Za darmo

La plebe, parte IV

Tekst
0
Recenzje
iOSAndroidWindows Phone
Gdzie wysłać link do aplikacji?
Nie zamykaj tego okna, dopóki nie wprowadzisz kodu na urządzeniu mobilnym
Ponów próbęLink został wysłany

Na prośbę właściciela praw autorskich ta książka nie jest dostępna do pobrania jako plik.

Można ją jednak przeczytać w naszych aplikacjach mobilnych (nawet bez połączenia z internetem) oraz online w witrynie LitRes.

Oznacz jako przeczytane
Czcionka:Mniejsze АаWiększe Aa

Disse alla Zoe com'egli fosse venuto a domandarle di ottenere per mezzo appunto del Principe che il Commissario di Polizia non si occupasse altrimenti dei fatti suoi, ed ambedue riconobbero che l'occasione non era niente affatto opportuna per parlare a S. A. di Quercia, e per chiedergliene in pro di lui un favore.

Zoe giurò e spergiurò ch'ella non avrebbe fatto pure un passo verso il suo principesco amante, e che a costui toccava venirsene umilmente ad implorare ed ottenere il perdono; ma si mostrò sicura in pari tempo che ciò non avrebbe egli tardato di molto a fare. Ella non avrebbe commesso l'imprudenza di entrare subito con S. A. in quei discorsi che Luigi desiderava, ma prometteva che con accortezza, dopo alcuni giorni, avrebbe saputo affrontare destramente l'argomento ed ottenere lo scopo.

Bisognava aspettare alcuni giorni, e Quercia sentiva che i fati premevano ed era urgente il pararne i colpi. Ma come fare? Uscì di casa la Zoe, domandandosi se il meglio non era fuggire di presente, recando seco tutto quel bottino che poteva. Ma l'idea di fuggire gli era ostica, voleva ancora lottare; e poi gli passò innanzi alla mente la immagine di Maria, la cui innocente giovinezza avevagli destato un ardente, scellerato desiderio, decise aspettare.

– Per ogni occorrenza, pensò frattanto, bisogna ch'io vada a far imparare alla Margherita il romanzetto che ho immaginato intorno alla mia origine. E sarà bene ch'io induca eziandio Maurilio a non contraddirlo almeno. Bisogna adunque ch'io vada colassù… Dopo tanto tempo!.. E sarà forse l'ultima volta.

Avrebbe voluto partire di subito pel villaggio, dove sappiamo essersi eziandio recato Maurilio in compagnia di Don Venanzio; ma ricordò che doveva, che voleva avere quel giorno medesimo una spiegazione col conte Langosco, e differì la sua partenza al domani.

All'ora solita, colla solita fisionomia, come se di nulla sapesse, Quercia si presentò al palazzo Langosco. Non mostrò il menomo stupore, quando il lacchè gli ebbe detto che il signor conte desiderava parlargli e lo attendeva nel suo gabinetto. Fece segno lo vi si guidasse, e seguì il domestico che fu ad annunziarlo. Entrò colà dentro la fronte alta, l'aspetto sicuro, un grazioso sorriso sulle labbra. Il conte stava in piedi, accigliato, severo, con un sogghigno più amaro che mai sulla sua bocca tirata; e non tese la mano verso il nuovo venuto. L'accoglimento era così apertamente ostile che Luigi, il quale dapprima aveva l'intenzione di non accorgersene, capì che sarebbe stato un errore il non mostrarne risentimento. Spense di botto l'amichevole sorriso sulle sue labbra, diede alla sua faccia un'espressione che in alterigia era pari affatto a quella del conte, ed incrociò bravamente i suoi sguardi arditi coi fissi sguardi di Langosco. Pensò che meglio gli convenisse, senz'aspettare l'assalto, cominciar egli e vivamente l'attacco.

– Eccomi qua, disse con accento d'una sicurezza quasi impertinente. Ella vuol parlarmi. Sta bene. Spero che non sarà cosa da durar lungo tempo, perchè in verità, per mia disgrazia, non ho che pochi minuti da concederle.

