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La plebe, parte IV

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– Vedo che siete occupata: cominciò il conte, parlando francese, in presenza della cameriera che finiva di aggiustare sul capo della contessa le nere, abbondanti, fulgide di lei chiome: e mi rincresce disturbarvi; ma vi è proprio necessità ch'io vi dica a quattr'occhi due parole, e vi prego a congedare il più presto che si possa la vostra donna.



L'aspetto del conte era affatto gentile, e sulle labbra stavagli un sorriso che riusciva ad essere grazioso; ma entro gli occhi era un certo cupo sbarbaglio e nella voce una vibrazione che rivelavano una qualche profonda emozione contenuta a forza.



Candida s'affrettò a liberarsi della cameriera, e quando essa e il marito rimasero soli nella stanza, drizzatasi in piedi ed avvoltasi nel suo accappatoio come nell'ampio velo una statua romana, le braccia conserte al petto, la faccia audacemente levata e gli occhi fissi sul conte, dimandò asciuttamente:



– Che cosa dunque avete da dirmi? Sbrigatevi.



Langosco che s'era messo a passeggiar su e giù, si piantò in faccia alla moglie, e incrociando collo sguardo di lei il suo collerico, invelenito, viperino, disse con voce bassa ma che sibilava fra le labbra contratte:



– Quanto vi ha spillato il vostro amante, obbligandovi a mettere in pegno le vostre gioie?



Un lieve rossore salì alle guancie della contessa. La sua prima impressione fu lo stupore e la confusione: le sue pupille si chinarono un istante; ma non tardò a riprendere la sua sicurezza.



– Vi fo i complimenti, signor conte, diss'ella, del nuovo dizionario dove andate a pescare i vostri termini.



– È quello che ci conviene ad ambedue: rispose il conte con sogghigno di fiera ironia.

J'appelle chat un chat, et Rollin un fripon

: disse quel birbo di Voltaire. Nel caso nostro il

fripon

 sapete chi sia…



Candida fece un gesto colla mano ad imporgli silenzio.



– Basta: diss'ella con tutta l'imponenza d'una gentildonna offesa.



Ma Langosco, più animato nello sguardo, nell'aspetto e nella voce, le si accostò ancora d'un passo e proruppe con forza:



– No, non basta, signora contessa. Que' diamanti che voi avete fatto servire ad un uso così… Ah! non dirò l'epiteto che si conviene per un resto di riguardi che forse non meritate… que' diamanti appartennero a mia madre, e non voglio che sieno…



Essa lo interruppe.



– Ma quelle gioie, lo avete ben visto, sono tutte in poter mio…



– Non cercate di mentire: voglio sperare che non ci siate abile tuttavia: ad ogni modo non arrivereste a darmi lo scambio perchè io so tutto.



E qui ripetè in brevi parole quello che sapeva, senza dirle il come avesse ciò appreso.



Candida rimase atterrata.



– Or via, qual somma ritrasse quello sciagurato da tale imprestito?



La contessa glie la disse.



– E voi?



Candida fece un gesto di denegazione pieno di verità.



– Io? Nulla.



– E le cinquanta mila lire (e ciò dicendo il conte pronunziò più lentamente e pesando sulle parole) per riavere i diamanti furono restituite all'usuraio?



– Sì: rispose debolmente la donna.



– Ne siete certa? insistè il marito con forza.



– Credo… mi pare… non può essere altrimenti.



Una scura nube passò sulla fronte di Langosco.



– Ah! esclamò, potrebbe pur anco essere altrimenti.



La contessa non comprese o non sospettò neppure il significato di quell'esclamazione.



Langosco, memore d'una interrogazione che gli aveva fatta il Commissario ed avendone apprezzata e meditata tutta l'importanza, la ripetè ora a sua moglie:



– E quando vi furono essi restituiti que' diamanti? La domenica o il lunedì?



– Il lunedì.



Un piccol fremito contrasse i muscoli della faccia del conte, e le sua guancie impallidirono leggermente.



– Ah! fece egli: il lunedì.



