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Storia degli Esseni

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LEZIONE VENTESIMASECONDA

Colpa sarebbe, e colpa non lieve, se discorrendo degli Esseni e delle loro occupazioni quella trasandassi che agli studj si riferisce, specialmente, quando di un Istituto si parli eminentemente studioso qual fu l’Essenato. Degli studj dunque si parli e tanto più a proposito in quanto avendo in animo di toccare dei dogmi loro, delle loro credenze, saranno gli studj, se io non erro, facile e naturale transizione per cui dai lavori e dalle occupazioni loro trapassiamo a ragionare delle dottrine e dei dommi; participando gli studj e del carattere di occupazione e di quello di dottrine e credenze.

E prima del modo. Il quale facile torna lo argomentare quando si pensi alla vita solitaria ed agreste che menava la parte contemplativa dell’Essenato, nella pace dei campi, all’ombra amica degli alberi e sulle rive che tanto vedemmo altravolta la società prediligere. Il qual modo era pur quello che vediamo ai Dottori seguire non rade volte nel Talmud, quasi sempre nel Zoar, che maggiori deve per sua natura offrirci analogie, e maggiori infatto le offre col nostro istituto; dove i Dottori, i Maestri affidano i loro misteri alle tacite rive dei fiumi, all’ombra dei boschi ed al cupo orrore delle caverne, o alle falde inaccesse di qualche altissimo monte. Sistema tanto dal nostro diverso cui la vita cittadinesca stringe da ogni lato colle sue braccia di ferro, e che tanto conferisce non solo alla elevazione e perfezionamento dello intelletto, ma alla conservazione, all’incremento della salute corporea. Nè voglio altri a testimone che il più grande pensatore d’Italia moderna, Vincenzo Gioberti, che nel 2º della Protologia tali dettava concise ma eloquenti parole. L’uso, diceva, la vivacità, la celerità della mente giovano alla salute, non le nocciono come si crede. Rousseau disse: L’homme qui réfléchit est un animal dépravé. Falsissimo. Esempio di Giulio Cesare e in generale degli antichi. Non lo studiare, ma il modo dello studiare moderno rovina il corpo. Elementi necessarj allo studio, l’aria e la luce. L’aria e la luce giovano alle facoltà dell’intelletto ed al corpo unitamente. Studiare a cielo aperto fra gli arbori, lungo le acque correnti o almeno in camere ben areate. I nostri dotti sono più dilicati delle donne. Fin qui Gioberti. – Voi l’udiste, egli voleva lo studio a cielo aperto fra gli arbori e tale era appunto lo studio degli Esseni e dei Cabbalisti. Egli lo vuole lungo le acque correnti e non solo gli Esseni prediligevano le rive, ma i Dottori notarono come lo spirito profetico riempia, ispiri, i suoi ministri a preferenza lungo le acque correnti, sicura prova come tutto ciò che valga ad esaltare le potenze dell’intelletto conferisca eziandio in sommo grado alla più facile fruizione della profetica intuizione, testimone per tutte la musica di cui si valsero qual prima promozione alle cose celesti i profeti d’Israele, di cui gli effetti psicologici sono da ognuno esperimentati, e per cui non pare sia al tutto menzognero il dettato dei Pitagorici: L’anima essere un’armonia.

