. Tu mi turbinavi dinanzi come una visione. Il cuore mi doleva nel petto pel battere disordinato e violento. Tutto l'esser mio aspirava a te. Mi pareva impossibile che tu non dovessi sentire in mezzo a tutta quella folla l'effluvio della mia volontà, il trasporto verso te dell'anima mia… Che ti dirò di più? Uscii di là ebbro, la mente sconvolta, pazzo… Quante follie non immaginai!.. Presentarmi a te, farmiti conoscere, e rapirti, tornare al mio antico mestiere ed arruolarmi in quella compagnia ancor io… In quel troppo tumulto della passione così vivamente ridestatasi avrei certo commesso qualche follia; ma giusto allora per ragioni di servizio fui allontanato da Roma. Non ebbi la temerità di disubbidire; e quando fui di ritorno la compagnia equestre aveva abbandonata la città, e tu eri partita con essa.

«Rimasi lungo tempo sconclusionato, triste come una giornata senza sole. Avevo bisogno di sapere almeno di te, e ti seguii accuratamente nella tua carriera su per le novelle dei giornali. Sentii allora come una specie di nostalgia: era il bisogno non delle aure, del sole, della vista del mio paese, ma il bisogno di te. Sapevo che tu eri in Piemonte; un giorno la passione fu più forte d'ogni ragionamento: fuggii e venni di nuovo in questa terra da cui ero stato lontano tanti anni.

«La Polizia di Roma aveva già informata quella di Torino di ogni cosa che mi riguardava. Appena qui giunto fui preso e tratto innanzi al Commissario Tofi. Egli mi pose innanzi il medesimo dilemma che già il prete poliziotto di Ferrara: od essere giudicato come omicida, o farmi suo cieco stromento. Tu eri qui, mi piaceva fermar qui la mia dimora: mi diedi al signor Tofi.

«Cercai la tua presenza, ti ammirai da lunge, ma venirti innanzi non ardii mai. Lasciasti l'arte tua e sfavillasti nel mondo delle cortigiane, stella errante e più splendente delle altre: non cessai di amarti, di desiderarti, di volerti. Compresi che presentandomi a te, io umile, povero, oscuro, disprezzato agente di polizia, mi avresti scacciato. La fortuna mi condusse tali circostanze, e il mio presentimento me le aveva fatte indovinare, ed io fui accorto cooperatore alla fortuna; tali circostanze, dico, per cui tu hai da curvarti al mio volere – e di queste circostanze intendo trarre compiuto vantaggio in pro della mia passione.

– E sia: esclamò con una impudente franchezza la cortigiana: questa tua passione non offende il mio amor proprio. Ma poichè questo premio che tu cerchi l'hai desiderato cotanto e ci dài tanta importanza – e non sarò io di certo che te ne darò torto – lascia che almanco io ci metta un prezzo un po' meglio adeguato. Tu ora l'avresti comperato con nulla.

– Nulla: interruppe Barnaba: e il delitto che ho commesso per te? e gli spasimi di tanti anni?..

La Zoe gli si accostò col sorriso procace del suo mestiere e lo afferrò ad un braccio.

– Avrai compenso di tutto, gli susurrò ponendo le sue labbra presso all'orecchio di lui, quasi da toccarlo. Ti farò lieto e felice così che non troverai troppo pagata la tua ventura colle disgrazie del passato… Io voglio darti più assai che non domandi. Un'ora di voluttà, una notte di trasporti e poi abbandonarci? No. Ciò ti basterebbe a te?.. Ma se io ti consacrassi tutta l'esistenza? Se io volessi esser tutta per te e sempre? Non sono una venditrice di piaceri soltanto, quale tu mi credi, sai! Ho nell'anima tesori d'amore che non ho ancora aperti a nessuno. A nessuno, intendi! Fu il destino che volle li riserbassi per te. Credi tu che io abbia amato alcuno a questo mondo? Eh via! Ho conosciuto troppo gli uomini e quindi li ho disprezzati. Io non fui per loro che un giocattolo, che uno stromento di voluttà e di vanità la più stolta, essi non furono per me che mezzi di guadagno… Ma tu meriti ben di meglio. Il tuo amore così vivo, conservato a dispetto di tutto; la tua costanza, la foga della tua passione che ora ho visto traboccarti dall'anima, mi hanno tocca. Una donna non resiste a queste prove. Tu mi hai meritata, mi hai guadagnata e m'hai vinta… Senti: effettuiamo quei sogni che già fin da giovinetto tu facevi sul nostro destino; partiamo noi due soli, per andarci a nascondere lontano lontano, fuor degli occhi di tutti a vivere beati, per amarci soltanto. Tu benedirai la sorte e questa mia ispirazione, te ne assicuro, saprò animarti quella solitudine, e variarti la medesimezza de' nostri diletti. Io possedo in mobili ed ori e gemme una ricchezza; venderò tutto, avremo da vivere agiati e sicuri.

Lo sguardo, l'accento della Zoe, il contatto delle sue mani che gli stringevano il braccio, il caldo fiato delle labbra di lei che gli percuoteva sulle guancie spiravano nel sangue di Barnaba un febbrile calore che gli faceva pulsare il cuore e tumultuare il cervello. Prese la donna alle spalle, la tenne innanzi a sè, facendole piombare negli occhi il suo sguardo più penetrativo; e con una cupa fiamma di rossore sulla pallidezza morbosa del suo volto, le disse:

– Tu faresti ciò per me?

