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Osservazioni sullo stato attuale dell'Italia e sul suo avvenire

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Ma tali pretesti non possono illudere lungamente chi li adopera per giustificare i propri errori; e la sola conclusione che possiamo da essi cavare si riduce a questo: che se col trasferimento della capitale a Firenze il nostro governo si è esposto a qualche imbarazzo o qualche pericolo, spetta a' suoi veri amici, agli amici cioè del paese ch'esso rappresenta, di stringersi vie più a lui d'intorno, di prestargli vieppiù valido aiuto; mentre il creare nuovi ostacoli alla sua libera azione, per fargli sentire che alienandosi l'animo di alcuni suoi vecchi amici, esso si è spogliato di gran parte della sua forza, altro non è che una puerile ed ingiusta soddisfazione, procurata all'amor proprio di alcuni pochi, a spese dello stesso governo, ossia del paese.

La fazione detta la Permanente, nata dal dispetto di un certo numero di cittadini torinesi, è condannata dalla stessa sua origine e natura alla sterilità, cioè a non estendersi mai al di là del piccol centro che le diede la vita; e se la opposizione piemontese nel parlamento spiega talvolta proporzioni ragguardevoli, ciò accade per circostanze fortuite, e non già perchè s'ingrossi il numero dei Permanenti. Il numero di questi andrà anzi sempre più scemando, secondochè si stancheranno dell'isolamento in cui si sono posti, e dell'obblìo in cui vanno cadendo. Un pronto ed aperto ritorno a sentimenti migliori, un abbandono esplicito delle loro indebite pretese, e dell'aria minacciosa che presero in faccia al governo, possono solo redimere ancora quelli che persistono a presentarsi come i direttori e i capi della Permanente.

Da questo rapido esame dello stato delle fazioni politiche in Italia parmi si possa concludere, che lo spirito di parte non vi giunse ad un grado di sviluppo e di forza tale da svegliare i timori dei veri amici d'Italia. – Il fatto è che gli italiani si lasciano trasportare dalla vivacità del loro carattere e delle loro passioni, e dalla naturale loro disposizione a criticare e censurare tutto ciò che viene presentato al giudizio loro; a proferire delle parole spesse volte violenti ed amare, che fanno supporre in essi sentimenti ostili al governo ed all'ordine di cose esistenti: sentimenti che in verità non esistono, o che si spengono nelle parole stesse che li esprimono. – Ciò che distingue gli italiani dagli altri popoli meridionali è questo, che alla vivacità della fantasia e delle passioni, comune ad essi tutti, gli italiani accoppiano una forte dose di buon senso pratico, come si suol dire, che non appare sempre nei loro discorsi, ma fa sentire il suo impero quando si vuol passare dalla sfera delle parole a quella degli atti. Nonostante i lamenti degli uni, e le declamazioni degli altri, non v'ha per così dire italiano, che non sappia che tutte le piaghe di cui soffre oggi il paese, non sono imputabili al governo, e nulla hanno che fare con questa o quella forma di costituzione. Un paese che si regge e si governa coi propri rappresentanti, non può accusare de' suoi danni che sè stesso, o le circostanze a sè stesso avverse. Gli italiani ben sanno che se il numero degli uomini di stato a cui si possa affidare la direzione degli affari nazionali è ristretto, esso non si accrescerebbe perchè alla monarchia subentrasse la repubblica, e perchè un presidente occupasse il seggio ora riserbato al re. Gli italiani ben sanno che la composizione delle camere, in cui nessuno riesce a formare una maggioranza durevole, è l'effetto dell'ignoranza e della indifferenza degli elettori, e non già dell'azione governativa. Gli italiani sanno inoltre che la virtù ad essi negata sin qui dall'Europa tutta, quella che per la prima volta fu in essi riconosciuta dopo il 59, e che ottenne loro la simpatia e la benevolenza delle estere potenze, è la costanza, e la moderazione nella costanza; e che quand'anco fosse per noi evidente, il che non è, che i plebisciti di quell'epoca erano basati sopra una erronea nozione di ciò che all'Italia occorreva e conveniva, il confessarlo oggi, ed il mostrarci disposti ad un nuovo cangiamento di stato, sarebbe poco onorevole per noi, e ne toglierebbe ad un tratto tutto ciò che abbiamo acquistato dal 59 in poi nella pubblica opinione. – Tutte queste riflessioni, che riescirebbero forse impotenti a combattere uno spirito di parte quale lo abbiamo veduto in altri tempi ed in altri paesi, hanno bastato sin qui, e spero che basteranno ancora nell'avvenire, a trattenere gli italiani da qualsiasi atto, che potesse scuotere nelle sue basi il nostro governo, il governo da tutti acclamato or sono sette anni, o che solamente facesse credere ai nostri vicini che tale sarebbe il nostro desiderio.

