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Storia degli Esseni

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Ma l’epoca Rabbinica non meno feconda procede di analogie e di esempj parlanti, che tanto più intima provano la parentela tra Farisei ed Esseni. – Chi per poco volse lo sguardo al Talmud, già comprende quello che io dico, già le citazioni previene, e già corre colla mente alle legittime conseguenze. Non si potrebbe tanto esigere di somigliante, d’identico tra Farisei ed Esseni, che più la storia, che più il Talmud generoso non porga. Se il fanciullo è proclamato stromento condegno di profezia dai nostri Esseni, tale non meno è gridato dai dottori, dai talmudisti. Se gli Esseni i fanciulli profeti consultavano a divinazione del futuro, ed essi pure i Farisei li consultavano, dei quali infinite si narrano nel Talmud le domande ai fanciulli rivolte, colla frase solita sacramentale: Pesok li pesukih. E chi volesse riandare nel Talmud tutti i singoli fatti che depongono della esistenza di tal costume, opera farebbe lunga interminabile, tanto ne vanno gremite le pagine di quella grande compilazione. Nè io il farò, troppo standomi a cuore la speditezza di questa istoria. Solo, ingenuamente ve lo confesso, vi ha un fatto nel Talmud Babilonico che grave troppo sarebbemi sotto silenzio trapassare, e di cui pertanto piacemi fare in questo luogo breve menzione. Egli è là, ove si narra di alcuni fanciulli che sendo entrati secondo il solito nella scuola, nell’accademia e tardando tuttavia a venire i loro maestri, si dierono a favellare sull’alfabeto, sul nome, sulla forma eziandio delle lettere ebraiche; a trovare cenni, allegorie, moralità nella figura e nella posizione relativa delle lettere nell’alfabeto, tralle quali non poche si leggono locuzioni, sentenze che duro riesce, malgrado gli interpreti, tuttavia ad intendere, e che a parer mio non altrove possono trovare intelligenza adequata che nel sistema e nella terminologia dei cabbalisti. Or bene, se a prima giunta cotesti potessero parere non altro, che felici o forse anco capricciosi trastulli, non così dopo avere udito il maestro che sopravvenne. Il quale, presa ch’ebbe contezza delle costoro combinazioni alfabetiche, non ebbe scrupolo di sentenziare a dirittura, cose simili non essersi unqua udite dai tempi di Giosuè figliuolo di Nun. Ei pare che noi assistiamo ad un consesso, ad un esercizio di giovani Esseni, il luogo sacro, la solitudine, l’abbandono di quei fanciullini, e quindi lo spontaneo sbocciare delle loro idee, l’alfabeto, testo della puerizia, tolto a materia, a incentivo di più serie lucubrazioni, le parole glorificanti del maestro sopravvenuto; e sopratutto la convenienza anch’oggi sensibilissima delle frasi, delle imagini di quei parvoli colle frasi e colle imagini dei cabbalisti, ci sono altrettante linee, espressioni, fattezze riconoscibilissime della grande scuola dell’Essenato, ed altrettanti diplomi di consanguineità tra Farisei ed Esseni, tra questi ed i cabbalisti. I quali, e questo fia suggel ch’ogni uomo sganni, ammisero, celebrarono nei loro annali fanciulli celebri, straordinarj che verificarono nell’ordine religioso quei portenti che le passate e le moderne età, videro non infrequenti nei fanciulli, prodigiosi per ingegno prematuro, specialmente in matematica, qual fu a mo’ di esempio il Mangiamele. E benchè copiosa messe mi si offrirebbe dinanzi, se tutti volessi percorrere i vasti campi dei cabbalisti, pure di due fatti, di due fanciulli porteni farò menzione, l’uno antico, l’altro moderno. È il primo quel famoso Ienocà di cui si legge nello Zoar, nella lezione Balac; e l’altro quel Gaddiel Naar, non meno celebre per la precoce santità. E questo è, se non erro, abbastanza per confermare anche per questo verso l’identità Essenico-Cabbalistica. E qui pertanto potrei far punto, ma nol farò sintantochè non vi abbia un’altra non meno preziosa storica attinenza, additata nel fatto suaccennato dei fanciulli talmudici. Voi non avete certo obliato la filiazione o almanco le grandi attinenze tra Cristianesimo ed Essenato. Or bene, fra i Vangeli apocrifi ve ne ha uno, se non erro l’arabo vangelo, ove il fanciullo Gesù, non solo è presentato disputante coi dottori della legge, ma nell’atto ci è mostrato altresì di studiare, di scuoprire ancor fanciullo, nella forma, nel nome delle lettere ebraiche, i misteri della legge di Dio, ch’è quanto dire quello stesso esercizio che vedemmo prediletto dai fanciulli talmudici, e che noi crediamo esatto esempio, e pratica essenica per eccellenza, e come tale tolta a modello dal fanciullo Gesù, allievo dei nostri Esseni, o almeno dai vangelisti che ne scrisser la vita.

