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La plebe, parte IV

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Aprì pian piano l'invetrata e il suo occhio corse rapidamente su due punti: all'uscio per cui entravano gli uomini della Polizia ed al tavolino sul quale erano le torricelle lucenti dei napoleoni d'oro.

Barnaba s'avanzò nella stanza, e dietro di lui si schierarono in fila quattro brutti ceffi che non mentivano colle sembianze il loro essere di arcieri travestiti.

– Non si sgomentino, disse il poliziotto che camminava ancora a stento, appoggiandosi ad un bastone: non siamo venuti che per arrestare il sedicente dottore Luigi Quercia.

La vecchia similitudine dell'effetto che produce un fulmine precipitato a ciel sereno, non può menomamente esprimere lo stupore di quell'adunanza alle parole dell'agente di Polizia.

Stettero lì, intenti tutti quanti, guardandosi, mentre Barnaba con una rapida occhiata mandata in giro si rendeva conto della situazione materiale delle cose per decidere del modo più opportuno di agire. Vide Quercia nel vano della finestra e fra sè e lui frammezzare il gruppo degl'invitati, il tavolino su cui era stato rogato il contratto e il notaio che si levava allora esterrefatto, e per ultimo Maria che all'udire le parole del poliziotto s'era gettata al petto dello sposo, come per fargli scudo della sua persona.

Il medichino ancor egli guardava codesto e pesava le circostanze di tal disposizione di persone e di luoghi per servire al suo scampo. Non aveva menomamente perduto del suo sangue freddo, nè aveva smesso il suo superbo sorriso. E pensava:

– Fortuna traditrice! Nel migliore la mi manca. Due giorni avesse tardato i suoi colpi!.. Qualcheduno mi ha tradito… chi?.. Lo saprò, e allora!.. Intanto sfuggiamo alle loro unghie… Potessi almeno arraffare eziandio parte di quel denaro!..

Barnaba aveva visto le invetrate aprirsi cautamente sotto la mano di Quercia. Se le forze glie lo avessero concesso, si sarebbe slanciato egli medesimo addosso all'uomo da arrestarsi: ma egli appena si reggeva in piedi.

– Eccolo, gridò additandolo ai quattro seguaci, eccolo là alla finestra: presto, afferratelo, ch'ei non ci sfugga.

Ma gli uomini avevano da passare in mezzo al gruppo degl'invitati che avevano assistito al contratto, i quali senza punto volerlo, ma per l'attonitaggine in cui erano, stavano piantati a fare ostacolo; e quindi avevano da schivare il tavolino che si trovava nella linea retta da loro al medichino.

– Sì, sono qua, gridò questi con una temeraria ironia; ma non mi ci avete ancora preso, signori miei.

Erasi accorto che doveva rinunziare a far bottino di quei bei napoleoni d'oro che splendevano sulla tavola, e n'aveva un dispetto da non dirsi; appena appena se gli era possibile la fuga per la finestra. Si sciolse dall'amplesso di Maria che stava palpitante sul suo seno; la rigettò bruscamente contro i quattro uomini che si slanciavano su di lui; colla rapidità del lampo fu sul parapetto della finestra e di là nel cortile.

Maria strammazzò nelle gambe degli arcieri, mandando un grido, e colla sua caduta li arrestò un istante.

Barnaba, fatto più pallido, le labbra contratte dall'ira, gridava:

– Su, su, animali, buoni da nulla: fategli fuoco addosso; ch'e' non ci sfugga, alla croce di Dio!

Quando gli arcieri giunsero ad affacciarsi alla finestra, videro un uomo che si dibatteva in mezzo a quattro altri ond'era circondato; si udirono due colpi di fuoco, due dei quattro caddero e quello che era stato aggredito fu visto fuggire con una rapidità straordinaria verso le macerie della fabbrica incendiata.