Che se questo è il modo dagli Esseni seguito, vediamo l’oggetto, e a così dire la materia dei loro studj. Bisogna pur confessarlo. Vi è una disciplina, per cui gli Esseni non professavano nè stima nè amore, e questa è la logica. Ecco come ne parla Giuseppe: Quanto allo studio della filosofa, dice lo storico illustre, lascian la logica a quelli che si dilettano di quistioni di parole, e la tengono per inutile affatto all’acquisto della virtù. – La logica, pria si può dire dei nostri tempi, non fu che un’arte, e bella pagine di storica filosofia; sarebbe quella che notasse le vicende, per cui l’arte logica ascese per gradi a quel posto eminentissimo che occupa oggi nei sistemi eziandio più trascendentali formandone poco meno che la volta suprema, e il sostegno massimo dello edifizio. Lungo il discorrere le ragioni del mutamento e come la logica dallo essere un semplice interno regolamento del pensiero, sia divenuta la legislatrice suprema dello scibile e tutte da essa s’informino le parti della universal metafisica. Ma se in antico era un’arte, non sempre era arte ragionevole ed onesta. Testimone Socrate che coll’arguto suo conversare confuse, vinse la logica dei sofisti, e per parlare di cose meno dall’Essenato remote, anzi a dirittura contemporanee, testimone la logica delle scuole accademiche ed in ispecie dei Pirronisti che se ne valsero a detrimento di ogni sapere e di ogni virtù, togliendo, col dimostrare il pro e il contro, valore alla umana ragione, ed ogni autorità ed ogni sanzione alla morale.84 E questo è già prezioso rilievo per ciò che riguarda gli Esseni, mostrandoci a dito l’origine di quel dispetto, in cui ebbero gli Esseni la logica così abusata. Ma egli è nulla, di fronte alla mirabile conformità che in questo come in altre infinite occasioni veggiamo sorgere tra gli Esseni e i Farisei. I quali ultimi non meno che i primi, severamente imprecarono contro la logica depravatrice del secolo, esortando a tenere discoste dall’attossicata bevanda le labbra dei giovanetti. Minhù benehem min Aeghion. Singolare a dirsi! questa voce Eghion che unica suona, se non erro, in tutto il Talmud, fu torta dal suo verace senso a significare ora lo studio della Bibbia ed ora altra cosa. E pure il suo senso di logica è innegabile, e se non sempre fu dai posteriori dottori confessato n’avevan ben d’onde. Erano eglino filosofi di professione e la logica studiavano ed amavano qual nobilissima scienza. Ma devoti eran pure al Talmud ed osservatori sopratutto delle sue prescrizioni. Il Talmud, aveva detto Eghion e se per Iggajon inteso si fosse qual veramente dovuto avrebbero la logica colle sue pretensioni, coi suoi abusi, che sarìa stato dei nostri platonici, dei nostri peripatetici, dei nostri insomma filosofi di ogni ordine, d’ogni colore? Certo che sarebbero stati in odore tenuti di Eterodossi. Ma se Iggajon volesse dire altra cosa, se dire volesse lo studio biblico, la grammatica, come oggi si dice l’Esegesi biblica, allora la Logica sarebbe salva, e i suoi scrittori potuto avrebbero svolgere in pace i suoi volumi. Ecco l’origine della fraintesa interdizione, l’origine istessa che fece intendere nell’istesso Talmud per hohmà ievanit tutt’altro di ciò che significa veramente, vale a dire, la scienza, la cultura, la civiltà tutta del popolo greco.

Ma non solo della Logica furono poco studiosi ed amanti gli Esseni, ma se le mie congetture non son temerarie del tutto, un altro genere pure di disciplina non raccolse per avventura la stima e l’attenzione dell’Essenato. Se un passo del Talmud Babilonese non m’induce in errore, tanto poco studiosi si mostravano gli Esseni della rituaria quanto poco di attenzione concessero alla Logica istessa. Io vel dissi, or non è molto, e spero ne avrete conservata memoria. Un tratto vi è nel Talmud ove ci è sembrato vedere apertissima allusione agli studj medici dell’Essenato. Egli è là ove a proposito di certi misteri terapeutici svelati da un dottore, a pubblico benefizio, si narra che la scuola di Beniamino l’Asseo squarciossi per dolore le vesti: indicazione se altra fu mai parlantissima del genio terapico e riservato della Società degli Esseni. Or bene, un altro luogo si ha nel Talmud ove la stessa scuola di Beniamino l’Asseo è ricordata. Ed a che proposito, se il sapete? A proposito del poco conto che per taluno si faceva della scienza dei riti e di chi la coltiva. E chi ci è offerto di tal disistema ad esempio? Ci è offerta la scuola appunto di Beniamino l’Asseo la quale, dice il Talmud, quando voleva porre la inferiorità in rilievo dello studio dei Riti: a che giovano, esclamava, i suoi cultori? Forse hannoci mai permesso un corvo? Forse ci hanno unqua interdetto una colomba? Non so se io erro, ma il passo in discorso parmi a quel novero appartenere di prove, di memorie, di documenti, i quali provano come antica perpetua sia stata tra noi quella gara legittima, nobile, religiosa tra i cultori del Rito, e i cultori del Dogma, tra i Teologi e i Ritualisti, gara di cui si veggon le traccie nello stesso Talmud, ove il Maasè mercabà, ossia la scienza del Dogma è talvolta chiamata Dabar gadol di fronte a quella dei Riti che il nome reca di Dabar Caton; gara che trasparisce nel Zoar ove i Marè Misnà sono posti a riscontro, in grado però inferiore ai Marè Cabbalà, questi chiamati Efrohim, i primi chiamati Bezim quasi a indicare uno stato spirituale embrionico; ove la scienza dei riti è chiamata il Corpo della legge mentre quella del dogma si è appellata l’Anima, lo Spirito; ove la dialettica dei talmudisti è presentata qual duro e scabro esercizio dell’intelletto e personificata nei durissimi offici che sostennero gli Israeliti in Egitto, la forma del Calvahomer nel homer e nei lebenim, il libbun alaha lo sceveramento e ultima formulazione della legge. E gara per ultimo i cui effetti veggonsi tuttavia perdurare non solo nei dissensi che sorgono talora tra i dogmatici e i ritualisti, ma eziandio in quella non dirò antipatia ma certo non piena cordialità nè stima soverchia che invano si desidera tra i cultori dei due studj, e il cui difetto non è l’ultimo tra le cause che ostano alla perfetta riabilitazione degli studj dogmatico-cabbalistici.

