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La plebe, parte IV

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– Ecco: si disse: tutto è finito. Stolto ch'io fui! Non ho saputo evitarla questa sorte che superbamente mi dicevo non sarebbe mai stata la mia. Qui fanno capo tutte le mie audacie e tutti i miei sogni!.. E non ho nemmeno saputo uccidermi!..

Pensò scaraventarsi col capo contro la muraglia ed infrangervisi la cervice: ma era tanto buio là dentro che non si vedeva abbastanza per misurare il colpo e l'aire. In quella udì riaprirsi le varie serrature e i chiavistelli dell'uscio, una luce rossiccia penetrò nel carcere, e gli si disse che doveva comparire innanzi al Commissario. Egli aveva ricomposto il suo volto alla superba calma di prima.

– Il vostro nome? gli domandò Tofi squadrandolo col suo burbero sembiante.

– Lo sapete: rispose brusco Quercia stando innanzi all'interrogatore colla mossa di un principe.

Il Commissario proruppe coll'accento che intimoriva qualunque:

– Ah! non vi crediate di fare il bell'umore con me, chè sono capace di ridurre alla ragione anche voi.

Gian-Luigi levò le sue mani legate all'altezza dei suoi occhi e si mise a guardare le profonde incavature livide e sanguigne che gli facevano nella carne le cordicelle.

Tofi vide quell'atto; diè una volta per lo stanzino, e chiamò dalla prossima camera una guardia con voce minacciosa e tonante.

– Slegate il prigioniero: disse bruscamente alla guardia che accorse.

L'ordine fu obbedito. Il medichino non disse nulla, non ringraziò nemmeno con uno sguardo, non mandò neppure un sospiro di sollievo: alzò le braccia in su ed agitò lievemente le mani per farne discendere il sangue agglomeratovisi tanto da renderne turgide le vene e gonfie le carni.

– Risponderete? disse allora il Commissario.

– No: rispose asciutto il prigioniero.

– Alla croce di Dio!

– Non bestemmiate, sor Commissario. Non ho nulla da dire, non voglio dir nulla. Rimandatemi nella carcere, risparmierete a voi l'irritazione e la collera, a me il fastidio di queste scene.

Tofi stette un istante in silenzio a guardare il suo prigioniero; poi gli si accostò lentamente.

– Lascierò il carico d'interrogarvi ai signori giudici; ve la caverete con essi come vi parrà; io vo' farvi una sola domanda che ha tratto ad un vostro interesse particolare, e rispondendo alla quale potrete averne giovamento.

Accostò le labbra all'orecchio del medichino e susurrò:

– Dove sono le lettere della contessa?

Un lampo sfavillò negli occhi di Gian-Luigi.

– Ah, ah! diss'egli scherzosamente: vi ha gente che s'interessa di molto a quella prosa?.. Or bene, prima di rispondere, ditemi un po', sor Commissario, quale sarà il giovamento che m'avete annunciato io ne avrei?

– Sareste trattato con più riguardi.

– Eh che cosa m'importa dei vostri riguardi? Esclamò con superbo disdegno il medichino. Avreste dovuto vedere ormai s'io sono una femminetta… Quelle lettere sono in luogo sicuro, e dite a chi se ne interessa, ch'io non isvelerò questo segreto fuorchè ad una persona sola: alla contessa medesima che si degni venire a fare un'opera di carità, visitandomi carcerato.

Non fu possibile cavarne altro. Quercia fu ricondotto alla sua prigione, e il Commissario per disperato, esclamò avrebbe fatto qualunque cosa per venire a capo di spuntarla e metter la mano su quelle carte. Barnaba che aveva taciuto sino allora, accasciato com'era e mezzo disteso in un angolo, si levò e venne dire al Commissario:

– Credo avere indovinato chi è il depositario di quelle lettere.

– Chi? domandò Tofi con tutto l'interesse che meritava una simile circostanza.

– Una donna che fu la confidente di quest'uomo, che forse ne è complice e che si farebbe molto bene ad arrestare eziandio: Zoe, detta la Leggera.