– E' ci scappa, e' ci scappa: gridava furibondo Barnaba, giunto ancor egli alla finestra. Fuoco, fuoco, su di lui.

Fu salutato dallo sparo di parecchie pistole, ma inutilmente: egli era sparito.

Giacomo e Teresa erano accorsi a sollevare la figliuola; indicibile era l'emozione in tutti.

– Signore, disse poscia il signor Benda con voce tremante dal turbamento e dallo sdegno; si può almeno sapere a che titolo si voglia procedere all'arresto del dottor Quercia?

Barnaba rispose con feroce crudità:

– Perchè gli è un ladro, un falsario ed un assassino. È il capo di quella tremenda banda che chiamasi la cocca, ed è il soprannominato medichino.

Maria non ebbe pur la forza più di mandare un grido; appoggiata com'era alla spalla del padre si lasciò andare smarrita nelle braccia di lui, ed egli l'adagiò sopra il sofà, priva affatto di sensi.

L'occhio del poliziotto era caduto sulle polizze di banca francese che stavano sopra il tavolino.

– Ed ecco appunto, diss'egli, dei falsi biglietti di cui quell'associazione di malfattori aveva la fabbrica.

E li sequestrò. Diede ordine tosto s'inseguisse da ogni parte il fuggitivo.

– Oh! lo piglierò, diss'egli fra i denti, lo piglierò ad ogni modo.

Il padre e la madre di Maria erano intorno a lei desolati; i testimoni di quella scena non rinvenivano dall'attonitaggine in cui erano caduti, non sapevano che farsi nè che dirsi; alcuni, quelli che avevano meno perduto il cervello, eransi partiti di cheto.

Barnaba si affrettò ad andarsene. Scendendo trovò i poliziotti che aveva lasciati a guardia nel cortile, scornati, timorosi, mortificati; avevano levati di terra e posti sotto l'atrio i cadaveri dei loro due compagni stati uccisi dal medichino. L'agente della Polizia non fece loro il menomo rimprovero; solamente li guardò con un occhio che parve loro più severo d'ogni parola. Fu ad un giovinastro tarchiato e tozzo, dall'aria scema, che Barnaba diresse una rampogna.

– E tu, imbecille, non sei stato da tanto di aggrapparti a lui e non lasciarlo muover più? Ora egli ci scapperà per sempre, conducendo seco la tua Maddalena.

Gli era Meo, che Barnaba aveva voluto condur seco, nella speranza che gli sarebbe stato utile.

Lo stupido rispose con voce quasi piagnolosa:

– E' fu così lesto ch'io appena ebbi tempo a vederlo; quando accorsi egli era già via; ma se mai lo trovo ancora a tiro della mia mano, le giuro per la Madonna della Consolata, che non mi scappa più.

– Ah sì: mormorò Barnaba: ma il difficile ora sta appunto nel ritrovarlo. Andiamo.

Camminando verso la città, il poliziotto pensava:

– Dove può egli ricoverarsi pel momento? Nella sua dimora abituale, mai più. Nella palazzina del viale, difficilmente. Però or ora le passeremo dinanzi ed osserveremo… Più probabilmente dalla Zoe.

In breve giunsero alla casina dei segreti ritrovi; Barnaba s'arrestò, fece arrestare in perfetto silenzio la sua scorta e si pose ad osservare attentamente. L'abitazione era muta e scura per l'affatto, nè si aveva un menomo indizio che vi fosse anima viva. La neve caduta i giorni addietro era stata spazzata via per una stretta striscia, dal cancello all'uscio d'ingresso, quindi non vi poteva esser traccia di pedate; però l'occhio acuto del poliziotto, in uno degli orli della neve in mezzo a cui erasi aperto il sentiero, vide una lieve impronta; aprì il cancello con un grimaldello e s'avanzò a contemplar davvicino quel segno. Era l'impronta recente d'un piede ben fatto ed elegantemente calzato d'uomo. Certo nel turbamento con cui camminava, il fuggente non aveva dovuto badare che il suo passo, andato un po' di traverso, aveva lasciato una piccola orma.

