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La plebe, parte II

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Egli per ciò stimò opportuno e facile domar quella riotta con un atto risoluto che subito ne imponesse ai tumultuanti. Il padre di Francesco, avanzatosi verso gli operai per sermocinarli come dissi, era passato fra Selva e i carabinieri; al brigadiere parve questo movimento inteso a sceverare da lui e dai suoi uomini l'arrestato, affine di impedire loro di seco menarnelo. Quindi, senza dar tempo al signor Benda di aprir bocca, aggiustatosi di nuovo al petto la tracolla della sciabola per un moto che gli era solito, fu in un passo al petto dell'industriale e colla voce più rozza e col tono più burbero che potè gridò:

– Alto là! Si crede forse qua di opporcisi nell'esercizio delle nostre funzioni? Di impedirci di fare il nostro dovere? Corpo del diavolo! La sbagliate di grosso. Voi altri (e accennava col dito teso in atto di comando agli operai) sgomberate più che in fretta; e Lei (e prese al petto il signor Benda) Lei se fa la menoma opposizione ai nostri comandi, lo arresto com'è vero Iddio!

E con violento sgarbo, rigettato di mezzo il padrone della fabbrica, il brigadiere andò a ghermire Giovanni, cui trascinò presso i carabinieri, i quali lo afferrarono e tennero alle braccia.

– E questo non ci scappa più, nè per Iddio, nè pel diavolo! Gridò il brigadiere con un tono di minaccia e di trionfo che era altresì una sprezzosa sfida a quegli uomini accorsi in aiuto del loro principale.

Molte volte avviene che un atto di coraggiosa, anzi di temeraria risoluzione ne imponga ad una folla; e qui, avrebbe forse la violenza del brigadiere ottenuto quest'effetto, se non ci fossero state due circostanze ad impedirlo: la prima che gli operai entrati in quella stanza erano dei più affezionati al principale, e il veder questo trattato a quel modo, troppo li sdegnava; la seconda che a loro capo c'era Bastiano, il quale per carattere non era alieno dalla violenza ancor esso quando la gli bolliva, ed aveva un coraggio da non lasciarsi così facilmente intimidire.

Vi fu un momento d'esitazione dopo quell'atto del brigadiere. La cosa stette in bilico un istante; ma Bastiano la fece traboccar tosto dalla parte della resistenza.

– Oh che, abbiamo da veder maltrattato il nostro buon padrone innanzi ai nostri occhi?

A quegli uomini parve quello allora un maltrattamento fatto a loro medesimi nella persona del loro principale; quella stessa violenta presa di Giovanni tornò loro come uno sfregio per essi; si strinsero minacciosi intorno a Bastiano che li dominava colla sua grande statura e mandarono voci e parole di assai minaccia.

– Sgombrar noi! Continuava Bastiano sempre più concitato. Sono questi brutti uccellacci che devono partirsene e senza tanti discorsi, lasciando in pace l'onesta gente. Fuori di qua subito! Fuori!

– Fuori! Urlarono gli operai che circondavano il portinaio.

– Fuori! Ripeterono i compagni, che dall'altra camera facevano ressa alla porta per vedere e per intervenire in quella scena ancor essi.

E quella massa compatta fece un movimento per cacciarsi addosso agli agenti della forza pubblica.

– In difesa! Gridò il brigadiere, traendo egli rattamente di tasca una pistola. I suoi uomini e gli arcieri ne imitarono l'esempio; e dieci canne di pistola si volsero verso il gruppo degli operai che indietrò alquanto sovrappreso a quella vista.

– Figliuoli! Che fate? Per carità! Gridò il signor Giacomo volendosi slanciare in mezzo, ma trattenuto dalla moglie e dalla figliuola, le quali pallide come morte sclamavano con infinito spavento: – Misericordia!.. Per amor di Dio!..