Il Commissario strabiliò.

– La mantenuta del Duca!.. Siete matto? Volete perderci tuttidue?

– Se si facesse una perquisizione colà, son certo che si troverebbero quelle lettere che vogliamo avere.

Tofi pensò un momento.

– Converrebbe che a far ciò ci fosse un agente dei più sicuri…

Barnaba si fece ancora più pallido di quello che era, disse mettendo una mano sul braccio del Commissario:

– Ci andrò io stesso.

– Voi! Se non potete più reggervi in piedi!

– Avrò forza bastante anche per ciò… Lo desidero, la prego di concedermelo.

– Ebbene sia.

Era presso la mezzanotte quando Barnaba con sufficiente scorta s'introduceva nella casa abitata dalla Zoe e suonava all'uscio della celebre cortigiana.

CAPITOLO XXIII

La Maddalena, sferratasi a quel modo che abbiamo visto, dalle mani dell'arciere, si diede a correre per le viuzze scure e tortuose di quella antica parte della città, senz'altra direzione e senz'altro scopo fuor quelli d'allontanarsi dalla bettola e il più presto possibile. Si temeva inseguita, e non cessò dal correre, finchè non la si trovò fuori della città, sopra uno dei viali che circondavano allora Torino, in una perfetta oscurità ed in un più perfetto silenzio. Allora la si fermò alquanto, e per riposare, e per riavere un po' di respiro affatto impeditole dall'affanno, e per pensare che cosa dovesse fare.

La prima cosa che voleva era sapere del medichino. S'accorse che le gambe l'avevano portata su quel viale dove era la casetta isolata dei misteriosi ritrovi, e per prima cosa pensò accostarsi cautamente a quella palazzina, per tentare di scoprirvi alcun che. S'accorse di subito, appena l'ebbe vista, che la casa era occupata, e non dubitò punto che non ci fossero gli agenti della Polizia. Indugiatasi in quelle vicinanze un po' di tempo, ora venendo presso al muro nella speranza di scorgere cosa che le svelasse il vero, ora allontanandosene per timore d'esser vista da qualche poliziotto messo a guardia ed in agguato, avvenne che ad un punto ella vedesse uscire di là un gruppo di più persone, fra le quali non tardò a conoscere Graffigna e Stracciaferro, posti in mezzo e legati alle mani.

Suo primo impulso fu spingersi innanzi, mostrarsi ai due mariuoli, interrogarli con uno sguardo che essi avrebbero capito ed a cui avrebbero saputo rispondere per apprenderle la sorte di Gian-Luigi. Ma se ne trattenne, con più prudente consiglio, che mostrandosi correva rischio, anzi era certa di essere arrestata anch'essa, ed allora non avrebbe più nulla potuto per lui, al quale, senza sapere ancora il come, era suo proposito, sua speranza, suo unico pensiero il giovare.

Vide allontanarsi il gruppo de' prigionieri, ed ella rimase colà, nascosta nell'ombra, dietro il tronco d'un grosso albero, i piedi nella neve, la testa scoperta, le spalle non difese, all'aria frizzante di quella notte d'inverno, che la era quale al momento dell'invasione de' poliziotti trovavasi nella calda atmosfera della bettola, incerta l'animo, palpitante, tremante.

Che cosa era successo in quella palazzina? Che cosa in Cafarnao? Era egli finito colà l'atto della tragedia in cui era in giuoco ciò ch'ella aveva di più caro sulla terra? Pareva di no, perchè nella casetta continuavano ad esser lumi e vedersi moto di ombre traverso i cristalli. Maddalena era nella più ansiosa dubbiezza del mondo. Mentre la non si poteva staccar di lì, perchè una voce segreta pareva avvertirla che in quel luogo si decideva la sorte di lui, la quale era la sua sorte; una quasi rampognante riflessione le diceva che forse avrebbe potuto altrove spender meglio quel tempo che lì consumava inutilmente in sì febbrile ma sì inerte aspettazione, che avrebbe dovuto esser già corsa all'abitazione di lui, dove avrebbe sentito di certo, senza pur interrogare, dalle ciarle della strada, se il medichino colà fosse stato colto, o no, che avrebbe potuto già far qualche cosa per adoperarsi in favore di lui, per salvarlo.

