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Storia degli Esseni

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Che se provato non ostante il fatto, pur si volesse di questo fatto medesimo, di questa strana eccezione indagare le cagioni, facile sarebbe le cause additarne più verosimili. Se diceste in qual guisa quel mistero, serbato per la tradizione comune, non lo fu per le più gelose e per le più rispettate, ecco che cosa risponderei. Vi mostrerei la forma nella quale queste ultime tradizioni furono dettate, la forma che assunsero in tutte le opere scritte, forma se altra fu mai metaforica per eccellenza, in cui l’allegoria procede così uniforme, così complicata, e in cui sì denso velo ricuopre il pensiero recondito, che tutta la penetrazione sfida dei più oculati ove alla parola scritta non soccorra l’insegnamento orale del maestro, a tal chè si può dire che niuna maggiore divulgazione procurare poteva la scrittura a cotal tradizione, che già non avesse pria di essere per iscritto deposta. – E non è questo il luogo di maggiormente diffondersi intorno questo argomento; ma se lo fosse, facil sarebbe mostrarvi di questo procedere dei dottori parlantissima analogia nei primi tentativi di redazione tradizionale, nei primi saggi Misnici talmudici ove questa stessa forma parabolica vediamo prevalere, ed ove le più antiche formule suonano brevi, oscure, talvolta metaforiche siccome i famosi Simanim di cui va copiosa la Biblioteca Rabbinica dei primi secoli.

Ma di questo si taccia per lo migliore, ed il corso riprendiamo della nostra storia. Noi sappiamo le fonti d’onde i dogmi loro attinsero gli Esseni: giusto è che alla cognizione dei dogmi stessi trapassando, quel cenno ne facciamo che le scarse memorie e il mistero appunto ond’erano circondati, ce lo consenton maggiore. E quando si parla di credenze, mestieri è pure di quelle eziandio favellare che falsamente agli Esseni si attribuirono, sì perchè mondati procedano d’ingiuste imputazioni, e sì perchè non è raro il vedere che sotto una calunniosa imputazione alcun che si asconda di vero e di fondato, d’onde a guisa di malinteso abbia rampollato l’errore, il dogma supposto, e quindi la fama che accusava, in documento si converte in qualche guisa di storica verità. – Gli Esseni, come gli Ebrei in generale, furono appuntati di supposte adorazioni. Lo furono di adorare il Sole, e sopra un passo di Giuseppe Flavio fu fondata l’accusa. Io non istarò a decifrare il vero senso delle parole flaviane. Grecisti insigni vi si provarono, e quanto vi siano riusciti lo dicano i dubbj tuttavia perseveranti. Io farò meglio. Io supporrò chiara e limpida l’espressione di Flavio; io dirò che a dirittura egli attribuisca agli Esseni, siccome veramente io credo che gliele attribuisca, l’adorazione del Sole. Saranno per questo gli Esseni idolatri? dovremo intendere Flavio come lo intese il Prideaux, a rigor della lettera? Io credo che sia avvenuto al Prideaux ed a chi lo segue, ciò che avvenne agli antichi Missionarj Gesuiti nell’Impero cinese. Dove avendo udito i più famigerati filosofi insegnare la fede nel nulla, tornarono pieni di sorpresa e di ira raccontando dovunque in Europa che i filosofi Cinesi facevano pubblica professione di ateismo e nullismo. E quanto i buoni Padri andassero errati, quanto goffamente frantendessero la fraseologia dei Cinesi, facile sarebbe qui dimostrare se l’ora e l’argomento lo permettessero. Io credo che un qualcosa di simile sia pegli Esseni avvenuto. E a così credere già sarebbermi argomento sufficiente le tante prove e gli esempj cospicui che il Sole ci mostrano sotto un senso allegorico, lo mostrerebbe il Pastoret quando, a proposito degli Esseni, il Sole dice non essere stato per molti popoli che il Rappresentante dell’Ente Supremo; lo proverebbe l’uso, onde parla il De Jurieu nei termini seguenti: «De là est venue la coutume de se tourner toujours du côté de l’orient dans tous les sacrifices qui se faisaient aux dieux célestes,» e di cui è discorso nel XII dell’Eneide, v. 172; lo proverebbe il costume prevalso nei prischi tempi nella Chiesa cristiana, di volgere verso l’oriente, e che solo Leone I condannò come intollerabile superstizione; lo proverebbe Fausto Manicheo quando compara Cristo a Mitra, il Sole Persiano, e dice, i doni recati dai Magi all’infante Gesù quelli essere appunto che gli orientali al Sole offerivano come oro, mirra ed incenso; lo proverebbe Ermogene che alla fine del II secolo referiva il culto di Cristo a quello del Sole, e il corpo di Gesù credeva assunto nell’astro del giorno; lo proverebbe Dante quando al Iº del Paradiso chiamava poetando Dio Sole degli Angioli:

 