Bastiano era muso da non ispaventarsi punto alla vista di quelle pistole, e il suo esempio poteva sui suoi compagni; oltre ciò, tutti lo sanno, e quasi tutti lo hanno provato, quando il sangue è venuto in un certo eccitamento, la lotta e il pericolo medesimo di essa esercitano sull'uomo una tal quale attrazione, un fascino che gli travolge il cervello e molte volte fa un battagliero anche dell'uomo il più prudente e il più pacifico del mondo; aggiungete che quegli altri operai che si trovavano nella camera vicina, non posti menomamente in rispetto da quelle canne di pistola che non vedevano, seguitavano a gridare ed a spingere innanzi. Una collisione pareva imminente: le parole del signor Giacomo, nè le grida supplicanti delle donne non erano udite nemmanco, e quel salotto stava per diventar teatro d'una dolorosa tragedia, quando di botto là in mezzo suonò una voce fatta per essere ubbidita, e si drizzò in tutta la imponenza della sua virile bellezza, della sua forza giovanile, del suo indomabile coraggio la figura di Gian-Luigi.

– Abbasso quelle armi! Indietro voi altri! Intimò egli agli agenti della forza pubblica dall'una parte, agli operai dall'altra. Qui non è luogo di conflitto, e guai il primo che colla violenza fosse causa di spargere pure una goccia di sangue!

L'autorevolezza della voce, dell'aspetto, della mossa nobilissima era tanta che e i carabinieri e i birri, come gli artigiani, ne rimasero sovraccolti. Quelli che si trovavano a capo degli operai si allontanarono lentamente respingendo indietro il fiotto de' loro compagni che premevano alle loro spalle; gli agenti della forza pubblica chinarono a terra la bocca delle loro pistole.

Gian-Luigi era veramente fatto per dominare le turbe, coll'impronta d'una natura superiore che gli raggiava in sul volto, colla potenza della sua volontà che gli brillava nello sguardo, che gli fremeva nella sonorità della voce. Fece egli scorrere i suoi occhi neri come un carbone, profondi come un abisso, lucenti come un raggio di sole, sopra il crocchio confuso dei popolani, e soggiunse con un accento inesprimibile di efficacia, in cui all'autorità, quasi al comando, era unito, e si sentiva, avreste detto, come una carezza, un sentimento seduttivo di affettuoso interesse:

– Rientrate nei vostri opificii. Il passo che avete fatto vi onora di molto, ma è falso e non otterrebbe lo scopo che vi proponete; e inoltre non ha ragione di essere. Avete creduto minacciata la persona del vostro principale, e sprezzando ogni pericolo, sorpassando ogni considerazione di prudenza, da quei bravi, valorosi e affezionati operai che siete, non avete posto tempo in mezzo ad accorrere in sua difesa. Felice quel principale che ha cotali operai nelle sue officine!

Il popolo, la folla, è come le donne. Le adulatrici lusinghe ne guadagnan di colpo le grazie. Tutti quegli operai prestarono la più simpatica e la più deferente attenzione a quel bel giovane, che aveva sì autorevoli sembianze e che parlava così bene. Non ci fu che Bastiano, il quale, tenendo stretto stretto con tuttedue le mani il grosso bastone su cui si reggeva, tentennava il capo con aria poco persuasa.

Gian-Luigi continuava:

– Ma per fortuna i vostri timori non sono fondati; e nessuno minaccia il meno del mondo la libertà nè la persona del nostro caro signor Benda.

Un'esclamazione di soddisfacimento corse i ranghi degli operai che si trovavano nella sala.

– Che cosa c'è? Che cosa c'è? Si domandò dall'altra stanza, dove le parole di Gian-Luigi non erano giunte chiaramente intelligibili.

– Il principale è lasciato libero: dissero quelli che erano presso la porta; ed anche dagli operai raccolti nella camera vicina si mandò quella voce di soddisfazione per quel fatto che essi interpretavano quasi un loro trionfo.

Ma Bastiano non era uomo da contentare con tanta agevolezza.

– Che ci dia quest'assicurazione Lei, signore, che non conosco, va benissimo: così disse il portinaio; ma andrebbe meglio se ce la dessero quei signori là.

E col suo grosso bastone accennava al gruppo dei carabinieri e degli arcieri.

– Avete ragione, brav'uomo: disse Quercia col più lusinghiero de' suoi sorrisi. E quei signori ve la daranno tanto esplicita e compiuta quanto la potete desiderare.