L'istinto che la teneva inchiodata a quel luogo ebbe ragione. Dopo una lunga attesa, che a lei parve eterna, udì nuovo rumore di gente che si moveva dalla palazzina, vide un altro gruppo di persone uscire da quell'uscio, scendere lo scalino, venir lentamente traverso il cortile, accostarsi al cancello di ferro. Non ebbe mestieri che d'un'occhiata sola per conoscere al chiaror della luna, chi fosse quell'uomo che più legato ancora dei due che erano usciti precedentemente, veniva fuori in mezzo ai carabinieri, camminando con uno stento che si sforzava a dissimulare.

Era lui! Maddalena sentì il sangue darle un rimescolo: ebbe appena tanto di prudenza e di forza da trattenere nella gola il grido di dolorosa sorpresa, di spasimo e di rabbia che voleva scoppiare; si tenne al tronco dell'albero dietro cui si riparava, e nella rugosa corteccia dell'olmo piantò le sue unghie, tra per sorreggersi in piedi chè le gambe le mancavan sotto, tra per dare un subito sfogo alla tanta passione tormentosa che l'invase.

Come le apparve bello al pallido chiaror della luna! Più pallido di quel raggio, che illuminandole, pareva accarezzarne le sembianze, ma fermo, ma tranquillo, ma con una leggera amarezza d'ironia che pareva una nota di superiorità a quelli che lo circondavano, all'umana schiatta, alla sua sorte, egli rappresentava una sfera di gentilezza, un ideale di distinzione a quella giovane plebea dal sangue ardente, in cui tumultuava la passione, cui spingeva un'aspirazione d'istinto verso il bello e l'eletto, come spinge anche la farfalla notturna una ignota possa verso la lucentezza della fiamma.

Avrebbe voluto slanciarsi addosso a lui ad abbracciarlo; avrebbe voluto aver le forze di Sansone per atterrare quei rappresentanti della tirannia sociale e liberarlo; non voleva a niun conto lasciarlo passare senza fargli sentire che ella era lì, che il cuore di lei non si mutava e traboccava di passione per esso, che a costo anche della vita avrebbe ella tentato giovargli. Ma non dimenticò la prudenza, camminando pian piano, con accorta cautela, venne a portarsi innanzi ad uno dei rari lampioni che avevano ufficio, e non lo adempivano, di rischiarare il viale, e si pose in modo che ella, stando nell'ombra, vedesse chi passava nel ristretto cerchio di luce rossastra, mandata dal lampione. Quando Gian-Luigi fu a quell'altezza, ed ella ne potè ancora mirare le dilette sembianze, Maddalena levò la voce in quel silenzio della notte, che non era turbato fuorchè dal passo in cadenza dei carabinieri, gridò una sola parola:

 

– Spera!

I carabinieri si riscossero e gettarono acuti sguardi nell'oscurità da quella parte ond'era venuta la voce; ma nulla scorsero. Gian-Luigi quella voce la riconobbe: volse a quel punto un sorriso di ringraziamento, di gratitudine, d'affetto e continuò tranquillamente la strada.

Maddalena era sparita.