Il governo rappresentativo ossia parlamentare lascia un vasto e libero campo alla diversità delle opinioni. – Le dottrine più svariate e contradditorie possono manifestarsi e conquistare il primato sopra le altre, purchè coloro che le sostengono giungano a renderle accette alla maggioranza dei cittadini, senza che l'edificio supremo governativo nè crolli, nè minacci di crollare. Il più eminente fra i pregi della monarchia costituzionale è questo appunto, che essa non è il frutto del trionfo di una fazione, e non è necessariamente legata ad un assieme di dottrine politiche, ma le domina tutte coll'accettarle alla prova, senza dare alle estere potenze il temuto scandalo di ripetuti sconvolgimenti. Se le opinioni del partito che dicesi d'azione non furono sinora applicate dal nostro governo, ciò non dipende da incompatibilità nessuna di quelle colla forma monarchica di questo; ma soltanto dal fatto, che nessuno fra i rappresentanti di tali opinioni si è sentito sin qui abbastanza forte e sicuro di una maggioranza nel parlamento come nel paese, da indurlo ad accettare il potere che ad alcuni di essi fu più di una volta offerto.

Gli italiani o la immensa maggioranza degli italiani sanno tutte queste cose; e se la scienza loro non li trattiene dal proferire parole poco assennate e per nulla in armonia coi loro serii pensieri, essa ha però un'azione sufficiente per impedire che dalle parole si passi ai fatti.

Riflettiamo altresì, che la sola fazione che meriti veramente un tal nome, e che potrebbe suscitare ne' suoi membri il pericoloso spirito di parte, è così specialmente costituita, che il suo desiderio più ardente è quello di nascondere sè stessa, di farsi dimenticare dal pubblico, e di non accrescere di troppo il numero dei suoi partigiani, per timore di venire da essi compromessa. La fazione clericale aspetta il suo trionfo dal tempo, da scaltri maneggi diplomatici e segreti, non da lotte materiali e violenti. – Noi crediamo al contrario che il tempo impiegato da essa in intrighi, dissimulazioni e maneggi, sarà il suo più fiero nemico. – Ma in ogni caso, e qualunque sia l'esito che l'avvenire serbi alle nostre dissensioni, vero è però che oggidì quella fazione non ne minaccia imminenti pericoli, ed è totalmente assorta nella conservazione di sè medesima. Ricordiamo ora a qual segno di acciecamento e di passione erano giunte le popolazioni della Francia, dell'Inghilterra, dell'America e di tutti i paesi che attraversarono le burrascose regioni di un politico sconvolgimento, e renderemo grazie a Dio che maggiori sciagure non abbia chiamato sul nostro paese lo Spirito di Parte.2

 

CAPITOLO QUINTO
NOSTRI DOVERI

Nel descrivere il carattere dei popoli d'Italia, accennando alle cause che lo hanno prodotto, ed agli effetti che ne derivano, ho spesse volte ragionato dai doveri che ne spettano; per cui temo di cadere nel corso di questo capitolo in frequenti ripetizioni dello stesso pensiero. Per sottrarmi in parte almeno a simile inconveniente, altro non mi rimane che di ristringermi quanto più posso, e compendiare ciò che dovrò pure ripetere. – Ho detto, e parmi di averlo dimostrato, che una parte considerevole delle popolazioni italiane, non è abbastanza educata ad un libero e civile reggimento; anzi, ch'essa è tuttora ingolfata nei vizi che risultano da una lunga servitù ad un potere straniero e nemico, che le tolse o paralizzò a bello studio in essa ogni nazionale e patriottica virtù, nella scellerata speranza di renderla cieca ed insensibile al proprio avvilimento, pervertendola a tal punto che fosse incapace di vivere libera e civile.

Se non riescì interamente nel suo proposito il dispotismo che dall'Austria si diffuse sull'Italia, vi riescì però in parte; e questo infelice risultato è appunto ciò che oggi fieramente ne travaglia, e che dobbiamo distruggere. – Non riescì il dispotismo a farci amare la schiavitù, la quale al contrario ci divenne di giorno in giorno più abborrita, in modo che primo nostro pensiero, nostro sogno, nostro impaziente desiderio, era l'infrangere le secolari catene, e cacciare al di là delle Alpi ogni satellite del dominio straniero. – Non vi era sagrifizio che a noi sembrasse tale quando avesse per iscopo la fine della nostra cattività; e cotesta nostra accanita e costante resistenza che ci opprimeva, questo nostro inveterato abborrimento del giogo, fu appunto ciò che ne tenne luogo per molto tempo di ogni altra civile virtù, che ne ottenne finalmente la simpatia dei generosi, e ne diede la forza di combattere e di vincere i nostri tiranni.

