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La plebe, parte II

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– Come vuoi: soggiunse Giovanni: ma pur tuttavia mi ammetterai che questi sensi, per quanto volgari, sono dati all'uomo perchè, mercè l'aiuto della ragione, colla potenza riflessiva e critica, e' si faccia capace di tutta quella verità cui possa arrivare. Quando la immensa maggioranza degli uomini, e con a capo di questa alcuni eminenti per ingegno e per istudio, affermano che certi fenomeni sono tutt'altro che esistenti nella realtà naturale delle cose, noi abbiamo un elemento di giudizio irrefragabile per credere piuttosto che la verità è dalla parte di codestoro. Tu mi dirai: sono invece i pochi dall'altra parte che, avendo una organizzazione speciale e più eletta, vedono e sentono meglio e più in là della grossolanità sensitiva della comune degli uomini. Ma chi ci può affidare della verità di siffatta ipotesi? È pur cosa posta in sodo che il cervello umano è, in parecchi individui ed in parecchi casi, soggetto all'allucinazione; nè tu vorrai darmi per apprensioni di alcuna parte di vero i delirii della febbre e della pazzìa, le chimere d'un fantasticante, le immagini dei sogni.

– Chi sa? Ve ne possono essere dell'una e dell'altra sorte: fallacie del senso intimo e fugaci visioni guaste dal mezzo ambiente o dallo stromento apprensivo.

– Ma quale allora la stregua a misurare il grado di attendibilità di queste manifestazioni e sceverarne i vaneggiamenti dalle realtà?

– Quale? Quella ragione che tu invocavi poc'anzi colla sua critica riflessiva.

– Ma la ragione comincia per dire a me che tutto questo è un assurdo…

– Ciò non è la ragione che lo dice; è un pregiudizio. Se tu, a mezzo del secolo scorso, avessi detto all'uomo più colto di quel tempo di criticismo e di acume osservativo, avessi affermato ad un enciclopedista che sapevi un mezzo di dar moto e spasimi ad un cadavere, il tuo ascoltatore, che voleva appunto mettere in seggie la natura e gettare abbasso tutto ciò che credeva all'infuori di lei; egli che non aveva ancora il menomo sentore del galvanismo, ti avrebbe risposto crollando le spalle che la sua ragione gli diceva la tua assertiva essere un assurdo.

– La ragione, se non altro, mi dice fondatamente che quando d'un fenomeno si può dar la spiegazione che entra nei limiti delle leggi e delle regole conosciute, è pericoloso e nocivo, o quanto meno, è vano andar cercandone di strane spiegazioni che turbano ad ogni modo la logica di quel complesso di regole e di fatti cui comprende l'uomo sotto nome di natura…

– Ne turbano il falso e ristretto concetto; si armonizzano invece in una più ampia apprensione dell'opera di Dio… E quando poi la ragione ti dicesse che colla spiegazione dei tuoi limiti e regole conosciute non si spiega niente?..

– Aspetterei allora a pormene il quesito; e prima di ammettere che la scienza positiva ha torto, vorrei anzi ammettere che la mia intelligenza o il mio organismo sono in difetto. Del resto io vado molto guardingo nel riconoscere la realtà di questi fatti non ispiegabili colle norme della nostra conoscenza scientifica moderna. Il più delle volte tali avvenimenti non sono niente affatto certificati. Ora qui, nel caso nostro, mi trovo a fronte una tua affermazione, a cui mi piace e devo prestare ogni credenza. Ma del fatto così provato nella sua materialità, lasciami cercare la ragione in quei fenomeni che per me sono naturali, non in quelli che eccedono la comprensione ch'io posso avere della natura. Se questa ragione la trovo in tal modo, perchè non mi vi acqueterei più volentieri che non in un ordine nuovo di fenomeni e di leggi a cui ripugna il mio intelletto, e di cui la scienza non mi dà la menoma prova?

– Udiamo adunque la tua spiegazione materialista: disse Maurilio col suo strano sorriso.