Prendendo la corsa lungo il viale nella direzione opposta a quella che avevano i carabinieri col loro prigione, nell'intento di rientrare in città per un'altra parte, Maddalena non sapeva bene ancora che cosa avrebbe potuto fare, che cosa avrebbe fatto in pro del suo amante. Agire, la doveva, la voleva; sentiva una interna agitazione che non la lasciava stare alle mosse. Ma che fare? che fare, ella povera fanciulla della plebe, senz'altre attinenze che coi miserabili perduti nelle più basse regioni della infima classe, nel fango sociale della povertà, dei vizi e del delitto? Avrebbe dato tutta la sua vita, la sua bellezza fin anco, la sua parte di paradiso (se pur osava sperar d'avere possibilità d'entrarci) per arrivare un momento, un solo momento, a possedere forza e potenza, l'autorità del grado, del nome, della ricchezza, la balìa delle cose del mondo. Un'idea spuntò finalmente nel suo cervello affaticato a immaginare spedienti dalla sua volontà incitata dalla passione. Si ricordò che quel Barnaba medesimo, che era stato messo di certo alla caccia del medichino, parlandole di costui appunto, le aveva rivelato come Quercia fosse l'amante della Zoe, cortigiana sfarzosamente elegante, mantenuta d'un Principe, della contessa di Staffarda, nobilissima fra le nobili dame della città. Queste donne dovevano avere quello che a lei mancava, l'influenza; ed esse al pari di lei dovevano desiderare ardentemente di adoperarsi in pro del giovane, poichè lo amavano. Non c'era altro adunque per allora da fare che correre da una di queste, da tuttedue, raccontare il fatto e spingerle subitamente all'opera. A quale doveva ella dare la precedenza? Editò alquanto, e poi si decise per Zoe. Quantunque in altro ambiente, in altro grado, direi quasi, quest'ultima era pure una cortigiana; e Maddalena sentiva quindi con essa maggiori i punti di contatto, e per ciò glie ne pareva più facile l'abbordo e che le sarebbe meno impacciato, quando si trovasse in faccia a lei, il discorso. Da Barnaba essa s'era fatto dire l'indirizzo dell'abitazione dell'una e dell'altra dalle sue rivali: senza perder più tempo, corse dalla Leggera.

Costei, ancora in iscrezio col suo principesco amante, si faceva consolare dell'abbandono di lui dalle galanterie del signor Bancone, il re di denari nel mondo bancario d'allora; galanterie quotate alla borsa del cuore della celebre cortigiana, e presentemente in rialzo. Quando la confidente megera, che le serviva anche da mezzana sotto il pretesto di farle da fante, venne a susurrarle nel padiglione di un'orecchia che una povera popolana, giovane, belloccia, agitata, ansante era colà che chiedeva parlarle di cosa gravissima e che premeva assai, la Zoe non ebbe altro miglior pensiero fuor quello di mandarla ai cento mila diavoli e risparmiarsene il fastidio d'una visita e d'un colloquio che non poteva e non sapeva attribuire a cosa che lei potesse riguardare. Fra la schiera immorale e tuttodì crescente con sempre più audace spudoratezza delle venditrici d'amore, la Leggera teneva un poco invidiabile e pur da molte e da molte invidiato primato; invidiato non che dalle compagne di vergogna cui la bellezza o la fortuna non favorivano di tanto, ma, e questo è doloroso a pensarsi, dalle ragazze di povere famiglie che stentavano la vita e si frustavano la non sorrisa giovinezza ad un povero lavoro, e cui la mancanza d'attrattive, il caso solamente, la sorveglianza de' genitori soltanto, non più un'onestà che era sparita nelle dure prove della miseria, impediva di avere con sì facile infamia vesti di seta ed ebbrezza di vizi. Per ciò all'antica saltatrice di corda e danzatrice sul dorso di cavalli, avveniva sovente quello che suole avvenire ad artisti da teatro di gran fama, a cui, cioè, molti, o spinti dalla vocazione, o dalla molla d'una vita che appare al pubblico piena di soddisfazioni e di gaudii, o dalla mattana, o dall'irrequietezza dell'indole, ricorrono per aver consigli, avviamento ed aiuti per intraprendere quella carriera in cui il consultato è giunto già a sì elevata meta. Dalla Zoe ricorrevano povere fanciulle abbandonate dall'amante, perseguitate dalla tirannia d'un padrigno, od anche d'un padre ubriacone, perseguitate dalla miseria, solleticate dalla smania dei piaceri mondani, dall'infingardaggine e dalla voluttà, per imparare come si doveva fare a vendere utilmente quel poco d'onore che loro ancora rimaneva. La Zoe, o loro rispondeva con disprezzosa ironia, o le respingeva con indegnazione, o si commoveva alle narratele miserie e veniva largamente in soccorso della sventura: imperocchè per un'anomalia, che trovasi frequente in questa fatta di donne, ella, spietatissima a pelare i giovani che le cadevano sotto le unghie, non dandosi il menomo pensiero pur mai de' guai, delle dissensioni o de' danni che recava in oneste famiglie, era poi a volta a volta pietosissima per le sofferenze dei poveri, per quelle strette della miseria traverso le quali ricordava pure esser passata la sua infanzia, e di cui non esente la sua adolescenza.

