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La plebe, parte III

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– Voglio: rispose laconicamente Andrea coi denti stretti da quell'ira profonda che tutto l'occupava.

Marcaccio, che non era abbastanza innanzi nella gerarchia della cocca per penetrare in Cafarnao, era partito appena aveva condotto il compagno innanzi a Graffigna.

Questi chiuse ben bene l'uscio che metteva nella bottega del rigattiere; poi aprì un armadio e fece comparire agli occhi d'Andrea un quadro in cui una grossolana stampa di Madonna alluminata a colori i più stonati del mondo, e intorno al quadro un arazzo di seta rossa a frangie d'oro, e dinnanzi per due ganci appiccati, due candele di quelle pitturate a fogliami che si sogliono distribuire dai sacrestani ai devoti (per averne la mancia) il dì della Purificazione della Vergine.

Graffigna con tutta la gravità e la compunzione che avrebbe potuto avere un sacrestano di professione, accese le due candele, poi trasse dinnanzi all'immagine Andrea meravigliato, levò di tasca uno stile la cui lama acuta luccicava al chiaror rossigno che mandava la fiamma delle due candele, e con accento pieno di solennità, gli disse:

– Voi avete ancora da giurare che di quanto vi capita qui, adesso, di quanto state per fare e per vedere, in qualunque siasi circostanza, per qualunque siasi ragione o minaccia, voi non vi lascierete sfuggire parola alcuna con persona al mondo, nè anco colla più intima, e se mancate al giuramento questo ferro vi punisca nella vita presente, e Iddio vi condanni come spergiuro ai tormenti eterni nella vita futura.

In quell'epoca dell'anno la notte viene sollecita, più sollecita ancora in quelle straduzze strette in cui s'apriva il fondaco di Baciccia, e in giornate, com'era quella, di cattivissimo tempo. La retrobottega in cui la luce del giorno non penetrava che per una finestrucola aperta in un cortiletto cui avreste detto benissimo un pozzo scavato in mezzo alle alte case, era a quell'ora già più che a mezzo nelle tenebre; e tale oscurità conferiva a fare la voluta impressione nell'anima di Andrea da tutte le precedenze già troppo disposta ad essere facilmente maneggiabile dall'arte di Graffigna.

Andrea giurò quasi tremante, colla più sincera e ferma determinazione di non tradir mai quel giuramento; e allora il suo iniziatore, spente le candele, richiuso l'armadio, gli cinse le tempia d'un fazzoletto così bene e fortemente legato, che ci fosse stata in quella stanza anche la luce del pien meriggio, egli non avrebbe visto che notte compiuta. Poscia Graffigna lo prese per mano e gli disse:

– Ora ci conviene ancora fare un bel tratto di cammino prima di giungere all'entrata del luogo dove ho da condurvi; datemi la mano e venite senza timore. Per ora la via è tutta piana; quando vi sarà da discendere, ve ne avvertirò.

Lo prese per mano e lo fece avviarsi. Ad Andrea parve di andare, andare per lunga tratta, udì aprirsi e richiudersi diverse porte, e quando il suo conduttore gli disse poi: – Eccoci ora all'ingresso del nostro rifugio; – egli credeva d'essere di molto lontano da quella scura stanza di retrobottega, in cui gli avevano bendati gli occhi. Il vero era invece ch'egli non n'era punto uscito e che altro non gli si era fatto fare che dar le volte colà dentro, aprendosi e chiudendosi di quando in quando sempre la medesima porta che era quella per cui dalla retrobottega medesima si penetrava nel piccolo andito, dove un uscio accuratamente dissimulato metteva sulla scala per scendere nel sotterraneo.

Qui Graffigna lo fece scender piano piano dopo aver accuratamente chiuso alle loro spalle l'usciolo segreto, e traverso il lungo corridoio sotterra lo condusse in Cafarnao, dove finalmente gli levò la fascia dagli occhi.