– Gli è qui: esclamò a bassa voce Barnaba, drizzando la sua faccia illuminata da una fiera gioia. Il sorcio è in trappola, e questa volta non ci può scappar più a niun modo.

Aveva seco sei guardie e Meo, che faceva sette. Non volendo tralasciare cosa alcuna cui la previdenza consigliasse, egli trascelse due dei più intelligenti fra i suoi uomini e diede loro l'ordine di recarsi sotto le finestre dell'abitazione della Zoe a invigilare. Se mai per caso non fosse Quercia quegli che era entrato nella palazzina, o già ne fosse uscito, si tenesse d'occhio la dimora della cortigiana dov'egli poteva riparare: tutti gli altri luoghi in cui era presumibile si recasse già erano custoditi.

Partiti i due uomini, Barnaba fu all'uscio della casina, e senza molti sforzi coi suoi grimaldelli lo aperse. Tutto era scuro là dentro: uno degli arcieri accese una lanterna, e cautamente, le pistole in mano, s'introdussero tutti.

– Meo, disse Barnaba mettendo una mano sulla spalla del garzonaccio: gli è ora che conto su di te.

CAPITOLO XXI

Gian-Luigi, appena si fu colla sua rapida corsa di tanto allontanato pe' campi da non temer più pel momento d'essere raggiunto, si fermò ansimante a pensare quel che meglio gli convenisse. Fuggire addirittura la città e il paese, tentar di giungere ad estere contrade era certo la prima idea che gli doveva venire, e fu quella che gli venne: ma non tardò a crollare il capo con uno scoraggiato sorriso.

– E che farò io, disse amaramente a se medesimo, senza mezzi nessuni, senza punto denari? Aver tanto raccolto e veder tutto sfumarsi dinanzi! Aver con tanti sforzi costrutto un edifizio e vederselo tutto crollare!.. Espormi alla vita della miseria in altri paesi, ricominciare da capo la vita del baro e dell'assassino per vivacchiare… oh no! non io discenderò sì basso… Piuttosto morire… Poichè tutto mi ha fallito ad un tratto, che mi cale gettar via questa vita che ha mancato a tutte le sue promesse?

Trasse fuori un pugnaletto acuto e sottile e ne guardò stranamente il luccicar della lama al raggio della luna.

– Su via: diss'egli con quel suo sogghigno in quella solitudine, a quel momento, più amaro, più superbo, più temerario che mai.

Ma la mano già levatasi per ferire, si arrestò e poi si chinò lentamente.

– Non è una viltà fuggire innanzi al pericolo perchè si è fatto gravissimo? Vo' lottare fino all'ultimo con questa società matrigna che suscita tutti i desiderii e nega all'onestà ogni soddisfazione di essi, e che ora mi minaccia colla forca… Vivo non cadrò nelle loro mani a niun patto… Dunque tanto vale tentare ancora. Se potessi fuggire con parte almeno de' miei tesori, sarebbe tuttavia una vittoria.

 

La sua decisione era presa, ringuainò il pugnale e si diresse verso la palazzina. Camminava prudentemente celandosi dietro i tronchi degli alberi, poco diverso dal cauteloso procedere che descrivono i romanzieri americani dei selvaggi che vogliono sorprendere il nemico. Intorno alla casina del viale tutto era quieto: Quercia spiò attentamente e non vide indizio d'anima viva. Si fece ardito tanto da entrare nel cancello ed introdursi nell'abitazione. Una lieve speranza gli venne che il segreto nascondiglio detto Cafarnao non fosse ancora conosciuto dalla Polizia e colà potesse non solo penetrare sano e salvo a prendere il denaro che vi aveva, ma rimanervi alcuni giorni nascosto a sviare la vigilanza e le ricerche della Polizia. E certo se nessuno avesse tradito, quel rifugio avrebbe dovuto essere compiutamente ignorato; ma che vi fosse stato un traditore fra i servi era pure la prima idea che gli si era affacciata, quando aveva visto comparirgli Barnaba per arrestarlo.