Tacque un istante: guardava la donna con espressione indefinibile di compassione insieme e di dispetto, di rampogna e di dolore: pareva che a significare i suoi pensieri, i suoi dubbi, le sue paure non trovasse parole, e non osasse neppure avventurarsi a cercarle. Candida si sentiva afferrare da una soggezione affatto nuova, quasi da una timidezza e da una vergogna.



Dopo un poco il conte parlò e con accento di gravità, quale non gli aveva mai sentito la moglie.



– Forse a farvi dei rimproveri ci ho poco diritto, e nei vostri errori ci ho la mia buona parte di torti. Alle prime osservazioni ch'io tentassi di porvi innanzi intorno alla vostra condotta, voi potreste rinfacciarmi il mio passato e la mia, ed invocare quel patto mezzo tacito e mezzo espresso, per cui avete ricompra la vostra assoluta libertà col sacrifizio delle vostre sostanze. Mi merito questa poco bella condizione in cui mi trovo a vostro riguardo, e non cercherò più di uscirne; è troppo tardi; quindi non una parola vi dirò delle vostre galanterie, nulla neppure se avete anche l'assurdità di sciupare da parte vostra i vostri capitali; ma finchè avete l'onore di portare il nome della mia famiglia, finchè vivrò, m'incombe l'obbligo di vegliare a che questo nome non venga compromesso e macchiato. La vostra relazione con colui ch'io non voglio nominare, minaccia trascinarvi, minaccia trascinare il nostro nome in funeste – dirò la parola – in infami pubblicità. Ciò non posso tollerare, ciò dovete evitare ad ogni modo voi stessa. Non credo per ora dovermi spiegare più chiaramente. Le cose che dovrei dire mi brucierebbero le labbra. Ma pensateci voi medesima. Domandatevi come e di che viva quel… quell'individuo, e conchiudete se possa dirsi onorevole la sorgente di quei denari che spende. Non vi do ordini, non v'impongo sollecite determinazioni; mi prendo solamente la libertà di rivolgervi un consiglio: sarebbe assai bene che quel cotale cessaste addirittura di vederlo. Quanto a questo palazzo, siccome qui sono io il padrone, e ci ho il diritto di escluderne chi voglio, do ordine immantinente che quando si presenti gli si dica chiaro che queste soglie non sono più fatte per lui, e se vuol saperne la ragione, gli farò l'onore d'ammetterlo un momento alla mia presenza per dirgliela sulla faccia io stesso.



Il conte uscì senz'aspettare risposta. Candida rimase atterrata, confusa e perplessa. Sentiva, anche suo malgrado, una certa vergogna dei fatti suoi: non aveva di certo capito tutto il significato delle parole del marito, la sua mente non era andata fino a quel punto estremo a cui pure esse direttamente miravano, ma pure sentiva che in quella sua disgraziata passione c'era oramai più che una colpa un degradamento. E tuttavia essa non aveva il coraggio di strapparsela dall'anima: e il solo pensiero che potesse avvenire ciò che le aveva consigliato il conte, di non veder più il suo amante, erale dolorosissimo. In mezzo a questo suo turbamento sorgeva e veniva via aumentando una irritazione collerica, un vivace risentimento contro il marito che le aveva dette quelle parole, contro l'amante che se le meritava, contro se stessa. Bisognava risolversi a qualche cosa. Scrisse il bigliettino che sappiamo a Luigi, perchè si trovasse al convegno; ed all'ora posta fu con lui.



Le parole dettele dal marito ella non seppe ripetere esattamente all'amante, ned avrebbe pur voluto; e dalla narrazione da lei fatta risultò solamente che il conte aveva appreso l'oppignorazione fatta dei diamanti a benefizio di Gian-Luigi, la decisa volontà nel conte medesimo di voler impedire il rinnovamento di simili fatti, e la determinazione da lui presa di mettere alla porta di sua casa il signor Quercia e di dirglielo egli stesso sul muso.



Gian-Luigi stette un poco in silenzio, le mascelle contratte morsicchiando i suoi baffetti neri che le dita quasi tremanti avevano abbassati fra i denti, scolpita in mezzo della fronte con solco profondo la sua ruga caratteristica.