– Eccola. Lungo tutta la giornata la tua mente era rimasta fissa in un solo pensiero, la tua anima ferma in un solo desiderio: il pensiero di lei, il desiderio di saperne il nome. La passione, fattasi, appena sorta, gigante nel tuo cuore, la tensione continua della facoltà pensativa, l'effetto straordinario e profondo che fecero sulla tua natura impressionabile una stupenda musica primamente udita, un nuovo spettacolo non visto mai, cagionarono in te quel certo eccitamento nell'organo cerebrale, cui produce con più o meno differenza ed intensità la ebbrezza dei vapori alcoolici, il delirio della febbre, il misterioso fenomeno del sogno, quello stato speciale morboso della parte intellettiva pel quale certe fantasmagorie soggettive prendono proporzioni e natura di cose estrinseche, oggettive e reali. Tu non avevi pensato ad altro di tutto il giorno; era naturale che sognassi di codesto; il tuo organismo è disposto a queste astrazioni della fantasia ed a far concreti questi fantasmi del tuo cervello; nulla di più naturale che ciò succedesse in siffatta occasione e con tanto maggior potenza di verosimiglianza. Tu non hai visto che le idee del tuo cervello prender corpo apparentemente all'infuori di te nella lanterna magica d'un sogno, riflessione anormale ed inconscia del tuo pensiero.

Maurilio scosse la testa, sorridendo ancora a quel modo.

– E come va che questo sogno, che questa riflessione anormale, che questa fantasmagoria morbosa, o come vuoi chiamarla, mi apprese una verità che ignoravo? Poichè il fatto è che quel nome erami del tutto ignoto, e quello dettomi dall'apparizione fu il vero.

Giovanni esitò un poco per cercare una ragione.

– È un indovinamento, disse poi, che forse non si deve che al caso.

– Ah! il caso? Esclamò Maurilio con accento di trionfo. Questa sì che è la spiegazione per cui non si spiega niente: questo sì che è il comodo mezzo d'uscir d'impiccio in ogni più grave quesito che vi affacci la natura e l'anima umana. La creazione? Il caso. L'armonia infrangibile di essa? Il caso. La presenza e la comparsa dell'intelligenza in mezzo al mondo della materia? Il caso… No: questo cieco Dio, cui crea la cecità dell'uomo, non ispiega nulla. A seconda che sminuisce l'ignoranza umana si restringe l'azione e la potenza di questo nume senza ragione. Noi chiamiamo caso il risultamento di leggi che ci sono ignote così da non averne sospettato pure l'esistenza. Se l'umanità potrà progredire di tanto che legga in tutte le pagine del gran libro di Dio, il regno dell'azzardo, che mano a mano si rimpicciolisce, sarà del tutto scomparso.

Fece una pausa di pochi minuti, recandosi sovra se stesso e stringendosi colle sue grosse mani la fronte vastissima, come per raccogliervi ed ordinare le idee che vi si agitavano per entro. Poscia ad un tratto risollevò il capo e riprese a parlare con più forza, e direi quasi con più autorità:

– Ma non fu questo del nome di lei il solo vero che il mio benigno spirito in quella notte memoranda mi apprese. Ti ho detto che sotto all'influsso di quell'eccelso amore, già la fede aveva ripreso a picchiare alle porte della mia intelligenza per abbattervi la negazione trincieratavisi col sofisma, già aveva invaso l'anima mia colla ineffabile forza dell'affetto; ma difettava tuttavia la ragione logica e suprema che coordinasse gli elementi sparsi, che chiarisse i confusi, che assodasse i dubbi di quel sistema completo di credenze onde si compone la scienza prima dell'uomo: quella di Dio, dell'essere dell'anima nostra e del suo destino. L'amoroso spirito delle mie visioni mi formolò nella parola umana la verità apprensibile dal nostro limitatissimo intelletto dell'essere e della ragion delle cose. Vuoi tu udirla o Giovanni?