Andrea guardò stupito intorno a sè. La luce che vi ho detto penetrare in quel luogo da certe feritoie onde si rinnovava l'aria eziandio, in quel momento per l'ora del giorno già avanzata faceva difetto del tutto: il luogo non era illuminato più che dalla lampada pendente dal mezzo della vôlta.

– Or su, qui non c'è tempo da perdere nè da stupirsi: disse bruscamente Graffigna ad Andrea: ecco qui tutti gli strumenti che vi possono occorrere pel vostro mestiere. Qui potete lavorare con tutta tranquillità, sicuro che nessuno verrà a disturbarci il meno del mondo. Io vi aiuterò ad accendere il fuoco e tirerò il mantice. Eccovi le impronte di cera; mettetevi di buon animo all'opera e fatevi onore.

S'erano appena messi alla bisogna, quando, come per contraddire alle parole di Graffigna, all'uscio ch'egli aveva chiuso dietro di sè (quell'uscio che per alquanti scalini metteva nella rotonda in cui facevano capo i tre sotterranei) s'udì un picchiare con un dato numero di colpi ed a certi intervalli.

Andrea fece un trasalto e impallidì.

– Non temete di nulla, gli disse Graffigna sorridendo, qui non ci può penetrare nemico nessuno, e quel modo di battere rivela un amico dei più intimi.

Andò ad aprire e si trovò in faccia la Maddalena affannata dall'essere corsa con tanta sollecitudine.

– Che cosa c'è? domandò Graffigna.

– Il medichino è qui? di rimbalzo interrogò Maddalena.

– No. Per che cosa siete venuta a cercarlo?

Maddalena gli disse la ragione.

– Collo da forca! esclamò Graffigna tutto lieto. La cosa non potrebbe andar meglio. È a me che tocca esaminare il muso di quel coso là. Il medichino me lo ha specialmente raccomandato, e mi preme farmi onore levandocelo dai piedi. Brava la mia ragazza. Voi tornate a casa vostra per la strada da cui siete venuta: io m'affretto pel corridoio al mio posto d'osservazione.

Maddalena partì com'era arrivata, e Graffigna disse ad Andrea:

– Io mi allontano di qui per pochi minuti soltanto, voi continuate allegramente nell'opera vostra e non abbiate timore nessuno che non tarderò a ritornare e con delle buone provvigioni per darvi forza al lavoro e passare allegramente i momenti di riposo.

Nel partire chiuse dentro a chiave il fabbro e pel corridoio sotterraneo corse dietro l'assito della stanza riposta dell'osteria di Pelone.

Appena ebbe posto l'occhio al bucherello per cui si vedeva entro la stanza, gli comparve innanzi la faccia sbarbata di Barnaba.

– Buono! diss'egli fra se medesimo. Nè il nome, nè la faccia non mi scappano più.

Stette ascoltando. Il poliziotto si offeriva d'entrare nell'associazione dei malfattori.

– Che stupido! pensò Graffigna crollando le spalle. Ed ei si pensa che noi diam dentro in simil rete grossolana?

Quando Barnaba fu uscito, Graffigna aperse pian piano l'usciolo nascosto nell'intavolatura, e sgusciato nel camerino, comparve poi, come vedemmo, agli occhi di Pelone che chiamò perchè gli andasse a parlare.

L'oste si recò con premura nel camerino.

– Avete udito quel che qui si è detto? domandò egli a Graffigna non senza una certa ansietà.

– In parte… Quel Barnaba ha detto che sarebbe tornato qui stassera sul tardi: è quello che ci vuole. Bisogna che voi troviate modo di farlo fermarsi qui il più tardi possibile…

– Come ho da fare? domandò Pelone, che guardava il suo interlocutore con una specie di paura.