Tutto questo era per lui molto spiacente. Non solamente il suo orgoglio si trovava leso nel sentire che il conte lo voleva cacciare di casa sua, ma il suo interesse eziandio che era di mantenersi in assai buona attinenza con quella potente famiglia, come guarentigia contro certe indiscrete curiosità.



– Di codesto, diss'egli poi, la colpa è certo al signor X e me ne farò sentire (e qui narrò come sospettasse alcuno avesse visto i diamanti in quel poco di momenti in cui Nariccia li aveva recati nell'altra stanza, e questo qualcuno li aveva riconosciuti per quelli di lei, la qual cosa non poteva fare che il gioielliere); ma frattanto, Candida, che pensi tu di fare? abbandonarmi?



Le prese di nuovo le mani come aveva fatto poc'anzi, le accostò il suo viso più bello che mai per un'espressione d'ardenza e d'amore, le saettò negli occhi uno sguardo pieno di fuoco e di passione.



Candida sentì un caldo fremito soave correrle tutte le fibre; le sue guancie arrossirono, le sue labbra si dischiusero tremanti, i suoi occhi lampeggiarono.



– Abbandonarti? Io?.. Mai!



Luigi colse con un bacio questa parola che ancora vibrava sulle coralline labbra di lei.



– Quanto al signor conte, soggiunse egli, aggrottando di nuovo le sopracciglia, non gli farò aspettare di molto l'occasione di dirmi ciò che gli frulla, e stassera dopo pranzo mi recherò io stesso da lui…



La contessa lo abbracciò con amplesso vigoroso e tenace, come chi colla propria persona voglia difendere un suo caro da pericolo che lo minacci.



– Non vo' che ti batta con lui, esclamò ella con forza. Non voglio, non voglio… Egli è perito nell'arte di ammazzare.



Quercia la rassicurò con un sorriso che pareva significare, quando avvenisse una lotta, non per lui esservi da temere, e soggiunse coll'accento con cui si calmano le paure d'un diletto bambino:



– Non pensarci neppure. Vedrai che tutto si conchiuderà più amichevolmente che tu non creda.



Quando la contessa l'ebbe lasciato solo, Gian-Luigi stette ancora un poco riflettendo seco stesso, poscia, determinazione che veniva conseguenza delle sue meditazioni, uscì, e si diresse di buon passo verso la casa dei Benda.

 



CAPITOLO XII

Francesco Benda aveva passato una notte cattiva. Un gagliardo accesso di febbre aveva spaventato non solo gli amorosi suoi congiunti, ma i medici eziandio. Il mattino colse quella disgraziata famiglia senza che pur uno, nè padre nè madre nè sorella dell'infermo, avesse chiuso quegli occhi che tutti avevano rossi dal pianto, avesse riposato quelle membra che ciascuno aveva, e non sentiva tuttavia, affrante dalla fatica e dall'angoscia. Nè la venuta del giorno arrecò alcun sollievo al giacente, alcun conforto di speranza a chi lo assisteva. Il ferito passava avvicendatamente da un sopor plumbeo ad un delirio non furibondo, nel quale, fra mille incoerenti parole che uscivano susurrate dalle sue labbra, spiccava pronunziato con più affetto, con ardenza di trasporto, un nome: quello di Virginia.



E questa, da parte sua (era esso un misterioso istinto, era una meravigliosa corrispondenza delle anime nei due amanti?), Virginia da parte sua, tutta notte era stata occupata più che non ancora mai da un'inquietudine affannosa, che le faceva immaginare, che le faceva indovinare più pericolose e crudeli le condizioni del ferito. Era di poco inoltrata la mattina, quando la nobil fanciulla, senza punto lotta cedette alle ispirazioni del suo amore ed all'impulso della sua pietà. Scrisse una letterina a Maria, come ad antica compagna ed a nuova amica, pregandola di volerle comunicare le notizie del fratello, e la mandò tosto per un lacchè, a cui fu vivamente raccomandata la sollecitudine.



