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La plebe, parte II

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A un tratto una nuova idea gli balzò improvvisa in mezzo al cervello fra dolorosa e piacevole:

E il bambino?.. Ah! di quello posso bene esser sicuro che gli è mio sangue… Che sarà di lui?

Pensò che egli pure era nato probabilmente di quella guisa, che la sorte a lui toccata avrebbe avuto quell'essere che accennava volersi affacciare alla vita, che a quell'innocente avrebbe toccato eziandio aprirsi una strada in mezzo al mondo ostile e rassegnarsi od a giacere nell'oscura povertà od a conquistare col dolore e col travaglio del corpo, del cuore e dell'intelletto ogni menomo vantaggio sociale, assai probabilmente a precipitare, se maschio, nella strada del delitto, se femmina, in quella della vergogna.

Una nuova, non anco provata tenerezza, di botto lo assalse al pensiero di quel bambino. I suoi occhi che raro o non mai brillavano per una espressione di dolcezza e di sensibilità, parvero inumidirsi e a mezza voce, come per farsi un promessa, come per impegnarsi innanzi a se medesimo, pronunziò le seguenti parole:

– La salverò… Oh sì, la salverò, lei e suo figlio… e mio figlio!

Chi può spiegare il misterioso procedere del nostro pensiero? Aveva egli appena pronunziato queste ultime parole «mio figlio» che la sua fantasia tolta di subito alle immagini che la occupavano in quell'istante, era gettata in una sfera tutto novella, in cui forse, e senza forse, non che soffermatasi, non era penetrata ancora mai. Pensò alle gioie paterne ed alle miti felicità della famiglia a lui isconosciute affatto e che in quel momento gli apparivano con tutta la loro soavità leggiadra. Si rivide innanzi la gioia serena di sposi novelli, la superba dolcezza di genitori bacianti il frutto delle loro viscere; gioia e dolcezza a cui appena aveva badato per lo addietro, cui aveva fors'anco disprezzato e deriso, che in quell'istante gli apparivano inaspettatamente – quali sono – le migliori cose del mondo.

E perchè non cercherebbe colà il suo bene, egli pure? Si immaginò di colpo circondato dal caro ambiente d'una famiglia – sua – e in questo ambiente, luce e profumo la virtuosa modesta bellezza d'una donna affettuosa. Anzi questa vagheggiata beltà gli apparve personificata in forme reali, e vedute poc'anzi – non quelle della misera Ester da lui sedotta – ma quelle della graziosa Maria. Si compiacque un istante di questi pensieri e di queste immagini. Sorse in piedi e si pose di nuovo a passeggiar su e giù, le braccia incrociate al petto e il capo chino.

Quella stanchezza della sua opera infame, quel fastidio de' fatti suoi, che vedemmo averlo assalito poc'anzi, lo presero più forte. Egli conosceva abbastanza la sua potenza per credere che dove avesse voluto sarebbe entrato vincitore nel cuore della fanciulla, era abbastanza pratico di codesto per esser certo senza fatuità che una prima favorevole impressione egli l'aveva già in Maria prodotta: sapeva d'altronde che dalla famiglia era quella giovane amata cotanto da non voler contrastare ad una passione che la dominasse sovrana, e che insoddisfatta la renderebbe infelice. Egli adoperandosi fruttuosamente – e di ciò era certo – per restituire a quegli afflitti e sgomentati genitori il figliuolo avrebbe acquistato da quelle anime generose tanta gratitudine quanta sarebbe stata a sufficienza per coadiuvare all'amore di Maria per lui affine di ottenerlo a sposo. Egli si scioglierebbe dall'infamia, si allontanerebbe; la famiglia Benda era ricca, e la dote data alla figliuola sarebbe stata tale da bastare a vivere agiatamente…