 

Ma queste sono le parti a cui meno gli Esseni sacravano il loro tempio e il loro studio: egli è d’uopo vedere quali quelli si fossero, e quale il metodo a cui a preferenza si applicavano. Possiamo dirlo arditamente; le preferenze non meno che la educazione, gli studj adottati non meno che i rejetti provano sempre più la identità tra Farisei ed Esseni da noi propugnata.

Precipua e diletta occupazione era pegli Esseni la interpretazione delle Sacre Scritture, la Sacra Esegesi, come oggi direbbesi. Ma quale Esegesi? Egli è quì ove la parentela più chiaramente si mostra tra Farisei ed Esseni. L’Esegesi, la interpretazione allegorica, ch’è quanto dire quella istessa che formava e forma le delizie del più puro Farisato e in ispecial modo di coloro tra essi che si dicono Cabbalisti. E non solo gli Esseni nella pratica, ai dottori nostri si conformavano, ma ciò che merita tutta l’attenzione dei dotti, quello che suona veramente significante egli è il rapporto che gli Esseni, al dire di Filone, stabilivano tra la lettera della legge ed il suo spirito, o per dir meglio tra la chiosa letterale e la interpretazione allegorica. Essi, dice Filone, comparano la legge ad un animale i cui precetti sono il corpo, e l’allegoria lo spirito, in quella guisa che lo stesso Filone, terapeuta esso pure, chiamava nella Migrazione d’Abramo l’allegoria anima, e la lettera corpo della legge; e in quella guisa pure che Aristobulo, ebreo filosofo contemporaneo, seguiva il sistema delle allegorie scritturali, e Aristea, che volendo dipingere il genio ebraico dei tempi suoi, ci offre nel Sommo Pontefice Eleazaro un modello degli interpreti allegoristi della Scrittura. Ora ch’il crederebbe? Gli Esseni, Filone, Aristobulo, sembra quasi che abbiano veduto lo Zoar, e lo abbian copiato, tanto il loro dire suona conforme alle parole dello Zoar, il quale non solo è quasi una perpetua conferma del loro dettato, mettendolo continuamente in pratica coll’allegorizzar la scrittura, ma questa pratica stessa erige in Teoria: non basta, si vale della stessa imagine, della stessa similitudine di cui si valse Filone, si valser gli Esseni, a indicare la relazione tra i due sensi scritturali, il litterale e lo allegorico. Pel Zoar sezione Beaàlotèha come per Filone e gli Esseni i precetti della legge ne sono il corpo, gufà deoraità, l’allegoria ne forma lo spirito, Nismeta de-oraita. Anzi per far più completa la similitudine imagina lo Zoar una veste che tutta ricuopre il corpo della legge, santissima veste tessuta dei racconti, delle istorie, degli episodj, onde tutto va cosparso il divino volume, e che ne formano quasi il manto e l’involucro esteriore come i precetti ne sono il corpo, e come le allegorie ne sono lo spirito.85 Non è questo il luogo di occuparci più specialmente di questo senso scritturale che diciamo allegorico, della sua origine, della sua legittimità, delle vicende che ha subìto. Se questo ne fosse il luogo, io dovrei additarvi nella storia della esegesi scritturale due specie di allegorismi, l’uno, il buono, il legittimo, l’ortodosso che anzichè colla lettera pugnare e tanto meno escluderla, con essa si concilia e armonizza perfettamente, e questo è l’allegorismo del Zoar e degli Esseni, l’altro lo spurio, l’eterodosso che pugna anzi colla lettera e col corpo della legge, e sulle rovine s’inalza del senso pratico, letterale, storico della scrittura, ogni loro realtà dileguando nel vaporoso orizzonte di un fantastico allegorizzare; e questo è il simbolismo di Filone tra gli Ebrei; di Origene tra i Cristiani e più o meno di tutti i Padri ed Esegeti della chiesa, i quali stretti, più che loro non talentasse, dal senso preciso, pratico, esecutorio, positivo delle leggi e dei Profeti dissero, figure parabole, similitudini ciò che l’Ebraismo credette sempre e sempre seguitò a credere e praticare quale propria e formale indicazione di fatti o di azioni materiali e positive. Gioberti distinse il duplice allegorismo, ma non si accòrse la sua gran mente, siccome quello che egli chiarisce ostile, anticristiano, eterodosso, sia stato per primo introdotto, praticato, e qual arma di guerra impugnato dal Cristianesimo contro l’antica ortodossia, esautorando di ogni senso reale ed esecutorio tutti i precetti di Dio, e reducendo a vani tipi, e figure e parabole, la storia, i riti, i precetti; insomma tutta la parte reale e positiva della antica alleanza.86