Quest’ultimo riscontro non è men prezioso degli altri precedentemente ricordati. Egli è indizio, sintoma, di quell’armonia che solo il vero può produrre nell’esame e nella considerazione dei fatti, ed alla cui vista s’ingenera nell’animo dello studioso quel senso medesimo indefinibile di ben essere, che s’ingenera nel corpo dall’armonico funzionare di tutti i visceri, che non sapresti dire se risieda in questa parte od in quella, ma ch’è la resultante, ossia il quoziente della simultanea azione e riazione di tutte le parti.

LEZIONE VENTESIMANONA

Le predizioni degli Esseni, da noi studiate nelle passate lezioni, chiusero quella parte dell’Essenica dogmatica che noi dicemmo antropologia, ossia la scienza dell’uomo. – Egli è pertanto nella sfera istessa delle dottrine degli Esseni tale un subbietto, che se non è del dominio istesso dell’antropologia, molto a questa si avvicina, e gli è per questo che un luogo gli assegneremo immediatamente successivo, e che dopo le cose discorse stimiamo qui opportuno doversi a dirittura trattare. E questo è la Morale, l’Etica degli Esseni. L’Etica, la scienza dei costumi, forma parte integrale di ogni sistema vuoi filosofico, vuoi religioso; nè si può dare religione, filosofia completa che nella stessa guisa che le basi propone della Metafisica, quelle eziandio non fondi della Morale, stringendo in alcune formule supreme generalissime, il primo principio, l’Idea madre, da cui tutto il sistema s’ingenera dei diritti e dei doveri dell’uomo. Qual’era l’etica degli Esseni, e quai furono i suoi principii, o come detto abbiamo, le supreme sue generalissime formule? Qui è ove Filone ci trasmise memoria preziosa dei suoi Terapeuti, gli Esseni d’Egitto. – Filone che i Terapeuti conobbe, e nel novero di essi professò e praticò i principii della scuola, Filone può insegnare ed essere udito. I Terapeuti, dice Filone, triplice base assegnarono alla morale, o per dir meglio in tre principii generali compendiarono la scienza dei costumi. E questi tre principii erano appunto tre amori. – Insegnarono l’amore di Dio, l’amore della virtù, l’amore degli uomini; e dall’amore triplice che tutto congiunge e stringe ed unifica, fecero derivare tutta la serie dei morali principii, ed il mondo crearono sociale, politico, morale, religioso, in quella guisa che le antiche cosmogonie e la nostra eziandio riserbatissima, tutto l’universo fecero emergere dall’amore eterno. Fedele al sistema sin dall’origine intrapreso, io dovrei qui citare Bibbia e Rabbini, dovrei cercare i precedenti, i germi, le segrete radici dell’essenato nella Bibbia e nei Dottori. E pure l’esame di questi ultimi basterà al duplice intento: i Rabbini per sè risponderanno non solo, ma pur anco per la Bibbia, anzi le idee bibliche che nel codice santo vestono forma popolare oratoria esortativa, prendono nelle loro labbra la forma severa di dottrina. – Quando Mosè nelle bellissime concioni del Deuteronomio spandeva fiumi di eloquenza, – aveva pure dopo la confessione di Dio Uno, insegnato l’amore di Dio, profondo, attuoso, illimitato; aveva pure altrove, dopo imprecato alla vendetta, favellato dell’amore fraterno; ma dov’è in questi due principii la maggioranza incontrastabile, la legittima preminenza, e quella paternità che vantano a buon diritto su tutti gli altri sociali e religiosi doveri? Certo che nullo esteriore distintivo per tali costituisceli nelle pagine bibliche: e forse