Ma qui l'idea del denaro che s'intromise in quel romanzo morale cui la sua fantasia stava facendo, ne corruppe tutta la composizione, tolse lo spirito di Gian-Luigi a quel puro ambiente in cui era disavvezzo pur troppo e lo ricacciò nelle fangose peste dove soleva dibattersi. La cosa non gli apparve più che come un affare di guadagno, di cui da discutersi se più o meno il vantaggio. Una modesta agiatezza era quella che sarebbe bastata per lui? E dove ne andavano tutti i profondi e complicati disegni ch'egli aveva fatto per isconvolgere la società e vincere in quella guerra all'ordine costituito, la quale, da sorda, bassa e criminosa, doveva un giorno nel suo concetto scoppiare aperta e potente alla luce del sole per far lui primo e glorioso, e dominatore? Quelle acri ambizioni, quei feroci istinti insaziabili che lo tormentavano, oh come avrebbero taciuto di subito? E non sarebbe stato segno d'impotenza la rinuncia? No no; egli si ripeteva che era preso, da non potersene sceverare più, per le ruote dentate di quella macchina ch'egli stesso metteva in moto. Non c'era da illudersi con altre idee. Egli doveva in quella strada continuare per giungere alla meta o soccombere.

– E quel birbante di Pelone non viene! Disse egli ad un tratto, ritornando collo spirito alle cose presenti ed al bisogno che aveva di parlare col bettoliere.

In quella ecco un leggier fruscio sentirsi verso l'entrata e Gian-Luigi che si volse vide venir sollecita con un bel sorriso tutto amoroso Maddalena, la serva dell'osteria.

Ma il sorriso della giovane si agghiacciò sulle sue labbra al vedere la fronte corrugata e l'aspetto corruccioso del medichino.

– Che cos'è codesto? Gridò egli con quell'accento che faceva tremare. Gli è mezz'ora che aspetto; e poi non ho chiamato te, ma ho chiamato Pelone.

Maddalena, tutto mortificata, rispose coll'accento di chi si difende ingiustamente accusato:

– C'era gente nell'osteria…

– E perchè non è venuto Pelone?

– Gli è dietro a trattare di certi suoi negozi coll'ebreo Macobaro.

– Ah ah! Sclamò Gian-Luigi con istrana espressione: gli è costì quel vecchio strozzino? Affè che fra lui e Pelone fanno il paio.

– L'oste sa che io ho e che mi merito tutta la tua fiducia: continuava la giovane moineggiando: e non ha pensato farti cosa disgradita mandando me in sua vece a vederti.

Ed accostatasi presso presso a lui, gli pose sotto gli occhi la sua faccia volgare, ma fiorente di gioventù, e gli fece balenare innanzi il suo sguardo procace pieno di sensualità.

Sulla bocca del medichino passò un'ombra di sorriso; e Maddalena, tornata nella sua naturale audacia, ne prese incoraggiamento a gettargli le braccia al collo e ad appiccicare le sue labbra carnose su quelle di lui, in un amplesso pieno di voluttuoso ardore.

Ma egli si sciolse dalle braccia della donna e la respinse alquanto bruscamente da sè:

– Stai ferma: le disse severamente. Ve' che c'è alcuno.

Maddalena, volgendosi, vide nell'ombra d'un angolo dello stanzone luccicare la pupilla maliziosa di Graffigna che teneva un occhio aperto e l'altro chiuso.

– To' Graffigna!

– Non vi disturbate: disse costui col suo tono di affettata bonarietà beffarda: io dormo, amorini miei, e non vedo nulla.

– Senti, Maddalena: proruppe Gian-Luigi senza badar punto a Graffigna ed alle sue parole; ciò di cui volevo interrogare Pelone, me lo puoi dire anche tu, e quello che con esso lui volevo combinare, possiamo aggiustarlo eziandio fra noi due. Varii agenti di Polizia frequentano la taverna, non è vero?

– Sì.

– Rispondimi sull'anima tua, rispondimi la verità per quanto hai di più caro, e se ci tieni all'amor mio.

– Ci tengo come alla mia vita e non puoi dubitar punto nè della sincerità, nè della verità delle mie parole.

– Qualcheduno di questi poliziotti travestiti mi ha visto nella bettola o poco o assai?

– Giurerei di no. Quando ce n'entra qualcuno, siam lesti ad avvisartene e tu t'affretti a sparire. Ieri sera non aveva ancora messo il muso nella prima stanza quello che mi pare il più accorto ed il più autorevole di quei birboni, che io già ti avevo fatto avvertito…

– Come si chiama questo tale?

– Barnaba.

Gian-Luigi si rivolse a Graffigna.

– Dà retta tu, e tieni bene a mente questo nome.