Pel segreto passaggio dalla palazzina passò nell'andito sotterraneo che conduceva al grande stanzone centrale. Camminava lento, gli occhi e le orecchie tese con ogni sua possibile intentività; la mano destra teneva sull'elsa del pugnaletto, colla sinistra veniva tastando la parete per guidarsi, essendo che quella sera non fossero accese le lampade lungo il corridoio, ed egli avesse pensato meglio non recar seco lume nessuno. Ad un punto udì innanzi a sè un suono, che gli fece spavento, se pure può questa parola usarsi per l'intrepida tempra di quella natura. Era un rumore di lotta: alcune voci d'ira e di minaccia, alcuni gemiti che parevano di feriti, colpi e percosse. Il medichino ristette. Era questa una rissa fra i soliti abitatori del Cafarnao, oppure una lotta con nemici invasori? Il dubbio non durò a lungo. Si udì una voce che Quercia riconobbe per quella dal commissario Tofi.

– Non fate fuoco, gridava la voce, e' si vogliono prender vivi; che diamine! siete in tanti e non ci valete ad opprimere due uomini soli, di cui uno ancora non è che la metà d'un uomo?

Al punto in cui era giunto Gian-Luigi, poteva scorgere una luce rossiccia in fondo al corridoio. Erano delle lanterne che tenevano in mano vari uomini che non tardò a riconoscere per guardie di polizia. Sui gradini che conducevano a Cafarnao stavano ritti Stracciaferro e Graffigna che si difendevano bravamente, il primo con un palo di ferro, il secondo col suo coltello affilato, contro l'assalto d'una schiera di poliziotti: alcuni di questi già erano distesi per terra malconci; dietro degli assalitori appariva l'alta persona del Commissario, il quale, nel suo solito contegno, le mani affondate nelle sue grandi tasche del soprabitone, incoraggiava i suoi uomini all'assalto. Allo sbocco dell'andito che conduceva alla bottega di Baciccia apparivano altri poliziotti appostati.

Il primo impulso di Gian-Luigi fu quello di gettarsi là in mezzo a soccorso de' suoi; ma fu lesto a cambiar d'avviso, egli si perdeva inutilmente senza salvare gli altri. Sola cosa da farsi era tornare il più presto sui suoi passi, prendere in fretta tutto quello che si poteva di valore che era nella palazzina, e fuggire se pure s'era tuttavia in tempo. Retrocesse adunque affrettato; giunto dietro all'uscio segreto che metteva nel salotto della casina sostò ed applicò l'orecchio alla commessura per ascoltare; non udì rumore di sorta; colà non era dunque ancora penetrato nessuno. Toccò la molla nascosta; l'uscio si aprì; egli passò ratto e lo richiuse: ma aveva fatto appena pochi passi che udì nell'andito a pian terreno gente che entrava, che si accostava alla scala, che saliva. Si morse le labbra fino al sangue, gettò un'occhiata disperata intorno a sè, come per cercare una via di scampo: non ce n'era nessuna: tornare nel sotterraneo era peggio: gli occhi gli balenarono orrendamente: si vide compiutamente perduto e si disse con una bestemmia che la sua ultima ora era venuta; si piantò sulla soglia di quella stanza, impugnò con mano convulsa il pugnale e stette ad aspettare.