– Sì, sì, con molto piacere: esclamò Selva che, non ostante la sua sino allora conservata indifferenza e quasi dovrebbe dirsi ripugnanza a tutto ciò che sapeva di metafisica, di superiore cioè alla ristretta materialità della creazione, sentivasi pur tuttavia vivamente interessato come da una nuova curiosità che ne avesse assalito lo spirito. Parla, chè io ti ascolto con ogni attenzione, non rinunciando certo al diritto di critica della mia ragione, ma non disdegnando a priori le allegazioni e gli argomenti della tua credenza.

Maurilio, senza prepararvisi dell'altro, cominciò a parlare.

CAPITOLO XXIII

Fra i lettori di romanzi una buona parte non cerca che l'interesse il quale nasce dalla combinazione degli avvenimenti e dalle manifestazioni della passione; codestoro trovano superfluo e fuor di luogo, in un lavoro d'immaginazione come in opera d'arte, tutto ciò che ha la pretesa di toccare gli alti quesiti della filosofia, della scienza, della politica e dell'economia pubblica; impazienti di arrivare allo scioglimento del nodo bene o male raggruppato che si trovano presentato dinanzi dalla favola del racconto, dispettano ogni indugio che nel cammino venga frapposto da considerazioni o da esposizioni che non sieno azione di dramma. Per questi cotali non è scritto il presente capitolo: e siccome all'intelligibilità dell'intreccio drammatico ed alla conoscenza dello svolgimento dei fatti non nuocerà per nulla affatto l'ometterne la lettura; così io consiglio senz'altro chi non si piace di queste cui giudica vane fisime e inutili sopraccapi di filosofia, di saltare a pie' pari l'intiero capitolo e ricominciare al XXIV, dove si riprenderà la catena della narrazione.

Avendo poi in animo di scrivere in questo lavoro la storia non solo dei fatti materiali della vita, ma dell'anima di certe individualità, in cui rappresentate intiere classi, non mi parve potere a meno che affrontare eziandio il gravissimo quesito dell'essere, della natura, del destino oltre questa terra dell'anima umana: quesito che comprende la quistione della coesistenza del bene e del male e quella della divinità. Qual è l'uomo che pensa, il quale, anche quando si tenga attaccato alla fede impostagli autorevolmente nell'infanzia dall'affermazione presentatagli come indiscutibile dei maggiori, pur tuttavia non si trovi in dati momenti faccia a faccia con questi terribili enimmi gettatigli innanzi di forza dalla sfinge della vita? In quest'epoca in cui ogni credenza vacilla e la crosta esteriore, per così dire, di tutto il mondo sociale è una strana miscela di scetticismo indifferente e di audaci negazioni rincalzate da vantati progressi di scienze positive, con qualche chiazza qua e là di vernice d'ipocrisia, a mio avviso, nel substrato dell'umanità, nelle viscere di essa e forse appunto in quelle classi inferiori non abbastanza apprezzate e curate fin qui, di cui tuttavia non si dà abbastanza pensiero la parte gaudente del genere umano; in quelle classi di cui è intenzione del presente lavoro tracciare i principali elementi; in quelle classi che, come già pel passato emanarono dal loro seno il ceto medio, dovranno nell'avvenire dar la materia d'una società diversamente atteggiata e d'una civiltà novella; in quelle classi dico, serpe, e si agita, e fa suo cammino inconsciamente un bisogno di fede nuova, più pura di pregiudizi, meno materiale, più logica, se così posso dire, almanco nella sua estrinseca forma. È inutile il dissimularselo. Le agitazioni politiche, le quali dalla caduta del colosso napoleonico fino ad ora – e non accennano cessare – hanno scombuiato il mondo, non sono che i prodromi d'una rivoluzione sociale; ma questa, come quella politica, non sono che un rimutamento esteriore dell'umanità, il quale avendo luogo nella materia, implica, ed è manifestazione ed effetto d'un rimutamento necessario avvenuto o da avvenire contemporaneamente nello spirito. L'idea domina il mondo: lo spirito regge l'uomo; avete bel decretare con impotenti aforismi materialistici che lo spirito non esiste e che l'idea è una creazione della sostanza cerebrale; sarà sempre la modificazione della parte immateriale dell'uomo che cagionerà e guiderà i mutamenti e i progressi de' suoi fatti esteriori e de' suoi istituti. Perciò voi vedete la quistione religiosa far capolino da per tutto sotto quella politica. Invano la volete escludere; invano volete rimandarla al di poi; riuscirete forse a ritardarne l'aperto scendere in campo; ma, dopo avere assalito l'intelligenza dei pensatori nelle loro veglie travagliose, dopo avere lottato nell'arena scientifica coi crogiuoli del chimico, lo scalpello dell'anatomico e le deduzioni sperimentali del fisiologo, lotta che ne acuisce come cote le armi, e la purga da molti elementi d'errore; dopo avere oscuramente, confusamente agitate le coscienze delle plebi, un giorno scoppierà nelle manifestazioni della vita sociale, non colla violenza materiale, speriamo, ma con quella ancora più irresistibile d'una nuova evoluzione della mente umana che ha bisogno di trovare la sua forma, d'una necessità del progresso.

 

Io qui non sono nè propagatore di nuove dottrine, nè ambizioso cercator di proseliti; sono espositore soltanto d'un complesso di pensieri a tal riguardo, nel qual complesso mi pare scorgere che s'acquetino le aspirazioni superiori dell'anima, le esigenze della ragione e i dati positivi della scienza moderna.

Ciò detto, l'autore, si rintana nella sua parte passiva, e lascia parlare i suoi personaggi.

– Io t'ho già detto, così parlò Maurilio, che fin da bambino la mia mente era stata assalita dal tremendo quesito delle origini e del fine dell'uomo, che le mie audaci interrogazioni spaventavano la fede tranquilla ed umilmente rassegnata del buon Don Venanzio, e che questa fede medesima cui quel vecchio, virtuoso sacerdote aveva fatto ogni sforzo per radicarmi nel cuore, era venuta meno in me, innanzi all'ardita analisi della mia ragione. L'edifizio scavato a poco a poco sotto le fondamenta da questa potenza d'analisi, a un dato punto crollò per intiero, ed io mi trovai in mezzo alle rovine di esso, innanzi ancora d'aver letto Descartes nella condizione che questi assegna per primo elemento, per punto di partenza all'acquisto della cognizione, con un compiuto scancellamento dalla tavola dell'intelligenza d'ogni affermazione a priori.

«La quistione del male aveva chiamata la mia attenzione da molto tempo. Senza aver letto Bayle, che ne ha dato la formola, già sgomentavo e confondevo la ortodossia del buon parroco del villaggio colla obiezione di questo inesorabil dilemma: «Se il male esiste, o gli è per volontà di Dio, o contro questa volontà. Ammettendo il primo, Dio non è nè giusto, nè buono; non questo, perchè è l'autore del male, la qual cosa nessuno potrà dire essere bontà; non quello, perchè punisce l'uomo d'aver fatto quel male ch'egli Dio ha creato, a cui perciò ha concorso o cui almanco ha permesso. Se Dio avesse escluso dalla sua creazione il male, l'uomo non l'avrebbe commesso: e una bontà onnipotente non doveva ella far così? Oppure si ammette che il male esiste contro la volontà di Dio, ed allora questi non è più onnipotente, e vi è in questo universo, che voi dite creato da Dio dal niente, qualcheduno o qualche cosa più potente di lui, valendo ad agire contro la volontà di esso, ed è l'autore del male.» A questo argomento il buon Don Venanzio, scandolezzato, tirava in campo le vecchie armi della sua teologia, colle quali la scolastica ortodossa non valse pur mai a rispondere vittoriosamente; e battuto passo passo dall'incalzare del mio raziocinio, si ritirava nell'ultima rocca del credo quia absurdum, fulminando colla scomunica le audacie investigatrici della ragione umana.

«La Chiesa diffatti, innanzi a questo che fu sempre il più gran quesito della filosofia, non ebbe mai una risposta trionfante, fuor quella dell'anatema e dell'inquisizione. Anzi, nel suo formarsi traverso lo scombuiamento delle prime età medievali, patteggiò, direi quasi, coll'obiezione, ed amalgamando le superstizioni popolari, alcune reliquie della parte più bassa del culto pagano, le filtrazioni di una diversa teogonia dall'Oriente, costituì al Satana del volgo una potenza per poco non pari a quella del Creatore, e consacrando coll'autorità religiosa le tradizioni e le leggende, fece passare nell'ortodossia l'idea eterodossa d'un semidualismo nel governo dell'Universo.

«La filosofia pagana non s'era volta di proposito a cotal ponderosa quistione. Appena se l'aveva toccata passando; e Platone medesimo, l'idealista, ed Aristotile avevano ammesso una specie di dualismo fra due Eterni: lo spirito regolatore e governatore, e la materia increata, ma da quello regolata e diretta. La società pagana tutta rivolta al bello artistico, in certe circostanze e forme di sua costituzione che escludevano gran parte di quel male fisico che assalse le plebi di poi nel rovinìo di quella civiltà, aveva dirette le sue speculazioni al bene, e non aveva mirato che sotto colori gai, poetici e ridenti i grandi soggetti che s'impongono alla nostra mente: Dio, l'uomo ed il creato. Ma all'infelice vivente nel medio evo, flagellato da mali d'ogni sorta e da miserie incomportabili, questi oggetti sono apparsi in tutt'altra guisa, traverso i suoi dolori e la sua disperazione. Il male lo stringeva da ogni parte e sotto ogni forma, oppressione delle anime ed oppressione dei corpi, servitù più dura che la schiavitù antica, perchè sopportata più impazientemente, mentre la nuova religione e il progresso dell'umanità avevano già fatto entrar nell'animo la coscienza dei diritti individuali e la lusinghiera idea dell'uguaglianza giuridica; violenze inaudite, guerre continue, pestilenze, carestie, tutti i flagelli riuniti.

«Come non credere alla potenza di questo male? Com'era egli venuto al mondo? Avrebb'egli avuto fine?

«Satana, il Dio del male, s'impianta e sovraneggia sempre più nel mondo, anche secondo la dottrina cattolica. Il dualismo, che è base alle cosmogonie asiatiche ed al gnosticismo alessandrino, si insinua nella metafisica, nella morale, per non dire nel dogma della nuova religione, aggiunta nociva all'opera divina del Nazareno. La Chiesa ammette il principio cattivo e lo riveste d'una esistenza reale, che s'impone alla fantasia sotto mille forme mostruose, che riempie di sua potenza la natura fisica con tutti i fenomeni inesplicati dalla scienza bambina, e la natura morale con tutti i giuochi delle passioni non disaminate dalla psicologia in fascie.

«Sulle concessioni fatte al sentimento comune dall'ortodossia cattolica esagera e travalica l'immaginativa popolare, la febbre dello sgomento, l'ebbra cecità dell'ignoranza. Sempre udendosi dai loro sacerdoti minacciare di questa misteriosa potenza, le masse ignoranti finirono per dirsi che ella potrebbe forse con un culto disarmarsi e rendersi loro propizia9. L'idea demoniaca favorita dalla Chiesa che credette trarne profitto per sè, si volse in molte parti contro la medesima e suscitò le follie morbose della stregoneria e passò all'eresia, aggiustando per le credenze dell'Occidente una parafrasi del Manicheismo orientale. Satana divenne creatore ancor egli; il mondo visibile è opera sua, cattiva al pari di lui; i monarchi della terra sono necessariamente suoi ministri; le potenze lo servono e la maggiore di tutte, la Chiesa Romana, è la più efficace produttrice del male. Era nata l'eresia degli Albigesi cui dovevano reprimere con tanta crudeltà i roghi dell'Inquisizione.

«Con l'amalgama confuso e soverchio delle letture ch'io aveva fatto, in mezzo alle mie meditazioni io mi travagliava inutilmente e penosamente a stringere il vero traverso il combattersi e l'urtarsi, il turbinare di mille diversi, opposti argomenti. La Chiesa cattolica non aveva saputo darne alcuna logica soluzione, ma il cristianesimo – che è cosa ben differente dalla Chiesa – ne aveva pur data una sublime. «Il male – dice in sostanza la vera religione di Cristo – è entrato nel mondo per fatto d'una volontà intelligente, creata libera di scegliere il bene; imperocchè Dio essendo la suprema libertà, ha fatto la creatura ad immagine sua, cioè libera nelle sue determinazioni, epperò risponsabile.»

«Il medio-evo non aveva potuto comprendere questa magnifica risposta, egli che non poteva farsi il menomo concetto della libertà, oppresso com'era e servo in tutto e per tutto, lo spirito ed il corpo. Non potevo allora nemmanco comprenderla io che mi credevo in balìa alla cieca forza della fatalità nemica d'ogni libero arbitrio. E poi mi rispondeva il sofisma: «Se Dio ha creato l'uomo, egli l'ha fatto con tutte le sue facoltà ed attributi, tale e quale. Tutto dunque nell'uomo proviene da Dio, non c'è nulla di possibile in lui che non vi sia per espresso volere di Colui che l'ha tratto dal nulla. Checchè faccia l'uomo, qualunque partito abbracci, egli non si può muovere che in un cerchio designato ed in condizioni già precedentemente stabilite; come dunque, se fa il male può dirsi ch'egli ne sia l'autore, e l'autore a dispetto di Dio?

«A conservarmi nelle opinioni spiritualiste, malgrado le letture cui già m'era avvenuto di fare, fino ad una certa età avevano giovato le apparizioni di quell'essere immateriale alla cui realtà avevo fermamente creduto; cessando queste apparizioni, il dubbio anche sulla verità delle medesime era entrato nell'animo mio. In quella mi cadde tra mano il Système de la nature del barone d'Holbach. L'apparenza scientifica di quel dettato, la logica sofistica delle sue deduzioni, il calore stesso di alcune sue pagine in cui vi par di sentire, traverso la convinzione personale, la voce della verità, mi produssero una grandissima impressione: a ciò si aggiunsero i trattati di Cabanis e di Destutt de Tracy, e persino uno di Broussais che divorai coll'ardore con cui una giovine donna dimentica il volo del tempo nella lettura d'un romanzo. Credetti posto in sodo dalla filosofia, la scienza del ragionamento, e dalla fisiologia, la scienza dell'osservazione, ambe d'accordo, che in noi, che nei fenomeni della vita, che nel mondo universo non v'era che materia, la quale, per necessità di leggi ad essa medesima inerenti, doveva atteggiarsi a quelle varie forme ed a quei varii fenomeni.

«Spogliai l'uomo dello spirito immortale. Non vidi più in esso coi miei autori, che un tutto di organi corporei e di funzioni proprie di questi organi; l'io, la personalità umana non fu più un essere, un ente da sè; non fu altro che un fatto, un prodotto dovuto a questa o quest'altra disposizione delle molecole materiali. L'intelligenza e la sensibilità non furono altro più che funzioni dell'apparecchio nervoso, come la trasformazione degli alimenti in chilo ed in sangue, è una funzione dell'apparecchio digestivo e di quello respiratorio. Il pensiero fu una secrezione del cervello, come la bile è una secrezione del fegato e l'orina delle reni. L'esistenza dell'anima non fu più che un'ipotesi, a cui nessuna osservazione non dà fondamento, cui nessun ragionamento rincalza, un'ipotesi gratuita, ed anzi un'idea priva di significato.

 

«Codeste opinioni mi angustiavano l'anima. Un profondo scoraggiamento, un'apatìa, un intimo sdegno delle cose e di me, un abbassamento nella forza del pensiero ed anco nella nobiltà dei sentimenti, n'erano l'effetto. In me, contro quell'errore del mio intelletto, protestava mutamente la coscienza: ma forse non avrei avuta la forza di scuotere quel dannoso e torpido giogo del sofisma, se l'amore non fosse venuto ad incitarmi l'anima, se nella crisi della suscitata passione non si fossero con più vigore rideste le facoltà del mio spirito.

«E fu a questo mio spirito già scosso entro la mia carne, che venne a favellare il vero lo spirito etereo delle mie visioni.