A queste parole ed al tono con cui erano dette, il conte sentì una subita, vivissima ira salirgli alla testa, ridrizzò alquanto il curvo petto e lanciò dagli occhi uno sguardo di fuoco, mentre una lieve tinta rosata gli veniva ai pomelli delle guancie macilente. La sua mano si tese verso il cordone del campanello, e Gian-Luigi comprese che proposito di lui era suonare pei lacchè, e farlo da loro scacciare da quella casa senz'altro. Quercia non lo avrebbe tollerato così di piano: mosse un passo verso il conte e fece un alto risoluto, come per trattenere quella mano; la sua faccia aveva preso l'aspetto terribile delle risoluzioni violente, la fronte gli era solcata da quella sua ruga caratteristica; gli sguardi accesi di quei due uomini si scontrarono di nuovo pieni d'odio e di minaccie. Capirono che stava per avvenire uno scandalo e gravissimo; questo non conveniva punto a Gian-Luigi, e meno ancora al conte. La mano di costui s'arrestò e venne a posarsi tranquillamente sulla pietra del camino: il lieve rossore sparì dalle sue guancie; gli occhi perdettero alquanto dell'espressione di minaccia e di collera per prenderne una di profondo disprezzo: stettero ancora un poco di quella guisa, guardandosi senza parlare: ma in quello scambio di sguardi e' si dicevan più e meglio, e' si rivelavano a vicenda l'animo ed il pensiero più che non avrebbero fatto coi discorsi.

– Non ho nessun desiderio di trattenerla lungamente; disse poi il conte con accento che mirabilmente s'accompagnava a quella nuova espressione del suo sguardo. In due parole mi sbrigo e la sbrigo. Voglio anzi porla così bene in libertà che non abbia da darci mai più neppure un momento del suo tempo prezioso.

Gian-Luigi tese innanzi la testa come fa chi non ha capito bene e vuole afferrar meglio il suono delle parole.

– La vuol dire? domandò con un certo piglio che aveva dell'ironia e dell'impertinente.

– Non mi capisce? disse il conte coll'accento altezzoso d'un aristocratico inuzzolito.

– Ne accusi pure la mia intelligenza. Desidero che si mettano i punti sugl'i.

Il conte lo guardò fiso negli occhi con intendimento malizioso.

– Ah! Ella non dovrebbe avere di tali desiderii. La mi pare in condizioni da dover capire a mezze parole.

Quercia non battè ciglio.

– L'indovinar le sciarade è la prova d'ingegno di chi non ha spirito: disse accostandosi vieppiù al conte ed appoggiando famigliarmente un gomito alla pietra del camino su cui il marito di Candida aveva posta la mano. Le dispiace che ci parliamo in buon piemontese?

Langosco, quasi per moto istintivo, si trasse in là, come per allontanarsi dall'interlocutore.

– Non v'è ragione per cui a me abbia da dispiacere; rispose con tono più asciutto e più superbo di prima. Le voglio significare adunque che Ella non abbia più da mettere piede in mia casa, mai.

Luigi accolse queste parole colla massima freddezza ed indifferenza.

– Perchè? domandò egli semplicemente.

– Perchè? ripetè il conte, cui quel contegno del suo avversario parve presso a far uscire dai gangheri. Il perchè lo chieda al gioielliere X.

Quercia non si mosse: Langosco aspettò un momentino e poi soggiunse con voce più bassa, affondando lo sguardo negli occhi neri e profondi del giovane:

– Lo chieda all'assassinato Nariccia.

Luigi non ebbe il più leggiero sintomo della menoma emozione. Gli occhi di Langosco non poterono cogliere nulla nella oscurità profonda di quegli occhi immoti in cui ficcavan lo sguardo.

– Nariccia, rispos'egli freddamente, non mi potrebbe dir nulla, poichè ho udito che da quella bocca non uscirà parola mai più; il gioielliere non dovrebbe sapermi dir nulla, poichè non credo che Lei abbia voluto porre a parte di cose intime domestiche delle persone estranee.

All'impudente franchezza di quell'individuo, lo stupore del conte superò l'indignazione: stette lì quasi a bocca aperta a guardarlo meravigliato.