Quando adunque la cameriera osò violare la soglia del gabinetto in cui la padrona e il banchiere milionario stavano fronte a fronte nell'intimità d'un petit-souper inaffiato del vino spumeggiante di Sciampagna, la Zoe credette che la fanciulla presentatasi a domandare un colloquio con lei fosse una di quelle sventurate, a cui l'urgenza del pericolo o della miseria facesse impaziente di gettar via al più presto quel poco fardelletto di virtù e incaricò la fante della risposta che accennai poc'anzi: ma quando la cameriera medesima tornò a riferire che quella giovane con aria della maggior disperazione insisteva per vedere subito la signora, affermando trattarsi di vita o di morte d'una persona che a lei pure era carissima, la cortigiana non fu mossa da nessuna inquietudine, sibbene da una certa curiosità che le fece sperare nel domandato colloquio, uno spasso, un'occupazione d'un quarto d'ora – tanto di rubato alla fastidiosa compagnia del Giove della banca che l'aveva visitata in Anfitrione.

– Che cosa c'è? domandò appunto questi veggendo i sommessi parlari della cameriera colla padrona.

Zoe guardò la faccia melensamente vanitosa del banchiere ringalluzzito dal vino di Francia, i ciondoli d'oro che oscillavano e tintinnivano sul madornale di lui ventre, e sentì viemmaggiore il desiderio di un diversivo.

– È una povera giovane che dice avermi da parlare di cose di rilievo… La vogliamo far venire?.. Chi sa che le sue ciancie non ci divertano!.. La è anche bellina.

Bancone ebbe un sorriso, in cui erano armoniosamente fusi quello d'un Satiro e quello di Sileno.

– Ah ah! la è bella? domandò egli alla fante, facendo saltare i gingilli dell'orologio.

– Signor sì.

Il banchiere si sdraiò di meglio sulla poltrona cui occupava col suo corpo da elefante, ponendo in vista maggiormente la potenza della sua pancia da Epulone; prese in mano un bicchier da Sciampagna e guardò con occhio ammiccante il rifrangersi della luce traverso il liquore rosato.

– Va bene, va benissimo. Fate pure entrare quella ragazza.

Nell'entrare in quel luminoso e caldo camerino pieno di tanti profumi che salivano impetuosamente al cervello: fiori, acque nanfe, vapori di vivande e di vini, Maddalena rimase come abbagliata e sbalordita. La veniva dal freddo e dall'oscurità della notte, e trovavasi di botto, come per un colpo di verga magica, trasportata in mezzo ad uno splendore di Eden sensuale. Stanca ed ansimante per la corsa che aveva fatta, la si arrestò un momento sulla soglia e gettò nel gabinetto uno sguardo di stupore, di curiosità quasi selvaggia. Gli occhi accesi dalla passione del cuore e dall'animazione del sangue, le guancie infiammate per la violenza del moto, pel flagellare dell'aria ghiaccia notturna, pel rapido passaggio dal freddo intenso della strada al calore pieno di effluvii di quello stanzino, la bellezza proterva della popolana aveva una tale espressione di temerità, di sfacciataggine direi, che il vizio intelligente del vecchio libertino ne fu sovraccolto.

– Oh oh! esclamò egli posando il suo bicchier da Sciampagna sul candidissimo mantile: ecco una mariuola che deve sapere l'affar suo. Venite avanti, venite avanti, ragazza.