se a questi esteriori contrassegni si avesse rispetto, ei converrebbe l’officio di assioma, di principio assegnare a tanti comandi che un seggio occupano più illustre, che più enfatica hanno l’enunciazione, e che duplice e triplice vantano ripetizione nelle pagine del Pentateuco. Ma quanto facile tutto questo a intendersi, quando di esso libro si sia la natura e destinazione compresa! Il quale, e questa è convinzione che profondissima io reco da molti anni, essendo un libro meglio oratorio, esortativo, politico, ceremoniale che scientifico, dommatico e dottrinale, non serba appunto, secondo è stile degli oratori, dei politici, quell’ordine e successione logica rigorosa tra principio e conseguenza, quella gerarchia di idee, di pensieri che solo ha luogo nei trattati didascalici, insegnativi, ma le idee, i principii, le conseguenze, gli assiomi, i corollarj si affollano promiscuamente sulle labbra dell’oratore, dell’ispirato, del politico, e rompono in lampi e tuoni di eloquenza, o in formule e prescrizioni politiche cerimoniali; solo quell’ordine e successione serbando meramente esteriori, che son richiesti dal subbietto pratico, sociale, politico, cerimoniale a cui i grandi principii della religione e della morale sono applicati. Ora quest’officio d’ordinazione, di ricostituzione logica della Bibbia egli è ai dottori che appartiensi; ei sono i dottori che vi dierono opera, sì perchè rappresentando eglino, per rapporto all’Ebraismo, l’epoca della riflessione succedanea a quella dell’intuito, ad essi per diritto appartiene la gerarchia delle idee, sì perchè sendo eglino depositarj della tradizione retrosalgono in certa guisa ai biblici primordii, assistono alla genesi delle idee, ricollocano ogni cosa al suo posto naturalissimo, sono per sè stessi anacronici anzi omnicronici; e sono sotto questo rispetto più antichi dei tempi biblici, e i padri e genitori spirituali dei contemporanei eziandio di Geremia e di Ezechiello.

 

Or bene: i tre amori che gli Esseni posero a base della loro morale, quelli che vi feci conoscere in germe, in confuso, nelle parole mosaiche, sono quelli che i dottori eressero a principio, a formula suprema non solo delle umane e sociali, ma delle religiose virtù eziandio: e se fra gli Esseni e i dottori corre una differenza qualunque, ella è questa sola. Egli è lo avere questi ultimi divisamente considerato ciò che gli Esseni considerarono indiviso; egli è il proporre che fecero or l’uno or l’altro dei tre grandi amori qual unico supremo criterio di morale; egli è il dividersi le opinioni sulla preminenza dell’uno, e dell’altro; egli è il contrastarsi che fanno la morale sovranità, quando gli Esseni, invece, indiviso, collettivo ne volevano l’impero. Pei dottori se tutti convengono esservi un principio regolatore di nostre azioni, non tutti convengono sulla scelta di questo. Se per l’uno è l’amor di Dio indicato nel Deuteronomio, per l’altro è l’amor del prossimo nel Levitico comandato, pel terzo è il sacrifizio adombrato nei Numeri, per l’ultimo infine è l’unità di origine, e la fraternità universa insegnata nel Genesi. – Per tutti è una formula generalissima da cui tutti emergono sociali e religiosi doveri, e forse non andrebbe errato chi dicesse non escludersi per l’uno il principio dall’altro proposto, ma potersi tutti questi criterj conciliare in sintesi amica, non altro avendo ognuno proposto che una parte della comun tradizione.