– Non dubiti: rispose quell'altro aprendo di nuovo un occhio solo. Me lo stampo qui nel comprendonio e non va via più.

Il medichino continuava parlando a Maddalena:

– In quel momento che attirato dal rumore della rissa di Marcaccio ho commesso l'imprudenza di venir fuori nella stanza comune, eravi forse colà uno di quei segugi del Commissario?

– No: rispose la fante. Ti dico che appena spunta il grifo di uno di codestoro, non manco mai di porti in sull'avviso.

– Ma li conosci tutti tu?

– Certo che sì… Pelone, come tu glie ne hai ordinato, me li ha fatti conoscere dal primo all'ultimo.

– Ed abbiamo proprio da fidarci che quel vecchio carcame di Pelone non abbia celato nulla?

– Pelone non avrebbe nessun interesse a ingannarci; guadagna troppo ad esserti fedele, e ti teme troppo – te ed i tuoi – per pensar pure a tradirti. Del resto, ancorchè egli volesse tenermi nascosto qualche cosa di ciò, io ho abbastanza buon naso per iscoprire da me dove c'è del losco. Scommetto che se una nuova spia si presenta, fosse pure fra cinquanta, al primo acchito la riconosco per quello che è.

– Va benissimo. Or dunque ascolta ciò che voglio da te e da Pelone. Troverete modo che io, nascosto dietro l'usciolo segreto, veda il muso, un per uno, di tutti quei poliziotti che ci favoriscono. Hai capito?

– Sì, e nulla è di più facile. Pelone ha mille pretesti per radunarli nella camera dell'impiallacciatura; per esempio quello di denunziare qualche miserello di ladruncolo da due quattrini. Ciò giova a mantener la benda sugli occhi della Polizia. Tu, avvertito, sarai a tuo posto a guardare traverso i bucherelli.

– Hai ragione. Avvisane adunque Pelone, e più sollecitamente ciò si faccia meglio sarà. Ora vattene pure alle tue bisogne, Maddalena, e di' a Macobaro, se gli è ancora costì, di venire da me che ho giusto piacere di parlargli.

Ciò detto si avviò ad un usciolo che si trovava in prospetto a quello d'ingresso, e con un'altra di quelle chiavettine radunate a mazzo nell'anello d'acciaio, lo aprì.

 

Ma la fante non era partita; essa guardava il giovane con occhi che parevano una fiamma viva; e quando egli stava per entrare in quello che era il suo gabinetto riposto, ella gli fu accosto colla sua petulanza sempre più procace, e gli disse col suo sorriso da cortigiana:

– Mi mandi via così? Non hai più bisogno di me?

Il medichino la guardò con una fredda fissità.

– Accendimi il lume nel gabinetto, e vai a chiamarmi Macobaro.

Maddalena in un momento ebbe accesa la lampada in quel riposto stanzino, Gian-Luigi era entrato e gettatosi a sedere sopra un seggiolone dinnanzi ad una scrivania ingombra di carte; aveva appoggiato al bracciuolo il gomito destro, sorreggeva alla palma della mano la sua fronte e pareva lontano col pensiero le mille miglia dalla donna che non si risolveva a partirsi.

Passarono alcuni minuti di questa guisa, egli immobile nella poltrona, ella coprendolo di quel suo sguardo acceso, in cui l'ardenza del desiderio pareva congiungersi al dispetto; poscia Maddalena si accostò pianamente a lui, si appoggiò alla spalliera del seggiolone e curvandosi sopra il giovane susurrò con voce sommessa e quasi tremante:

– Luigi!

Egli alzò vivamente il capo ed aggrottò le sopracciglia.

– Che è codesto? Vi dissi di partire, e voi?..

Maddalena gli si abbandonò addosso con tutta la persona, abbracciandolo e baciandolo con passione.

– Ah! Luigi, tu non mi vuoi più bene… Ed io che te ne voglio tanto, tanto, e sempre di più!.. Una volta non mi avresti trattata così.

Gian-Luigi prese le braccia della giovane e togliendosele di sopra le spalle serrò i due polsi nella sua destra piccola, fina e bianca, ma forte come tenaglia: allontanò da sè la persona di Maddalena, senza sgarbo e senza violenza, ma con una certa bruschezza che dinotava un principio d'impazienza, e disse col suo tono da gran signore:

– Olà! Vogliamo noi per caso introdurre delle novità? Oseresti far delle scene o tentar dei rimbrotti? Eh via! Maddalena, o non mi conosci ancora, od oblii chi sono.