Ma ciò che abbiamo superstite della Esegesi degli Esseni, non si stringe soltanto alle cose suesposte. Altri punti culminanti ci rimangono avventurosamente da porre a confronto col sistema dei dottori e nuove conferme dedurne della propugnata identità. Testimoni le etimologie greche, il senso greco che gli Esseni al dire di Filone solevano assegnare a certe frasi, a certe parole della Scrittura. Per Filone, Piscion, Havilà, che quai nomi l’un di fiume e l’altro di paese, si leggono nei primi del Genesi, sono grecamente foggiati e quai vocaboli grecizzanti, intesi, interpretati dallo stesso Filone. E non solo i due ricordati vocaboli, ma per dirla colle parole del Frank, c’est généralement sur les termes de la traduction des LXX et des étymologies purement grecques que se fondent ses interpétrations mystiques. Ma ciò che non vide o non notò il professore di Parigi, ella è la consonanza perfetta col sistema d’esegesi farisaica. Curiosissimo a dirsi! Un fatto vi ha che non abbastanza riscosse sin’ora l’attenzione dei dotti, ma che pure la merita in sommo grado. I Farisei, i Dottori, i Rabbini di Palestina, non v’è cosa che più prediligano nel deciframento delle espressioni scritturali, che il ricorrere alla lingua greca, alle greche etimologie. Se la parola Nof non suona loro abbastanza intelligibile, il greco idioma gli porgerà nel vocabolo Ninfa il senso di vergine, di fanciulla, di amante. Se il vocabolo Meherote-em, suona loro duro a intendersi, la lingua greca glielo farà aperto col vocabolo Mahaera, Spada, o arme qualunque da taglio. Che più? Una disposizione legale di prim’ordine, una questione di vita e di morte, una dispensa dalla pena capitale si deve nel Talmud, a una greca etimologia, e per non dire ancora di altri moltissimi, se il cedro ebbe tra tutti gli altri frutti benchè formosi, la preferenza nella festa di Sucot, egli è perchè la parola Adar suona affine coll’Idro greco, acqua, e quindi accenna al cedro che al dire del Talmud cresce a preferenza in riva alle acque sulle sponde dei fiumi. Ed ecco, se io non erro, abbastanza espressiva analogia nel sistema interpretativo, considerato eziandio nei suoi più minuti dettagli.87