La Zoe aveva piantato i suoi occhi smaglianti e a fior di pelle in volto alla nuova venuta, e col tatto che è dote naturale delle donne, in lei fatto più fine per codesto uso dall'esperienza, aveva subitamente giudicata la strana visitatrice; la non era di quelle solite che vengono a chiedere consigli di corruzione o soccorsi; ella non aveva bisogno di andare a prendere da nessuno lezioni d'audacia o d'arte per torsi d'impaccio. Ma per che cosa veniva ella dunque? Vi era nella sua risolutezza qualche cosa di amaramente doloroso, nell'attenzione con cui guardava quella innanzi a cui aveva domandato essere introdotta, v'era alcun che d'ostile e insieme di espansivo. Zoe guardò con non celata curiosità quel mistero in gonnella cui non sapeva spiegarsi. Maddalena, nel medesimo tempo, esaminava con un sentimento assai complesso la famosa cortigiana. Ne scrutava con occhio critico di rivale la bellezza, ne studiava nell'espressione dei tratti l'indole, per indovinare che cosa potesse sperarne. Quei due esseri simili, in quel mutuo raffronto, non ostante un certo elemento di ripulsione che sentivano fra loro, si riconobbero un'anima compagna, un'origine comune, una sorte medesima ed un inesplicabile legame che le avvinceva.

Zoe fece un gesto invitativo colla mano e disse a sua volta:

– Venite avanti.

Maddalena venne fin presso alla tavola su cui specchieggiavano i cristalli e gli argenti, appoggiò una mano al tessuto finissimo di quel mantile di tela di Fiandra candido come la neve appena caduta, e disse con voce che l'affanno della corsa e l'emozione del momento rendevano saltellante e velata:

– Scusi se vengo a disturbarla, ma si tratta di cosa che preme cotanto!..

– La è un pezzo di consistenza: disse col cinismo del ricco corrotto e corruttore, Bancone, che guardava con occhio cupido le forme procaci della giovane plebea. Avete freddo, eh carina? Sedetevi qui presso me, innanzi a questa bella fiammata. Ve' la non può manco trarre il fiato. Aspettate: bevete questo bicchiere e ne sarete rinfrancata.

Riempì sino all'orlo di vino di Sciampagna un bicchiere fatto a calice e glie lo porse. Maddalena lo prese, guardò chi glie lo stendeva con una malvogliosa indifferenza, come si fa d'un fastidioso che secca incontrare, e bevve d'un fiato.

– Da brava: esclamò Bancone, tornando ad arrovesciarsi sulla sua poltrona e scoppiando in un riso grossolano e sgangherato che gli era solito. Che ne dite eh, cara la mia giovane?

Allungò un braccio per prenderla alla vita; Maddalena si trasse in là e lo guardò con dispettosa impazienza.

– Tacete: disse severamente Zoe all'Anfitrione, e state fermo.

Poi volta alla giovane:

– E voi, che cosa avete da dirmi di tanta premura?

Maddalena accennò con moto del capo al grosso banchiere.

– Ho bisogno di parlare a Lei sola.

La Leggera si levò e disse alla giovane:

– Venite meco.

– Ecchè? Voi mi piantate in questo bel modo? Esclamò Bancone volendo dare al suo aspetto ed alla voce l'espressione del corruccio d'un uomo che paga per essere divertito.

Zoe, che già era avviata all'altra stanza, non volse che la testa verso il milionario.

– Se volete aspettarmi, siete padrone: diss'ella: se vi rincresce l'indugio, siete padrone eziandio di andarvene.

Il banchiere borbottò una filza di rimproveri al battente dell'uscio che si rinchiuse dietro le spalle delle due donne, e sfogò la sua bizza sulla bottiglia di Sciampagna che aveva a tiro della mano.

– Ebbene? domandò la Leggera, piantandosi in faccia alla popolana. Ora siamo sole e potete parlare.

Maddalena avvicinò il suo al capo della interrogatrice, le affondò, per così dire, gli occhi negli occhi e disse con voce sommessa, ma vibrata:

 

– Gian-Luigi fu arrestato.

Zoe ebbe un sussulto di tutta la persona e una fiamma le balenò nello sguardo; ma raffrenatasi tosto, disse freddamente:

– Chi? Quale Gian-Luigi?