– E tu dimentichi che una donna come son io non si può rassegnare a tanta trascuranza, a tanta indifferenza… Ho bisogno di vederti io, ho bisogno d'esser tua, ho bisogno di te.

Abbassò la voce, e le parole passarono fischiando fra i denti stretti cui le labbra contratte scoprivano sino alle gengive:

– Sono gelosa!.. Tremendamente gelosa!.. Oh! le tue belle signore, come le odio! Esse vesti di velluto e di seta, ed ori e gioielli intorno nei saloni eleganti… E le ti piacciono per questo… Io, povera, poveramente vestita, in un'umile taverna, serva degli avventori e di che avventori!..

Sulla faccia del medichino si dileguò quell'espressione d'impazienza che incominciava ad accostarsi alla collera; una specie d'interesse simpatico vi si sostituì; gli era sempre quella terribile questione dei ricchi e dei poveri che gli veniva dinanzi; era quell'ambizione e quell'invidia che lui tormentavano, le quali apparivano ancor esse nella passione di Maddalena; egli la guardò seriamente e quasi con pietà.

– Lena, le disse, tu potresti avere e belle vesti ed ogni cosa che hanno le ricche, e potrei procurartene io stesso; ma tu sai che mi sei utile rimanendo in queste umili condizioni in cui ti ho trovata. Ho bisogno di un'anima fidata come sei tu…

– E s'io ti sono utile, proruppe la donna, e se io sono pronta a dare anche il mio sangue per te, perchè mi ami tu meno di quelle tue schifiltose poppatole delle sale, che, dove sapessero il vero esser tuo, ti sprezzerebbero e si vergognerebbero di averti conosciuto?

Una fiamma di rossore passò sulla faccia di Gian-Luigi.

– Ah! se mi trovassi mai una volta muso a muso con una di quelle smorfiose! Sclamò Maddalena con represso furore, digrignando i suoi denti da jena. Che sì che mi piacerebbe disfarle quel mostaccio imbellettato.

Il medichino si alzò.

– Oh basta: diss'egli severamente. Che diritto hai tu sopra di me? Che promesse ti ho io fatte di cui tu possa invocare il mantenimento?

Maddalena liberò le sue mani dalla stretta di quella di Gian-Luigi e si contorse le braccia in atto di disperazione.

– Sì, gli è vero! Esclamò essa con accento tronco e doloroso, che pareva interrotto dal singhiozzo. Sì, che cosa sono io? Un nulla, una povera stracciona a cui tu hai fatto un grande onore prendendola, di passata, per un passatempo, o meglio per incatenarla di più a te, affine di servirtene mediante un'elemosina di amore. È vero: io non ho chiesto nulla, e tu non mi hai nulla promesso. Con che fronte avrei io domandato? Ma la mia cieca devozione, ma il mio sconfinato abbandono, ma l'aver io tutto lasciato del mio passato, non meritano forse da te alcun riguardo?

– Lo meritano e lo hanno: disse Gian-Luigi colla calma d'un superiore che si piace d'accondiscendere alle preghiere d'un subalterno; e passando carezzevolmente la mano sui capelli della giovane, soggiunse con alcuna tenerezza nell'accento: – Non ti ho io introdotta nei misteri della mia vita; non sei tu conscia di me come l'anima mia? Oh va che nessun'altra può competer teco a questo riguardo. Non cerco io da te altresì delle dolci ore d'oblìo?..

– Ah! troppo poche e troppo di raro: interruppe sfacciatamente Maddalena.

Il medichino sorrise e poi soggiunse fra severo e scherzevole:

– Indiscreta!.. Ma nè il mio umore, nè i miei sensi sono fatti per essere incatenati a servitù di sorta.

Si udì uno stropiccio di passi nello stanzone che precedeva il gabinetto.

– Zitto! Disse Gian-Luigi, abbassando la voce: qui v'è gente che aspetto. Va, Maddalena, e di' a Macobaro che fra un'ora venga a parlarmi qui dove l'attenderò… Te poi… te attenderò questa sera, dopo chiusa l'osteria, a mezzanotte.