Si accostò al brigadiere, e dissegli a mezza voce:

– Avete voi l'ordine di arrestare il sig. Benda?

Il brigadiere si strinse nelle spalle, poi si volse con muta interrogazione verso Barnaba, il quale scosse la testa in segno negativo.

– Pare di no: disse il brigadiere.

– Or bene: riprese a dire il dottor Quercia; non dovreste avere difficoltà nessuna a dichiarar ciò a questa brava gente.

– Uhm! Fece il carabiniere esitante.

– Date retta: soggiunse vivamente Gian-Luigi con voce, accento e mossa che lo atteggiavano a dominatore della situazione; so che cosa debba essere la fermezza d'un militare, ma so eziandio che fra le virtù del vostro ufficio si deve pur contare la prudenza. Stimate voi prudente lo sfidare tutta questa baraonda d'operai che il pericolo del loro padrone mette in furore? Ne ammazzerete qualcheduno; ma badate al numero loro, e guardate che faccie risolute e che braccia d'atleta! Sarà una grande responsabilità quella che cadrà su chi sia stato cagione d'un conflitto. Pensate alle conseguenze. Tutte le famiglie di questa povera gente sarebbero ruinate; – e voi non uscireste vivi, neppur uno, da questa stanza. Non vi par egli adunque più saggio e conveniente, non dico il cedere, non dico il rinunziare al vostro dovere, ma di rinserrarne l'esecuzione in certi limiti e dare così alcuna soddisfazione a questi accalorati?

Quelle parole fecero un'evidente impressione sul brigadiere.

– Il giovane che abbiamo arrestato verrà con noi: disse egli quasi interrogando più che affermando.

– Sì certo. Nessuno pensa a torvelo di mano. Voi non avete che da rinunziare a molestare dell'altro questa famiglia…

– Diavolo! E la perquisizione?

– L'avete fatta nella camera che più importava; avete preso colui che fuggiva, certo colle cose appunto che si aveva interesse di sottrarvi, dunque…

– Gli è vero.

– Dunque, ripigliava Gian-Luigi, non avete che da dire a questa turba che voi ve ne andate senza altro.

Il brigadiere tornò a consultare con uno sguardo l'agente della polizia: e Barnaba, al quale ora per assai ragioni, a dir il vero, pareva mill'anni di essere fuori da quel ginepraio, fece di bel nuovo un cenno affermativo colla testa.

 

– Va benissimo: disse allora il carabiniere graduato, si farà come Lei dice…

– E andate là: soggiunse vivamente Gian-Luigi facendo scorrere uno sguardo verso l'agente poliziesco sempre imbacuccato; andate là che vi traggo fuori da certe belle peste!

Il brigadiere mosse d'un passo verso gli operai che stavano attendendo tuttavia in attitudine ancor minacciosa, e disse ad alta voce aggiustandosi al petto, secondo il suo solito, la tracolla della sciabola su cui brillava la piastra colle cifre dell'arma:

– No, non vogliamo arrestare il signor Benda. La nostra missione è compiuta, e se voi co' vostri atti non c'imponete nuovi obblighi, noi stiamo per ritirarci.

Quercia aggiunse del suo:

– Il che, tradotto in buon piemontese, vuol dire che rientrando voi pacificamente nei vostri laboratoi, questi signori si ritireranno da parte loro, lasciando liberi del vostro principale la casa, la famiglia e lui stesso.

– E ci renderanno anche l'avvocatino? Domandò con impeto Bastiano.

– Questo ve lo prometto io. Appena fuori di qui, correrò da chi fa bisogno, e non tarderete a riavere fra voi il mio buon amico Francesco.

Gli operai ruppero in uno scoppio d'applausi che si ripercosse nella camera vicina.

Gian-Luigi, con sempre maggiore quel tono di padronanza e di sicurezza, continuò:

– Ritornate adunque nell'ordine ed al lavoro. Il signor Benda vi è gratissimo del potente contrassegno d'affezione che gli avete dato, e vi è più grato ancora, se adesso, uniformandovi al suo desiderio, rientrerete tranquilli negli opifici.