Non aspettò a lungo; l'uscio della camera che precedeva si aprì e comparvero agli occhi suoi quattro uomini – quei medesimi che già lo avevano assalito nella casa dei Benda – e in mezzo a loro, come duce, Barnaba. Nessuna parola fu scambiata: nè i poliziotti minacciarono, nè il medichino aprì labbro; gli arcieri ad un cenno di chi li capitanava fecero un moto per islanciarsi addosso a Quercia: questi brandì il pugnale, solidamente piantato sulle sue gambe, in una mossa robusta ed elegante da gladiatore antico. Era sì fiero l'aspetto di lui, sì ferocemente lampeggiavano i suoi occhi neri, la profonda ruga incavatasi nella sua fronte dava una tale sembianza di forza, di risoluzione disperata, di volontà e di ferocia indomabili a quel suo volto fatto per imporne altrui e per comandare alle turbe, che gli arcieri, come intimoriti, s'arrestarono. Ciascun di loro sapeva che il primo fosse arrivato a tiro di quella sottil lama, che brillava nel pugno piccolo e nervoso del medichino, sarebbe stato un uomo morto; e per quanto si sia sicuri che la nostra morte verrà vendicata, non è questo pensiero abbastanza consolante per deciderci a farci accoppare così di piano senza punto oscitanze.

Barnaba, il quale voleva finirla presto, si volse indietro e chiamò a sè un uomo che era rimasto nell'altra stanza in coda degli altri.

– A te, gli disse, vieni qua e guardalo. È egli quel desso?

Gian-Luigi vide, dietro le spalle dei quattro arcieri, comparire la faccia scema e gli occhi vitrei di Meo, il garzone di mastro Pelone.

– Ah! sei tu il traditore: mormorò fra i denti il medichino: che sì ch'io ti darò qui stesso la tua paga… Ma tu non sei già il solo, perchè il segreto di Cafarnao non t'era noto.

Lo sguardo di Meo, fissandosi nel volto di Gian-Luigi, s'animò per quanto quello sguardo poteva animarsi.

– È lui, esclamò, gli è proprio lui: lo riconosco, quantunque e' sia vestito da signore.

Barnaba aveva giudicato egli pure che alcuno dei presenti doveva sacrificare la vita per la cattura di quell'importantissimo personaggio; ed avvisò che, fra quante aveva in quel momento a sua disposizione, l'esistenza di quel poveraccio era la più sacrificabile, come quella che, arrestato il famoso medichino, diventavagli affatto inutile.

– Or bene, gli disse piano all'orecchio, saltagli addosso ed afferralo tu, se non vuoi che più ci scappi e ti porti via per sempre la Maddalena.

Meo allungò il collo fra le spalle dei poliziotti che erano dinanzi e misurò collo sguardo lo spazio che gli restava da percorrere per arrivare al medichino.

– Animo! gli susurrò all'orecchio Barnaba: l'hai giurato che non te lo lascieresti scappar più; e così ti vendicherai di lui e di lei.

Il garzonaccio diede in una specie di grugnito: fece come il cane che, animato dalla voce del cacciatore, esita a slanciarsi addosso al cinghiale attergatosi ad una pianta, e poi ad un tratto ei si decide e corre addosso alle mortifere zanne: colle due mani trasse indietro due degli arcieri per farsi lasciare il passo, e coll'impeto d'una catapulta, piombò addosso al medichino di tutto il peso della sua persona.

Gian-Luigi piegò un istante a quell'urto; ma le sue gambe s'irrigidirono tosto ed egli riprese di subito la sua impostatura di difesa; però l'assalitore l'aveva afferrato alla gola e gli stava ingombro sul petto, facendo sforzi ad abbatterlo in terra. Si vide al lume rossiccio della lanterna balenare per aria la lama sottile, ed una riga di sangue colare ad un tratto e per più luoghi dalle reni di Meo. Questi tuttavia non lasciò la presa: muggiva e rantolava in orribil guisa, ma le sue braccia si stringevano convulse al collo del medichino, così che tutto pavonazzo ne diventava il viso di costui; e negli squassi dell'agonia, cadendo a terra come sacco buttato, Meo traeva seco, sempre stretto dalla morsa feroce delle sue braccia contratte, Gian-Luigi a mezzo soffocato. Ma quando aveva toccato il pavimento, il povero Meo già era cadavere.