E Beatrice cominciò: Ringrazia,
Ringrazia il Sol degli Angeli, che a questo
Sensibil t’ha levato per sua grazia;
 

lo proverebbe la Bibbia quando Dio chiama Sole il Talmud, quando narra di chi ad un Cesare che richiese di vedere Iddio mostrò il Sole ultimo dei suoi Ministri; e tutte queste prove già grandemente infermerebbero l’accusa contro gli Esseni articolata di adorazione del Sole. E poi quanti fatti nel culto ebraico potuto avrebbero dare origine a quest’accusa! Basti dire dell’orazione al cui proposito appunto, e tanto più è notabile, rammenta Giuseppe l’adorazione in discorso. Basti dire dei Vatichin, forse altro nome degli Esseni, che studiavansi principiare col sorger del Sole la prece di mattutino in adempimento del verso; basti dire della perfetta orientazione del Tempio di Gerosolima, intorno a cui, dice il Talmud, tanto affaticaronsi gli antichi Profeti affinchè la porta di Oriente ricevesse i primi raggi del sole; basti dire il nome stesso che quella porta recava di porta del Sole; basti la lastra d’oro tersissimo che votò Elena regina e Nazirea, affinchè in luogo si situasse che ai primi raggi del sole infinite mandasse scintille nunziatrici ai sacerdoti del rito che cominciava. E se questo fosse il luogo di tal raffronto, aggiungerei della perfetta orientazione, oggi costatata, delle Piramidi, che oltre il loro carattere funerario, fa grandemente dubitare non forse qualche rapporto possano offrire col culto del Sole, con Osiri Dio infernale e Giudice delle anime nello Amenti come Cristosole scende in Inferno e ne trae le anime dei giusti, e giudice sederà de’ risorti nel giudizio finale.

Ma mirate la forza del vero! Egli è soltanto, egli è principalmente al confronto della simbologia cabbalistica che cessa ogni possibil recriminazione, che tacciono, anzi, e ciò di gran lunga più monta, che si spiegano, che s’intendono le accuse in discorso e che con tutta verità, con tutta precisione, si può dire degli Esseni che adoravano il Sole. – E certo lo adoravano perchè furono dei Cabbalisti progenitori, e certo ne fecero, come ne fanno i Cabbalisti, emblema, simbolo, principalmente nella loro Teologia; e certo non solo il sole, ma la luna, ma i pianeti tutti fecero parte della loro simbologia, siccome S. Girolamo lo attesta, rincarando sopra Giuseppe e dicendo gli astri tutti avere gli Esseni adorato. – S. Girolamo pare che compia l’accusa, ed invece non fa altro che finire il ritratto degli Esseni, che identificarli assolutamente coi Cabbalisti, che porre, a dir breve, l’ultima mano a quella identità da noi propugnata. Perciocchè mestieri è che il sappiate, non solo il Sole, simbolo fra ogni altro cospicuo, ma la Luna, ma Giove, ma Marte, ma Venere, ma Mercurio, e se ai tempi loro conosciuto fosse stato Urano, anche Urano avrebbero tolto a far parte della ricca e complicatissima loro Simbolica. Ecco i veri astri, il vero sole, la vera luna che adorarono gli Esseni, il sole e la luna e gli astri del cielo dei Cabbalisti, ecco l’accusa; che accusa si, ma solo la identità dei due sistemi e delle due scuole, al difuori della quale io oso dire che ogni sforzo spenderebbe invano la critica a dare una spiegazione plausibile a questo culto strano idolatrico, che austeri gravi autori non temono di attribuire alla più scrupolosa e severa scuola che sorta sia nel seno dell’ebraico monoteismo. Ecco la chiave per capire ciò che ha di vero il sistema del Dupuis che trova in Cristo il sole, e negli apostoli i 12 segni dello Zodiaco; la chiave ne è la parentela tra Cristiani ed Esseni, e tra questi ed i Cabbalisti.