Che se ciò paresse scarsa affinità tra le due scuole, non lo sarebbe certo lo spirito, il genio esegetico che si mostra in ambidue improntato di un sol conio. E chi un esempio ne volesse quanto più si può categorico, il chieda a Filone. Il quale, Terapeuta egli stesso, e del sistema dei Terapeuti illustre modello, non solo nel sistema etimologico concorda coi Farisei, ma ben anche nello spirito, nel genio delle interpretazioni scritturali. Testimone per tutti quel passo nella vita di Mosè, ove toglie ad esporre le cause per cui tacque il divino legislatore sui diritti dei padri alla successione dei figli. Le Législateur se tait, per dirne il senso con un autore francese, sur le droit des pères à hériter des enfans. Mais, dit Philon, comme la loi de la nature veut que les enfans soient héritiers des parens, et non les parens ceux des enfans, la législation se tait sur ce qui serait désastreux et malsonnant. La legge tace, secondo Filone, ciò che suonerebbe sinistro e ingiocondo a udirsi. Or bene. Io affermo arditamente che se vi sono interpretazioni che vadano di questo spirito, di queste tendenze informate, elleno sono senza meno quelle dei nostri dottori, pei quali se il testo accenna con una perifrasi, anzichè in modo più diretto, gli animali impuri, egli è per istudio ed amore di castigato linguaggio; se lo stesso giaciglio si noma per l’uomo letto, per la donna sedile, egli è per rimuovere ogni pensiero di oscenità; se l’imbrunire luce si chiama anzichè tenebre, egli è per esordire con meno tristo vocabolo; e pei quali finalmente è principio ammesso, accettato, doversi ogni idea trista, luttuosa, inonesta circondare di ombre discrete, che ne velino la bruttezza e l’orrore. Petah debareha iair. Che dico? Non è persino il caso di successione quello appunto che forma subbietto dell’osservazione Filoniana che non si contempli dai Dottori in Batra; e cosa assai più singolare, ella è la stessa ragione da Filone messa innanzi, che i dottori assegnano al caso stesso ivi considerato, argomento che più non potrebbesi concludente in favore dell’indole comune delle due scuole.

Che se poi dagli studj per sè già abbastanza conformi, vogliamo al sistema trascorrere di esposizione, alla forma esteriore, al metodo dei loro studj; non solo troveremo questo metodo, punto da quello dissimile dei dottori in generale, ma più specialmente simigliante a quello dei Cabbalisti. A noi più non rimangono i libri degli Esseni; ma ci resta Filone, il quale, e degli Esseni ci narra il costume, e nei suoi libri ci offre, Essena egli stesso, un autorevole esempio del far comune dei suoi confratelli. Ci narra il metodo di esposizione, agli Esseni peculiare, nel libro da esso dettato sulla vita di Mosè, lib. 7, e lib. 2, pag. 81, dove dice che la tradizione orale conservata appo gli anziani d’Israel Presbiteron (d’onde il prete cristiano) era comunemente insegnata sul testo della Scrittura; che è quanto dire lo stesso ordine assumeva della medesima Scrittura, e di essa forma vestiva e ordine di comento. Ci offre pur Filone in sè stesso l’esempio di questo generalissimo costume, non seguendo nei suoi libri un filo logico e ordinato di pensamenti, ma piegando piuttosto l’ordine alla successione dei testi od argomenti scritturali. Filone, dice un illustre scrittore, Filone non ha un corpo completo di dottrine; espone i suoi pensamenti in ordine d’interpretazioni simboliche alla Scrittura. Ora che altro è lo Zoar? Egli è appunto ciò che or ora udiste qual definizione delle opere Esseniche e di quelle di Filone, una serie di pensieri esposti in ordine d’interpretazioni simboliche alla Scrittura. Tanto è vero che ciò che all’uno conviene, non meno conviene all’altro eziandio, e che la gran scuola farisaico-cabbalistica è quel mare vasto ove il sistema di Filone mette la foce, e dove l’intero Essenato «ha pace con i seguaci sui

 