Riescì in parte nell'iniquo suo intento il dispotismo; poichè partendo ci lasciò molte piaghe, che le sue catene e le sue sferzate ne avevano aperte. – Ci lasciò un criterio confuso di ciò che merita il nostro rispetto o il nostro disprezzo, cosicchè ci fidiamo e diffidiamo di tutti, secondo il capriccio del momento; un folle amore dell'ozio, che sotto il dispotismo straniero vestiva agli stessi occhi nostri l'aspetto di resistenza passiva al non legittimo Signore, d'invincibile ripugnanza all'idea di servire l'odiato governo, ma che oggi dovremmo gettare lungi da noi. – Ed invece di ciò, questo sciagurato amore dell'ozio lo conserviamo gelosamente; e, ciò ch'è peggio ancora, tentiamo di onestarlo col medesimo pretesto che nei tempi passati poteva essere giusta ragione per astenerci da ogni ufficio. – E diciamo tuttora, che siam mal governati, che non abbiamo tutta la libertà che eravamo in diritto di aspettare; oppure diciamo (ciò che più si avvicina al vero), che abbiamo troppa libertà, che il governo difetta di forza, di fermezza, di coraggio, di sagacia, di risolutezza, d'ogni dote insomma necessaria a ben reggere una nazione; e ne concludiamo, che il nostro concorso, che l'opera nostra a nulla rimedierebbe, e che non dobbiamo consumarci senza frutto pel paese. – Pretesti miserabili, pretesti creati al solo scopo di non ispogliarci di un abito che lusinga il nostro istinto, nel quale si compiace l'indole nostra.

Altra piaga lasciataci dal dispotismo straniero, come già dissi, è l'inclinazione ad imputare ogni nostro danno, ogni sventura, ogni calamità al governo. – Durante la dominazione straniera, il governo portava l'azione sua in ogni direzione e sopra ogni cosa che gli sembrasse di tale azione meritevole o bisognosa, senza essere trattenuto dal rispetto dei diritti altrui nè delle altrui libertà, in una parola senza essere frenato da legge, da istituzione o costituzione di sorta. – Un individuo che al governo diventasse sospetto, era tosto o arrestato ed indefinitamente tenuto prigione, o esiliato, o confinato in qualche povera borgata di una remota provincia. – Un opificio industriale che potesse giovare al paese, ma che poteva recare eziandio qualche danno ad un'altra provincia dell'impero, era dichiarato pericoloso e soppresso. – Un libro, un dramma destinato a risvegliare nelle popolazioni qualche scintilla di amor patrio, erano proibiti, e l'autore spietatamente perseguitato. – In quei tempi si poteva, senza pericolo di errare, vedere difatto la mano del governo in tutte le sventure che ne toccava di subire. Ma ora le cose camminano in modo al tutto diverso. – Il governo non interviene nelle faccende dei privati individui, se non quando le leggi sono da questi violate; e d'altra parte il governo costituzionale non è un essere a sè, un essere sui generis, diviso dalla nazione: egli è il rappresentante della nazione, eletto in modo più o meno diretto da essa; mutabile di giorno in giorno, non si regge e non esiste se non col concorso e l'appoggio della maggioranza dei rappresentanti del paese. – Che cosa significano dunque queste incessanti accuse che si muovono al governo, come s'egli esistesse a nostro dispetto o per nostra sventura? Significano una cosa sola: cioè che noi non intendiamo ciò che sia un governo nazionale, costituzionale e rappresentativo.

 

Queste sono le piaghe più profonde e d'indole più maligna che ne lasciò il passato, rimettendo per brevità di parlare della ignoranza, della superstizione, e di altri malanni, che ereditammo dai nostri padri, i quali vissero e morirono schiavi.