LEZIONE VENTESIMAQUARTA

Sotto le forme di un’adorazione idolatrica, di un’apparente astrolatria del culto del Sole, noi abbiamo trovato una nuova analogia coi Cabbalisti, e al tempo stesso l’origine di quest’accusa, della supposta adorazione del Sole. Possiam dire che non è persino l’errore che non rechi in qualche modo il suo tributo al nostro sistema, e non concorra esso pure al più grande e più luminoso trionfo del vero. Noi abbiamo iniziato un sistema di critica storica intorno agli Esseni che, spero, vedremo parecchie altre volte vittorioso alla prova, dileguando quelle nubi che si frappongono alla contemplazione del vero, additando la sorgente di altri malintesi, e sotto l’aspetto paradossale di altri culti, di altre formule non meno strane nè indecifrate, accennandoci la equivocata e malcompresa simbologia dei Cabbalisti. Noi andiamo a vederne prova novella. Noi abbiamo un altro culto, un’altra accusa, un’altra idolatria da spiegare, la quale non reggerà, spero, al contatto del criterio da noi assunto alla storica interpretazione dell’Essenato, più che non resse l’altra accusa d’astrolatria, l’adorazione del Sole. Strano a dirsi! furono accusati gli Esseni d’adorare creature mortali, individui umani quali siam noi; di adorare due fratelli, il cui nome ci fu per ventura conservato, Elxai e Jessaus, di adorare eziandio le due loro sorelle, Marta e Martana. Queste cose udiva l’antichità e non ne stupiva. Erano ancora poco distanti i tempi nei quali il cielo si popolava d’intere famiglie di dèi e di dee, di padri e figliuoli, di fratelli e sorelle; nè mancavano nella mitologia orientale e in quella di Grecia e di Roma gli esempj di numi scesi incarnati, e cogli uomini stessi conversanti in guerra, in amore, in politica, coi legislatori, coi guerrieri e colle ninfe dei boschi. L’Oriente ce ne porge tuttavia distinte le traccie. Il Lama, il gran Lama del Tibet, chi non lo sa? è creduto incarnazione perpetua di Budda, e ciò che non è men vero per esser men conosciuto, egli è che al fianco del Lama si adora dai Tibetani la Lamessa, incarnazione, siccome egli di Budda, così essa della sua virtù, del principio suo femminile, della sua energia, di quella che i Cabbalisti dicono Coah. Nè i tempi dei nostri Esseni correvano meno propizi a siffatte aberrazioni, e le incarnazioni erano, si può dire, allora le credenze alla moda. Testimonio, per non dire di altri, quel Simon mago da Dante nostro apostrofato coi miseri seguaci, il quale non solo adorato era qual uno degli Eoni o delle emanazioni di Dio, ma la donna sua modello, siccome dicono, non troppo specchiato di onestà, riscoteva eziandio al suo fianco pubblici divini omaggi qual Dea; reputata essendo qual sua virtù e qual emanazione ella stessa del femminile principio. Ho io mestieri parlare del cristianesimo? Religione all’Essenato contemporanea, ella si fonda sul dogma capitale della incarnazione dell’uomo-Dio, che contiene, come dice Gioberti, in germe tutto il cristianesimo, e questo tutti sanno e perfettamente concordano. Ma se il cristianesimo ebbe il suo Elxai, ebbe ancora il suo principio femminile, la sua Martana, la sua incarnazione femminile. Chi il crederebbe? Si accusano oggi i Gesuiti di aver effemminato il cristianesimo introducendovi il culto di Maria, e troppo più alto elevando, che non s’addica, il seggio di Colei che fu a Cristo e figlia e sposa e madre, secondo la sentenza Manzoniana. Tuona contro di essi Gioberti, e adulteratori li chiama insieme ad altri del dogma e della fisonomia del cristianesimo. E pure, sel tolleri in pace la sua grand’anima, i Gesuiti, se non hanno ragione, non hanno nemmeno tutta la colpa che gli si vuol affibbiare. Il culto di Maria è antico antichissimo più che non si crede. E non solo fu culto secondario e di dulia, ma primario e di latria, se si risale a’ prischi secoli e presso i cristiani