LEZIONE VENTESIMATERZA

Istituzioni, dottrine, e pratiche, furono la triplice divisione da me sino da principio assegnata alla storia degli Esseni. Noi abbiamo coll’esame delle occupazioni loro chiusa la prima parte di questa storia: la storia delle esseniche istituzioni. Delle occupazioni degli Esseni ultimi comparivano all’esame gli studj, lo spirito, il metodo da essi negli studj seguito. Tempo sarebbe quindi che passando alla seconda parte di questo lavoro noi citassimo a giudizio le loro dottrine, i dogmi e le credenze al cui esame ci ha in qualche modo spianato la via la conoscenza dei loro studj, del loro genio esegetico, dei loro metodi. E pure, un’ultima ricerca rimanci ancora ad esaurire pria di tôrre ad esame i dogmi e le credenze degli Esseni. Questa ricerca si attiene ancor più davvicino alle loro dottrine, siccome quella che anzichè trattare della forma degli studj si occupa piuttosto della materia, dell’oggetto dei loro studj; in una parola delle sorgenti, delle fonti dalle quali attinsero com’è naturale le loro dottrine. Egli è questo, se non isbaglio, un punto di contatto e di natural transizione tra la prima e la seconda parte di questa storia, tra la storia delle loro istituzioni e quella non meno interessante, delle loro dottrine. A chi chiederemo le sorgenti, le fonti da cui gli Esseni attinsero le loro dottrine? Chi ne darà contezza dei libri da cui tolsero gli Esseni, la regola del loro credere? Questa notizia ce la darà pel primo Filone, tanto col suo proprio esempio, quanto coi preziosissimi ragguagli che più direttamente egli stesso ci offre dei libri, delle fonti dell’Esseniche dottrine. Ce la dà, col suo proprio esempio quando, Essena egli stesso, ci offre in sè la imagine, il modello dei meno celebri confratelli. Filone era Essena, e da chi tolse Filone principalmente le sue dottrine? Certo che molto egli deve alla greca filosofia, alla Platonica in ispecie, perciò che riguarda sopratutto la forma, ma ove si voglia nelle viscere penetrare del suo sistema quali ne diremo le fattezze, e quale l’origine? Certo che alla sentenza soscriveremo di un autore tanto più nelle asserzioni sue autorevole, quanto niuno altro si prefisse scopo al suo lavoro, se non quello di storica verità. E questi è il Frank, il quale colpito dalle profonde analogie che al sistema dei Cabbalisti congiungono le dottrine degli Esseni, e dopo avere escluso che i primi siensi fatti imitatori o plagiarj dei secondi, queste parole dettava significanti che raccomando alla vostra attenzione: Ne serait-il pas juste de penser que Philon a trouvé ces doctrines toutes faites dans certaines traditions conservées parmi ses corréligionnaires, et qu’il n’a fait que les parer des brillantes couleurs de son imagination? E quanto il Frank si apponga in questo giudizio, il vegga ognuno in questa apertissima confessione di Filone medesimo; il quale in modo che non si potrìa più esplicito va egli stesso additando ciò che per il Frank non era sinora che nudo e mero conghietturare. Philon lui-même nous assure avoir puisé à la tradition orale conservée par les anciens de son peuple. E questo dice Filone nella Vita di Mosè sul principio del 1º libro, ove veramente appella ad una tradizione orale conservata appo gli anziani d’Israele ch’egli qualifica Presbiteron, d’onde il prete cristiano, e ch’era comunemente insegnata sul testo della Scrittura. Ed ecco una prima capitalissima fonte all’Esseniche dottrine, la tradizione.

Ma questa non è sola fonte, o per dir meglio non veste sempre esclusivamente la sua forma verbale che più gli è comune. Pegli Esseni non è sempre come pei semplici primitivi Farisei, una orale trasmissione che sarìa sacrilegio deporre per iscritto. Ella veste, anzi ella assume la forma scritta; e mentre la voce del Maestro era il solo organo che avesse nei prischi tempi l’insegnamento farisaico, gli Esseni per contro vantavano libri, e libri che spingevano anche a tempi a quelli anteriori la loro origine. E questa preziosa contezza n’è data da uno che nell’esseniche vicende non si potria più esperto, da Filone medesimo, il quale attribuisce alla setta dei Terapeuti dei libri mistici di una remotissima antichità. Parole testuali e di senso fecondissime delle quali impareremo fra poco ad apprezzare il valore. E non solo Filone, ma Giuseppe nelle Guerre Giudaiche, al libro 20, al § 12, degli Esseni favellando, dice a dirittura che studiavano con zelo i libri degli antichi, parole che suonano esplicita conferma a quanto disse Filone dei suoi Terapeuti. E questa è la seconda sorgente dell’Esseniche dottrine, i libri dei loro antichissimi, o per dir meglio la tradizione stessa deposta e formulata per iscritto.