Non però tutti gli italiani sono infetti di cotai morbi. – Ve n'hanno molti, che dalla natura favoriti d'ingegno singolarmente docile e sano, o di una educazione eletta, o di fortuite e fortunate circostanze, pensano, sanno e sentono, come pensano, come sanno e come sentono gli uomini rispettabili dei paesi più inciviliti e più liberi. – Che di tali uomini non difetta l'Italia, chiaro risulta da tutto ciò che abbiamo tentato e condotto a buon fine nel corso degli ultimi sette anni. – A questi uomini spettano ora doveri immensi: ad essi spetta il salvare la patria dai molti pericoli che le sovrastano, ed a cui la espongono gli ignoranti, gli oziosi ed i malevoli, funesti prodotti del dispotismo straniero. – Non v'ha uomo dotato di qualche criterio e di una dose qualunque di senso comune, che non sia sino ad un certo punto responsabile dei pericoli che minacciano la patria, e dei danni che a lei ne possono risultare. Quando gli italiani decisero di strappare l'Italia allo straniero, e di rimaner padroni della loro terra natia, assunsero il dovere di guidare il paese in modo tale, che esso potesse mantenersi indipendente, e prosperare nella sua libertà. – Altrimenti, cioè se gli italiani assennati ed amanti della patria, che tanto sacrificarono per dare ad essa l'indipendenza, avessero pensato di rimanere poi inoperosi e di lavarsi le mani dell'uso che le moltitudini starebbero per fare della acquistata indipendenza, essi sarebbero colpevoli non solo, ma positivamente indegni di perdono.

Essi avrebbero esposto scientemente la patria a pericoli maggiori di quelli che le sovrastavano nel passato, e le avrebbero preparato un avvenire funesto, che chiamerebbe su essa ad un tempo il disprezzo dei contemporanei, la pietà dei posteri, e servirebbe di esempio alle future generazioni.

Mi si risponderà forse che singoli individui, per operosi e desiderosi del bene che sieno, nulla possono sulle moltitudini. – Io credo invece che chiunque, per debole che naturalmente sia, acquista una ragguardevole autorità sulle masse, quando cammini a faccia scoperta ed a fronte alzata sulla retta via. – Del resto non vedo perchè gli individui che hanno opinioni, volontà e sentimenti comuni, debbono rimanere isolati gli uni dagli altri. – Riuniscano le loro forze, si associno, come già si associarono segretamente quando intrapresero di liberare la patria. – Quella era una impresa in cui l'individuo era pressochè impotente, poichè non poteva essere condotta a buon termine se non colla forza. Allora le associazioni erano interdette; e cionullameno una trama nascosta ordivasi in tutta Italia, e non so se un solo fra i patrioti italiani possa dire di non avere appartenuto ad una delle tante società che avevano per oggetto la liberazione del paese. – Oggi le associazioni fra i cittadini sono permesse non solo, ma raccomandate e protette; per cui nessun individuo può scusare la propria inazione col pretesto che gli sia vietato di operare.

Non registrerò qui per minuto i vari oggetti che tali associazioni potrebbero e dovrebbero proporsi, variando essi ad ogni passo, perchè in ogni città, in ogni provincia d'Italia, vi sono dei bisogni speciali. Dirò soltanto che i popoli sono suscettibili di progresso; e che con quella medesima facilità con cui gli italiani furono corrotti e pervertiti dal dispotismo, possono essere emendati ed illuminati dalla libertà e dalle istituzioni a cui questa serve di base. Osservino gli uomini assennati di ogni città, di ogni provincia italiana, quali più funesti effetti produsse nei loro concittadini il dispotismo straniero; e quindi riuniti, stretti fra loro da patriottico nodo, si accingano a combatterli, chiamando in loro sussidio il buon senso popolare, che in Italia così facilmente si risveglia, e dimostrino a tutti la falsità delle loro credenze, la vanità dei loro sospetti e dei loro pregiudizi, l'assurdità delle loro esigenze e delle loro pretese, le conseguenze inevitabili e funestissime della loro condotta, la necessità delle civili virtù, fra le quali la più cospicua è forse la tolleranza dei mali individuali, quando questi abbiano per risultato il maggior bene del maggior numero. – Facciano noto a chi lo ignora, che la libertà e l'indipendenza di una nazione, già schiava dalla caduta del romano impero sino ai giorni nostri, non sono beni che si acquistano con poca spesa e con poca fatica; e che il perdersi d'animo perchè pagandoli si scema il nostro avere, è un condursi da vile o da spensierato. – E mentre insegnano a chi le ignora le prime e più semplici verità fondamentali della vita nazionale e civile, si applichino a rimediare in qualche parte almeno ai danni reali che cagionano il malcontento delle moltitudini. – Si aprano dei negozi cooperativi, delle banche popolari, ed altre simili istituzioni, atte a combattere gli intrighi di certi capitalisti, che si arricchiscono speculando sulla miseria e sulla ignoranza del volgo, e mentre l'erario o i varii municipi sono costretti a gravare di qualche imposta gli oggetti di prima necessità, ne esagerano pel proprio loro illecito guadagno i prezzi correnti, e fanno credere al popolo che tale aumento rovinoso per lui sia opera del governo.