d’Oriente, specialmente fra gli Arabi. Perciocchè non solo ci parla S. Epifanio della setta dei Colliridi, che ponevano la Vergine Madre al pari di Dio e culto rendeangli di vera divinità, offrendogli una focaccia in forma di serpe, d’onde il nome loro di Colliridi: ma sino nel famoso concilio Niceno furono padri che sostennero la divinità della Vergine dicendo, due divinità doversi adorare, oltre il Padre, il Cristo e la Vergine. La quale associazione del culto di Dio a quello di Maria diede origine alla setta dei Marianiti, e che sotto questo nome figura nel concilio di Nicea, e più o meno prospera protrasse la sua esistenza fino al 6º secolo dell’èra volgare, in cui eranvi tuttavia cristiani che facevano della Vergine una Dea, chiamandola membro e compimento della Trinità. Il quale errore, come quello di Simone il Mago, come quello attribuito agli Esseni, fu una deviazione e una corruzione dei principj Cabbalistici; come deviazione congenere, benchè serotina, fu quella che eresse in oggetto di culto divino il Pseudomessia Sciabetai Zebi, e ciò ch’è di gran lunga più degno di nota, la sua donna istessa, quale incarnazione femminile di una delle divine emanazioni, come probabilmente frutto dello stess’albero fu il culto della Dea ragione, o sapienza, o Hohmà, personificata in una prostituta per quella corrente segreta che univa le Francomassonerie allora erompenti alla luce cogli antichi istituti Pitagorici e Cabbalisti. E come finalmente un esempio preclaro ci s’offre ai tempi profetici dell’adorazione di una Dea, della Regina dei cieli, Regina coelorum, come oggi è chiamata la Dea Maria, e contro di cui tuona Geremia dicendo: I figli raccolgono legna, i padri accendono il fuoco, e le donne con grano e farina compongono focaccie e fanno libazioni alla Regina dei cieli. Posto ciò che hanno di comune tutti questi culti diversi, dobbiamo domandare a noi stessi: caddero eglino gli Esseni in questo culto idolatrico che gli s’attribuisce; adorarono essi in due fratelli in due donne carnali, in una creatura mortale la incarnazione di un principio divino? precipitarono essi nell’errore di Simon Mago, dei Marianiti, di Sciabetai Zebi, e di tutti i fautori in generale delle avatara o incarnazioni indiane, orientali, greche, cristiane; o non piuttosto mantennero il dogma cabbalistico nella sua purità, serbando inviolati i confini tra l’ideale e il reale, tra la mente e il corpo, tra il divino e l’umano; e se accusa vi fu, solo a malinteso, solo ad equivoco si dovrà imputare? Io credo che nulla ci autorizzi a menare l’imputazione per buona. Se gli Esseni parlarono di fratelli e di sorelle, se ne dierono i nomi, se ossequiaronli quai numi, nulla ha tutto questo di sorprendente per chi per poco abbia svolto le pagine dei Cabbalisti, presso i quali, come Oromaze e Arimane tra i Persiani, come Osiri e Tifone tra gli Egizj, come Giove e Plutone tra i Greci, tutti fratelli ma nemici ed antagonisti tra loro, così tra essi Jacob e Esau, personaggi storici quanto altri fur mai, prendono nonostante veste simbolica e stanno a significare due idee, due principj tra essi contraddittorj, e che non è qui luogo di costatare, di definire. Non sono persino i due nomi che la tradizione ci trasmise dei due fratelli dagli Esseni adorati, che non stiano in qualche modo a provare la bontà del supposto. Elhai è nome mirabilmente conservato, ed oltre il suo senso biblico usitatissimo di Dio vivente, appartiene alla nomenclatura cabbalistica delle Sefirot, e sta a significare quella in ispecie che il nome reca di Jesod, il qual nome a parer mio fu riprodotto nel nome essenico di Jesseus, se pure lo stesso essenico Jesseus, come par più probabile, non sia il José Rabbinico identico al biblico Josef, che è lo schema storico rappresentante appunto la Sefirà di Jesod. Che se questi sono i fratelli Essenici e il loro nome, che