– Che? Non sapreste da voi stesso trovare un espediente per ciò? Ditegli, per esempio, che avete comunicato la sua proposta a certuni, i quali desiderano parlare con lui direttamente e verranno qui dopo la mezzanotte…

– Ma codesto gli è confessare che io conosco quella certa gente.

Graffigna si strinse nelle spalle.

– Trovate voi qualche cosa di meglio. L'importante è che costui non esca di qua se non dopo la mezzanotte. Prima di quell'ora le strade non sono ancora ben sicure per un colpo, e poi c'è grande adunanza stassera e ci avrò da fare. Ch'egli si avventuri in queste strade dopo mezzanotte, e il suo conto sarà saldato.

Pelone fu preso da un accesso di tosse, il che lo esentò dal manifestare in qualunque modo una sua idea.

– Siamo dunque intesi: soggiunse Graffigna, che prese il silenzio dell'oste per un assentimento, e se la cosa mi va male per colpa tua, guai a te!.. Ora dammi un paio di bottiglie di quel suggellato e qualche coserella da mettere sotto il dente, che ci ho là un operaio da mantenere in buona voglia e in buon umore.

Prese vino, pane e salame e tornò pel sotterraneo presso Andrea, che continuava nella sua opera di fabbricar le chiavi.

Barnaba intanto, uscito dall'osteria di Pelone, diresse i suoi passi verso la più vicina bottega da tabaccaio a cui pensava che quell'imbecille di Meo doveva essere andato. Lo incontrò diffatti a pochi passi da quella bottega, che veniva di ritorno alla taverna.

– Meo, gli disse arrestandolo, vieni un momento qui sotto questa porta che ti ho da dire due parole.

Il giovinastro seguì Barnaba sotto la vôlta d'un portone lì presso, e quando furono colà trasse di tasca i due sigari che aveva comperato e i due soldi che glie n'eran rimasti.

– To'; eccole la sua roba: diss'egli.

Barnaba prese i sigari e respinse la mano che teneva le due monete di rame.

– Que' soldi tientili; e' son per te.

Lo scimunito allargò tanto d'occhi a quel dono che era molto lontano dall'aspettarsi, e mise in tasca i due soldoni con una certa vivacità che svelava come la sua grossa natura non fosse inaccessibile alla seduzione del denaro.

– Bisogna che io ti parli a lungo e sul sodo di certe cose che ti interessano e ti toccano da vicino più che non credi: così continuava il poliziotto: ma bisogna che ciò avvenga in segreto, senza che alcuno possa sospettare, e tanto meno Pelone e la Maddalena. Per ora tu sei atteso in bottega e non ti conviene soverchiamente indugiarti; ma questa sera bisogna che tu prenda un'occasione qualunque di scappolartela e di venire ad un convegno ch'io ti darò per sentire ciò che occorre… Hai capito?

Meo guardava chi gli parlava colla sua solita aria melensa e non faceva la menoma parola nè il menomo atto di intelligenza e di risposta.

 

Barnaba lo prese ai panni e scuotendolo un poco quasi per destarne gli spiriti, ripetè:

– Hai tu capito?.. Ho cose gravissime da dirti che t'interessano… Potrai guadagnare delle belle somme…

Accostò le labbra all'orecchio di Meo e soggiunse:

– E vendicarti di Maddalena e del suo amante.

Gli occhi di vetro dell'imbecille Meo all'udire accennate le somme ch'ei poteva guadagnare, mandarono un baleno, ma a quest'ultime parole si accesero vieppiù e sfavillarono come se ad un tratto si fosse suscitata dietro di loro la fiamma dell'intelligenza.

– Ah vendicarmi di loro! esclamò, di lui sopratutto!.. Certo che sì… Verrò dove Lei vuole… Mi dica pure il luogo e l'ora… Avessi anche da scappare dalle mani di mastro Pelone, verrò.