– Sì: rispos'ella francamente.

– Senza patti?

– Ah no.

– A qual condizione adunque?

La Leggera abbassò la voce.

– Fa fuggire Luigi.

Barnaba divenne più pallido di quel che fosse prima, le sue mani si contrassero sulle spalle della donna, come per convulsione di spasimo, le sue pupille saettarono uno sguardo feroce. Respinse da sè la cortigiana e con voce sorda, ma risoluta, espressione d'una volontà irremovibile, disse seccamente:

– No.

Poi si pose a passeggiare per la stanza, le braccia incrociate, il capo chino, sulla fronte e sul viso l'ombra d'una fiera amarezza.

Zoe stette un istante in silenzio, guardandolo attentamente. Siccome egli in quel punto non la vedeva, la fisonomia di lei aveva deposta quella sembianza di tenerezza che aveva ritenuta sino allora, e vi si scorgeva invece un'impazienza, un'irritazione, quasi una rabbia. Dopo un poco ella riprese la maschera dell'affetto, e domandò con voce la più soave che potesse:

– Perchè?

L'uomo si fermò di presente e si riscosse come colpito inaspettatamente da una botta. Levò la faccia e mostrò lo sguardo malvagio ed il sogghigno d'una spietata ironia.

– Perchè? diss'egli riavvicinandosi con passo lento alla Zoe; ah! tu mi credi dunque tanto novellino da lasciarmi ancora invischiare in queste panie?

Mutò ad un tratto espressione di viso e d'accento, e soggiunse con iscoppio d'odio feroce:

– Il tuo Luigi vo' che muoia infamemente sulla forca.

La Leggera mandò un'esclamazione di vero spavento.

– Ti leggo nell'anima, vedi: continuava l'antico pagliaccio. Tu mi faresti traditore al mio dovere, e poi mi pianteresti per ricongiungerti a colui: useresti di me come di un vile strumento, che quando ha servito si getta o s'infrange. Non mi ci lascio cogliere, disgraziata!.. Quell'uomo che tanto ti sta a cuore, sappi che è forse l'unico al mondo ch'io odii. Ad ogni altro ti sei venduta, non l'hai amato: il vizio aveva preso di te tutta la materia, mi figuravo che nel fondo del tuo essere vi fosse ancora un'anima che sonnecchiasse e potesse ridestarsi ed espandersi ad un amore completo qual era il mio: venne costui, e tu gli desti anche l'anima. Egli ti ha posseduta tutta, ti ha corrotto anche lo spirito. L'odio, e morrà.

Zoe volle ribellarsi a quella feroce pressione, che tentava dominarla.

– No, esclamò con forza: io lo salverò, dovessi ricorrere a qualunque mezzo.

– Non lo salverai, perchè di mezzi non ce n'è alcuno. Il tuo Principe non muoverà un dito…

La cortigiana fece un gesto di minaccia, che era una promessa di vendetta.

– Nè alcun altro – alcun altro, capisci – troverai pronto ad aiutarti… Avessi tu anche un milione da gettare, non riusciresti nell'impresa, perchè son io qui a vegliare, e non è possibile nè ingannarmi, nè farmi cambiare di proposito.

La Leggera saettò Barnaba d'un'occhiata piena di collera, tanto più feroce, quanto più impotente.

– Tu vuoi dunque ch'io ti detesti?

– Detestami, ma piegati al mio volere.

– E tu vuoi?

– Il medichino salirà sul patibolo, se io non lascio penetrare presso di lui la morte che tu hai promesso recargli… Or bene, la notte ultima sua, ch'egli passerà in confortatorio, sarà quella delle nostre nozze; il mattino, uscendo dalle mie braccia, ti lascierò entrare, un momento prima del carnefice, nella cella del tuo Luigi…

 

Zoe respinse inorridita quell'uomo che si era piegato verso di lei per susurrarle queste parole all'orecchia.

– Mostro! esclamò essa; e fuggì sbigottita da quella stanza.

– Pensaci! le gridò dietro Barnaba: non ci hai più che un giorno. Domani probabilmente la domanda di grazia sarà respinta, e i condannati saranno messi in confortatorio; domani sera attendo un tuo cenno…

La donna era uscita e correva raccapricciando per gli oscuri e freddi corridoi della carcere, e il guardiano che le doveva aprire poteva a mala pena tenerle dietro.

Ma l'odio di Barnaba aveva calcolato giusto: nissuna possibilità di salute era oramai pel medichino; invano Zoe tentò ogni via; dovette convincersi che altro ella non poteva far più per lui che procurargli l'invocato mezzo di sottrarsi all'infamia del supplizio. Prese tutto l'oro che possedeva e corse da un farmacista di cui aveva da tempo speciale conoscenza. Ebbero insieme un lungo e segreto colloquio; poi il chimico si ridusse solo nel suo laboratorio e la donna partì; ma verso sera questa tornò e si ridussero di nuovo a segreto abboccamento la cortigiana e lo speziale. Quando uscì dalla bottega, la Zoe aveva la faccia pallida, gli occhi turbati e le mani tremanti.

Il ricorso per la grazia era stato respinto: i condannati alle dieci del mattino erano stati introdotti in confortatorio: la sentenza di morte doveva essere eseguita il giorno di poi all'alba.

A sera già chiusa, Barnaba ricevette un bigliettino in cui era scritta una sola parola: «Venite.»

Era di pugno della Zoe.