Quercia continuò:

– Una rottura fra di noi, creda, signor conte, non conviene a nessuno dei due; poco a me, assai meno a Lei. Io non son tale da lasciare che il mondo sappia aver io ricevuto un affronto quale è quello ch'Ella vuol farmi, ed io avermelo ingoiato con santa pazienza. Vuol Ella che fra noi si venga ad un duello?

Il conte fece vivamente un atto che indicava con chi gli stava dinanzi non si sarebbe battuto mai.

– Ella sa, continuava Luigi con uno speciale sorriso, che un uomo della mia fatta ha mille mezzi per far battere con sè un gentiluomo come Lei. Ma in uno scandalo chi ci ha da guadagnare? Ho bisogno che per una settimana tutt'al più, le cose continuino ad andare come per lo passato. Le propongo quindi, non un trattato di pace, ma una convenzione di tregua. Fra una settimana io parto per l'estero; glie ne do la mia parola; e la sarà libera per sempre dei fatti miei. Durante questo poco di tempo Ella ignori la mia presenza in questa casa ed altrove, le prometto che non le verrò innanzi io a ricordargliela.

Langosco ebbe un movimento di sdegnoso dispetto: gli venne più forte di prima la tentazione di far gettar fuori dai lacchè quell'impudente.

– Se Ella, seguitava lo scellerato pesando sulle parole, si lascia trasportare dall'impazienza, ciò che ora è segreto diventerà pascolo delle perfide ciarle del pubblico.

Il conte non rispose, non si mosse: aveva chinato lo sguardo, incurvata di nuovo l'esile, infiacchita persona e pareva esser egli cui la coscienza rimordesse. Aveva capito che in quelle parole era anche una minaccia e questa gli faceva paura. Quercia attese un momento e poi riprese con accento più sciolto che mai:

– Non voglio trattenerla più a lungo: le ho detto che anch'io non aveva molto tempo da concederle. Questo colloquio non avrà il suo secondo, mai. Non le domando risposta, ma l'attendo dai fatti. Ella già deve conoscermi che io non temo di nulla e non m'arretro innanzi a nulla.

S'inchinò leggermente ed uscì, senza che il conte facesse il menomo cenno, il menomo movimento, mandasse la menoma voce.

– Oh avere il proprio onore in mano di quello scellerato! disse poi fra se stesso raccapricciando. E' vuol partire… La è di certo la fuga del colpevole… Ed io dovrò azzittire?

Quercia da canto suo faceva il seguente monologo:

– In una settimana avrò sbrigato tutto e partirò. Potrò io sostenere ancora per una settimana questo edificio che si disfà e minaccia crollarmi addosso? Certo che sì. L'audacia e l'accortezza mi aiuteranno.

Il domani a mattina partì ancor egli pel villaggio dov'era stato allevato.

CAPITOLO XIV

Don Venanzio e Maurilio erano giunti al villaggio al cader della notte. Un freddo vento aveva sollevato alquanto sopra delle montagne la scura cappa di nubi che incombeva sul cielo, e una riga rossigna, color di sangue, mandava un fantastico chiarore dall'ultimo lembo di quel mantello nero disteso sull'orizzonte. Al rivedere que' luoghi testimoni della sua infanzia e della prima adolescenza, Maurilio, ora così mutato di condizioni, provava una strana sensazione, quasi un rimpianto ch'egli neppure non sapeva spiegare a se stesso.

 

La carrozza del marchese di Baldissero che ne li aveva condotti, si fermò alla porta della canonica, dove il parroco ed il giovane smontarono. Il rumore dei ferri de' cavalli che scalpitavano e delle quattro ruote che trabalzavano girando sul grossolano e disuguale acciottolato del villaggio, aveva tratto sul passo delle porticine le comari che preparavano il pasto della sera ai mariti ed ai figli, i quali appunto allora tornavano dal lavoro. Don Venanzio le salutava passando, con un sorriso, ed esse rispondevano con un inchino: gli uomini si levavano la berretta od il cappello con una famigliarità rispettosa: i bambini, scappati dalle falde materne, correvan dietro alla carrozza vociando come uno sciame di passerotti.