Il signor Giacomo si accostò agli operai colle mani tese, con le lagrime agli occhi, veramente commosso.

– Sì, diss'egli, cari figliuoli, vi ringrazio… vi ringrazio tanto… Ma ora tornate al lavoro, vi prego.

E strinse le mani con forza a tutti coloro che erano in prima fila dell'assembramento.

– Viva il nostro principale! Gridarono gli operai. Viva il signor Benda e la sua famiglia!

E si ritrassero lentamente, come il fiotto del mare quando la marea s'abbassa.

Allora Barnaba per segni diè l'ordine di partirsi a' carabinieri e birri, e s'avviò egli primo verso la porta.

– Signore: disse Gian-Luigi accostandosi a Selva che i carabinieri conducevano via tenendolo in mezzo: non trascurerò di occuparmi eziandio di Lei, e spero, anzi son certo di ottenere colla liberazione dell'avvocato Benda, anche la sua.

– La ringrazio: disse Giovanni; ma quello che intanto vorrei, sarebbe che non avessi da passare in mezzo di Torino, scortato così come sono, a vista di tutta la gente.

– Ha ragione. Vorrei offrirle il mio legnetto se non che ne ho bisogno per correr tosto ad informare di ciò che qui accadde il conte di Staffarda, il marchesino di Baldissero e lo stesso conte Barranchi, perchè s'affrettino a farvi porre riparo nel modo il più completo. Ma il signor Benda potrà mettere a disposizione di questi signori una sua carrozza…

– Subito: disse con premura il signor Giacomo. Do gli ordini e in pochi minuti…

Barnaba scosse la testa in segno negativo, e disse colla voce soffocata dalle pieghe del mantello:

– No. Poscia ai carabinieri, facendo loro un cenno imperioso del capo: Avanti!

Non ci valse parola. Giovanni fremente fu trascinato dai carabinieri e dalle guardie, a capo dei quali camminava l'agente di polizia. Questi l'aveva amarissima contro il giovane arrestato per la bruciata carta, e si piacque di far contro di esso così bassa vendetta. Nè bastò. Appena fuor della casa, Barnaba, lasciando cader giù dal viso la falda del mantello e parlando colla sua voce naturale, poichè non aveva più da sottrarsi allo sguardo di Quercia, disse con accento di comando ai carabinieri:

– Ammanettatelo.

Giovanni si richiamò altamente, rosso di sdegno nel volto. Il brigadiere stesso esitò. L'agente di polizia ripetè seccamente l'ordine.

– Costui ci ha mostrato, soggiunse, quanta pervicacia sia la sua! Si merita questo ed altro: nè voglio che mi sfugga come avvenne d'altro rivoluzionario a Roma… Obbedite!

A Selva che dovette cedere alla forza, vennero per furore ardenti lagrime negli occhi; si morse le labbra fino al sangue, ma non aprì più bocca. Per un momento camminò a capo basso, vergognoso; poi scossa fieramente la testa, levò la fronte, e pallido, ma risoluto nel viso, seguitò la strada con quella fermezza e quella sicurtà che ha il martire d'un'idea perseguitata dalla forza. E così attraversò egli Torino in mezzo alla oltraggiosa curiosità dei passeggieri, deriso dal volgo, compassionato da alcuni, dignitoso sempre nella sua nobile calma. Quant'odio raccogliessero nelle anime oneste contro il Governo i suoi agenti con cotali atti è facile immaginare, e conveniva bene che in questa gioventù piemontese fosse forte e profondo il patrio affetto, perchè tutti i rancori, tutti i desiderii di vendetta suscitati per simili infami tratti svanissero quel giorno in cui quel Governo medesimo bandiva la politica nazionale e si sposava colla libertà.

Quercia intanto, partita la schiera poliziesca, erasi accostato premurosamente ai genitori di Francesco.

– Si rassicurino: aveva loro detto con quell'accento che sapeva rendere così simpatico ed insinuante. Io metterò in opera tutto il mio credito, tutte le mie influenze per restituir loro quanto prima il figliuolo.