Maria, che in que' momenti ne' quali la lettera di Virginia le giunse, non avrebbe voluto nè veder persona, nè ricevere biglietti di sorta, pure ad udire il nome di chi mandava quel foglio lo prese e lesse con premura. Il delirio del fratello aveva alla fanciulla rivelato il segreto dell'amore di lui; e se anima pietosa di fanciulla è pur sempre inchinevole a intenerirsi per siffatti affetti, da alcuni giorni la buona Maria era pur troppo, in mezzo ad un nuovo turbamento del suo cuore, più facile che mai ad esser commossa dalla vista, dalla parola, dal pensiero di quella passione. Nelle poche righe di Virginia laconicamente gentili, la sua dilicata percezione sentì un interesse più caldo e più vivo di quel che non volesse apparire, avvertì la vibrazione d'un affetto che invano cercasse nascondersi. Maria ebbe una ispirazione da semplice ed innocente fanciulla inesperta delle cose del mondo; sedette a tavolino e rispose alla nobile amica col biglietto seguente:



«Il povero Francesco sta male pur troppo.



«Se il giorno passasse come passò la brutta notte che è finita, non oso nemmeno pensare a quel che ne potrebbe avvenire.



«Ho pregato tanto la Madonna, e mi pare che la dovrebbe pur farci la grazia di salvarcelo.



«Sento una voce in cuore che mi dice esservi una persona al mondo che potrebbe richiamarlo alla vita.



«Questa persona è Lei, cui Francesco, nel suo delirio, ha invocata tutta la notte.



«Oh! s'Ella venisse a farci questo miracolo! Dio la benedirebbe per tutta la vita.»



Maria, scritte rapidamente queste parole, non riflettè, piegò la carta, la suggellò e la fece rimettere nelle mani del domestico di Virginia che aspettava. Se avesse riflettuto alquanto non l'avrebbe mandata: se ne pentì appena il lacchè fu partito, ma era troppo tardi e stette aspettando con ansia l'effetto delle sue parole.



Quest'effetto fu il migliore ch'essa potesse desiderare. Abbiamo visto come il primo impulso di Virginia nell'apprendere la disgrazia avvenuta a Francesco, fosse stato quello di accorrere essa stessa di persona a casa di lui; trattenuta dallo zio e da costui posta in guardia contro le imprudenze e i trasporti della passione, mercè il racconto delle funeste avventure di sua madre, Virginia aveva momentaneamente ceduto, ma non aveva in modo assoluto determinato che mai non avrebbe più tentato quel passo, ch'ella in cuor suo dicevasi potere diventare per certe circostanze, quasi un dovere in lei. Il racconto delle sventure di sua madre, se aveva potuto contribuire a scemar in essa le speranze che avrebbe potuto concepire intorno all'amor suo, ed abbiam visto com'ella poca o nessuna ne avesse, se aveva potuto ispirarle più riguardosa prudenza, non era fatto per isminuirle quella passione d'amore che già troppo oramai era in lei radicata e cresciuta.



Oh come ella aveva ripensato tra sè, e ricontatosi quel doloroso romanzo che aveva avuto per eroina sua madre, e di cui lo zio le aveva ora tracciate le linee principali! Come la sua fantasia eccitata aveva alacremente lavorato intorno a questi tratti precipui e compitone il disegno e menativi i colori e terminato il quadro! La sua tenerezza per la madre aveva sempre avuto qualche cosa di speciale, quasi potrebbe dirsi di misterioso, come se il suo istinto di figliuola avesse sentito nell'esistenza di quella cara e veneranda creatura un profondo dolore da consolare. Ora questa tenerezza, ch'ella sempre serbava all'anima della morta, s'era accresciuta vieppiù; ora era essa penetrata nel mistero di quel dolore e ne trovava ancora più pietosa la causa; ora comprendeva il significato di quello sguardo mesto, lungo, quasi imploratore, ch'ella ricordava aver visto tante volte nei begli occhi della madre. Virginia s'era recata innanzi al ritratto di questa che pendeva alle pareti nella sua camera da letto, ed era stata lungamente contemplandolo. Quante cose le diceva ora quel pallido viso leggiadro, che mai non aveva ella dapprima avvertite! Non era una colpa l'amor suo, ben lo aveva ella sentito; era una sventura: ma sapendo che a tale sventura aveva partecipato sua madre, le pareva che più nobile, più degna quella disgrazia si fosse, e se la aveva più cara.