Maddalena mostrò i suoi bianchi denti in un sorriso di tutta gioia e sparì. Nello scuriccio dello stanzone detto Cafarnao si avanzavano due uomini, di cui uno aveva gli occhi bendati. Erano il domestico di Gian-Luigi e Mario Tiburzio.

CAPITOLO XIII

Prima di assistere all'importante abboccamento che sta per aver luogo fra Gian-Luigi e Mario Tiburzio, l'ordine cronologico degli avvenimenti vuole che vediamo ciò che succedesse in casa del pittore Vanardi in quel frattempo in cui avvenivano le scene ond'erano teatro l'abitazione e la fabbrica dei Benda.

Dal quartiere in cui dimoravano i giovani amici, Mario Tiburzio era partito prima ancora dell'alba, Giovanni Selva erasi allontanato poco dopo per correre dove abbiam visto, e Romualdo un po' più tardi era uscito per le sue faccende: non rimanevano adunque che Vanardi e Maurilio, e Rosina la moglie del primo. Mentre la donna, con quell'alacrità da buona massaia che era una delle sue principali virtù, si dava intorno ad ordinare la casa, Vanardi che aveva litigato fin tardi nella notte colla curiosità della moglie e Maurilio che fino al mattino era stato raccontando i casi suoi a Giovanni, dormivano tuttavia, quando una scampanellata fece accorrere all'uscio del ripiano la Rosina impazientita che si venisse a disturbarla a quell'ora mattutina. Vedendosi innanzi una brutta vecchia in luridi panni che teneva per mano un fanciullo cencioso, la moglie del pittore credette le si venisse a domandar l'elemosina, e senza aspettare altro disse sollecita:

– Andate, andate con Dio, buona donna, qui non si ha nulla da darvi.

Ma la vecchia, facendosi innanzi a tenere il battente che Rosina voleva di presente richiudere, si affrettò a dire:

– Noi non siamo mica ciò che Lei crede, madama. Siamo aspettati in questa casa, dove ci abbiamo a che fare.

La Rosina spalancò tanto d'occhi.

– Siete aspettati? Avete da che fare qui dentro? Oh bella! Che cosa mai ci avete da fare e chi siete?

Quella brutta vecchia contrappose a quelle una sua richiesta:

– Gli è ben qui che abita il signor Maurilio Nulla?

– Sì, che gli è qui.

– Suo marito forse?

– No, non è mio marito, nè mio parente nemmanco di nessuna maniera, ma e' sta qui. Gli è con lui che avete qualche cosa da spartire?

– È stato lui che ci ha detto di venire e che ci aspetta. Faccia un po' grazia di dirgliene: che c'è la Gattona col Gognino, e vedrà.

A Rosina l'aspetto di quei due ispirava poca fiducia.

– Va bene: rispos'ella. Aspettate un momento che vado ad avvertirne Maurilio.

E senza punto cerimonie chiuse l'uscio sul naso adunco della Gattona.

Maurilio dormiva gettatosi tutto vestito sul letto. Il freddo che lo aveva colto gli allividiva le guancie e le mani da fargliele sembrare mani e guancie di cadavere. Rosina, che pure aveva poca simpatia per l'aspetto tenebroso e l'umore cupamente taciturno di quel giovane, nel vedere profondo il segno d'un'intima sofferenza sui lineamenti di lui addormentato, sentì un senso di compassione.

– Povero giovane! Esclamò ella. E' par morto addirittura.

E ne toccò lievemente la fronte che trovò fredda come marmo; ma a quel tocco Maurilio si destò in sussulto.

– Che cosa c'è? Domandò egli sorgendo a sedere. Ah! la è Lei Rosina…

– C'è qui fuori una vecchia che dice che Lei l'aspetta e che si chiama la Gattona.

– La Gattona? Ripetè meravigliato Maurilio, il quale non ricordava punto in tal momento quel nome, nè l'avventura capitatagli la sera innanzi.

– Ha seco un bardotto alto così, cui dà nome di Gognino.

– Ah sì, sì: esclamò allora Maurilio, a cui tornò la memoria di tutto; e saltò in piedi giù del letto.

– Li ho dunque da introdurre? Disse Rosina.