Insomma io vorrei che si formasse in Italia una vastissima associazione, nella quale s'inscrivessero tutti gli uomini dotati di buon senso, di patriottismo e di onestà, allo scopo di mettere in comune le loro facoltà, i loro mezzi ed i loro pensieri, per sollevare il povero dalla sua miseria, l'ignorante dalle sue tenebre, e per procurare a tutti l'opportunità di lavorare e di fruire dei vantaggi dell'industria e del commercio. – E finchè tale immensa associazione sia formata ed eserciti l'opera sua, vorrei che gli uomini più operosi, più esperti e più colti delle varie città d'Italia, si unissero e formassero delle associazioni parziali, tendenti tutte a quel medesimo fine, non tralasciando al tempo stesso di adoperarsi, anche come semplici individui, a persuadere gli ignoranti ed i forviati dei loro errori, e del danno che ad essi e al paese tutto risulta dai pregiudizi loro. – Quando ogni uomo di senno ed amico del proprio paese abbia scolpito nella mente l'idea de' suoi doveri verso il paese stesso, quando questa idea gli sia sempre presente, avrò ottenuto il fine ch'io mi prefissi scrivendo questi fogli; chè i mezzi non verranno meno a chi persiste nel cercarli, ed è risoluto di adoperarli quando ad esso si presentino. – Ciò di cui difettiamo è la costanza della volontà e della risoluzione.

CAPITOLO SESTO ED ULTIMO
RISULTATI VERSO I QUALI TUTTI DOBBIAMO TENDERE

Lo scopo che ogni italiano deve prefiggersi, è la conservazione e la consolidazione della nostra indipendenza, insieme collo sviluppo delle nostre libertà, le quali produr debbono la nazionale prosperità.

Queste però sono nozioni troppo generali, e su di cui ognuno conviene, differendo poi sul significato dei vocaboli libertà, indipendenza e prosperità nazionale, come pure sui mezzi più atti a procurarne lo sviluppo. – Credo perciò di dover definire che cosa intendo di raccomandare a' miei compatriotti, quando li esorto a consolidare la nostra indipendenza e le nostre libertà, sviluppando queste ultime in modo da produrre alla nazione il ben essere e la prosperità.

Una nazione può dirsi indipendente, quando nessuna parte del suo territorio è occupato e soggetto allo straniero, e quando essa possiede forze e volontà sufficienti per difendersi efficacemente contro chiunque tentasse invaderne i confini. Perchè una nazione possa dirsi a buon dritto indipendente, non occorre ch'essa ripudii qualunque influenza straniera: il che la porrebbe tosto o tardi in ostilità con questo o con quell'altro de' suoi vicini, ed avrebbe per conseguenza più o meno remota, di esporre a gravi pericoli la stessa di lei indipendenza. – Ciò osservo, perchè v'ha in Italia una scuola politica di fierissima indipendenza, la quale considera ogni atto di condiscendenza verso gli alleati come un principio di soggezione, e lo biasima come intollerabile viltà. – Codesti fanatici della indipendenza, vorrebbero che la nazione camminasse sempre nella direzione che più spiace, più offende, o più minaccia le nazioni vicine; e se l'una di esse ne fu un giorno benefica, veggono nella nazionale gratitudine un pericolo per la patria indipendenza, ed appunto verso quella benefica potenza si volgono con sospetto e con avversione maggiore, e sono più ansiosi di mostrarsele nemici.

Le pacifiche relazioni fra le potenze, che si dividono questa parte del mondo chiamata Europa, sono necessarie alla generale prosperità, e si alimentano e si mantengono mediante reciproche concessioni, sagrifici e buoni uffizi. – L'urtarsi di proposito contro chi non ha provocato l'offesa, non è atto d'indipendenza, bensì di assurda jattanza, e di non giustificata prepotenza. – L'esagerazione di qualsiasi virtù, così delle politiche e civili, come delle famigliari o domestiche, si avvicina al vizio opposto, piuttosto che alla stessa esagerata virtù. – Virtù significa forza, e non vi è vera forza senza moderazione e giustizia.