La chiesa era ancora aperta e ne veniva fuori un velato ronzìo di voci femminili: erano delle buone donne che dicevano il Rosario. Il vecchio moretto, tanto vecchio che oramai poteva appena trascinarsi, colla sua affettuosità di cane fedele, venne fino sulla soglia a dare la buona venuta al padrone collo scodingolare e con un suo mugolìo. Il campanaro dall'alto del campanile mandava per le ombre della sera, che ad ogni momento crescevano, i mesti rintocchi dell'Avemmaria.

La carrozza ripartì di trotto verso Torino, Don Venanzio e Maurilio entrarono nella modesta casetta. In essa tutto era ancora esattamente tal quale il giovane lo aveva visto nella sua infanzia, tal quale lo aveva visto quella sera che, scacciato da Nariccia, era venuto, senza pur saperne il perchè, a confortarsi l'animo nell'aspetto di quei luoghi. Tutto il medesimo e tutto al medesimo luogo. Nulla neppure pareva invecchiato. La paglia delle seggiole era sempre nel medesimo stato, sempre sbiaditi quel medesimo, nè più nè meno, i colori del tappeto a fiorami che stava sulla tavola nel tinello. In mezzo a quella roba sempre uguale non pareva invecchiato nemmeno il buon sacerdote che vi faceva raggiare il sempre medesimo sorriso di bontà, di cui le bianchissime chiome parevano un'aureola di santo ad una fronte piena di candore.

– Mio caro, disse il parroco a Maurilio, poichè si fu tolto il vecchio mantello, l'ebbe accuratamente ripiegato e consegnatolo alla vecchia fantesca perchè lo riponesse: hai tu bisogno di riposarti?

Il giovane fece un cenno negativo. Era commosso nell'intimo così che non poteva parlare: guardava intorno con occhi rimbamboliti, e tutte le ore della sua infanzia passate colà facevano ressa nella sua memoria per affacciarsegli una prima dell'altra, come una frotta di ragazzi che si vogliono cacciar dentro ad una porta alla rinfusa.

Don Venanzio si levò il cappello a becchi, lo lisciò bene colla manica e consegnandolo ancor esso alla serva, soggiunse:

– Ci preparerai un boccone di cena. Poca roba. Il nostro Maurilio non mangia di più di quello che mangiasse un tempo, e benchè sia ora un signore, non ha ancora imparato ad averne le abitudini. Una buona frittata coll'erbe e due capellini al brodo, e ne abbiamo d'avanzo. Non è vero?

Maurilio sorrise. La vecchia fante, che in compagnia di quel sant'uomo di prete aveva imparato la bontà, se ne andò via senza brontolare.

Don Venanzio si pose in capo la sua berretta da prete, nera col fiocco nero, e poi disse:

– Tu fai quello che vuoi. Io non torno mai da una gita qualunque senz'andar tosto a ringraziar la Madonna e il mio Santo protettore d'avermi scampato da ogni malanno. Senzachè questa è l'ora solita in cui mi unisco alle preghiere della sera di una buona parte de' miei parrocchiani. Vado dunque in chiesa; se vuoi attendermi qui…

Il giovane fece segno che l'avrebbe accompagnato.

– Sì? esclamò il parroco tutto lieto. Va bene. Vieni, vieni nella casa del Signore; chi sa ch'esso finalmente non ti faccia la grazia di toccarti il cuore.

Maurilio sorrise e seguì il vecchio sacerdote. Per un corridoio entrarono nella piccola, modesta sagrestia, non ancora rischiarata altrimenti che dal fievol raggio del crepuscolo che andava sempre più spegnendosi: e da questa penetrarono nella chiesa.

Essa era quasi oscura affatto. Una lampada sola ardeva dinanzi ad una statua di Madonna che stava in una nicchia d'uno dei pilastri: la fiamma oscillante di quella lampada mandava poca luce intorno e pareva meglio che altro una macchia rossiccia nel nero di quell'ombra. A' piè di quel pilastro, innanzi a quell'immagine, un gruppo di donne inginocchiate borbottava il Rosario. La poca luce che pioveva dalla lampada accesa, vacillando al di sopra di quelle teste chinate e di quelle spalle curve, coloriva d'una striscia fugace ora i panni di questa, ora il volto di quella donna; poveri panni e pallidi volti. Nessun rumore esterno giungeva fin là, e il brontolìo di quella preghiera saliva su dal freddo spazzo di quadrelli su cui le donne erano prostrate, come un gorgoglio d'onda nel silenzio d'un deserto.