Ad accrescere la passione dell'animo di Virginia venne la notizia dei fatti compiutisi alla fabbrica Benda e dei pericoli che quella famiglia avevano minacciato. Aveva sperato la nobil fanciulla di poter per mezzo di Maurilio sapere tutta e particolareggiata, e man mano la verità, ma fallitale, come abbiam visto, questa speranza, maggiori n'erano diventati il suo timore, la sua inquietudine, l'affanno dell'anima sua. La letterina di Maria giunse in buon punto per deciderla affatto a quello che già pensava seco stessa, a quel partito cui fino da principio aveva voluto effettuare, ed a cui non aveva rinunziato mai. Si coprì d'un fitto velo, si avvolse in un modesto mantello, si fece seguire dalla sua governante, uscì ratta a piedi, come quando recavasi modestamente in chiesa, e salita in una carrozza da nolo si fece condurre alla casa dei Benda.



Maria sedeva appiè del letto di suo fratello, il quale era di nuovo caduto in quel sopore che lo faceva rassomigliare poco meno che ad un cadavere. Quando alla fanciulla vennero ad annunziare che una giovane e bella signorina domandava di lei, una subita speranza le nacque in cuore che la potesse esser quella di cui essa aveva invocata la presenza, ma non osò accoglierla questa speranza; già s'era pentita, come dissi, d'aver scritto quel biglietto, e pensando all'orgoglio aristocratico che certamente doveva avere quella giovane, venivasi persuadendo che quel foglio la lo avrebbe disdegnosamente gettato e non altro. Corse di là con sollecitudine e mandò un'esclamazione di gioia e di riconoscenza nel vedersi davanti, ritta in mezzo la stanza, il velo sollevato dalla faccia leggiadra, la contessina di Castelletto.



– Dio la benedica! disse Maria, e le prese ambedue le mani, e si curvò come se glie le volesse baciare.



Ma Virginia la trasse su, le gettò le braccia intorno alla vita e l'abbracciò come una sorella.



Le due fanciulle si guardarono entro gli occhi, e si compresero più che per qualunque lungo discorso; si sentirono per affetto e per tempera d'anima congiunte; a dispetto d'ogni distinzione sociale si avvertirono pari.



– Posso io vederlo? domandò Virginia con una virtuosa franchezza, senz'ambagi come senza falsa vergogna.



Maria la prese per la piccola mano affilata e rispose con una sola parola:



– Venga.



La introdusse nella camera dove il ferito giaceva. Siccome le imposte della finestra erano rabbattute, Virginia da principio non vide che confusamente in quella oscurità. Al rossigno chiarore che mandava il fuoco del caminetto scorse una donna attempata, la quale, vedendo entrare una ignota, s'alzava da sedere. Maria le correva presso, le bisbigliava poche parole all'orecchio e quella donna faceva alla nuova venuta una profonda riverenza. Era essa la madre di Francesco.



Virginia camminò lentamente verso il bianco cortinaggio del letto che spiccava nel buiccio di quella stanza. I suoi occhi, cominciando ad avvezzarsi alla poca luce, videro sui cuscini abbandonata la testa simpatica del giovane. Le palpebre erano richiuse e le lunghe ciglia si disegnavano finemente sul pallore delle guancie. Le labbra scolorate erano semiaperte, ma pareva che di mezzo a loro non uscisse soffio nessuno di respiro. Solamente di quando in quando un gemito esile, ma penoso, saliva su dal petto e passava lento, trascinato per quella bocca socchiusa. Qual differenza fra quel misero giacente che soffriva e il robusto ed aitante garzone che Virginia aveva visto pochi giorni prima alla festa da ballo, che le aveva allora appunto con tanta ardenza svelato il suo amore!



Ella si fermò a pochi passi dal letto. Sentì nel suo cuore una pena che era quasi un rimorso; una ineffabile tenerezza le mandò agli occhi due lagrimette ch'ella non pensò neppure di asciugarsi.



– Gli è per me, a cagion mia, pensò, ch'egli è ridotto in tale stato.