– Su, su, gridò Barnaba: saltategli addosso ora ed impedite ch'ei possa uccidersi, e disarmatelo.

Gli arcieri tutti quattro piombarono su di Quercia nell'atto che stava per divincolarsi dall'amplesso orrendo di quel cadavere e volgere su di sè l'arma omicida; non senza sforzi riescirono a torgli di mano il pugnale e legarne le braccia e le gambe, e finirono per lasciarlo disteso in terra ansimante, sanguinoso, pesto e allividito dai colpi ricevuti, ma terribile ancora a mirarsi. Il pittore che avesse voluto rappresentare il Satana fulminato, non avrebbe potuto trovare modello più acconcio e più efficace di quell'uomo pallido, dalle chiome nere irte sul capo come serpenti, dagli sguardi feroci e rabbiosi d'una ferocia impotente, il quale si mordeva il labbro inferiore da far spicciar il sangue che gli colava lungo il mento, sulla cui fronte la ruga profonda che vi si incavava fra le sopracciglia, pareva l'impronta della maledizione di Dio.

Barnaba, che aveva assistito con trepidante interesse alla breve ed aspra lotta, ora che si vide disteso ai piedi, vinto ma non domato, quell'uomo; come se soltanto per questo fine gli avessero bastato le forze che aveva raccolte mercè il conato perseverante della sua volontà, si lasciò cader seduto sovra una scranna, mandando un lungo sospiro, e parve presso a svenire.

Gli occhi neri del medichino caduto lo saettavano con isguardi pieni d'un odio feroce.

Dopo un istante in cui gli arcieri medesimi parvero riposarsi ancor essi, stupiti insieme e della forza che loro aveva opposto quel giovane dalle forme eleganti e quasi della loro vittoria, e' si volsero al caduto a vomitargli mille improperii, urtandolo co' piedi. Il medichino rimase impassibile, muto ed immobile, nè i suoi occhi degnarono pure volgersi sopra i suoi insultatori, ma continuarono a restar fissi con quella espressione sopra di Barnaba.

Questi, appena gli fu tornato tanto di vigore da poter alzare la voce, gridò ai suoi subalterni:

– Silenzio olà, e fermi!.. Lasciate in pace il prigioniero.

Obbedirono colla prontezza e colla sommessione della disciplina militare: e messisi nell'impostatura del rispettoso aspettar gli ordini dal superiore, uno di essi, il brigadiere, domandò:

– Che ci comanda ora?

– Procederemo alla più minuta perquisizione in tutta la casa. Chiamate gli altri uomini che abbiamo lasciato abbasso: due rimarranno qui a custodia del prigioniero, gli altri romperanno tutti gli scrigni, apriranno tutti i mobili, così ch'io possa rifrugar tutto e dappertutto.

Fu fatto secondo questi ordini. Ogni carta fu attentamente esaminata da Barnaba, quelle sopratutto che avevano apparenza di lettere di donna. Di queste se ne trovò di molte, ma non quelle che cercava l'agente della Polizia; altre carte che avessero importanza non se ne rinvennero.

– Ed ora, disse Barnaba quando la perquisizione fu finita e lo disse in modo che il medichino potesse udire: ora non ci resta che penetrare nel sotterraneo.

Gli occhi di Gian-Luigi che rimanevano sempre fissi sull'agente della Polizia, diedero un leggier guizzo.

Barnaba si accostò al giacente e, curvatosi verso di lui, gli disse:

– Vedete che sono informato di tutto. So che per quella grande specchiera laggiù si penetra nel sotterraneo covo della vostra cocca, e so che la si può aprire mediante una molla segreta che si preme. Fareste assai bene ad indicarci questo segreto per avanzarci la fatica e il tempo di rompere ed abbattere quell'uscio così ben dissimulato, senza contare che gli è un peccato mandar a male un sì bel cristallo.