Il parroco non andò a frammischiarsi al gruppo di quelle preganti: si recò all'altar maggiore, s'inginocchiò sui gradini che lo separavano dal resto della chiesa, posò sulla balaustra di marmo bianco la sua berretta, appoggiò le braccia alla balaustra medesima, pose sopra le mani la sua testa ricurva e rimase immobile, assorto nella sua preghiera.

Separata dalle altre, una donna eziandio stava inginocchiata nell'angolo più oscuro della chiesa e pregava ferventemente in mezzo a lagrime e sospiri.

Maurilio si appoggiò alla parete, nell'ombra più scura d'una cappella dalla parte opposta a quella dove sotto l'immagine della Vergine pregavano le donne, ed incrociate al petto le braccia, immobile al par d'una statua, stette prestando l'orecchio, come ad una musica, al monotono accento di quella preghiera, facendo scorrere il suo sguardo dal parroco i cui panni neri spiccavano sul bianchiccio della balaustra, al gruppo delle donne sotto il fioco raggio della lampada, alla creatura isolata, le cui povere vesti scure si confondevano colle tenebre del luogo nell'angolo estremo della navata.

A che pensava egli in tal momento? A nulla ed a tutto. Gli si agitava confuso nella mente il tenebroso problema dei destini umani. Dimenticava un istante il suo io; o per meglio dire questo si assorbiva nel gran complesso della umana famiglia; il suo essere individuale era diventato il tipo, il modello di tutti gli esseri umani, per provarne in quel punto le aspirazioni e gli stimoli superiori alla materia; in lui s'era incarnato, come dire, lo spirito dell'umanità. Ammirava la fede cieca di quella povera gente e la invidiava come rimedio a porre in tacere le angoscie, le ansie, le audacie dell'intelletto investigatore, avido del vero; e la detestava nello stesso tempo come figliuola dell'ignoranza e negatrice della ragione. Avrebbe voluto credere come quelle ignare donnicciuole, pregare com'esse, lasciarsi avvolgere l'anima dalla superstizione, acchetarsi nella stupidità dell'idolatria, bendarsi gli occhi alla luce del vero col velo teocratico del passato: e si sarebbe disprezzato di farlo. Aveva per quelle anime ignoranti che ritraevano ancora, in mezzo alla civiltà moderna, del feticismo del selvaggio, ma nobilitato da una divina speranza, uno sguardo di compiacenza ed un sorriso di compassione. Sentiva entro sè la scienza riagire contro l'influsso del sentimento, contro le impressioni del luogo, delle memorie e dell'ora, e far suonare nel suo cervello le obbiezioni della verità materiale e il riso amaro di Mefistofele.

Quando il Rosario fu finito, le donne si levarono e stavano per partirsene; ma videro sorgere presso la balaustra l'ombra nera e le chiome canute del parroco, videro volgersi verso di loro la faccia soavemente veneranda del vecchio loro pastore, e si fermarono.

Don Venanzio venne presso di loro sotto la fievole ed oscillante luce della lampada, e tutte le furono intorno salutevoli e festanti; – tutte fuor che una: quella che, appartata dalle altre, pregava sempre con fervore nella più remota ed oscura parte della chiesa. Il parroco rispose amorevolmente e lietamente ai saluti ed alle amorevoli interrogazioni delle donne; poi levando la mano destra per chiamarne di meglio l'attenzione, disse:

– Voi avete pregato sinora per voi; è opera di carità e dovere di cristiano pregare eziandio pei nostri fratelli: e tutti gli uomini, lo sapete, sono nostri fratelli. Preghiamo adunque per quelli che soffrono, di qualunque sorta sieno i loro dolori, a qualunque classe o nazione appartengano, qualunque religione professino.

Sostò un momento e poi riprese con voce che vibrava d'una frenata emozione:

– Unitevi a me per pregare soprattutto in favore di coloro che non hanno il conforto ed il merito della fede.

A Maurilio parve che lo sguardo del buon prete andasse fugacemente a cercarlo nell'ombra.

– Preghiamo perchè Iddio apra loro gli occhi e coi santi misteri della religione parli al loro cuore.