Ora che abbiamo veduto, constatato questo duplice fatto, l’esistenza e la formulazione di una religiosa tradizione presso gli Esseni, tollerate che solo vi accenni da lungi la importanza e la grandezza delle sue conseguenze. Due poi ne emergono capitalissime, di cui siate, se vi piace, giudici voi medesimi. Riguarda l’una la tradizione rabbinica in generale; contempla l’altra più specialmente quella che mistica o cabbalistica si appella. Chi non vede la prima? Ella è una prova estrinseca e tanto più concludente della necessità e legittimità di una tradizione; ella è un attestato dai rabbini indipendente, di quel principio in ogni tempo dai rabbini sostenuto, la tradizione; ella è un ausiliare, non cerco, non provocato, non interessato, della tradizione e dei tradizionalisti. E pure ammirate la forza del pregiudizio! Il Franck, che queste cose riferisce, non vide o vedere non volle la conseguenza che ne deriva, chiara, limpidissima in favore dell’antichità della tradizione. Per esso come per il Jost, celebre storico, come per altri nostri e non nostri dottissimi della Germania, le tradizioni nostre, le tradizioni rabbiniche non più oltre risalgono di due secoli innanzi l’E. V. Due cento anni prima del cristianesimo nacquero, se lor si crede, quelle tradizioni che poi fecero e fanno tanta parte integrale dell’ebraismo. E pure gli Esseni, e quel ch’è più i Terapeuti d’Egitto, accennano, alludono e religiosamente inchinano a una tradizione, a libri tradizionali. D’onde in essi della tradizione contezza, se alle origini non risale dell’ebraismo? forse glie ne giungeva notizia allora allora di Palestina? Mai no, dice il Frank, e dice bene, perchè tra Palestina ed Egitto relazioni intime dottrinali non esistevano; ed anche perchè, aggiungo io, un sistema specialmente religioso ch’è in sul nascere, una tradizione che manda allora appena i suoi vagiti, che s’insinua allora allora di contrabbando nelle antiche credenze, non può avere tanto di credito, d’influenza, d’autorità da trapiantarsi in regioni lontane e barbe gettare così profonde come tra i Terapeuti ha gettato; e sopratutto per che i Terapeuti spingon tant’oltre l’antichità dei loro libri tradizionali da trascendere di gran lunga quella data che pel Jost, pel Franck e per altri, segna delle tradizioni rabbiniche il nascimento. Ma di queste cose si taccia per ora per brevità, e solo ci basti avere come da lungi accennato a un ordine di prove che nuovo e vastissimo campo ci apre d’apologetica tradizionale.