– Sì, faccia il piacere; ho veramente detto loro di venire.

La vecchia e il fanciullo furono fatti entrare in quella stanza in cui la notte avevan tenuto consiglio i congiurati.

– Eccoci qui, ad accettare la sua tanta carità: disse a Maurilio col suo accento melato da volgare baciapile la Gattona, che intanto faceva girare tutto intorno i suoi occhi cisposi per esaminare ogni cosa di quella stanza. – Levati il berretto di capo, tu: soggiunse dando uno scapellotto al ragazzo che stava lì colla sua aria di malavoglia; e domanda al tuo benefattore se ha dormito bene.

Gognino per tutta risposta si nascose dimenando le spalle dietro le sottane della vecchia.

– Animo, su, non fare lo scimunito: insisteva la nonna, volendolo trarre a forza di dietro a sè per farlo avanzare verso Maurilio; non mostrarti più male educato di quello che sei. Santa Madonna del Carmine! Se sapesse madama (e si rivolgeva a Rosina la quale assisteva curiosamente a quella scena), se sapesse le fatiche e i mali di stomaco che mi costa questo benedetto sbarazzino… senza contare i denari! Gli è un umorino che non ha il suo compagno, glie lo assicuro io… testardo come un mulo, e malizioso come il fistolo… Io faccio di tutto per ispirargli i sentimenti del timor di Dio e della buona creanza… Eh sì! Gli è come lavar la testa all'asino… Dunque (e riparlava al marmocchio a cui dava potenti strappate al braccio per tirarlo avanti) vuoi venir fuori sì o no a fare il tuo dovere col signore?..

– Lasciatelo stare; interruppe Maurilio seccamente. Quando saremo soli ce la diremo di sicuro fra di noi. Prendete i vostri dieci soldi voi, e andatevene con Dio.

La vecchia prese i denari che Maurilio gli porgeva e torcendo il collo da una parte, volgendo gli occhi in su, biascicò una litania di ringraziamenti.

– Che il Signore e la Madonna e i Santi tutti del Paradiso la benedicano. Io vado difilato al Carmine a pregare per Lei… o alla Consolata se le piace di meglio…

– Pregate per voi o per chi altri vi aggrada. Io non cerco preghiere da nessuno.

– Gesummaria! Disse fra sè la Gattona. Padre Bonaventura ha ragione: è un eretico e miscredente.

– Oh sante piaghe! Soggiunse ella poi ad alta voce: le preghiere non fanno mai male a nessuno. Però come la vuole. Lascio dunque Gognino presso di Lei. E quando uscirai (disse al fanciullo levando l'indice per fargliene notar di meglio l'intimazione) vieni tosto a raggiungermi sulla porta del Carmine, e non baloccarti per istrada siccome è tuo uso, neh? Monsù e Madama li riverisco.

Fece una profonda riverenza, che avrebbe contentato un maestro di ballo, ed uscì, accompagnata sino all'uscio dalla moglie del pittore.

Questa non capiva bene l'atto di Maurilio, ed era ben lontana dall'approvarlo. Fare la carità, anche la buona Rosina trovava una bellissima cosa, ma quando se ne avesse i mezzi; e di Maurilio ella sapeva come, coll'esercizio del suo povero mestiere, guadagnasse tanto appena da bastare ai più stretti bisogni suoi. E poi che cosa voleva egli fare di questo bambino che si faceva condurre in casa? Forse mantenerlo? Oh sì ch'ella voleva quella giunta di carico alle gravezze famigliari! Accompagnando la vecchia, Rosina, che era la più curiosa delle donne, interrogò, e la Gattona, che era la più ciarliera, contò tutto quello che era intravvenuto fra lei, suo nipote e Maurilio.

 

– Gli è matto per davvero: conchiuse la moglie di Vanardi, tornando indietro dalla porta, dopo partita la vecchia. S'ei si mette in capo di insegnare a leggere e scrivere a tutti gli straccioni che non lo sanno, sì che mi sta fresco!

Maurilio aveva preso il fanciullo per mano e se l'era condotto seco nella vicina stanza, dove ci aveva il suo letto. Rosina cedette alla tentazione della sua irrefrenabile curiosità; si accostò pianamente all'uscio, e messo l'occhio al buco della toppa, si diede ad ascoltare e guardare.