Cominciò una preghiera cui le donne, inginocchiatesi di nuovo intorno a lui, ripeterono con tenera compunzione. Era un commovente spettacolo vedere quel vecchio sacerdote dritto innanzi all'immagine di quella che fu madre del Salvatore degli uomini, del creatore del mondo novello, le sue bianche chiome illuminate dal raggio della lampada, le mani giunte, gli occhi sereni e puri, specchio di un'anima senza rimorso, levati con espressione di ardente, angelico desiderio, di fede e d'amore; e intorno a lui chinate a terra quelle meschine, povere di ricchezza e d'intelletto, ma che con tanta fiducia s'associavano a quell'atto sublime di carità spirituale. Maurilio se ne sentì intenerire. Volse a quella rozza statua, che rappresentava la Vergine indiata, il suo sguardo sfavillante e mormorò fra sè con profonda riverenza d'affetto:

– Sì, parlami al cuore o eterno femineo divinizzato dalla religione del Cristo. Tu se' la bellezza, ma non solo delle forme come la greca, sì dell'anima; tu se' la pietà, tu se' l'amore nel suo più alto significato; tu se' insieme colla purezza la maternità, le due più sublimi cose dell'universo. La fede! Sì, dammi la fede che è forza e salvezza; ma non quella fede che distrugge il più prezioso dono di Dio allo spirito umano: la ragione; che nega il vero e vi scema in dignità ed in sapere, piegandovi all'assurdo. Aiuti l'influsso benigno di quella virtù di amore che in Te si rappresenta, ad affermarsi ed afforzarsi in me quella fede che vince ogni errore, perchè va unita coll'altra figliuola di Dio: la scienza.

Quando Maurilio ebbe terminato questa specie d'invocazione, il parroco e le donne avevano terminata la loro preghiera. Le contadine se ne partirono; il sacrestano le seguitò per chiudere alle loro spalle la porta, e Don Venanzio venne verso il giovane, commosso ancora nel sembiante, nel sorriso, direi quasi, per la forza e la vivacità dell'affetto ond'era stata improntata la preghiera che aveva fatto.

– Ed ora, diss'egli con sincera giovialità, andiamo a cena.

Ma un'ombra si staccò dall'oscuro della navata e venne innanzi timidamente verso il cerchio di luce che mandava la lampada della Madonna. Era la pregante stata sempre in disparte e che non aveva abbandonata colle altre la chiesa.

– Signor Prevosto: diss'ella con voce affranta, timorosa, quasi tremante.

Il Prevosto la riconobbe di subito.

– Ah! siete voi, Margherita. Venite, venite meco che ho da parlarvi.

– Sì? disse la povera donna giungendo le mani ed affannata per desiderio, per isperanza, per ansietà. Da parte di lui? Lo ha visto?

– L'ho visto, rispose sorridendo Don Venanzio: ed è proprio di lui e per lui che ho da parlarvi. Seguitemi in casa.

Mentre il sacrestano abbarrava ben bene la porta della chiesa, il parroco, Maurilio e la povera Margherita passarono nella canonica.

Nel tinello schioppettava allegramente una fascina di sarmenti sugli alari del caminetto; sulla tavola, a coprire il famoso tappeto era steso un mantile di tela operata grossolana ma candidissima; due coperti erano posti allato l'un dell'altro, e in mezzo una bottiglia di vino ed una caraffa d'acqua e un bel pezzo di pan bruno. Una lucerna d'ottone a olio, de' cui tre becchi due erano accesi, illuminava la piccola stanza, aiutatavi dal gaio chiarore che mandava il fiammar della fascina. Moretto accoccolato presso il camino, il muso sulle zampe, stava nell'attitudine beata di chi gode tranquillamente il suo benessere. La vecchia fantesca finiva di mettere sul desco le posate di ferro che lucevano come se fossero d'argento, e, colla cesta in cui le si tenevano, se ne andava in cucina. Don Venanzio fece segno di sedere ad un lato del caminetto, a Maurilio, il quale obbedì: sedette anch'egli dall'altra parte sul suo seggiolone a bracciuoli col piano semplicemente impagliato, tirò fuor di tasca il moccichino di tela a quadretti bianchi ed azzurri, se lo pose ripiegato sopra un ginocchio e si volse verso la povera donna che avea fatto venire fin là.