Che se l’Etica farisaica e l’Etica degli Esseni si congiungono, si unificano in tant’altezza e sublimità di pensieri, chi potrà vantare più al lor confronto primato, sovreccellenza di dottrine morali? – Certo non il Vangelo, il quale è di tanto posteriore agli Esseni, anzi sua creatura e figlio, e che nelle scuole crebbe, si educò dei nostri dottori, come fedele ne abbiamo espressione in Gesù disputante coi dottori nel Tempio. – Ciò ch’è vero, ciò che ingiusto sarebbe disdire al Cristianesimo, egli è in primo luogo la figliuolanza, la derivazione dell’Essenato fatta eziandio più chiara dall’uniformità dei morali principj; egli è in secondo luogo la propagazione che per il mondo gentile avvenne la mercè sua della purissima morale essenico-ebraica, facendo patrimonio di tutti, ciò ch’era stato sin a quel punto tra i Pagani retaggio esclusivo di pochi eletti.

Giunti a questo punto, l’ordine di questa istoria ci condurrebbe naturalmente a parlare dei dogmi delle dottrine teologiche dei nostri Esseni. E qui invero vasto, e qui nobilissimo aringo ci si schiuderebbe dinanzi. Ma perchè nol poss’io tutto percorrere? Gli Esseni che chiusero ai profani l’accesso delle loro credenze, poco o nulla lasciarono agli storici tralucere delle loro dottrine. Egli è per questo che quelle tenebre istesse che contendevano ai coetanei la cognizione dei loro dogmi, a noi pur la contendono: egli è per questo che anzichè lasciare il freno alle ipotesi, io amo meglio confessarmi ignorante. Certo non si potrebbe negare. Vi sono due sistemi grandi, celebri, antichissimi che gran parte potrebbero restituire delle dottrine dell’Essenato, in cui le idee, lo spirito, si trasfusero del grande istituto, e che perpetuarono sino a noi non pochi di quei segreti di cui furono gelosi i nostri Esseni. Questi sistemi veduto abbiamo parecchie volte soccorrerci all’uopo nelle lacune storiche dell’Essenato; questi sistemi sono quel di Filone, e l’altro di gran lunga più momentoso dei Cabbalisti, ambidue intimi dei nostri Esseni, ambedue risponderebbero eloquenti ove interrogati fossero, con scienza, con critica imparziale, con quel tatto particolare che sa ricostituire i sistemi mutilati corrosi dal tempo, come in paleografia si ricostituisce una iscrizione con parole e frasi mutilate e sconnesse. Il faremo noi? Io confesso l’opera al di sopra delle forze mie; e se non infelice provammo qualche tentativo di siffatta ricostituzione nel corso lungo di queste lezioni, ciò nonostante ella è tale la generale restituzione del dogma essenico, che infinite vi si oppongono e gravissime difficoltà, il campo vastissimo delle indagini, la miscela nel filonismo operatasi di idee greche e platoniche, le tenebre densissime che involgono tuttora la teologia dei cabbalisti, e sopratutto le difficoltà proprie naturali di questo genere di lavori. – Egli è per questo che lasciando a tempi, a ingegni meno infelici il gigantesco lavoro di cui parlo, non più oltre spingerò per ora le mie indagini che le dirette notizie a noi pervenute non lo consentano. E queste, bisogna dirlo, sono poche se non al tutto insignificanti. Riguardano esse meglio la espressione, la veste esteriore che la sostanza delle idee; meglio l’imagine che involge il pensiero che non il pensiero medesimo. E pure, forse sbaglierò, ma credo fermamente che allo scopo da noi prefisso, alla dimostrazione della identità essenico-cabbalistica più monti la omogeneità della forma, che la medesimezza delle dottrine, meglio la imagine che è