C'era tanta sicurezza nelle parole e nell'aspetto di quel giovane che Giacomo e Teresa, e più ancora Maria, accolsero quella come una certa promessa.

– Dio la benedica! Esclamò la povera madre prendendo a Quercia una mano.

– Le saremo eternamente grati: soggiunse il signor Giacomo stringendo al giovane l'altra mano.

Maria, ella, venne innanzi al dottore e incrociando le sue manine in atto quasi di supplica, quasi di ammirazione, esclamò con voce impressa di tanto affetto:

– Oh sì! Le saremo eternamente grati.

E poscia arrossì fino sulla fronte sotto lo sguardo pieno di fuoco con cui il giovane le rispose.

– Ci conto su: disse Quercia mezzo sul serio, mezzo scherzosamente. Corro adunque senza perder tempo, e fra poco ne udranno le novelle.

Partì scambiando con quella affettuosa famiglia i più affettuosi saluti. Maria corse alla finestra per vederlo un'ultima volta mentre egli saliva in carrozza. Ed egli pure la vide; e i loro sguardi s'incontrarono come due raggi di luce. Era egli partito, e Maria rimaneva ancora immobile a quel posto, la candida fronte appoggiata ad una delle traverse dell'intelaiatura delle invetrate. Vedeva nel suo pensiero la bella figura di quel giovane ardimentoso nell'atto che affrontava con tanta sicurezza il pericolo, che dominava con tanta supremazia le turbe, che s'imponeva con tanta autorità a tutti, e il cui sguardo pur tuttavia era certe volte sì dolce!..

Povera Maria!

CAPITOLO XII

Gian-Luigi, nel salire in carrozza, disse al cocchiere:

– A casa, di galoppo.

Cinque minuti dopo il legnetto entrava nel cortile della casa in cui abitava il dottor Quercia.

Questi scese sollecito e levandosi in punta di piedi, a bassa voce disse al cocchiere che si chinava verso di lui per udirne gli ordini:

– Andrai tosto ad avvertire i capisquadra della cocca che si radunino stassera alle sette nella taverna di Pelone.

Il cocchiere fece un cenno affermativo.

– Poi verrai qui e starai pronto ad ogni evento tu e la carrozza.

Detto questo corse su delle scale verso il suo quartiere. Quell'altra faccia sospetta che gli serviva da domestico gli venne incontro fino sull'uscio del pianerottolo.

– Ho udito la carrozza: gli disse, appena Gian-Luigi fu entrato; ed ho pensato che era Lei che tornava. Abbiamo qualche cosa di nuovo?

– Sì: rispose Gian-Luigi. Aspetta che ti do due lettere da portare.

Si mise al suo tavolino a scrivere di fretta. Un bigliettino vergò sopra un elegante fogliolino di carta lisciata, il quale diceva in lingua francese:

«Contessa. Due miei amici, due bravi giovani, gli avvocati Benda e Selva, furono arrestati per sospetti politici – affatto a torto, ve lo giuro. Bisogna che per mezzo del conte e di vostro padre mi aiutiate a farli rimettere in libertà. Fra due ore al più tardi sarò da voi a spiegarvi meglio la cosa, ma frattanto non perdete tempo e pregate il conte a parlare al generale Barranchi in favore de' miei protetti, e scrivete al barone La Cappa di volere interporre la sua valevole protezione presso il Governatore. Addio, vi bacio le mani e sono – quegli che vi ama alla follia – Luigi.»

Sopra un pezzettino di carta qualunque scrisse:

«Seguite colui che vi presenterà queste parole di mio pugno. – Seguitelo subito. – Preme – Q.»

Diede i due scritti al domestico il quale con istrana famigliarità, di sopra la spalla del padrone, aveva letto tutto ciò che questi era venuto scrivendo.

– Questo, disse Quercia accennando il bigliettino, lo porterai…

E il domestico interrompendo con un insolente sogghigno:

– Alla contessa Staffarda ci s'intende… Ma dica un po', sor medichino, che cosa è l'arresto di questi due di cui fa cenno? Sono essi dei nostri?

– No: riprese Gian-Luigi crollando impazientemente le spalle.