Maurilio s'era seduto presso la finestra e teneva il fanciullo innanzi a sè, passandogli carezzevolmente una mano sugl'ispidi, scarmigliati capelli. L'espressione della sua faccia era quale Rosina non gli aveva mai vista. Una nuova affettuosità raggiava dai suoi lineamenti strani ed originali, una luce di tenerezza brillava ne' suoi occhi affondati. Pareva che la sua fisionomia avesse deposto il velo scuro che l'appannava per mostrare una espansività fino allora contenuta e dissimulata. Quella faccia irregolare in tal momento pareva quasi leggiadra.

– Mi riconosci ancora? Domandava egli al ragazzo con voce diversa dall'usata ancor essa, e soave.

– Sì: gli è Lei che mi ha pagato da cena ieri sera.

– E ti ha egli fatto piacere che io ti abbia procurato una buona satolla?

– Oh sì… Mi avviene così di rado… Mi tocca sempre rosicchiare un pezzo di pan nero e non altro.

– Dà retta, Luca, per qual ragione pare a te che io t'abbia fatto quel piacere?

Il fanciullo levò i suoi occhioni larghi e sgranati in volto a Maurilio e li fissò fra interrogatori, fra stupiti in quelli di lui, che in quel punto, brillanti d'un sentimento d'ineffabile affetto, parevano anche alla Rosina i più belli occhi del mondo. Da quello sguardo Luca non sentiva nessuna soggezione, ma invece un'aggradevole sensazione inesplicabile: ei non era mai stato guardato di quella maniera; gli sembrava che una specie di calore gliene penetrasse nelle vene a riconfortarlo; la figura di solito diffidente e maliziosa del ragazzo si aprì ancor essa ad un'espressione più mite ed espansiva, quasi di fiducia; non rispose nulla il meschinello, ma come se volesse con un atto manifestare la nuova confidenza che nasceva in lui per quell'uomo tuttavia sconosciuto, ei si fece più presso a Maurilio e gli pose una mano sopra il ginocchio, tenendo sempre il suo sguardo affondato, per così dire, in quello di lui.

Maurilio ripetè la sua domanda accarezzando al bambino con più tenerezza le chiome.

– Ma… non saprei… per farmi piacere; rispose esitando Gognino.

– Sì; perchè ho provato per te un sentimento d'interesse che mi ha spinto a farti del bene… Gli è quello appunto che si chiama voler bene; nella qual cosa vi sono varii gradi, a cominciare da un interessamento lieve e passeggero andando poi fino all'affetto profondo e che dura sempre. Capisci quello che voglio dire?

– Capisco: disse lentamente Gognino; e ne' suoi occhi sempre fissi a quel modo in chi gli parlava, passavano davvero certi lampi d'intelligenza che erano come il risveglio dell'anima pensante. Capisco… A me fino adesso nessuno ha voluto bene.

– E la nonna? Domandò Maurilio.

Il piccino scosse melanconicamente il capo senza pronunziare parola.

– Se tu te lo meriterai, te ne vorrò io del bene, e te ne vorrò sempre più, a seconda che corrisponderai alle mie cure ed ai miei desiderii. Quello stesso sentimento d'interesse che mi ha fatto darti da cena ieri sera che avevi fame mi ha indotto a prenderti qui meco per farti un bene ancora maggiore di quello che sia il saziarti di cibo. Il dar da mangiare, vedi, è un benefizio a questo che si chiama corpo, che è quel che si tocca e che si vede di noi; ma noi tutti abbiamo dentro una cosa che nè si vede, nè si tocca, ma che è la miglior parte di noi, che anzi è proprio ciò che fa noi stessi, ed è quella cosa che pensa e che vuole.

Gognino allargava sempre più gli occhi.

– E questa cosa dentro c'è l'ho ancor io? Domandò egli con una serietà che dinotava l'effetto che facevano in lui le parole di Maurilio così nuove alle sue orecchie.

– Sì certo: rispondeva Maurilio. Tutti quanti gli uomini l'hanno del pari, uguale se non nelle qualità, nella sostanza. Non hai tu mai sentito a parlare dell'anima?