per sua natura meramente arbitraria che il pensiero che può nascere spontaneamente uniforme in scuole diverse. Ora io oso dirlo. Chi cercasse nel superstite simbolo già degli Esseni le imagini, i tipi che ha comuni coi Cabbalisti, larga mèsse raccoglierebbe di parlantissime analogie: testimone ciò che dice Filone avere appreso da un seguace di Mosè intorno un uomo che si diceva Oriente; ove per seguace di Mosè egli senza meno intende uno dei nostri Esseni. I quali, oltre alla somma venerazione che professavano per quell’uomo di Dio, come attestano in molti luoghi Giuseppe e Filone dal nome suo intitolandosi, meglio vi sembreranno il gran titolo meritare di Mosaiti, se ciò che dissi nelle prime lezioni ritornerete alla memoria, ed ove seguendo le traccie ultime che gli Esseni lasciarono nelle istorie, mi avvenne, se ben vi ricorda, di rammentare Beniamino di Toletola ed i suoi viaggi. Vi dissi allora come narrando egli le pellegrine cose da lui vedute sulle rive dell’Eufrate e del Tigri, di uomini pure va raccontando ch’ei vide menare vita austerissima, anacoretica; ch’ei chiama a dirittura Benè Moscè ossia Mosaiti, e che pel ritratto somigliantissimo noi dicevamo allora ultimo vestigio lasciato nelle istorie dalla primitiva forma del grande istituto. – Io non aveva allora letto per anco uno degli ultimi numeri del buono e dotto giornale Magghid. Ma quale fu la mia sorpresa scorrendo un recentissimo articolo di quel periodico! In esso con bella e giudiziosa erudizione si prova appunto ciò che io non osava proporre che quale ipotesi; si prova cioè non altr’essere i Bene Mosciè di cui favellarono i nostri viaggiatori del Medio evo, di cui parlò Beniamino di Toletola, di cui parlava eziandio Eldad adani; che gli ultimi e sbandati successori dei nostri Esseni. Ch’io mi sappia, niuno finora recò in mezzo il nome che loro impone apertamente Filone, niuno avvertiva qual peso immenso rechi nella critica bilancia la deposizione di tal uomo. E pure Filone non potrebb’essere più esplicito, tanto più che di niun altri può intendere Filone per Mosaìti che dei nostri Esseni; e pure nulla più osta all’uso, allo stil di Filone che il supporre in questo nome significato il popolo ebraico ch’egli mai sotto il nome non designava di Mosaìti. Ma se Mosaìti sono indubbiamente, come vediamo, gli Esseni, che cosa di essi dice il nostro Filone? Ei dice, e voi l’udiste, che un uomo, un essere riconoscevano, che si chiamava Oriente. Io vorrei che voi aveste potuto leggermi in cuore quando la prima volta imbattevami in questa frase, la sorpresa, la dolce sorpresa che provai in quell’istante. – Ma quanto per voi facile ora stesso l’imaginarlo! – Pensate ai gravi dubbii promossi sull’antica data del Cabbalismo; pensate al confronto non mai intrapreso tra gli Esseni d’indubitata antichità, ed i Kabbalisti gridati da alcuno modernissimi; pensate che una delle emanazioni divine si chiama appunto nella fraseologia cabbalistica ora Chedem, ora Mizrah, ch’è quanto dire Oriente; pensate che nei libri Talmudici che alludono ad ogni tratto, checchè ne dicano critici ingiusti, alle idee cabbalistiche, che nel Talmud, io dico, Dio stesso è chiamato a dirittura Chedem Oriente; pensate a questo e poi mi dite che cosa avreste provato al mio posto leggendo dei Mosaiti di Filone, che dicevano esserci un essere che si chiamava Oriente. Certo che la sorpresa, l’aspettazione sarebbe stata già grande. Ma quanto più grande dopo lette le parole gravissime di Filone, che seguono! – Nelle