– Quercia: rispose sempre a voce bassa ma con una veemenza quasi indignata la Maddalena: il medichino, il vostro amante… ed il mio!

– Chi siete voi? domandò allora la cortigiana, serrando al suo petto le braccia. Come mi conoscete? Perchè siete venuta da me? Ditemi tutto, e siate schietta e veritiera.

La giovane contò ogni cosa, dalla prima conoscenza da lei fatta di Gian-Luigi che aveva visto con abiti da popolano, frammisto a popolani, introdursi nella taverna di Pelone, alla compiuta fiducia che presso di lui le aveva acquistato la sua devozione amorosa, agli avvenimenti di quella sera che avevano finito coll'incarceramento del medichino.

– Ed ora che cosa bisogna fare? disse la Leggera, quasi interrogando se stessa, quando Maddalena ebbe finito.

– Bisogna salvarlo: esclamò la popolana con forza e calore. Bisogna che lo salviamo noi, donne che lo amiamo. Io, sventurata, non ci posso nulla che metterci la mia vita. E son pronta a dare tutto il mio sangue. Ma Lei e la contessa di Staffarda che sono potenti: loro possono e debbono toglierlo dal mal passo… Io imparai l'indirizzo di casa sua, con ben altri intendimenti che di venire ad un amichevole colloquio, sa!.. Fui gelosa di Lei con una rabbia feroce, e mi sarei sentito il cuore e la forza di sbranarla. Ma ora ch'egli è colpito dalla sventura, ho pensato che non avremmo più che una volontà sola, che uno scopo… Lo salvi, ed io le sarò riconoscente più che se me avesse tolta alla morte…

Zoe meditava. Recarsi dal Principe non le pareva in quel momento il mezzo migliore; per riafferrare tutta la sua influenza su di lui era necessario lasciare che S. A. fosse la prima a venirsi umiliare alla bassezza della cortigiana: ed andarlo a cercare essa per supplicarlo in favore appunto di colui che era stato la cagione del suo principesco furore, era un'imprudenza e non altro. Il cenno che Maddalena fece della contessa di Staffarda le richiamò alla mente una circostanza che in quel punto non ricordava, e la pose sulla vera strada.

– La contessa di Staffarda! diss'ella. Sì! Ecco il filo che si ha da tirare. – Ella per amore e per paura… e suo marito… sì, anche suo marito ci ha da concorrere – il marito colla minaccia della pubblicità. – A ciò pensava Luigi dandomi quelle lettere… Le sono un vero talismano.

Si volse a Maddalena e disse ratto:

– Aspettatemi un momento, ed usciamo insieme.

Suonò con forza il campanello.

– Si attacchi subito subito e in tutta fretta: disse alla fante che accorse. A me un cappellino, una mantiglia, una cosa qualunque da mettermi sulle spalle…

La non era vestita che di una stupenda veste da camera di cachemir foderata di seta; e nelle biancherie del collo e nella chioma aveva un disordine, effetto di quella orgia a due che la Maddalena era venuta ad interrompere. La cameriera domandò qual abito avesse da recare, per indossarle.

– Nessuno: disse con impazienza la Zoe. Dove vo non avranno campo nè voglia da guardarmi l'acconciatura.

Si avviluppò in un mantello e passò nel gabinetto dove Bancone combatteva la noia dell'attesa con gli avanzi del banchetto.

– Mi capita una delle maggiori sciagure che mi potessero mai capitare: disse affrettatamente la cortigiana a Bancone sbalordito. Bisogna ch'io corra subito a tentar di rimediarvi. Non vi dico più di aspettarmi e perchè non so quando potrò essere di ritorno, e perchè tornata, non avrò tale umore da esservi di piacevole compagnia.

E senza aspettar risposta, fatto cenno alla Maddalena di seguirla, uscì. La carrozza era pronta, le due donne vi salirono, e pochi minuti dopo arrivavano alla porta del palazzo di Langosco.