– Be'… Io son di parere allora che la fa male Lei ad immischiarsene… La Polizia non bisogna toccarla, se non ci tocca… Lasci un po' che arresti chi vuole, quando la non ci viene a rompere le tasche a noi.

Il medichino si volse con tutta l'autorità e l'imponenza della sua supremazia.

– Olà! Mi pare che tu ti picchi di farmela da mentore eh?.. Non tollero di queste seccaggini, io… fai quello che ti dico senza rompermi le tasche, ne prendo un altro a tua vece.

– Non parlo più: disse il domestico raumiliato. Mi pareva… credevo bene…

– Ti pareva falso e credevi male… Stai certo che tutto ciò ch'io faccio gli è pel bene della cocca e non seccarmi altrimenti. Quest'altro fogliettino recherai in via porta… nº… piano terreno, uscio a dritta, appena nel vestibolo. Batterai nell'imposta sinistra due colpi, poi dopo un piccolo intervallo un altro, poi dopo altra pausa ancora tre; allora la porta ti si aprirà ed a chi ti verrà innanzi farai i segni dell'iniziazione massonica; quando ti avrà risposto, domanderai se esso è Medoro Bigonci… Ricordati bene questo nome… Alla risposta affermativa gli consegnerai quella carta, che ti farai restituire, ed appena sia pronto lo condurrai in Cafarnao, passando non per la bettola ma per la bottega di Baciccia. Io sarò là ad aspettarvi.

– In Cafarnao! Esclamò il domestico stupito all'estremo. Proprio in Cafarnao? Ripetè come se credesse di non aver capito.

– Sì: disse asciuttamente Gian-Luigi.

– Un estraneo?

– Egli è tale di cui si può fidare completamente, e le cose che abbiamo da dire, sono di natura da non esser dette che nel più segreto nascondiglio del mondo. D'altronde, giunto nella retrobottega di Baciccia gli benderai gli occhi e non gli leverai la benda finchè non sia penetrato fino nel mio gabinetto. Conducendolo fuori si farà lo stesso, così vedrà nulla di nulla. Ve l'ho già introdotto io altra volta di questa guisa ed ei non ha il menomo sentore della vera destinazione di quel nostro sotterraneo riparo.

Mandò un sospiro quasi di rimpianto e mormorò fra i denti:

– E se l'avesse, egli non ci metterebbe i piedi di certo. Hai capito? – Riprese parlando ad alta voce al domestico.

– Farò come la vuole.

– Benissimo. Vai e sollecita.

Il domestico si partì; Gian-Luigi si cambiò frettolosamente di abiti da capo a piedi ed avviluppatosi in un ferraiuolo uscì ancor egli e si diresse verso un'estremità della città, da quella parte precisamente in cui erano i quartieri più antichi e poveri, e in essi la taverna di mastro Pelone4.

Eravi colà – ora non esiste più – un gran quadrato di case ammonticchiate l'una accosto all'altra in una massa compatta, traverso cui non passava nessuna via pubblica, ma si aprivano molti cortili e cortiletti la più parte umidi e sporchi, i quali, comunicando fra loro per anditi bassi e porte, formavano una specie di labirinto cui solo poteva percorrere senza smarrirsi chi ne avesse acquistato il filo colla pratica.

 

La bettolaccia di Pelone si apriva in questo quadrilatero dalla parte che costeggiava la viuzza di cui ho parlato nell'aprirsi di questo racconto: nel lato precisamente opposto, il quale si trovava allo estremo lembo delle abitazioni e quindi metteva sopra i viali, quasi all'altezza medesima della taverna, vedevasi un muro che separava da un tratto di terreno incolto, corrente presso le case fra queste ed il viale, un cortiletto in fondo a cui biancheggiava una casetta d'un piano, ristorata di fresco, la quale colla sua lindura e pulitezza faceva strano contrasto alla miseria delle casipole che la circondavano.