quali dopo aver detto testualmente che questo nome non s’addice ad uomo mortale, che si parla della imagine immateriale di Dio, dimostra poi a lungo non altro essere quest’Oriente che il Pensiero e la Parola eterna di Dio, che l’archetipo delle cose create, che il mondo intelligibile, modello, come vi dissi in una recente lezione, del mondo sensibile. A queste parole chi per poco abbia fruito della riposta nostra teologia, non può a meno di sentirsi colmo il petto di soavità ineffabile, la quale sempre e sempre più andrà crescendo colla lettura di Filone quando dirà essere questi il verace uomo, come verace Adam il chiamano i cabbalisti, Adam aelion, e nella parola Adam trovano il Scem Ma che si appunta nello stesso principio; quando lo chiama sommo sacerdote, come sacerdote supremo Coen gadol il chiamano i Cabbalisti, e più altre infinite cose che per la natura loro astrusissima e gelosa bello è il tacer, siccome il parlar colà dov’era. Ora, da tant’altezza conviene calare a regioni più basse; e pure nuovo documento ne trarremo a provare, mercè la identità dei segni tra le due Scuole, l’unità, la medesimezza della origine. Quando parlerò delle pratiche esseniche, e sarà questa l’ultima parte di questa istoria, ne farò allora, siccome a luogo opportuno, nuova menzione; ma egli è un uso, una pratica degli Esseni, che esprimendo una delle forme, uno dei segni più comuni del loro pensiero, mestieri è pure che qui abbia luogo condegno. La destra, dicevano buona, sacra, fausta eziandio; la sinistra gridando invece rea, impura e nefasta: quindi alcune regole pratiche che muovevano dallo stesso principio: quindi lo sputare a destra interdetto: quindi la destra qual segno di onore conceduta al maggiore. Queste pratiche verranno in campo a tempo opportuno, e vedrete quanto in esse eziandio vi sia di Biblico, di Rabbinico, di Farisaico; ma ciò che si vuole qui apprezzare, è il simbolo la destra e la sinistra, tolte, l’una qual sinonimo di bene, l’altra qual imagine rappresentatrice del male. – Nel qual simbolo, due ebbero famosissime scuole i nostri Esseni. – Certo più a discepoli che a maestri ebbero in primo luogo i Pitagorici che nella loro Decade posero Destra e Sinistra quali idee ed espressioni antagonistiche. Ebbero poi, e questo è più rilevante, i teologi cabbalisti, i quali come gli Esseni, come appunto i Pitagorici, posero a loro posta nella Decade loro il Jamin e il Semol, quai principj avversi antagonistici, nella guisa stessa dei due principj del dogma iranico Otmuzd e Arimane; ma colla gran differenza che mentre i Persiani ne costrussero il Dualismo facendo due Esseri, due Dei, due principj indipendenti, l’Ebraismo serbò intatta l’unità suprema di azione, di piano, di ultimo fine, come lo stesso simbolo il prova di Destra e Sinistra, quasi due braccia che si radicano nell’unità del corpo, e ad una mente sola obbediscono, ad un solo volere. Io potrei qui, a proposito di Destra e Sinistra, recare in mezzo due luoghi d’oro che attestano la presenza fra noi delle idee cabbalistiche nei tempi talmudici – l’uno tratto dal Talmud in Scebuot, l’altro, non v’imponga il brusco passaggio, nelle Clementine– opera semiapostolica di cui fu fatta recentissima edizione, non saprei dire se in Berlino o Parigi. Fatto è che tutti i lettori del Debats del 25 di agosto passato, potuto avrebbero avvertirlo in un seguito di articoli, se anche i giornali fossero letti con quel nobilissimo intendimento di trovare dovunque le sacre vestigia della verità.