diremo delle loro sorelle adorate, Marta e Martana? Non solo qui ritornano non meno espressive in campo le analogie pagane, Isi e Nefti in Egitto, Giunone ed Ecate in Grecia, e via discorrendo, ma tornano non meno e forse anche più parlanti le analogie cabbalistiche. Marta e Martana sono nomi quasi integralmente conservati, e ci offrono le fattezze quasi inalterate dei nomi cabbalistici Martà e il Meerat del Zoar, come Mariana è corruzione della Matranita Cabbalistica, la prima accennata, secondo il Zoar, nel Jei Meerat, l’altra sinonimo di donna e signora; come, mirabile a dirsi, il nome greco di Giunone, Hera, fu sinonimo di donna e signora, ed ambo sorelle; l’una buona e l’altra rea; l’una autrice di bene, l’altra di male; l’una identica a Lilit regina delle tenebre, l’altra identica alla talmudica Scehinà; l’una nel suo nome istesso recante il segno della esecrazione Meerat da Meerá, anatema maledizione, l’altra Matranita, da Matar, guardiana e custode. Però, affrettiamoci a dirlo, gli Esseri or ora ricordati non furono solo enti metafisici e mere astrazioni; per quella concordanza che è propria dei Cabbalisti trovare tra l’ideale e il reale, essi, gli Esseni, tolsero dalla storia i personaggi rammentati, e ne fecero copie e rappresentanze dei loro esemplari e prototipi celestiali. E comecchè non sia officio di queste lezioni discorrere della storia degli Esseni, ma solo della loro teologia, pure per quella connessione che vedemmo or ora tra la storia e il dogma, ed anche pel valore secondo me insigne di questo tratto della loro istoria, non sarà male che per noi se ne faccia qui stesso breve menzione. Egli è a S. Epifanio che noi dobbiamo le presenti indicazioni. Nel suo libro delle Eresie egli rammenta come, imperante Trajano, l’istituto degli Esseni subì una modificazione, o come oggi direbbesi, una riforma. E chi ne fu, al dir d’Epifanio, l’autore? Ei fu un Essena per nome Elxai, del quale ci referisce il Padre istesso in tre sommi capi le riforme introdotte. Egli è gran ventura per la storia degli Esseni, che un momento così interessante della loro esistenza ci sia stato conservato colle sue più minute circostanze, e fra poco vedremo di quante conseguenze sia fecondo per il sistema nostro d’identità cabbalistica. Ci narra Epifanio le riforme introdotte, e queste sono in numero di tre. Consiste la prima nello insegnare ch’ei fece ai seguaci a giurare per le cose create, pel sale, per l’acqua, per la terra, come se fossero, dice Epifanio, altrettante divinità. Consiste la seconda nella condanna ed abolizione del celibato e quindi nella riabilitazione del matrimonio. La terza poi suona alquanto più dura ad intendersi, ma spero riceverà non scarso lume dal nostro sistema. Secondo S. Epifanio, Elhai, il riformatore della scuola, avrebbe insegnato ai seguaci la dissimulazione idolatrica, che è quanto dire, a simulare culto, ossequi, adorazione ai numi del Paganesimo quando altrimenti non potesse farsi senza presentissimo pericolo della vita. Noi abbiamo qui nelle parole di Epifanio un documento importantissimo, i cui rilevantissimi insegnamenti mestieri è analizzare a parte a parte. Abbiamo in primo luogo cenno, memoria di un’epoca di crisi religiosa per lo Essenato, in cui gli ordini antichi subirono una qualunque siasi metamorfosi per opera d’un capo-scuola, d’un riformatore per nome Elhai; e questo fatto non potrebbe non consuonare mirabilmente col maestrato cabbalistico che si assegna nel Zoar a R. Simone Ben Johai, e coll’immenso impulso che si dice da esso alla teologia comunicato, onde il suo secolo qual secolo ci si offre impareggiabile negli Annali dello istituto. Ed abbiamo la data. La quale, fissata da Epifanio sotto l’impero di Trajano, consuona con quella che segna il fiore, l’apogeo della scuola cabbalistica, e colla predicazione e riforma di R. S. B. J.; fatto altresì