– State qui dentro ed aspettatemi: disse Zoe alla sua compagna, ed aperto l'usciòlo saltò leggermente a terra, corse per l'andito, su delle scale, e si presentò nell'anticamera degli appartamenti, dove parecchi domestici stavano sbadigliando.

– Vorrei parlare alla contessa: disse vibratamente la Leggera e con tono di comando.

– Non si può: rispose uno dei domestici: la signora contessa è a letto malata e non riceve nessuno.

La cortigiana guardò con aria di superba superiorità i domestici, e soggiunse fieramente:

– Andate dire alla vostra padrona che sono la Zoe, detta la Leggera, che ho da dirle cose che la riguardano molto da vicino, e che non mi parto di qua senza averle parlato.

Candida che sapeva pur troppo qual unico punto d'attinenza esistesse fra sè e quella donna, indovinò riguardo a che ed a chi le si voleva parlare: e benchè una grande ripugnanza fosse in lei a mettersi a contatto con simile rivale, la curiosità, l'ansia, il pensiero di apprendere qualche importante circostanza, la paura d'uno scandalo fecero ch'essa tal ripugnanza superasse, e la Zoe venne introdotta nella camera da letto della contessa di Staffarda.

Quelle due donne di sì diversa classe, educazione e qualità, che ora si trovavano a fronte per sì strano giuoco di caso, già si conoscevano di veduta, già, senza che paresse, incontratesi parecchie volte per istrada ed a teatro, s'erano esaminate con occhio di rivali, non ostante la immensa distanza che ne separava la condizione, ed avevano recato l'una dell'altra reciproco, dispettoso e sprezzante giudizio della bellezza. S'erano odiate: la Zoe perchè nella nobile dama invidiava quella superiorità sociale contro cui, anche in lei, si ribellava il sangue plebeo; la contessa perchè con vergogna sapeva che la vil cortigiana le disputava l'amante. Si disprezzavano eziandio: e in un contrasto fra loro, Candida aveva da riuscir meno forte e risoluta, perchè non aveva più nemmeno di se medesima la stima, e l'autorità del grado e del nome ch'essa aveva coscienza d'avere macchiato, non bastava a tener luogo di quella della virtù che aveva perduta, contro la sfacciataggine della donna, che del disonore faceva il suo mestiere. Si guardarono un poco senza parlare, anche quando, per ordine della contessa, furono lasciate sole; e l'imbarazzo e l'onta apparvero sulla fronte della padrona di casa che accoglieva una tal visitatrice, e non su quella di costei.

Povera Candida! Com'era ella mutata in poco tempo! Il pallore ordinario delle sue guancie – una delle sue bellezze – che le dava un'espressione di sentimento e rivelava l'essere della sua anima appassionata, era diventato un pallore morboso, segno di sofferenza; il viso dimagrato, le labbra scolorate, le occhiaie infossate ed allividite, gli occhi brillanti d'una luce febbrile colle palpebre rosse rivelavano le ansietà e i patemi dell'animo suo, le mal celate lagrime dolorose. Sollevandosi alquanto della persona, col gomito puntato ai cuscini, ella stava aspettando, come si aspetta l'annunzio d'una sventura, le parole che erano per uscire dalle labbra della cortigiana; ma questa, come se godesse di quell'ansietà e di quell'imbarazzo, si teneva immobile, in silenzio, innanzi a lei, le braccia incrociate al petto, con mossa d'una insolente famigliarità, con un certo piglio di ostile osservazione, di ironia e di minaccia.

La contessa si decise a provocare con una richiesta le parole della Zoe. Esitò un momentino se avesse ad usare il voi od il lei parlandole; e per allontanare la difficoltà, disse nel modo seguente, non senza sforzo e con voce non del tutto sicura:

– Siamo sole; si può parlare liberamente e credo non vi sia ragione d'indugiare. Sono qui ad ascoltare tutto quello che mi si vuol dire.

La Leggera fece ancora un passo per avvicinarsi di più al letto, si curvò alquanto della persona, come per diriger meglio le sue parole sulla faccia della contessa, e guardandola sempre a quel modo impertinente e minaccioso, disse con voce sommessa, ma vibrata: