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La plebe, parte II

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E il falso giudizio del mondo lo invidiava come uno dei più felici della terra: lui ricco, lui nobilissimo, lui dei primi dello Stato, lui padre di prospera prole!

– Madre mia: rispose Ettore alle parole pronunziate dalla marchesa entrando; avrei forse potuto esimermi con ragione dall'onorare di tanto quel cotale, ma un Baldissero quando si tratta di battersi non la guarda più così pel sottile, ed ora che ho accettato la partita, non è più il caso di discutere su questo punto. Avvenne inoltre tal fatto per cui mi trovo posto nella più strana e spiacevol condizione che potessi immaginare…

E narrò in breve alla madre dell'arresto di Francesco.

– Mais c'est très-bien! Esclamò la marchesa con piena soddisfazione. Ecco le cose perfettamente aggiustate! Barranchi si è regolato proprio da quell'uomo di senno che è; gli scrivo un bigliettino per dirgli bravo e per raccomandargli che tenga un po' più a lungo al fresco quel cervellino bruciato.

Il marchese si alzò e col viso accigliato, colla voce ferma che dinota la volontà più risoluta, disse alla moglie:

– Voi non farete nulla di tutto ciò; ed io in questo momento stesso vado ad adoperarmi per far riporre quel giovane in libertà.

La marchesa fece un atto di profondo stupore.

– Voi farete codesto?

– Sì: rispose asciuttamente il marchese.

Mentre la moglie pareva voler formolare alcuna obiezione, si battè leggermente alla porta, e il marchese avendo detto s'entrasse, comparve Michele il domestico, che venne ad annunziare come il signor Giacomo Benda chiedesse di parlarne con S. E.

– Gli è il padre di quel giovane; disse vivamente la marchesa. Che viene egli a fare? Pensate voi di riceverlo?

Il marchese non rispose che con un chinar del capo, e rivolto al cameriere ordinò s'introducesse il signor Benda.

– Lasciatemi: soggiunse alla moglie ed al figliuolo quando il domestico fu uscito. Conviene che io lo riceva da solo.

La marchesa incominciò qualche osservazione contro il partito di ricevere quel cotale; ma il marito la interruppe bruscamente:

– Gli è a me che spetta decidere ciò che si debba o non si debba fare: diss'egli con forza. Prego tutti a ricordarlo.

La marchesa e il figliuolo si partirono di là senza altro; un momento dopo il padre dell'oltraggiato si trovava in presenza del padre dell'oltraggiatore.

Giacomo Benda l'industriale era stato allevato in un'epoca in cui il rispetto alla nobiltà e la persuasione della naturale e legittima superiorità di essa erano sentimenti comuni alla borghesia, massime a quella così detta piccola, a cui apparteneva per nascita egli stesso, la quale appena erasi levata da poco, mercè il lavoro ed il risparmio, fuori del gran serbatoio della plebe. Di credersi uguale ad un titolato non gli era mai passato in mente, e per quanto fosse venuta aumentandosi la sua ricchezza, mai non aveva sognato che ciò lo raccostasse alla schiera de' Semidei per cui fin da giovinetto aveva visto serbate, e credeva giusto che fossero, le grandezze e le distinzioni sociali. Di prepotenze il suo carattere ardito, fermo e leale non era acconcio a sopportarne da nessuno; ma era ben lungi dal creder tali quei privilegi, che erano concessi alla nobiltà e ch'ella stessa si arrogava così risolutamente, per cui, in competenza con un plebeo, il nobile dovesse sempre passare innanzi. In fondo egli aveva l'animo d'un libero cittadino, ma nei tratti della vita aveva le abitudini d'un vassallo. In qualità di commerciante egli aveva dovuto e doveva essere a contatto con varia gente dei varii ceti ed aveva trovato nei clienti più nobili, in generale, più generosa facilità degli altri nell'accondiscendere ai prezzi, la qual cosa era fatta, com'è facile ad intendere, per accrescere in lui quella deferenza che già nutriva per la classe privilegiata. Di questa da lungo tempo aveva imparato a stimare fra i più degni di riverenza il marchese di Baldissero e in occasione ordinaria sarebbe stato coi più umili – non però servili – contrassegni di sommesso ossequio che il padre di Francesco si sarebbe presentato innanzi a lui. Ora però, a farnelo avanzare con più eretta fronte in cospetto del polente titolato, a dargli un contegno di più libera risoluzione, da cui non era tuttavia escluso il rispetto, concorrevano lo sdegno, il timore, la passione che gli avevano suscitato nell'animo l'arresto del figliuolo, la perquisizione fatta in casa sua, la notizia dell'oltraggio inflitto a Francesco dal marchesino e la susseguente sfida a duello.

Nel primo momento, dopo la partenza dell'agente di polizia, delle guardie e dei carabinieri che conducevano arrestato Giovanni Selva, la mente confusa non aveva saputo suggerire nissun partito da abbracciarsi per venire in soccorso di Francesco nè anche al padre di quest'esso. Quell'angustiata famiglia erasi raccomandata alla protezione del dottor Quercia che le era apparso in tale occasione rivestito d'una certa autorevolezza, e che aveva manifestato di potere sovvenirli; ed aveva per allora in codesto solo un barlume di speranza. Ma quando Virginia ebbe mandata pel valletto la sua lettera a Maria, e questa, per subita ispirazione, determinò rispondendole invocare la protezione di lei; fu tal fatto narrato dalla figliuola a Giacomo quasi una rivelazione di quello che gli tornava di fare: ricorrere cioè al marchese di Baldissero. Sor Giacomo non dubitava punto che l'arresto di suo figlio non fosse opera di questo illustre e potente personaggio; e che unica ragione avesse a darsene alla scena avvenuta la sera innanzi al ballo, la quale gli era poi stata raccontata. Al suo dolore si aggiunse quindi una indignazione più che legittima; e tutta la sua ordinaria reverenza per l'aristocrazia non impedì che trovasse quello un sopruso bello e buono da farne i più alti e calorosi richiami. Si decise recarsi dal marchese e farsene sentire; ma la moglie, a cui comunicò questo partito e che l'approvò molto ed anzi lo spinse ad effettuarlo sollecitamente, cominciò per ammorzare alquanto colle sue osservazioni e preghiere le fiamme dello sdegno nell'animo di Giacomo: «pensasse, diss'ella, che si trattava di riaver presto e salvo il figliuolo, e che tutto il resto era nulla, ch'egli aveva da parlare ad un potente il quale teneva in mano la sorte di Francesco; guai ad irritarlo! Sapeva bene come sono i grandi della terra, che la verità non la vogliono sentire e che si lascian vincere, più che da ogni altra cosa, dalla umiltà delle supplicazioni. Il recriminare, l'inveire sarebbe stato inutile a rimediare a ciò che era avvenuto, ed avrebbe invece compromesso il presente. Esser sempre vera la favola del vaso di terra e di quello di ferro; il primo aversi da guardar ben bene dall'urtar nel secondo, altrimenti ne andrebbe senza fallo in frantumi ad ogni volta.»

Giacomo trovò questi ammonimenti della moglie dettati dal buon senso e promise conformarsi ad essi.

– E oltre il resto, soggiunse la signora Teresa, ricordati di parlare anche di quell'orribile cosa che è la sfida… Gesummaria! che nulla di simile abbia più ad aver luogo! Il marchese può impedirlo, e tu l'hai da pregare per le sante piaghe…

– Sì, sì, sta tranquilla; rispose il marito. Gli parlerò anche di codesto, e non avremo più ragione veruna di stare in transito.

La moglie lo fece vestire cogli abiti da rispetto; e lo accompagnò fin sotto l'atrio, fino a che fu salito nella carrozza, seguitando a consigliarlo e sollecitarlo, quantunque egli non ne avesse bisogno il meno del mondo.

Quando adunque Giacomo venne introdotto in presenza del marchese, la sua anima, era occupata e turbata da parecchi sentimenti che si oppugnavano: la indignazione che, quanto più egli pensava al fatto successo, tanto più trovava giusto motivo di crescere; la persuasione della necessità in cui si trovava di non fare inalberare l'orgoglio del marchese, ma di commuoverlo; la soggezione naturale in lui, che si credeva in una condizione subalterna, di dover presentarsi, e come richiamante, innanzi ad uno dei primi personaggi dello Stato. Pur tuttavia, entrò, come dissi, con una certa risolutezza nel gabinetto, predominandolo in quel punto la coscienza dell'aver ragione e il risentimento del torto sofferto; ma nel trovarsi in cospetto a quella imponente figura d'uomo, avvezzo a vedersi dinanzi umili cervici, il quale dritto presso il camino, rispondeva con un lieve cenno di capo protettore e cortesemente incoraggiante agli inchini di lui, Giacomo sentì pigliare il sopravvento tutta la sua primitiva soggezione.

– Signor marchese, cominciò egli con voce che non era affatto sicura e rivelava la profonda emozione. Eccellenza… io vengo… mi perdoni se vengo a disturbarla… Ella mi vede tutto commosso… E ne capirà la ragione, e indovinerà fors'anche il motivo della mia venuta, quando le avrò detto ch'io sono il padre di quel giovane che ieri sera con suo figlio… di quel povero giovane che fu arrestato questa mattina.

Il marchese fece un nuovo cenno pieno di cortesia e rispose con voce affatto benigna:

– Lo so; come conosco gli avvenimenti che pur troppo successero.

Giacomo, incoraggiato da quell'accento come dall'espressione di fisionomia del marchese, fece vivamente un passo verso di lui.

– Ah signor marchese, che le dirò io adunque di più?.. Ella è padre… Ella deve conoscere le angustie di un cuore di padre… Io non ho che quello di maschi… Ah per carità mi salvi, mi renda mio figlio!

E siccome in quell'istante la sua commozione fu tale che superò ogni altro riguardo, il povero padre strinse le mani in atto supplichevole, e due lagrime gli vennero agli occhi.

Quelle poche parole, quell'atto, quelle lagrime fecero sull'animo generoso del marchese maggior effetto di qualunque più eloquente discorso. Chiunque poteva scorgere a prima veduta che quell'uomo d'aspetto robusto e di forme piene di forza, non doveva avere molta facilità a quell'espressione di debolezza che è il pianto, come la sua voce rude non aveva pratica all'accento della supplicazione; ed ora sentire quest'ultimo su quelle labbra inavvezze, vedere le lagrime colare su quel volto abbronzato d'uomo che ha praticato fin da giovane colla fatica, che ha combattuta e vinta la fortuna, era la prova più spiccata e solenne del profondo dolore, dell'ineffabile passione che lo opprimeva.

 

Il marchese fece un passo verso il fabbricante, gli tese con atto cordiale la mano, e serrando amichevolmente quella che il borghese pose con timidità nella sua, disse con vera espansione e con interessamento:

– Si rassicuri signor Benda. Sì, due padri sono assai presso a comprendersi anche senza tante parole. E le dirò tosto che in questo stesso momento in cui Ella mi venne annunziata io era sulle mosse per recarmi dal Comandante generale della Polizia a parlare in favore di suo figlio.

Giacomo rasserenò la sua faccia, e i suoi occhi brillarono d'una luce di speranza, che era quasi la gioia d'una certezza. Strinse con emozione la mano aristocratica, che stava ancora congiunta alla sua tozza e grossolana di plebeo, ed esclamò con espressione di riconoscenza infinita:

– Oh mi basta e non occorr'altro… Sia Ella benedetta, sig. marchese… Eccellenza voglio dire… Posso senza più correre a tranquillare quella povera anima di madre – mia moglie – che sta là nell'angoscia che io le lascio pensare… La buona donna ama quel ragazzo cento mila volte più che la pupilla de' suoi occhi… Vado a dirle: sta lieta che domani, che oggi stesso Francesco ci sarà restituito.

– Piano: disse il marchese con un leggero sorriso levando la sua destra da quella dell'industriale. Non bisogna credere che il mio potere sia perfettamente uguale alla mia buona volontà. Ci porrò tutto il mio impegno, glielo prometto; ma potrebbe anche darsi che non riuscissi così bene come Ella ed io desideriamo…

– O che? Interruppe bruscamente Giacomo. La mi canzona? Quando quegli stesso che ha fatto eseguire l'arresto…

Il marchese si dirizzò della persona in tutta l'imponenza della sua alta statura, e prendendo una mossa più dignitosa e solenne, disse con accento più imperioso che non avesse ancora usato:

– Crederebbe Ella che io abbia avuto alcuna ingerenza in codesto?

Il padre di Francesco capì che aveva detto ciò che non conveniva e commesso uno sproposito.

– No, s'affrettò a soggiungere, non voglio dir ciò: ma in fatti gli è per riguardo a S. E. che…

– Niente affatto: interruppe di nuovo e con più asciuttezza il marchese. Fu creduto che suo figlio avesse mancato alla riverenza dovuta a S. M. in un luogo che questa onorava della sua presenza.

Giacomo ebbe un subitaneo impeto d'impazienza cui non valse a frenare.

– E perchè fu creduto codesto di mio figlio, mentre non si credette del suo, il quale infliggeva al mio Francesco tale insulto cui un uomo non può tollerare a niun modo?

Ma appena pronunziate siffatte parole, il padre di Francesco ne capì tutta la gravità, e temette essere andato fuor di strada ed aver compromesso l'esito del suo ricorso al marchese.

– Ah! mi perdoni: s'affrettò egli a soggiungere. Io sono così commosso… Ella lo vede… Non so bene quel che mi dica… Si compiaccia figurarsi un momento in che stato si trova l'anima mia… Ero così tranquillo, così felice colla mia famiglia, ieri soltanto!.. Ancora questa mattina io mi sono alzato senza il menomo presentimento del guaio che già m'era piombato addosso e di quello che minacciava. Noi ci amiamo di tutto cuore; siam fatti così; padre e madre e figli siamo sempre vissuti insieme l'uno accosto all'altro; gli è come se le nostre esistenze fossero intrecciate in una… Dia retta! Le dirò questo per esempio. M'è venuta un giorno la falsa idea di mettere la mia figliuola… (ho anche una figliuola)… in collegio. Mi pareva che poichè ero ricco dovessi farle dare una educazione, come si suol dire, più brillante in qualche istituto di primissimo ordine. Scelsi addirittura quello del Sacro cuore… e fu colà che mia figlia fece colla signorina di Castelletto una conoscenza che la nobile damigella volle gentilmente rinnovata questa mattina… Ebbi torto: il buon senso di mia moglie vi si era opposto, ma io aveva persistito. Ebbi torto per due ragioni: prima perchè quel collegio frequentato dalle zitelle delle più nobili famiglie non era luogo adatto alla figliuola d'un fabbricante; poi, perchè avevo pensato che noi in casa si potrebbe avvezzarci alla mancanza di quel caro folletto d'una ragazza. Breve! Dopo alcuni mesi mia moglie non poteva più resistere, ed io meno di lei; ed andammo a levar la nostra Maria dal collegio per riaverla di nuovo con noi, sotto i nostri occhi, sempre… Perdoni se io abuso della sua bontà… Gli è per dirle come ci sia impossibile viver separati dai nostri figli, come sia troppo, veramente troppo per noi il vederceli tolti. Ora che cosa ci avviene? Ad un tratto apprendo che mio figlio, il quale non fo per dire, ma è pure urbano ed educato quant'altri mai, venne pubblicamente svillaneggiato ieri sera nell'iniquo modo ch'Ella sa… Scusi: non vorrei dir nulla che offendesse il signor marchesino suo figlio; voglio anche ammettere che un qualche torto sia da parte del mio Francesco; ma per carità di Dio, Eccellenza, si metta nei panni di un giovane oltraggiato a quel modo, di me povero padre e non troverà forse eccessive le mie parole…

Il marchese dignitoso sempre, fece un atto colla mano che pareva dire:

– È giusto; continuate pure.

E il padre di Francesco, in cui l'èmpito dei sentimenti aveva superato oramai ogni barriera di soggezione, continuò con maggior calore:

– Che gli sia venuta al mio Francesco l'idea di domandare una riparazione, chi l'oserà biasimare? Se la legge, se il Governo, se i tribunali o che so io ce la dessero questa riparazione, allora si avrebbe torto a ricorrere ad altri mezzi. Ma sì: quale di noi borghesi potrebbe ottener fatto un processo al figliuolo d'un'Eccellenza? La cosa si metterebbe in tacere, e addosso al povero borghese cascherebbero ancora le sprezzanti risate del bel mondo… Ah! io non voglio mica lamentarmi nè far la critica al nostro buon Governo; Dio mi guardi! Ricordo soltanto le cose come sono per iscusare un po' la temerità che ebbe mio figlio di sfidare a duello il suo… Il duello, un'assurdità che non può entrare nella mia testa grossa. Se a me fosse capitata una cosa simile, quando ero giovane, ed anche adesso che non son più giovane, giurabacco! non avrei ricordato altro in quel momento se non che la Provvidenza mi ha dato a capo di queste braccia robuste certe mani che non sono di pan cotto per farmi rispettare da chicchessia… Ma io sono ancora un rozzo uomo del popolo, e certamente avrei torto marcio eziandio. Mio figlio è più incivilito… Basta; crede Ella un bel gusto quello d'un padre a cui viene annunziato che il figliuolo dopo aver ricevuto il più fiero insulto, corre pericolo di essere ammazzato in paga dall'insultatore, che certo è più destro nelle armi di lui?.. Non è tutto. Ecco che questo povero giovane oltraggiato vien preso dagli sgherri e tratto in prigione come un malfattore, violato il suo domicilio e manomesse le cose sue; mentre il suo competitore, quegli che ha veramente il torto (perdoni, voglio dire che ha una parte di torto anche lui), se ne rimane tuttavia tranquillo come se di nulla fosse… Domando io se questo è giusto!.. Io mi sono detto che ciò non potrebbe piacere nè anco a V. E., e che per ottenere rimediato un torto così grande, non avrei dovuto far di meglio che ricorrere a Lei medesima. Ella mi ha già detto che nostro figlio ci sarebbe restituito; Ella mi ha accolto con una bontà che mi ha dato ansa a sfogare fin troppo – e glie ne domando ancora perdono – tutto ciò che mi bolliva qua dentro; una bontà che mi dà ansa a chiedere e sperare da Lei ancora qualche cosa di più.

Il padre del marchesino aveva ascoltato con una benignità veramente incoraggiatrice. A queste ultime parole di Giacomo non espresse una domanda, ma diresse al suo interlocutore uno sguardo che era un punto d'interrogazione.

Benda rispose sollecito:

– Ella nel suo retto senso di giustizia, non può negare che al mio figliuolo spetti una riparazione.

Il marchese fece francamente un segno affermativo colla testa.

– Ma questa riparazione avrebbe da essere quella barbara d'un duello?.. Ah no! Gli è come padre… no, gli è a nome di qualche cosa di più sacro ancora, per la povera anima d'una madre che morrebbe della morte di suo figlio, ch'io la prego a fare che un duello non abbia luogo.

– Si tranquilli: disse il marchese con quella sua parola grave e l'atto solenne. Lo impedirò.

– Ma una riparazione?..

– L'avrà tuttavia, e tale che nulla gli lascierà a desiderare. L'avrà da mio figlio, l'avrà da me stesso, glie lo prometto.

Giacomo, in un impeto di riconoscenza, prese la mano del marchese e glie la baciò:

– Signor marchese, Ella avrà le benedizioni di un padre e d'una madre che le saranno riconoscenti sino alla morte… Noi siam nulla appetto a Lei; ma se mai per caso potessimo in alcun modo servirla, Ella non avrà sempre mai che a farci un cenno, e la famiglia Benda si metterà nel fuoco per Lei.

Il marchese liberò adagio la sua mano e disse con un nobile sorriso:

– Loro signori non mi dovranno riconoscenza nessuna. Io non farò altro che ciò di cui sono in debito.

Partito Giacomo, il marchese si affrettò a recarsi dal generale Barranchi.

Questi lo ricevette meglio di quello che si riceve un superiore: lo ricevette come si usa fare ad un uomo dal quale si può sperare qualche vantaggio e temer qualche danno. Si disse troppo onorato che il marchese avesse voluto recarsi da lui; lo avesse mandato a chiamare, ed egli, il generale, sarebbesi affrettato ad accorrere a sentire gli ordini di S. E.; si protestò disposto a far tutto quello che stesse in lui per contentare i desiderii del marchese, per obbedirne ogni menomo cenno.

Ma quando il padre di Ettore gli ebbe manifestato lo scopo della sua venuta, il generale con mille espressioni di rincrescimento gli fece la medesima risposta che aveva finito per fare al figliuolo: trattarsi d'un affar di Stato, essersi posto la mano sopra un vero nido di rivoluzionari, essere state sequestrate delle carte che manifestavano i rei propositi di tutta quella gente, il Benda trovarsi in tutto ciò fortemente compromesso, non dipender più dalla sua autorità l'assecondare il desiderio del marchese, ed ancora che dipendesse, non lo potrebbe far tuttavia, ed il marchese medesimo, chiaritosi del come stessero le cose, lo avrebbe condannato se avesse interrotto il corso alla giustizia del Re.

– Certo che sì: rispose con calma il marchese. Quando fossero in giuoco gl'interessi ch'Ella dice, io mi guarderei bene dall'insistere, ma la pregherei a non tacciarmi d'indiscreto, se le domando di vedere queste carte compromettenti e i rapporti degli agenti di polizia che certificano la colpevolezza di questi giovani. A dirla qui fra noi, la nostra polizia… quella subalterna (aggiunse di fretta con un sorriso, per non ferire le suscettività del generale) è un po' ombrosa e non delle più oculate. Ella sa quante volte già ha in codesto ecceduto per isbaglio, per zelo fuor di posto, e S. M. ne fu assai malcontenta.

Il generale dei carabinieri fece irti i suoi baffi in una smorfia e si agitò sulla sua seggiola in una specie di malessere. Le parole del marchese gli ricordavano i rimproveri del Re, e l'ammonimento datogliene ancora il giorno innanzi.

– Ad evitare ogni inconveniente ed ogni maggior dispiacere per tutti, soggiunse il marchese dando alla sua voce tutto il tono d'autorità onde pel grado, pel sangue, pel reale favore poteva giovarsi, io desidero appunto vedere quei documenti affine di farmi un esatto concetto della cosa e sapermi regolare in conseguenza.

– Io glie li sottoporrei senza ritardo: rispose con premura Barranchi: se fossero ancora in mio potere; ma la cosa era troppo grave perchè io tardassi ad informarne chi di dovere, e mandai tutto al Governatore.

Il marchese si alzò sollecito senza attendere altro.

– Andrò adunque dal Governatore.

Il generale lo accompagnò fino all'uscio dell'anticamera con ogni contrassegno di riverenza; e il padre di Ettore si affrettò a recarsi dal Governatore, dove, alla fine del capitolo XVI, l'abbiamo visto arrivare mentre nel gabinetto di questa superiore autorità si trovava ancora il barone La Cappa.