Una nazione può dirsi a buon dritto libera, quando non è richiesta di obbedire ad altri che alla legge, e quando nessun comando abbia forza di legge sinchè non sia stato dichiarato tale ed approvato dalla maggioranza dei rappresentanti la nazione. – Queste sono le basi di una bene ordinata libertà, e possono trovarsi parimenti sotto qualsiasi forma di governo, cioè monarchico o repubblicano. Se ci scostiamo da codesta massima, se oltrepassiamo questa linea di confine tra il vero ed il falso, cadiamo nella confusione e nella contraddizione di noi stessi e delle nostre dottrine. – Qualunque resistenza incontrino i desideri di un cittadino, sarà da questo dichiarata tirannica, e gli sembrerà tanto più intollerabile, quanto è più ardente (non già più legittimo) il desiderio combattuto. – Si chiamerà dispotica e tirannica la volontà dei rappresentanti della nazione, che è quanto dire la volontà della nazione stessa, dimenticando così che l'indelebile carattere del dispotismo, ciò che distingue l'arbitrario comando dalla legge, è appunto il non essere quello sancito dalla nazione. – Una legge emanata dal parlamento può essere improvvida, mal concepita, diciam pure ingiusta, chè non vi ha modo quaggiù di prevenire radicalmente e sicuramente gli errori o i vizi degli uomini; ma una legge così fatta non sarà mai, ed in nessun caso, arbitraria o dispotica. – Gli ultra liberali, che non si accontentano della libertà come l'ho testè definita, non hanno peranco scoperto il rimedio specifico contro la umana fallibilità, nè credo sieno avviati verso tale mirabile scoperta. – Il criterio del giusto e dell'ingiusto considerati in modo assoluto non esiste quaggiù; esiste bensì quello del legittimo e dell'illegittimo, ossia arbitrario comando, e ciò è appunto, come già dissi, l'essere il primo sancito dalla volontà nazionale, e il non esserlo il secondo.

E di ciò dobbiamo contentarci, per una semplicissima ragione; cioè perchè è impossibile l'ottenere di più. – Non già perchè la libertà, quale la sognano gli ultra liberali, sia circondata da tali ostacoli, difesa e gelosamente custodita da chi vorrebbe defraudarne i popoli, che impossibile ci riesca l'impadronircene; ma non possiamo ottenerla perchè non esiste; e ciò che da lungi ne simula l'aspetto, altro non è veramente che un fantasma, una illusione, che si trasforma in confusione, in nebbia, nella peggiore delle tirannidi, l'anarchia, ossia nel libero esercizio di ogni individuale volontà. Di ciò fecero memorabile esperimento i Francesi quando nell'89 e nel 95 stabilirono, come criterio e misura della nazionale libertà, la libertà di ogni singolo individuo.

La libertà come io la intendo sagrifica in una certa misura l'individuo alla nazione, e non considera quello se non come parte integrale o come rappresentante di questa. – La libertà come la intendono gli ultra liberali, la libertà non definita e non definibile, non confessa la necessità di sagrificare nè l'individuo alla nazione, nè la nazione all'individuo, ma di fatto li sagrifica ambedue ad una illusione, ad una falsa dottrina. – L'esercizio dell'assoluta libertà dell'individuo, e di tutte quelle individuali libertà radunate come in un fascio che comporrebbero la nazionale libertà, è una di quelle teorie belle e seducenti per sè stesse, ma che non reggono alla pratica, perchè la libertà sfrenata di un individuo si urta necessariamente colla libertà sfrenata di un altro individuo, e tutte queste libertà osteggianti fra loro, formano non già la nazionale e universale libertà, ma un caos tenebroso, ove si combatte ciecamente, e si perdono in breve persino le nozioni del bene e del male, del giusto e dell'ingiusto, del diritto e del dovere. Dio ne salvi da una siffatta libertà! – La libertà come io la intendo è oggi rispettata e stabilita fra noi in tutta la sua pienezza, e direi anche con troppo rigore per parte del nostro governo, che ha accettato lealmente la missione affidatagli nello Statuto; e segue la via che questo gli ha tracciata, senza dipartirsene mai di una linea. – Lo Statuto, che fu sulle prime accordato al solo Piemonte, ammette come fatto incontestabile ch'esso debba reggere una popolazione civile, ordinata, e discretamente istruita, una popolazione insomma degna delle più liberali istituzioni. – Parmi avere dimostrato nel corso di questo volumetto, che alcune parti dell'Italia meridionale non sono ancora giunte a quel grado medesimo di civiltà, che già da molti anni si osservava nel Piemonte. – Vorrei dunque che le istituzioni, le quali debbono reggere il Piemonte non solo, ma tutta Italia, fossero leggermente modificate in guisa da potersi adattare ai vari stadii di civiltà a cui sono giunte le varie popolazioni. – Nè vorrei che tale riforma fosse operata dall'autorità governativa; bensì dal parlamento, che riconoscesse il bisogno di proteggere le popolazioni contro i proprii loro errori, mentre si stanno educando al governo di sè medesime e del paese nostro. Nè vorrei che codeste leggieri modificazioni rivestissero un aspetto di stabilità, ma quello soltanto di misure provvisorie, e destinate a brevissima vita. – E ciò vorrei, perchè temo che le nostre popolazioni agricole, non comprendendo il significato e lo scopo delle nostre istituzioni, si stanchino della parte che ne venne ad esse affidata, e considerandola come l'effetto di un capriccio dell'autorità, si astengano affatto dal concorrervi, rompendo così il buon accordo che risultar doveva dalla esatta osservanza delle istituzioni nostre. L'Italia, abbiam detto, deve aver cura di mantenersi libera, e deve far uso di questa sua libertà come di uno strumento per attivare lo sviluppo delle sue facoltà, o disposizioni naturali, che spingere la debbono a successi commerciali ed industriali non minori di quelli che compiono ogni giorno le nazioni più civili e più ricche del mondo.