«Poichè mi ebbe detto il nome della donna all'anima della quale era irrevocabilmente consecrata oramai l'anima mia, la soave apparizione mi guardò un istante immobile, in silenzio, ma con dolcissimo lampeggiar di tenerezza non dagli occhi soltanto, ma da tutta quella vaporosa forma di contorni vaghi e sfumati: quindi non alle mie orecchie, ma proprio sotto il mio cranio, direttamente al mio cervello, non per ondulazioni sonore, ma per immediata comunicazione d'idee, udii suonare con ben altra efficacia, con ben altra eloquenza ch'io non sappia tradurre in parole la sostanza dei concetti seguenti.

« – Tu sei poeta: il pensiero sotto l'impulso dell'affetto si traduce in te facilmente coll'armonia del verso; ma la forma in te, bada che non pigli sopravvento sull'idea e non sciupi in lavoro di espressione la forza che, concentrata, darebbe potenza e virtù al pensiero. Poeta è lo spirito di tanto progredito nella evoluzione della sua esistenza immortale, che può cogliere nei campi dell'eterno vero più chiare apprensioni dell'assoluto, e queste tradurre in opere ed in linguaggio umano a beneficio dell'umanità. Il tempo in cui all'orecchio dell'uomo suonava più gradito e riusciva più fruttuoso il concento melodico dei versi è passato. La fantasia lascia parlare oggidì la ragione; la poesia – l'apprensione del vero – si deve fare oramai colla scienza. Lascia gl'inni, i cantici d'amore, le odi: agisci e parla come uomo che ha uno scopo, che lo vede, e che vuol camminare determinatamente verso di esso, traverso tutti gli ostacoli e i labirinti della via. Quale lo scopo? Migliorar sè e concorrere al miglioramento della famiglia umana a cui la vita terrena t'imbranca: scoprire colla tensione dello spirito, collo sforzo della volontà, collo studio tuo particolare, che si connette e si addenta, come ruota piccolissima in una gran macchina, collo studio della umanità che fu e che è, e di quella eziandio che sarà, complesso meraviglioso di tanti minuti sforzi individuali che forma il progresso del mondo umano; scoprire una maggior parte di vero, e questa diffondere e comunicare ed applicare, se possibile, a vantaggio di tutti.

«Tu ami. – Che cosa t'impone quest'amore? – Farti degno di lei. – Potrai tu giungere sino ad essa in questa corta evoluzione di esistenza che ha luogo sulla terra? – Forse no. – Che importa? – Bisogna lavorare per avvicinarvisi almanco. Non è sospirando inutili versi amorosi che tu riuscirai a spingerti verso di lei nè socialmente, nè moralmente, nè intellettualmente. Consulta l'intima voce del tuo cuore, ed odi ciò ch'essa ti dice. Excelsior! Più su! Più su! nell'immensa catena degli esseri.

«Come per pareggiarne la condizione umana ti conviene salire dagli infimi gradi della scala sociale; così per avvicinarsi alla sublimità angelica di una anima, è forza appurare ed affinare la propria. Il tuo ingegno ti rivela parte dei bisogni dell'umanità presente, la tua esperienza te ne mostra le miserie: applica quella potenza di pensiero cui già raggiunse il tuo spirito ai fruttuosi travagli della scienza sociale, aumenta in te i tesori d'una dottrina il cui complesso e risultamento sia la conoscenza delle leggi che applicate possono migliorare lo stato interno e quello esterno dell'uomo, la morale e la economia pubblica, e quando tu così sarai in possesso d'un barlume di più della verità, fallo splendere agli occhi degli uomini intorno a te. Meriterai di questa guisa innalzarti nella gerarchia sociale: potrai provare che nell'umile corteccia di rovere si trova la verga d'oro; e s'anco l'ingiustizia umana ti lascia cadere e passare ignorato nel mondo, sarà, al chiudersi di quest'episodio terreno della sua esistenza immortale, migliorato il tuo spirito: il tuo spirito, a cui, ora, esso stesso, da false apparenze traviato, ha l'audace stoltezza di non credere!