Il medichino seguitò a guardar fieramente chi gli parlava, ma non disserrò le labbra.

– Rompete quello specchio, comandò Barnaba accennandolo colla mano, e sfondate l'uscio che esso nasconde.

L'ordine fu tosto eseguito. Dieci minuti dopo appariva il vano nel muro e il tenebroso pozzo della scala che s'affondava. Allora il prigioniero fece un movimento ed accennò colle pupille a Barnaba che gli stava seduto dappresso.

– Sentite: diss'egli.

Il poliziotto, aspettandosi qualche rivelazione, si curvò su di lui con sollecita premura.

– Che ragioni personali d'animosità avete voi contro di me? gli domandò Quercia, facendogli penetrare negli occhi il suo sguardo acuto.

Per un ratto istante le pupille, abitualmente velate, di Barnaba ebbero un improvviso bagliore; ma le si spensero tosto.

– Nessuna: rispose egli freddamente.

 

– Voi mi avete data la caccia con ispeciale accanimento; foste voi che veniste a suscitare fra i miei seguaci un traditore.

– Era dovere del mio ufficio.

Gian-Luigi fece quel suo scettico amaro sogghigno che ora su quelle labbra sanguinose era più penoso a vedersi.

– Troppo zelo: diss'egli ironicamente.

Barnaba si drizzò della persona ed accennò avviarsi verso l'uscio atterrato.

– Aspettate: disse vivamente il medichino con un accento che pareva di comando.

Il poliziotto si fermò.

– Curvatevi di più verso di me. Quello che voglio dirvi dev'essere udito da voi solo.

Barnaba si chinò più che poteva.

– Per fare codesto mestiere voi dovete non esser ricco.

– Sono poverissimo.

– Chi mi lasciasse scappare potrebbe avere venti mila lire.

– Bah! dove le prendereste? Tutto quello che avevate qui sotto già vi fu sequestrato.

La risposta del poliziotto accese un po' di speranza nel cuore di Gian-Luigi. Chi si preoccupa del modo onde gli può essere pagato il compenso ad un atto che gli si domandi, è presso ad accettare di compire quest'atto.

– Ho in serbo altrove delle somme: disse con vivacità il medichino. Sono presso una persona, dalla quale potreste avere subito, questa sera medesima, la mercede che vi dico.

– Chi è questa persona? domandò Barnaba i cui occhi tornarono ad animarsi alquanto.

– Vi condurrò io stesso da lei, appena ci saremo tratti di qua.

– Forse la Zoe? disse l'agente poliziesco con voce che sibilava fra i denti.

Quercia era troppo osservatore per non por mente alla fiamma che aveva lampeggiato nelle pupille di Barnaba, al tremare dell'accento con cui aveva pronunziato quel nome di donna: sollevò alquanto il torso dal suolo, puntando il gomito d'uno de' suoi bracci insieme strettissimamente legati, ed affondò i suoi negli occhi dell'interlocutore.

– La Zoe!.. Voi la conoscete?

Barnaba aveva chinato sulle pupille le ciglia, e volto il capo dall'altra parte.

– No: rispose freddamente. Non la conosco… Ma mi offriste anche un milione non consentirei nemmeno a chiudere un occhio perchè voi poteste riacquistare la libertà.

– Va bene: disse con tutta indifferenza il medichino, lasciandosi ricadere lungo e disteso per terra: siete l'eroe della Polizia.

E non pronunziò più una parola.

– Scendiamo giù: disse Barnaba ai suoi uomini: due di voi rimangano qui; gli altri vengano meco. Credo che a quest'ora il Commissario avrà finito con quegli altri, e se no arriveremo appunto in suo aiuto.

E l'agente cogli arcieri, tolti i due che rimasero presso il medichino, sparirono nell'oscuro della scaletta che scendeva al corridoio sotterraneo.