Di molti elementi di prosperità difetta però l'Italia. La mancanza considerata sin qui come incurabile di carbon fossile, ed il caro prezzo a cui dobbiamo procurarcelo da lontane contrade, è un grave ostacolo allo sviluppo di ogni industria, e specialmente delle industrie metallurgiche, le quali richiedono un eccesso di calore, che non si ottiene se non dal carbon fossile. E questo ostacolo al progresso delle industrie metallurgiche è una sorgente di danni per tutte le altre industrie, perchè ne costringe ad acquistare all'estero le varie ed innumerevoli macchine, che sono il principale elemento della industriale prosperità di ogni paese. – Altro ostacolo alla nostra commerciale prosperità, è la circostanza dell'aver noi respinto il sistema commerciale protettore, come tirannico e vessatorio, e adottato in sua vece il principio del libero scambio: principio che fruttò all'Inghilterra vantaggi infiniti, perchè le nazionali sue industrie essendo già pervenute ad un alto grado di perfezione e di superiorità, rispetto alle corrispondenti industrie dei continenti europeo ed americano, essa non teme da queste nè concorrenze nè rivalità. E di fatto la facoltà concessa alle nazioni tutte, di mandare i loro prodotti industriali in Inghilterra, senza sottoporli a tassa alcuna, implicando naturalmente per l'Inghilterra un diritto reciproco, essa si trovò ad un tratto signora e padrona di tutti i mercati esteri, che invase co' suoi superiori prodotti industriali. Per tal modo il principio del libero scambio diventò per l'Inghilterra una ricchissima fonte di lucro e d'influenza. – Ma la condizione intrinseca dell'Italia essendo appunto tutto all'opposto di quella dell'Inghilterra, gli effetti che risultare debbono per essa dall'attuazione del principio della illimitata libertà di commercio, sarebbero dei più funesti, imperocchè nessuno fra gli italiani stessi si accontenterebbe dei proprii prodotti, imperfetti, poco durevoli, costosissimi, quando sapesse di potersi procurare i più eccellenti prodotti esteri, senza perdere nè più tempo, nè più denaro. – Quando i prodotti delle industrie straniere ingombrassero le nostre piazze ed i nostri mercati, le industrie nazionali d'Italia sarebbero condannate a certa ed imminente rovina, nè potrebbero prolungare d'alcun poco la loro agonia, se non imitando e falsificando i prodotti degli altri paesi, cioè vendendo i proprii prodotti come fossero prodotti stranieri. Ma simili mezzi non valgono ad assicurare la prosperità di una nazione, nè quella tampoco di una provincia o di una singola industria.