– Oh sì. La nonna mi conduce tutte le mattine in chiesa a sentir la messa di padre Bonaventura e dice che gli è per salvar l'anima; ma io non ho mai capito che cosa fosse.

– Senti! Ti avviene egli mai di ricordare qualche cosa che ti è avvenuto nei giorni che sono passati? Oppure non ti avviene egli di desiderare alcune volte di essere in qualche luogo o di far qualche cosa e benchè tu sia, per esempio, in casa tua, non ti par egli di esser qua o colà coi tuoi compagni?

– Oh sì! Esclamò il ragazzo nelle cui pupille correvano sempre più vivi i lampi dell'intelligenza. Certe volte, seduto sulla cenere del camino nella soffitta della nonna, mi piacerebbe essere sulla piazza a guizzare sulle sgusciarole cogli altri, e gli è proprio come se ce li vedessi; ed altre volte mi ricordo del bel verde che avevano la state gli alberi dei viali e vorrei correrci sotto.

– Bene. Fa attenzione, Luca; in quei momenti tu non sei mica col tuo corpo nè sulla piazza nè tampoco sui viali che a questa stagione sono tutt'altro che verdi. Tu vedi quelle cose perchè le pensi. Gli è col pensiero che sei colà, mentre il corpo sta nella soffitta: ora il pensiero è la facoltà di quella parte interna di noi che si chiama l'anima, ed è il modo con cui la si manifesta. Se io, saziando ieri sera la tua fame, ho procacciato un bene al tuo corpo, facendoti venir qui ad imparare ciò che sto per insegnarti voglio procacciare un bene all'anima tua; e questo bene è assai più prezioso del primo, perchè anzi tutto è duraturo, mentre quello è passeggero, e poi perchè ogni miglioria dell'anima è quella in realtà che innalza l'uomo in raffronto ai suoi simili e in cospetto di Dio.

– Ah! Esclamò il piccino, il quale si vedeva che cominciava a comprendere in nube, entrando la sua intelligenza in una sfera tutto novella, a cui non s'era ancora nemmanco affacciata.

– Che razza di discorsi gli va facendo? pensava intanto la Rosina. E' mi pare sarebbe meglio ch'e' desse mano addirittura al catechismo.

– Or dunque, continuava Maurilio, s'io ti vorrò bene e se ti farò del bene, non domando altro in compenso da te se non che tu pure abbia poi per me alcuna affezione. Tu dici che nessuno ancora ti ha amato. Povero bambino! Io pure passai una infanzia pari se non peggiore della tua; io più che ogni altro posso capire la tua disgrazia e compassionarla a dovere. Noi ci ameremo. Vien qui, dimmi tutto di te. Quanti anni hai?

– La nonna dice che ne ho dieci; ma nessuno vuol crederlo e dicono tutti che all'aspetto ne mostro sette od otto.

– Tu non hai conosciuta tua madre?

Il piccino scosse gravemente la testa in segno negativo.

– Poveretto! Esclamò Maurilio con voce in cui vibrava una profonda emozione. E ne hai tu qualche memoria, alcuna reliquia?

Luca seguitò a scuoter la testa di quel modo.

– Ci pensi tu qualche volta a tua madre?

– Sì: rispose il ragazzo quasi esitando: quando la nonna me ne parla.

– Almeno tu hai qualcheduno che l'ha conosciuta, che le appartenne e che può parlarti di lei!.. Io no… E che cosa te ne dice la nonna?

– Dice che la è stata la sua sciagura e che la era una sgualdrina.

Gli occhi di Maurilio balenarono di sdegno.

– La disgraziata! Gridò egli. Oh non crederle, sai, Luca alla nonna; non crederle queste cose di tua madre. La donna che ci ha dato la vita è per noi sempre, dev'essere la più santa creatura dello universo. Fosse pur anco la più vile e colpevole, il sublime ufficio della maternità la nobilita innanzi ad ogni animo ammodo, per noi, a cui ella ha dato colla sostanza delle sue vene la esistenza, la rende mediatrice fra la nostra anima e Dio. Un santissimo vincolo è quello che lega e stringe la madre alla sua creatura. Nel nostro cuore palpita il cuore della madre, nell'anima di essa si appunta e vive, direi quasi, l'anima nostra. Nè questo vincolo si rompe pur colla morte!..