di massimo rilievo in quanto stabilisce eziandio una concordanza cronologica, fra la riforma di una parte dell’Essenato e quella narrata dal Zoar della scuola cabbalistica per opera di R. S. B. J. Ma qual’è della Essenica riforma l’autore, e qual nome ei reca in bocca ad Epifanio? Egli è Elhai, che oltre l’offrirci non ispregevole concordanza di suono con Ben Johai, col qual nome semplicissimo è designato non rade volte nel Talmud e nel Zoar, è nome pregno altresì di altre preziose indicazioni, che tutte alla persona collimano e ne riconducono di R. S. B. J. Poichè, s’egli è vero che voi udiste, or non è molto, essere questo nome divino, e speciale appellazione della ottava Sefirá o Eone, non è men vero che anche nel suo senso più ovvio di Dio vivente si addica in sommo grado al principe dei Cabbalisti, a R. S. B. J. Non voglio qui confortare l’asserto con lontane ma pur vere analogie bibliche e talmudiche, comechè grandemente ne rimarrebbe giovato l’assunto; ma mirando senza più al cuor del subbietto, io recherò in mezzo tali prove ed esempj tolti a dirittura al Zoar istesso, dei nomi cioè di Dio applicati per magnificenza di traslato al divinissimo uomo, che ognuno, spero, dovrà dirsi dell’argomentare contento. Or eccone uno. Se la mente non erra, è il caso in cui il Zoar chiama con nomi divini il gran maestro della scienza divina, ed è là ove chiedendo Man aadon adonai? risponde a dirittura, Da ù R. Simone ben Johai, testo empio, scandaloso, e degno subbietto alle recriminazioni infinite che levarongli contro, ove colla grossolana s’interpreti e inescusabile ignoranza dei tempi, degli uomini, del linguaggio, delle dottrine, ma innocentissima e naturalissima espressione, se di tanto vorremo consultare la Bibbia, che appunto per avere prodigato gli epiteti celestiali agli uomini, alle cose terrene, fu causa benchè innocente che altri fraintendendone il significato ne torcessero il senso fino a trovarci le traccie di dottrine dall’Ebraismo le più aliene.

 

Abbiamo veduto la data, il personaggio, il nome del riformator degli Esseni, e tutti coincidono col riformatore dei Cabbalisti. Troveremo egual concordanza nella materia stessa della riforma? – Veggiamo i particolari conservatici da Epifanio. Insegnò, ei dice, ai seguaci a giurare per le creature, pel sale, per l’acqua, per la terra, quasi fossero Enti divini, parole che suonano strana, mostruosissima accusa, ove alla lettera si capiscano per un dottissimo e nobilissimo istituto del quale ci trasmisero gli antichi i sensi più elevati monoteistici, in fatto di religione. Ma il sistema nostro, oso dirlo apertamente, è il solo che lasci un senso possibile alle parole di Epifanio, che purghi gli Esseni dalla taccia d’idolatria senza distruggere d’altra parte, anzi confermando e spiegando un attestato così esplicito, così grave qual è quello di Epifanio. La simbologia, le figure, i tipi cabbalistici saranno per noi il filo conduttore, il filo d’Arianna. Nella cui varia e ricchissima nomenclatura i nomi di sale, di acqua, di terra, figurano tra i primi quai terreni rappresentanti e tipi e figure delle virtù, degli attributi, delle emanazioni divine, e di cui facile sarebbe qui riprodurre le rispondenze cabbalistiche, se opera vana non mi paresse avvolgermi in ricerche puramente nominali, il cui senso non è qui certo il luogo di sindacare, di stabilire. Per lo scopo nostro, per la interpretazione del documento di Epifanio, bastano le cose discorse riguardo al primo soggetto delle rammentate riforme. E basterà non meno ricordare la seconda innovazione rammentata da Epifanio. La quale consiste nella condanna e abolizione del Celibato. Io vi prego ridurvelo alla memoria. Quando passavamo in rassegna le istituzioni degli Esseni, quando in queste volevamo trovare quell’identità da’ nostri perpetuamente propugnata tra Esseni e Cabbalisti, quando