– Vieni alle otto ore precise sotto il portico del Palazzo di Città. Ci sarò ad aspettarti; e non mi vi indugierò più di cinque minuti. Se tu manchi, bada bene che perdi l'occasione di fare un buon guadagno e di aver ragione della crudeltà di Maddalena a tuo riguardo.

– Verrò: ripetè di nuovo l'imbecille rotando furiosamente i suoi occhi. Ne sia sicuro.

Si separarono; Meo per tornare all'osteria, Barnaba dirigendosi verso la casa abitata da Maurilio e dai suoi giovani amici.

– Oh stranissima macchina umana! Mormorava fra sè Barnaba, camminando a capo chino: tutte tutte, per quanto forti o intelligenti, per quanto limitate ed imperfette, tutte hanno una susta che toccata le fa agire come si vuole. Benedetta la passione! Essa governa il mondo umano con irrefrenabile potere; e chi sa giovarsene mette le mani sulle briglie con cui si menano gli uomini e quindi gli eventi.

Quando sora Ghita, la portinaia, vide comparirle innanzi l'incognito della sera precedente, provò un misto tale di sentimenti che perfino la parola le mancò per un momento. Era stupore e indignazione insieme, sospetto e paura. Quell'uomo entrò con tutta franchezza come si entra in casa d'un conoscente, e disse colla domestica scioltezza d'un amico:

– Buon giorno sora Ghita. Lei sta bene? Ne godo molto. Ho da parlarle da solo a sola. Mi rincresce disturbarla da sì aggradevole compagnia, ma io vengo mandato da tale e per tali faccende che non c'è da indugiare menomamente.

Si chinò presso la cuffia madornale della portinaia e le disse piano:

– Vengo mandato dal sig. Commissario di Polizia.

Ghita mandò un grido di terrore ed alzò le mani al di sopra della sua faccia conturbata.

Barnaba si volse verso le comari che facevano un circolo di occhi curiosi e di faccie interrogative intorno alla Ghita ed al nuovo venuto.

– Madame, diss'egli facendo scorrere sulle vecchie uno sguardo severo ed imperioso: abbiano la bontà di lasciarci.

Le comari, spaventate da quella guardatura, non ostante tutta la loro curiosità si affrettarono verso la porta e parvero gareggiare a chi uscisse prima. Barnaba e Ghita rimasero soli nella loggia.

– Sora Ghita, incominciò di botto il primo dei due; in alto luogo non si è contenti di Lei.

La portinaia strabiliò.

– Come! diss'ella tutto commossa. Non si è contenti di me? Perchè? Che cosa ho io fatto? Nessuno può dir tanto così sul mio conto, per nessun verso; e se il signor Commissario, come Lei dice, la manda qui per rimproverarmi, la lo può accertare che fui calunniata.

E il poliziotto, coll'aspetto il più severo e minaccioso:

– Ella tien mano ai nemici del Governo.

– Io? Gesù buono! Come si può dire una calunnia falsa di questa fatta?

– Ella sparla degli atti e dei funzionari del Governo di S. M.

La Ghita si ricordò delle parole che aveva dette poco prima contro le prepotenze della Polizia: ma non si smarrì d'animo e gridò più forte di prima:

– Non è vero, non è punto vero.

In quella una carrozza tirata da un sol cavallo ma di prezzo, si fermò innanzi alla porta di quella casa; un giovane di occhi e capelli neri, di abito e maniere eleganti, ne discese lestamente, e di fretta entrato sotto l'andito si diresse verso le scale.

La portinaia e il poliziotto avevano interrotto il loro colloquio per guardare questo nuovo arrivato. Barnaba, appena vistolo, aveva fatto un moto come di gioia, e poi s'era tirato vivamente indietro per non lasciarsi vedere. Il giovane era passato senza gettare pure uno sguardo nella loggia della portinaia.

Appena passato quel giovane, Barnaba riprese con ancora più minaccioso contegno ed accento:

– Ieri sera io l'ho interrogata se quel signore che è venuto adesso adesso capitasse talvolta in questa casa, ed Ella me lo ha recisamente negato.