Che diremo poi del secondo passo, della esistenza in tanta antichità, di libri, di opere tradizionali appo gli Esseni? E pure nulla di più provato, e nulla al tempo stesso di più sorprendente. E perchè dico sorprendente? perchè, vera verissima anomalia è cotesta ed eccezione alla regola farisaica; perchè rovescia da capo a fondo quel principio così trito così comune per cui si credeva e si crede assolutamente interdetta ai primi tempi rabbinici la redazione tradizionale; perchè inconcusso, generale, inviolato pareva quell’assioma rabbinico che suona le orali cose non potersi scrivere, e le scritte non potersi oralmente insegnare; perchè infine prima della Misnà, prima di tutte le opere talmudiche, prova il fatto presente la esistenza di libri tradizionali presso gli Esseni. E se mestieri fosse di prova dopo le citazioni ricordate, allegheremmo il Jost nella recentissima Storia del giudaismo e delle sue sètte. Il Jost è vivente autore consultatissimo, e per quanto non mi fu dato leggerne le scritture perchè dettate in tedesco, non è sì che oltre la conoscenza personale dell’uomo insigne, e di cui mi onoro, qualche contezza non siami pervenuta delle idee nell’opera contenute. Ecco che cosa dice il Jost: Les Esséniens (ei dice) n’observaient pas si rigoureusement les scrupules rabbiniques sur la transcription de la loi orale, et les Meguillat Setarim mentionnés dans le Talmud ont été écrits par des Esséniens. Non dirò dell’ultima congettura dei Meghillat Setarim, di cui spero avere non ha guari mostrato la ragionevolezza e probabilità quando mi fu dato produrre quella parlantissima variante che alle parole Meghillat Setarim sostituisce, come nel Jeruscialmi, Meghillat hasidin, nome, come ognun vede, più direttamente allusivo alla società degli Esseni. Ma quanto più non avrebbe il Jost al suo assunto giovato, se oltre ai Meghillat Setarim da esso allegati, citato avesse qual vestigio della essenica bibliografia, nel Talmud quei casi numerosi parlanti, che nei due Talmud, nei Medrascim, in tutta, a dir breve, la biblioteca rabbinica de’ primi secoli, fanno fede apertissima di altre opere, di altri libri. E forse li avrà il Jost rammentati, forse non avrà obliato quei Sifrà deagadtà che ricorrono tanto di frequente nei libri talmudici, che figurano quali opere di gran lunga più antiche della stessa Misna, che il Talmud ci mostra in mano dei più antichi Tanaiti, e che collo stesso carattere, colla stessa vetustà figurano, mirabile a dirsi! nel Zoar medesimo, che li cita, li commenta ed ai più antichi e venerandi uomini ne attribuisce la redazione. Le quali cose potuto avrebbero più urgentemente concludere in favore del Jost, e più luminoso farci apparire il gran fatto di Libri tradizionali esistenti pria dell’epoca comunemente assegnata alla redazione delle tradizioni. Alla luce di questo gran fatto, che cosa diviene una delle più forti obiezioni, e quasi a dire l’Achille che contro lo zoar e le sue dottrine sieno state dirette dagli avversarj? Pareva a costoro impossibile che sotto l’impero di una legge così severa che ogni scrittura interdiceva delle tradizioni, mentre niuno ancora pensava a violarne il rigore, colle prime raccolte della Misnà non solo le tradizioni si scrivessero, ma quelle in ispecie che più sembravano segrete e gelose, le parti più sublimi della religione, i terribili misteri della Mercabà. E pure quest’argomento, che anche senza il fatto presente della società degli Esseni non saria rimasto senza risposta, al confronto di questo fatto, a paragone dello esempio illustre, provato, del nostro Essenato, nulla più conserva di terribile, e quella confutazione riceve più concludente, che mai sariasi potuto desiderare.

84Preziosa per quanto non avvertita menzione della Setta Accademica nella Misnà di Chelim nelle parole Scel cat cademin i Zò. Ci basti accennarla soltanto, troppo oltre conducendoci una piena dimostrazione, che ad altro luogo serbiamo.
85Ciò ch’è anche più degno di nota egli è, come questo ricorrere al greco qual fonte di ebraiche etimologie, è seguito anche dai teologi cabbalisti nella nomenclatura delle loro emanazioni. Vogliamo qui citare un solo esempio ma singolarissimo. È noto come Platone e i nuovi platonici eziandio chiamassero Dio come Primo, come Ente col nome di En. Ed egli è questo il nome che il principio equivalente porta in quella nomenclatura e nel senso stesso di Unità. Ecco uno degli anelli che congiungono i moderni teosofi coi loro più antichi predecessori.
86Fatto che nulla più avverato e che resulta luminoso nella enciclopedia rabbinica da un complesso imponente di fatti e considerazioni che ci siamo studiati porre in luce in una nostra Introduzione generale storico-critica a tutti i Monumenti della tradizione. Un solo fatto citeremo qui ad esempio, il nome di Misnà che sempre recò la tradizione e che suona quanto Ripetizione appunto per che lo insegnamento se ne faceva ripetendo il testo.
87Giusto però è confessarlo. Il Cristianesimo non sempre fuorviò dall’antico sistema esegetico, non sempre immolò, almeno in teoria, il senso litterale all’allegorico. Il Medio-evo cattolico ammise il quadruplice senso dei Dottori, non solo interpretando la Scrittura, ma nelle opere di grande calibro quale, ad esempio, la Divina Commedia. Ed anche il Protestantesimo nel suo inizio. In due versi furono compendiati i quattro sensi Littera gesta docet, quid credas allegoria,Moralis quid agas, quid speres anagogia.