Quella casetta aveva una misteriosa storia cui raccontavano con mille varianti le comari del quartiere. Molti anni prima era di proprietà d'un vecchio misantropo che la fama diceva ricco assai e che viveva da povero, solo, senza servi, senza conoscenti, senz'attinenza nessuna di nessuna sorta. Le vecchie, che ricordavano averlo visto, dicevano che aveva la faccia d'un birbante: che pareva il delitto incarnato in un omiciattolo macilento, rugoso, sporco, scontroso e ributtante. Lo si accusava d'ogni più orribil fatto – e sopratutto di essere uno stregone. Dicevasi che la notte strani rumori si sentivano in quel locale, e che il diavolo ci doveva venire di sicuro a tener compagnia a quel solitario. La casa aveva il medesimo aspetto del padrone; le muraglie n'erano verdastre; i ragnateli pendevano dapertutto, il tetto pareva minacciare rovina; la grondaia cascava staccata da una parte: gli scalini per cui si saliva al peristilio dell'unico ripiano erano disfatti e le lastre di pietra vacillavano sotto il piè vacillante di quel vecchio che solo varcava quella soglia. Era una casa che da lustri e lustri si lasciava andare in rovina.

Un giorno il vecchio misantropo non fu visto uscir più secondo che soleva tutte le mattine; le imposte delle finestre rimasero ermeticamente chiuse, e non fu udito più, nè visto colà dentro cenno di vita alcuno. Passarono e due e tre giorni di siffatta guisa, finchè la pubblica autorità, avvertita, penetrò di forza in quella casa, e trovò il vecchio appiccato per la gola ad un trave del soffitto. Non c'era traccia alcuna di violenza; nulla era derubato; si pensò che il vecchio medesimo, stanco di quella sua vita da orso, s'era ammazzato: si fece il suo bravo processo verbale e, dopo qualche giorno di chiacchere d'ogni fatta, la cosa fu posta in oblio. Il vecchio non lasciava eredi. Il fisco prese possesso di quella catapecchia, e la lasciò nello stato in cui si trovava, non sapendo che farne. Per molti anni essa rimase disabitata, e le comari del quartiere affermavano che la notte ci tornava lo spirito tormentato del vecchio omicida a farci chiasso. Finalmente quattro anni prima dell'epoca del nostro racconto, tutti i vicini stupirono nel vedere muratori e falegnami e poi tappezzieri all'opera a cambiare quelle luride muraglie in un'elegante dimora piena d'ogni ornamento e di ogni sontuosità che per comodo e per lo sfarzo della vita abbia saputo inventare la civiltà moderna.

Il dottor Quercia aveva comperato quella casa e la faceva con grande spesa ridurre a petite-maison per farne il nido de' suoi amori e delle sue avventure galanti.

Gli è verso questa sua casetta che Gian-Luigi diresse i suoi passi. Giuntovi, aprì la porta del muro che metteva nel cortile e la richiuse dietro sè appena entrato. Alla destra, addossato al muro, eravi all'interno un casotto da portinaio, ma la porticina e la finestra chiuse compiutamente anche alla luce dinotavano che non ci stava nessuno. Gian-Luigi traversò il cortile camminando sulla neve caduta, che nessuno aveva spazzato, e salito i tre scalini, che egli aveva fatto mettere di marmo e riparare da una piccola tettoia di ferro e cristalli (di quelle che diconsi marquises) aprì la porta di legno ben lavorato con ornamenti di bronzo, ed entrò, chiudendo anche qui studiosamente l'uscio dietro sè non solo con doppia mandata del serrame, ma con un forte paletto di ferro, che fece scorrere dall'una all'altra imposta.