– Quel signore! esclamò la portinaia; ma io non l'ho mai visto, è la prima volta che viene.

Barnaba fissò ben bene la vecchia e le disse, pesando sulle parole:

– Quel signore è il dottor Quercia.

– Me ne rallegro tanto: rispose franca la portinaia: ma io non ho mai avuto il bene di conoscerlo neanco di nome, ed è la prima volta che lo vedo.

Il poliziotto prese la sua aria più tremenda.

– Badate bene! diss'egli. In queste cose non si scherza!.. Abbiamo molte ragioni di dubitare di voi…

– Di me? esclamò sora Ghita mettendosi tuttedue le mani sul petto, coll'accento dell'innocenza meravigliata per una calunnia. Dio buono! Santa Madonna della Consolata! Di me che sono una povera donna che non faccio male a nessuno e che rispetto tutte le autorità… oh domandi, domandi un po' nel quartiere che cosa si dice della Ghita, e sentirà; che una più onesta donna, non fo per vantarmi, ma si trova raramente sotto le stelle.

– Intanto qui in questa casa abitano parecchi giovinetti che non hanno timor di Dio nè rispetto del Governo.

– Ed io che cosa ne posso?.. Non son mica io la padrona di casa da poterneli scacciare.

– E voi li proteggete…

– Io? Benedette le cinque piaghe! Non li proteggo niente affatto. Discorro con qualcheduno di loro quando talvolta, passando, mettono il naso nel camerino; ma io non ci ho nulla, proprio nulla da che fare con essi.

– Sono amici di quel cotale avvocato Benda che è un rivoluzionario di tre cotte; e presso costui è allogato a servire, e gli si dà molta confidenza, vostro marito.

– Ma Lei sa bene che io e mio marito ce la diciamo come l'olio e l'aceto… L'aceto gli è lui… Di tutto quel che faccia o dica quel disgraziato là, io non ne so nulla, non ne voglio saper nulla, non ci entro per nulla.

– Le parole valgon poco, cara sora Ghita, ci vorrebbero i fatti.

– I fatti? Che fatti? Mi dica Lei che cosa ho da fare.

– Al signor Commissario premerebbe assai di essere informato di tutte le volte che quel dottor Quercia, quel signore che avete veduto passare un momento fa, se ne viene in questo luogo.

– Ed io ne lo dovrei informare?

– E sarebbe tanto di meglio se poteste dire, anche soltanto approssimativamente, ciò ch'egli venga a fare costassù con quei giovani.

Sora Ghita capì benissimo che quel cotale stava proponendole onestamente di far la spia, e chinò il capo in una grande perplessità. La cosa non le andava molto a genio, ma d'altronde ella aveva tanta paura della Polizia!

– Come vuole che io faccia per saper di queste cose? balbettò ella. Non posso mica tener dietro a chi viene e sgusciare con loro nei quartieri dove entrano.

– Il pittore Vanardi ha una moglie che chiacchera molto volentieri. Una donna accorta come voi dovrebbe sapere farla parlare.

– Ma… riprese la povera sora Ghita più perplessa che mai.

Il poliziotto non le lasciò aggiungere altre parole.

– Avete questa sola maniera di provare immeritati i sospetti che avete fatto nascere sul vostro conto: diss'egli con accento di autorità imperiosa.

In quel momento un grosso corpo opaco che passava innanzi al finestrino gettò un'ombra nella loggia: i due interlocutori si volsero a guardare chi era e si videro davanti la faccia onesta e il corpo madornale di Bastiano, il portinaio della casa Benda.

Come essi videro lui, così Bastiano vide pure quelli che erano nel camerino, e riconobbe nell'uomo l'agente di Polizia che era stato a fare la perquisizione in casa de' suoi padroni. Gli occhi del buon Bastiano diventarono come quelli d'un mastino che vuol mordere: e' si fermò su due piedi e sembrò volere aprir l'uscio della loggia ed entrarvi, ma poi quasi ravvisatosi, continuò il suo cammino verso la scala.