Lo sguardo di Virginia parve esercitare alcun influsso sull'infermo: certo per uno di quegl'inesplicabili istinti d'innamorato, egli, anche inconsciamente, sentì alcun effetto della presenza di lei. Gli occhi rimanevano chiusi tuttavia, ma un lieve color rosato saliva su alle guancie, ed il respiro si faceva più sensibile. Ella fece ancora un passo verso il letto: gli occhi di lui si spalancarono e stettero immobili, fissi su quella bellissima figura di donna che avevan dinanzi e ch'egli credeva una felice visione del suo delirio. Tutta la notte il caro fantasma di quelle sembianze era passato e ripassato nei torbidi sogni della sua malata fantasia; ma egli non aveva potuto fermarselo mai innanzi alla mente per tanto tempo e in sì precise forme quanto desiderava: credette che ora fosse questa un'apparizione come le precedenti, ma più simile alla realtà, più netta di forme e più duratura. Lo sguardo semispento de' suoi occhi affondati prese una ineffabile espressione di tenerezza, di gioia e di preghiera; e le sue labbra mormorarono con appena sensibil soffio di voce:



– Oh! non fuggirmi così presto, diletta immagine dell'amor mio!



Virginia superò d'un tratto con piè leggiero la poca distanza che ancora la separava dal giacente e si curvò su di lui come per raccoglierne le pronunziate parole. Negli occhi del ferito apparve una sorpresa, una commozione, quasi un timore. Richiuse le palpebre come per vedere se quell'apparizione era nella sua mente soltanto, o proprio nella realtà, all'infuori di lui: e in quella sentì, come un soffio soave di paradiso, un alito profumato passargli sulla fronte, e una celeste melodia di voce femminile pronunziare teneramente il suo nome:



– Francesco!



Il giacente mandò un grido – un vero grido – di gioia. Teresa e Maria accorsero sollecite, quasi spaventate. Ma non c'era onde spaventarsi. Gli occhi del giovane riapertisi brillavano di tutta la luce della salute e della ragione: l'anima fatta beata raggiava la sua letizia da tutte le sembianze della leggiadra faccia.



– Virginia! Virginia! esclamò egli con voce più forte di quello che altri avrebbe mai potuto credere.



Non avevano fatto che pronunziare a vicenda l'un dell'altro il nome; ma quante cose con quella sola parola e' s'eran dette! ma come s'erano reciprocamente compresi! come si sentivano l'un dell'altro penetrar l'anima nell'anima!



Virginia tornò a curvarsi sopra il giacente, e fece sommessamente di nuovo suonare la melodia della sua voce.



– Non parli, glielo proibisco. Sono venuta a pregarla di guarir presto, e la mi deve obbedire. A questo patto soltanto le perdonerò il troppo dolore ch'Ella ha dato a sua madre, a tutta la sua famiglia…



Stette un breve momento, e poi soggiunse a voce più bassa:



– Ed a me.



Francesco beveva cogli occhi lo sguardo, colle orecchie la voce dell'amata fanciulla. Sentiva nelle vene, in tutto l'esser suo rifluire di subito nuova e più potente la vita; gli pareva di colpo fugato ogni male, e quasi effettuato in lui il miracolo del Nazareno, che aveva detto all'infermo di levarsi, prendersi il suo letto in ispalla e camminare. Le parole gli mancavano alle idee, le idee stesse gli mancavano all'espressione della sua felicità.

 



Non passarono più che dieci minuti. Fu un attimo pel loro desiderio, ma vi fu abbastanza di tempo perchè le più svariate e numerose sensazioni di tenerezza e d'amore si avvicendassero nelle loro anime. Le labbra non promisero nulla, gli occhi si scambiarono mille giuramenti. Virginia, allontanandosi dal giacente per partirsi, lasciava nel cuore di lui un balsamo taumaturgo da risanarlo assai più presto e meglio d'ogni farmaco di medico.



Mentre la fanciulla stava per uscire di quella stanza, vi entrò un uomo. Era il padre di Francesco, che veniva inquieto a vedere suo figlio. In presenza delle donne Virginia non aveva avuto pure un istante di turbamento o di confusione; la vista d'un uomo la fece arrossire fino alla radice dei capelli. Prese ella vivamente per mano Maria, come se volesse con quell'atto significare che all'interesse ed all'affetto per la compagna dovevasi la sua presenza in quel luogo, e s'affrettò ad uscire dalla stanza, passando innanzi a Giacomo, il quale, riconosciutala, salutava con profondissimo inchino.