«Drizza a ciò ch'io ti comunico tutta la tua attenzione: continuava in quella stessa maniera ma con più autorità ancora a susurrarmi entro il cervello la fantastica forma muliebre. Per me è lo spirito di verità e di carità che ti parla. Questo non è senno mio, non è scienza mia, è un raggio del sole dell'intelletto che da me, per divina provvidenza, viene riflesso nell'anima tua. Alle illazioni della tua falsa scienza, alle temerarie conclusioni di un'osservazione parziale che non abbraccia più di un lato meschino della verità, odi ciò che risponde quella cognizion delle cose che, innalzatasi su poggio più elevato, corre col suo sguardo una maggiore estensione di vero.

«Tu ti affanni e bestemmi nell'argomentare intorno alla quistione del male. Or sappi che il senso assoluto che si dà a questi due termini bene e male, secondo il dogma dell'antichità, non è esatto. Queste due parole, come tutte quelle che esprimono l'esistenza e i suoi modi, non hanno significazione immutabile nel regno del relativo che è la terra, e pigliano un senso nuovo ad ogni volta che l'umanità concepisce una nuova dottrina generale. In faccia alla verità assoluta non esiste che il bene; il male si risolve in nient'altro che in una negazione maggiore o minore del bene, la totale assenza di questo sarebbe il male assoluto; e questa totale assenza nel mondo è impossibile. Il male quindi non è cosa reale ed esistente per sè, è una cosa negativa, è una privazione, e va cessando a seconda che nel suo cammino fatale – o per dir meglio provvidenziale – l'umanità, come tutta la creazione, si viene raccostando sempre più al bene assoluto. Ciò dà essenzialmente, necessariamente il suo carattere di relatività al male. Nessuna potenza rivale di Dio l'ha creato. Si crea da sè temporariamente, per mancanza di bene. La legge dell'esistenza è il meglio10, val quanto dire l'indefinito, continuato, progressivo perfezionamento. Il male ed il bene da noi percepiti non sono che due aspetti che ci presentano le cose: considerate sotto il rispetto della morale pel bene e male morale; considerate sotto quello del danno e dell'utile pel bene e male fisico; considerate sotto quello dell'ignoranza o della conoscenza pel bene o male intellettuale.

«Il bene d'oggi sarà male domani, perchè domani l'umanità sarà migliore: il bene di ieri è già male al giorno d'oggi; ma mentre il bene diventa male, mai quello che l'umanità ha già giudicato male non ridiventa bene. Adunque il male assoluto, che sarebbe la negazione dell'essere, non esiste; esiste il male relativamente ma di meno in meno, tendendo gradatamente a scomparire: e questo è il progresso, la ragione suprema dell'evoluzione universale. Bene e male sono luce e tenebre. Quello che esiste è la luce; l'ombra non è cosa che esista, è la privazione della luce.

«La legge di camminare verso il meglio è una legge che regola tutta la creazione: all'uomo essa costituisce la sua legge morale. Guarda soltanto la tua meschinissima terra, che è un punto meno che impercettibile nell'infinito numero dei mondi nello infinito spazio: l'evoluzione cosmica nelle fasi della sua esistenza è un incessante travaglio di progressione verso il successivo miglioramento. La geologia ti parla di questi immensi scambiamenti di forme e di condizioni, in cui ti pare la natura siasi provata in vari saggi a raggiungere i tipi della creazione attuale. Non erano tentativi, non erano abbozzi; erano tipi compiuti e i più perfetti possibili nelle condizioni d'esistenza di quei periodi; a voi viventi nell'epoca attuale una maggior perfezione relativa conseguita fa sembrar quelli poco meno che aborti, come fra migliaia di secoli le creature più perfette che abiteranno il vostro globo, troveranno voi imperfettissimi accenni delle loro forme, delle loro facoltà, della loro intelligenza. Del progressivo sviluppo delle facoltà umane ti parlano con linguaggio irrepugnabile l'archeologia, la storia, la legislazione.

9Bellissimo è a leggersi in proposito il libro di Michelet La Strega.
10Ciò disse il Leibnitz.