– Sapete chi è colui? Domandò Barnaba con una minacciosa ironia alla portinaia rimasta in asso. Lo conoscete quell'uomo?

– Pur troppo! balbettò la donna che in cuor suo mandava ai cento mila diavoli, più che non avesse fatto mai prima, il marito.

– Voi non potrete più negare, io spero, le attinenze fra codestoro quissù e la gente laggiù della fabbrica.

– Io non ho mai negato niente.

– E sapete che cosa è venuto in mente al sig. Commissario sul vostro conto?

– Che cosa mai? domandò la portinaia con molta ansietà.

– Che quello screzio che mostrate avere con vostro marito non sia che un inganno…

Sora Ghita protestò con tutta la vivacità e la forza di cui era capace.

– Oh questa poi!.. Dica al signor Commissario che prima vorrei lasciarmi tagliare il collo… guardi quel che dico!.. il collo, che aver da fare con quel bestione di mio marito.

– Sora Ghita, sarà la vostra condotta ulteriore che determinerà i giudizii del signor Commissario ed i miei. Siamo dunque intesi!.. Non occorrerà che voi abbandoniate la vostra loggia per recarvi al Palazzo Madama. Passerò io qui da voi, di quando in quando, la sera sul tardi; e voi mi direte allora tutto quello che è capitato, tutto quello che avete veduto, tutto quello che in qualunque siasi modo sarete arrivata a sapere. E più saprete e meglio sarete ricompensata di poi.

La portinaia non osò negare, nè assentire; stette in silenzio, col capo curvo, e naturalmente il poliziotto prese quel suo contegno come un assenso. Barnaba fece ancora un atto di tacita raccomandazione ed uscì.

– È stata una buona ispirazione quella di venir qui: pensava egli allontanandosi a passo lesto da quella casa. Ora ho la materiale certezza che il Quercia ha relazione con codestoro che molto probabilmente sono affiliati a qualche società segreta. Tengo in pugno lo spirito timoroso della portinaia, e così colui lo vengo circondando tutt'intorno di fili che ad un momento si possono serrare e pigliarlo nella rete… Oh ci arriverò! ci arriverò!

Frattanto Bastiano era salito su fino all'alto quarto piano dove abitavano i giovani amici.

Francesco, liberato dalla cittadella e tornato a casa nel modo che vedremo fra poco, impaziente di sapere che cosa ne fosse degli amici suoi, lo aveva mandato a prenderne le novelle.

Quand'ebbe fatta l'ambasciata, il portinaio della casa Benda credette bene raccontare a Selva, a Maurilio ed al dottore Quercia che lo avevano ascoltato e gli avevano risposto, come lì sotto presso la Ghita avess'egli visto adesso adesso quel cotal poliziotto che era venuto alla fabbrica e che con tanta prepotenza aveva agito verso Giovanni.

Quercia corrugò minacciosamente le sopracciglia e lasciò vedere io mezzo la fronte quella sua riga caratteristica.

– Ah sì? diss'egli. Questo è un fatto di cui bisogna tener conto.

E fra sè pensò:

– Sempre quel medesimo!.. Bisogna ad ogni modo che Graffigna me ne liberi e il più presto possibile.

E in quel momento medesimo Graffigna stava appunto comandando a Pelone di fare in modo da trattenere il poliziotto nell'osteria fin oltre la mezzanotte, per avere all'uscita di lui dalla taverna più facile il modo di accoltellarlo.

– Guardatevi bene, continuava Quercia: io conosco le arti di siffatta gente. I discorsi di codestui colla portinaia non sono senza un perchè. Io ci scommetto che in quella donna questo agente poliziesco si è fatta una esploratrice: e forse forse l'arresto vostro e quello di Benda già furono cagionati dalle ciarle di lei.