 

Margherita s'era fermata in sulla soglia dell'uscio, e stava timidamente, ma desiosamente aspettando. I suoi abiti erano quelli della miseria; una veste tutto rappezzata di pannocotone che non avea più colore le si serrava intorno al corpo macilento; un fazzoletto scuro aveva sulle spalle, il quale, incrociandosele innanzi al petto incurvato, veniva ad annodarsele sulle reni; portava in testa un fazzoletto compagno che tanto le veniva innanzi sulla faccia da nasconderne i lineamenti; teneva congiunte le mani che parevano quelle d'uno scheletro ricoperte d'una pergamena color di tabacco e tutto raggrinzita.

– Venite avanti. Margherita: disse Don Venanzio con accento d'amorevolezza incoraggiativa: avete freddo, venite a scaldarvi.

La vecchia mosse due passi innanzi; i suoi zoccoli di legno fecero rumore sopra i quadrelli del pavimento; ella sembrò vergognarsene e si fermò.

– Avanti, avanti, vi dico: riprese il parroco; prendete una seggiola e sedete qui vicino a me dinanzi al fuoco; vi scalderete un poco a questa fiammata i piedi che ci scommetto son ghiacci.

– Oh! sor Prevosto: disse la donna vergognandosi più di prima.

– Animo, animo; sapete che non mi piacciono le cerimonie. Fate come vi dico e non mi impazientate.

Margherita prese una seggiola e venne sedere al luogo che le indicava il parroco.

– Marta, disse questi alla serva che era tornata per portar qualche cosa da mettere sulla tavola, tu porterai una scodella di brodo ben caldo per questa povera donna.

– Sì, signore, rispose la fante che tornò sollecita in cucina per ubbidire all'ordine ricevuto.

– Oh! sor Prevosto, ripeteva la vecchia agitandosi un poco sulla sua seggiola, troppa bontà… non occorre… la prego.

– Levatevi quel fazzoletto di testa, disse Don Venanzio: ve lo rimetterete uscendo e così non vi avverrà di sentir tanto il freddo andando a casa.

La donna ubbidì. Si vide allora una testa arruffata di capelli grigi, una faccia magra, corsa per ogni senso, per ogni dove da rughe infinite e finissime che facevano come una rete fitta della sua pelle abbronzata e riarsa dal sole, dall'intemperie, dagli anni. Se fosse stata bella chi lo avrebbe potuto dire? Non sembrava pur vero che quello avesse dovuto essere un giorno volto di giovane. Si sarebbe potuto dire un cumulo di rovine che non lasciavano scorger più le forme del primitivo edificio. Niuna vivacità era più nè in quelle fattezze distrutte, nè in quello sguardo spento; nessuna espressione, fuorchè quella d'una profonda, inalterabile, rassegnata mestizia.

Maurilio, che ad ogni volta la rivedeva, trovava nella povera donna cresciuta la tristezza e più fiacca la persona, sentì una viva pietà nel mirarne ora il sembiante così afflitto, benchè in fondo a' suoi occhielli grigi infossati brillasse in questo momento una lieve luce che pareva una speranza, che pareva un pallido raggio di gioia.

– O Margherita, disse il giovane, come la vi va? Non mi riconoscete voi più?

– Che? esclamò ella volgendo verso di lui la sua piccola faccia aggrinzita; tu se' Maurilio?.. No davvero non ti avevo riconosciuto… Pensavo così poco doverti vedere!.. Gli è pur vero che tu non hai mai obliato il villaggio, tu!..

Mandò un sospiro che diceva di molte cose; ma in quella pose mente alla maggior eleganza dei panni di Maurilio che era vestito com'ella non l'aveva visto mai, proprio da signore, e si vergognò d'averlo trattato con quella famigliarità onde s'era avvezza a parlargli fin da bambino, quando lo vedeva ruzzare col suo.

– Oh! la mi scusi: diss'ella. Io le parlo ancora come se fosse il naccherino d'un tempo, e invece…

Maurilio la interruppe con calore:

– Vi prego a non cambiar nulla dei vostri modi a mio riguardo. Mi avete trattato sempre come compagno di vostro figlio, e come tale voglio che seguitiate a trattarmi.