ci imbattemmo nel Celibato, un ostacolo ci parve sorgere a proseguire nella favorita nostra dimostrazione, e a rimuoverlo adoperammo fatti, argomenti che non sono, se io non erro, da prendersi a vile: ma quanto meglio non riesce allo scopo, quanto più naturale e piena eliminazione della difficoltà in discorso non è egli il fatto presente, la condanna, l’abolizione del Celibato? La quale non solo meglio identifica l’Essenato coi Farisei, ma più specialmente lo immedesima coi Farisei Cabbalisti, i quali a segno tale rincararono nel Zoar sulle prescrizioni del matrimonio e della propagazione della specie, che certe frasi così severe vi corrono, che ebbero bisogno di miti ed attenuanti interpretazioni? Ed ecco il secondo capo della riforma di Elhai coincidere appuntino colle idee e col sistema dei Cabbalisti. Che sarà poi del terzo punto della Essenica riforma, della dissimulazione idolatrica che si dice ammessa, sancita dal riformatore Elhai? E in qual guisa potrà una sì strana concessione consentire colle idee e coi principj di Ben Johai, di quegli che crediamo identico all’Essenico Elhai e che è uno dei più grandi e famosi dottori tra i Farisei? E pure io non credeva a me stesso quando l’opinione testè udita io lessi nelle Agaot Maimoniot, attribuita a R. S. B. J. E perchè meglio comprendiate di chi si tratta, mestieri è sapere come, secondo le opinioni più comuni, più accettate, tutti i precetti di Dio, vuoi positivi vuoi negativi, possono impunemente prevaricarsi quando vero e presentissimo si corra pericolo della vita, tranne tre soli, la cui osservanza deve anteporsi alla vita istessa e sono: Idolatria, Incesto ed Omicidio. Ora aprite Maimonide nel trattato d’Idolatria, e mentre nel testo Maimonideo troverete la decisione formulata nel senso appunto or or ricordato, volgendo per poco gli occhi alle note che vanno attorno al testo, e che si dicono Agaot o Scoree Maimonidee, leggete a proposito delle tre eccezioni rammentate: Ad onta dell’opinione di R. Simone che disse prevarichi e non muoja, ch’è quanto dire, per parlare col linguaggio di Epifanio, ad onta del riformatore degli Esseni Elhai che insegnò fra l’altre cose ai seguaci dissimulazione nella Idolatria.

 

Noi abbiamo compiuta gran parte del nostro assunto; abbiamo trovato l’origine delle voci accusatrici che corsero nell’antichità contro l’idolatria degli Esseni; abbiamo trovato l’Edipo della pretesa loro astrolatria; e della loro antropolatria eziandio, ossia dell’adorazione degli esseri umani. I quali furono ad un tempo virtù divine e storici personaggi, ma l’uno e l’altro furono senza mischianza idolatrica, senza incarnazione alla foggia del Cristianesimo e del Buddismo, ma in virtù di quel rapporto che insegnarono i Cabbalisti esistere fra un grand’uomo e una grande idea, fra l’ideale divino e il sensibile umano, fra le idee eterne che risiedono in Dio e la loro esplicazione e sviluppo mondiale per opera or di questa or di quella espressione e veste finita di una idea infinita. – E tutte queste cose vedemmo e vediamo sempre più ridondare al trionfo di quella identità che stimammo guida sicura e fedele in queste nostre ricerche. Ma Epifanio con una frase compie il ritratto di R. S. B. J. quando dice che Elhai lasciò un libro ai seguaci delle sue profezie, e questo libro, se il giudizio non erra, non è certo il Zoar tal quale ora si trova, in cui tanti diversi e posteriori vestigi tu riconosci al grande Teosofo, ma è certo la prima idea, il primo saggio, il primo nucleo, il primo germe di essa opera, e sopratutto i pensieri, le dottrine e la distribuzione fra i discepoli dei vari offici di redazione; è quell’opera per cui disse il gran maestro nell’ultima grand’assemblea: Rabbi Abbà scriva, ed Eleazario mio figlio mediti o detti; è l’opera da cui potrebbe uscire ed uscirà la restaurazione e il rinnovellamento dell’Ebraismo.