Bastiano, all'udire queste parole, scosse il capo e voltò gli occhi all'insù con espressione di sdegno profondo, mentre la sua mano accarezzava il pome di quel grosso bastone che soleva portar seco sempre come fido compagno.

– Che sì che quella gazza maledetta n'è capace: diss'egli. Una lingua che non tacerebbe nemmanco sui carboni ardenti… Ma corpo del diavolo! Adesso vado a dirgliene io quattro!..

Discese le scale furibondo ed entrò coll'impeto d'una catapulta nella loggia della moglie. Il pensiero che le ciarle di costei avessero potuto nuocere al padroncino lo mettevano fuor di sè dalla collera.

La Ghita, da parte sua, non era in uno dei momenti più acconci per tollerare in santa pace le invettive di chicchessiasi e specialmente del marito. La comparsa di lui in punto così inopportuno l'aveva sdegnata come una vera improntitudine ed impertinenza dell'uomo, a suo riguardo. La vista di Bastiano, sempre spiacevole alla brava moglie, in quell'occasione erale stata spiacevolissima e ce l'aveva con lui maledettamente.

 

Bastiano, come entrò senza cerimonie nel camerino, così saltò senza preamboli nel mezzo del discorso.

– Brutto mostro d'una linguaccia perfida, degna delle staffilate! Che sì ch'io non so chi mi tenga dal farvi assaggiar ben bene di questo randello traverso le spalle, per mostrarvi a tenerla a segno una volta…

La donna inviperita non potè tollerare più a lungo in silenzio. I cannelli della sua cuffia madornale fremevano d'indignazione; le guancie erano diventate color di mattone cotto e il naso color di un peperone d'Asti. Bastiano gridava forte colla sua voce da basso profondo; ma la Ghita si cacciò a gridare ancor più forte colla sua voce strillante insieme e nasale.

– Oh malnato d'un villanaccio senza sugo e senza creanza!.. Che cos'è questo tono da spaccamontagne? Che cosa sono queste parolaccie da facchino?.. Credete voi di farmi paura con quel ceffo da orso, prepotentone che siete?.. Non è più il tempo in cui, povera donna, mi toccava star sotto un bestiale di marito… So farmi rispettare e so dove trovar protezione contro le violenze d'uno scellerato…

Cominciando in questo gentil modo il discorso voi potete agevolmente indovinare qual corso tenesse. I due contendenti ebbero in breve esaurito tutto il dizionario degl'improperii, e ciò in tono tale che tutte le comari del vicinato, scacciate dalla venuta di Barnaba, tornarono nel camerino ansiosamente curiose.

La Ghita che aveva già avuto cotanto coraggio da sola contro il marito, figuratevi come fu più audace ed aggressiva ancora quando si vide rincalzata dalla frotta delle sue comari, le quali non è da dire se presero tostamente le parti della loro compagna.

Il povero Bastiano ebbe una violenta tentazione di menare attorno il suo bastone sopra quel branco di oche che gli sbraitava intorno; ma il suo buon genio lo trattenne da un tanto scandalo. Si ritirò in buon ordine innanzi all'incalzante battaglione delle donnaccole, e si limitò uscendo a gettare come ultima minaccia queste parole a sua moglie:

– Ricordatevi che se la vostra lingua è cagione d'un sol dispiacere ad alcuno dei miei padroni, io vi faccio ballare senza suono una monferrina indemoniata…

La voce di Bastiano fu coperta dagli strilli delle vecchie comari che perseguitarono il fuggente, la Ghita in capo come duce e trionfatrice, sino sulla soglia del portone; ma ciò nulla meno la portinaia che conosceva l'umore e il polso del marito sentì penetrarsi quelle parole nell'anima ad accrescere in lei quella perplessità che le aveva lasciato il colloquio avuto coll'agente della Polizia.