A quelle parole «vostro figlio» una tinta di colore più scuro era venuta alle guancie abbronzate della vecchia. Era un rossore di piacere e di emozione.

– Il mio Giannino! esclamò essa (non osava ripetere quella espressione «mio figlio» quantunque se ne struggesse dal desiderio). Anch'egli è diventato un signore, mi dicono. Se lo vedessi, non oserei pure guardarlo in faccia… E tu… e Lei lo vede sempre? Sono sempre amici?

In quella entrava la serva colla scodella piena di brodo fumante.

– Di tutto ciò parleremo dopo: disse allora Don Venanzio; ora bevete questa roba calda; ciò vi scalderà e vi rifocillerà lo stomaco.

Margherita, in mezzo a mille ringraziamenti e benedizioni, bevve, e se ne sentì veramente riconfortata.

– Or dunque, diss'ella volgendosi poi al parroco, tutto sollecita. Ella ha da parlarmi da parte di lui, del mio Giannino?

– Sì, mia cara; l'abbiamo veduto…

– Sta bene? interrogò la vecchia, a cui il parroco pareva troppo lento a parlare.

– Sta benissimo…

– E si ricorda di me?

– Sì, se ne ricorda…

– O Dio! Madonna santa! potessi vederlo! Dica, dica, potrò io vederlo ancora prima di morire?

– Sì, sì, lo vedrete…

– Quando? Come?.. Che mi tocca di fare?.. Oh son pronta a qualunque cosa per provare questo piacere. Non dico bugia, sa!.. Devo andarmene a cercarlo colaggiù a Torino?.. Sono vecchia e debole, ma per vedere il mio Giannino andrei in capo al mondo, finchè avessi consumato, non che i zoccoli, ma i piedi. Quante volte non ci sarei già andata se non avessi avuto paura di perdermi in mezzo alla folla della città e non poter arrivare fino a lui, e più ancora se non avessi avuto paura di fargli dispiacere… Ma ora finalmente lo rivedrò!.. Ella me lo dice… – Ve lo dirò di meglio, se mi lasciate parlare; interruppe col suo sorriso pieno di bontà Don Venanzio, il quale aveva per commozione umidi gli occhi.

– Oh parli! parli!

– Io dunque ho veduto Gian-Luigi in casa di Maurilio dov'egli venne.

La povera vecchia, il collo teso verso il prete come per esser più presso alle labbra di lui per coglierne a volo le parole, la bocca e gli occhi larghi quasi volesse assorbire anche colle labbra, anche colle pupille il suono di que' detti, faceva col capo de' vivi segni d'affermazione, come per dire che aveva capito, che si sollecitasse a dirle quelle buone novelle ond'essa attingeva tanto bene, tanto elemento di vita.

– Mi chiese di voi, continuava il parroco: e la donna stringendo le mani colle dita incrociate le alzava all'altezza della sua bocca in atto misto di ineffabil gioia, di ringraziamento a Dio, di suprema riconoscenza.

Il buon Don Venanzio non credette fosse peccato rasentare un pochino la menzogna per dare a quella pover'anima di vecchia un momento di beatitudine.

– Mostrò per voi un'amorevole sollecitudine. Disse che non vi aveva mai dimenticata, e che soltanto la forza delle circostanze gl'impedì sinora di venirvi a vedere e di venirvi in aiuto…

– Oh lo credo: interruppe Margherita, asciugandosi col dosso della sua mano una lagrima che scendeva per le grinze della sua guancia. Lo credo. È così buono! Non l'ho mai accusato io, no mai… La gente diceva questo, diceva quello… Volevano farmi della pena… Io non credeva nulla: e pregavo il Signore per lui… e per poterlo ancora vedere… Ecco quel di che ho bisogno: vederlo… Il resto non m'importa. Io sono vecchia, tanto poco mi basta per vivere!

Il parroco avvisò che per procedere a gradi e preparare quell'anima alla gioia maggiore, conveniva serbar per ultimo l'annunzio della probabile venuta di Gian-Luigi al villaggio.