Giunte nella camera che precedeva quella di Francesco, Maria e Virginia trovarono Gian-Luigi che sopraggiungeva, preceduto da un domestico. Maria arrossì leggermente nel rispondere al saluto del giovane i cui sguardi e la cui attenzione furono attirati dalla superba bellezza della titolata fanciulla. L'aspetto di Quercia era tale ancor esso da non passare inosservato a qualunque lo vedesse, e Virginia, senza pur darsene conto, fissò quasi con curiosità i suoi limpidi occhi sulle sembianze virilmente belle di quel nuovo venuto, e rispose con una cortesia che era presso che famigliare e benevola al saluto di quel giovane che non ricordava aver veduto ancora mai. Avviene molte volte che al bel primo incontrarci con una persona, questa non ci pare affatto estranea; o sia una somiglianza con altre persone, o sia una certa misteriosa affinità fra i nostri esseri che si rivela con una specie d'istinto inavvertito, o sia un effetto travelato di attinenze anteriori avute in una vita precedente, il fatto è che certuni appena ci vengono innanzi ci sembrano conoscenze d'antica data, e siamo disposti di subito a conceder loro più domestichezza ed interesse che non ad altri da molto tempo già conosciuti. Fu un poco di quest'effetto che Virginia provò alla vista di Gian-Luigi, e quasi uguale fu quello che sentì il giovane a trovarsi faccia a faccia colla nobil ragazza cui aveva vista da lontano parecchie volte, ma non aveva mai accostata. E, cosa strana, in questa sua sensazione, non entrava menomamente quel suo ardore di voluttà che gli faceva desiderare ogni bellezza di donna, ma eravi come una tinta di rispetto, come un'ombra di affettuosa deferenza, come un istintivo impulso ad inchinar riverente quelle belle sembianze.



Maria vide l'ammirativa fissità dello sguardo di Gian-Luigi su Virginia, e sentì una dolorosa fitta nel cuore. Anche la gelosia doveva nascere in quella povera, innocente fanciulla a confermarle e ribadirle nell'anima l'infausta passione che vi si era insinuata. Non disse che poche parole a Quercia, invitandolo a passare nella camera di Francesco, e seguitò ad accompagnare la bella visitatrice che si partiva, fino all'anticamera.



Nel momento di prender commiato, Virginia, stringendo amichevolmente la mano a Maria, le disse:



– Scriverò a Lei per avere ulteriormente le nuove di suo fratello; la sia compiacente di darmene senza troppa parsimonia… E spero che ci rivedremo.



Quando la nobil fanciulla fu partita, Maria pensò un istante, invece di tornare presso suo fratello, di andarsi a rinchiudere nella sua camera e non uscirne più finchè Quercia si fosse partito; e s'avviò realmente per porre in atto questa risoluzione, ma non n'ebbe la forza. Quando fu nel salotto che precedeva la camera di Francesco, vide che Gian-Luigi non era passato di là, ma stava lì tuttavia, come aspettando. Si turbò molto nel trovarsi sola con lui, non osò guardarlo e stette impacciata, a pochi passi da lui, senza parlare.



Egli le faceva piombare addosso quel suo sguardo caldo, luminoso, efficace, che penetrava nell'anima; e la giovanetta, pur colle palpebre abbassate, lo sentiva posarsi con infinita soavità, come una carezza amorosa, sulla fronte, sul volto, sulla persona, avvolgerla come d'un fluido voluttuoso, e vincerle ogni volontà. Quercia s'accostò alla fanciulla, e le prese una mano; ella si mise a tremar leggermente, e volle liberar la sua destra, ma egli ne la trattenne con dolce violenza.



– Maria! susurrò egli chinando la sua bocca sulle chiome di seta che ornavano la testolina curva della ragazza: e la sua voce era sì espressiva ed insinuante! e l'accento era pieno di tanto amore e di sì cara espansione che una dolcezza ineffabile invase ed occupò tutto l'essere de