Varcata la soglia eravi un breve andito a colonne che metteva in una sala piuttosto vasta, costrutta ed ornata secondo l'architettura ed il gusto dell'arte pompeiana. Il rumore dei passi era ammortato da uno spesso e ricco tappeto, e due bocche di calorifero alle due pareti laterali a chi entrasse mandavano un dolce tepore come di stufa per fiori. Senza deporre nè cappello nè ferraiuolo, Gian-Luigi traversò la sala ed entrò in una camera il cui uscio trovavasi precisamente in prospetto a quello d'entrata. Era un salotto ritirato, quieto, con tutte le delicature del lusso moderno, con diffusavi una luce semicrepuscolare che invitava l'anima al raccoglimento, i sensi all'abbandono, la voce a suonare sommesso. Sulle pareti era tesa una tappezzeria di seta gialla a fiorami d'ugual colore ma di tinta più scura; di seta gialla erano coperti il lettuccio da sedere, il sofà da starci due a discorrere, le seggiole a spalliera ricurva per accogliere comodamente la persona, le poltroncine, soffici tutti quanti, colle molle elastiche, e capitonati. Il legno dei mobili, degli usci, la cassa de' fiori presso la finestra in cui profumavano l'aere viole mammole, resedà e vaniglia, le cornici dei due alti specchi che si appoggiavano a due mensole elegantissime erano bianchi coi fregi e gli orli dorati. Un piccolo lustro dorato, di elegante forma, pendeva a metà dalla vôlta bellamente dipinta d'ornamenti architettonici e di vedute di paesi fra quelli inquadrate. Un più elegante tappeto copriva il pavimento e nel camino, tutto rivestito di marmo finissimo, ricco di belle scolture, dietro alari e paracenere elegantissimi di bronzo dorato ardeva un bel fuoco che una mano attenta doveva avere da poco tempo rianimato.

Gian-Luigi non si fermò neanche in questo salotto, aprì l'uscio che era alla sua destra e s'introdusse in una camera da letto che era tutto un'eleganza ed una gaiezza. Le tappezzerie, di seta altresì, erano di color celeste; di bianco e di celeste era incortinato il letto di legno di mogano, prezioso per egregio lavorio; dalla finestra per tendoline di seta rosea coperte di mussolina bianca si stacciava una luce a tinte soavi e calde che si rifletteva con effetto molto pittorico sugli orli dei mobili dorati; la vôlta formicolava di fiori e d'amorini sorridenti vagamente dipinti in ogni mossa; dal mezzo pendeva un canestrino indorato nel quale fioriva una di quelle strane piante erratiche a cui non è bisogno per germogliare e vivere la prosa della terra, ma che si alimentano poeticamente dell'aria, e in mezzo c'era luogo ad una lampada che dal cristallo opaco mandasse il suo lume travelato, non a rischiarare, ma ad assistere in quel tempio della voluttà ai dolci misteri della notte. Due specchiere alte da terra alla cimasa superiore della parete si facevan faccia dall'una all'altra parte della stanza, e il letto, posto in mezzo, era riflesso da ambedue all'infinito in una interminabile infilata.

Il giovane, entrato, chiuse studiosamente dietro sè la porta, come se temesse che alcun occhio profano avesse da vedere ciò ch'egli stava per fare, e non la chiuse soltanto colla stanghetta a molla, ma diede colla chiave due mandate al serrame, quasi per esser sicuro che nessuno potesse venire a sorprenderlo. La precauzione poteva in vero dirsi soverchia, poichè aveva egli già serrato e il portone da via, e la porta d'ingresso della casina, e ben sapeva che nessuno aveva chiavi da penetrar colà dentro contro sua voglia o ad insaputa; ma il segreto che si celava in quella camera così elegante da parer fatta per gli amori soltanto, era pure di sì gran rilievo che per abitudine da non trascurarsi mai, egli s'era imposto ogni fatta di maggiori cautele cui potesse suggerire la più diffidente prudenza.

Gian-Luigi gettò uno sguardo sopra una mensola dove stava un gruppo di bronzo dorato in istile rococò, rappresentante con allusione mitologica varii amorini incatenatori del Tempo, il quale portava sulle sue spalle un orologio a pendolo.

– Di già le dieci ore!.. Come passa il tempo! Decisivamente la giornata è troppo corta per le tante cose che m'impone questo lavoro di Gigante assalitor dell'Olimpo… Ah delle volte sono stanco!..

Vide in una delle specchiere, innanzi a cui si trovava, la sua faccia giovenile, impressa di tanta baldanza e risoluzione, e sorrise a sè stesso.

4Nella descrizione di codesti luoghi non sarò molto preciso per evitare che si attribuisca a questa od a quella casa il teatro delle scene che sto per narrare: – vere pur troppo in gran parte.