2Mentre io stava scrivendo queste pagine, gli avvenimenti sembravano disposti a darmi una solenne e decisiva mentita. – Un pugno di giovani imprudenti, sedotti da irreconciliabili nemici dell'attuale ordinamento delle cose nostre, e guidati da un uomo il cui nome esercita un fascino singolare sulle giovanili imaginazioni, fidando sul fatto che la Presidenza del Consiglio dei Ministri era caduta nelle mani di chi sa persuadere a tutti i partiti di essere cosa loro, e la cui presenza al Ministero fu sempre seguita da una sciagura nazionale, levavano lo stendardo della ribellione, ed irrompevano sul territorio pontificio. – Confesso che i partigiani del generale Garibaldi formano una fazione politica, che si appoggia, non già ad un corpo di dottrine politiche, ma ad un uomo di cui si sono fatti un idolo, quantunque lo riconoscano scevro di criterio politico, di prudenza, di sagacità, di tutte le doti infine che costituiscono l'uomo di stato, e ne lodano soltanto il coraggio, la lealtà ed il patriottismo: virtù che bastano a meritargli la erezione di una statua sulla pubblica piazza, ma non ad ottenergli il titolo ed i diritti di un dittatore. – Il generale Garibaldi ed i suoi partigiani pretendevano impadronirsi di Roma, cacciarne il Pontefice, stabilirvi verosimilmente la dittatura repubblicana, e sostenere quindi la guerra contro la Francia. – L'impresa era così disperata, così rovinosa, che i romani stessi lo conobbero, e si astennero dal parteciparvi. – Il successo non era dubbio; ma i pericoli che tanta caparbietà minacciava alla patria erano grandi e numerosi. – Il governo nostro trovavasi nella più critica situazione. – Legato dai trattati, e costretto dalla più volgare prudenza a non partecipare a tentativi violenti contro il governo pontificio, esso non poteva nè attaccarlo nè difenderlo, e perchè la pubblica opinione si sarebbe opposta così all'uno come all'altro partito, e perchè i trattati non lo autorizzavano ad intervenire negli stati romani, nè in favore del Pontefice nè in favore de' suoi avversarii. – D'altra parte, se le nostre truppe avessero occupato il territorio pontificio, e più ancora se si fossero portate dentro le mura di Roma, un tal passo ci avrebbe condotto alla guerra civile, ed alla guerra contro la Francia, che avrebbe considerato la nostra occupazione a mano armata di Roma come una sfacciata infrazione ai trattati testè conclusi, e come un atto di violenza contro il Papa, in una parola come una conquista; mentre dall'altro lato il nostro governo non poteva accettare e sanzionare la dittatura del generale Garibaldi, nè tutti gli atti e le illegalità che da tale dittatura sarebbero derivati. Le due armate trovandosi a fronte l'una dell'altra, e le volontà dei rispettivi capi essendo fra loro discordi, non vedo come si sarebbe evitata la guerra civile, o forse anche lo smembramento d'Italia. A tali estremi pericoli ne esponeva la ostinazione e la singolare imprudenza del generale Garibaldi; e la sagacità che giunse ad allontanarli non fu per certo volgare prudenza. Anche questa volta però il grandissimo numero degli italiani, ed i romani pressochè tutti, diedero nuova testimonianza del buon senso che predomina nelle nostre popolazioni; poichè nessuno, tranne gli agitatori incorreggibili cresciuti ed educati nelle lunghe e ripetute emigrazioni politiche, tranne pochi giovani la cui fantasia si accende in guisa che ne offusca totalmente il criterio, ed alcuno forse di quei sciagurati che non si sentono al sicuro se non nel disordine e nella illegalità; nessuno, dico, approvava l'impresa del generale Garibaldi e ne desiderava il successo, sebbene lo scopo di essa, cioè la riunione di Roma al rimanente d'Italia, sia oramai il principale oggetto dei voti degli italiani. Questa crisi per buona sorte giunse al suo fine, senza avere cagionato la rovina che sembrava ne minacciasse; del che devesi render grazie alla moderazione dell'Imperatore dei francesi, e al sincero desiderio, anzi al bisogno di pace, che predomina tanto in Italia quanto in Francia. – Che il governo italiano non potesse operare come ausiliario di un branco di giovani indisciplinati, inspirati dai meetings di Ginevra, di Milano e di altre città d'Italia, di poche bande di volontari le quali portavano inscritti sulle loro bandiere principii e sentimenti rivoluzionari, e si dichiaravano seguaci di Mazzini e de' suoi luogotenenti, creando nelle borgate da essi occupate dei governi provvisorii, che sapevano di repubblica assai più che di monarchia costituzionale, ed operando come avrebbero operato prima del 59, cioè come se la nazione italiana ed il regno d'Italia non esistessero, o ne ignorassero la esistenza; che il governo acclamato dalla intera Italia, e che la rappresenta, non potesse entrare in campo come ausiliario delle bande dette garibaldine, è cosa troppo evidente perchè possa mettersi in discussione. – E tale evidenza appare maggiormente ancora, se si riflette che le popolazioni degli stati pontificii, e la romana in particolare, non si mostrarono per nulla consenzienti ai tentativi fatti sotto pretesto di liberarle, e che il successo degli assalitori non avrebbe avuto luogo senza spargimento di sangue italiano per mano italiana. – Se dunque il nostro governo, il governo di Vittorio Emanuele, si fosse indotto ad unirsi ai garibaldini, esso avrebbe mancato ai trattati, avrebbe condotto i suoi soldati contro gente italiana; e tutto ciò per assicurare il trionfo di una fazione a lui avversa, e così debole ed impotente, che a nulla poteva riescire se non coll'aiuto del regno d'Italia. – D'altra parte il governo del nostro re non poteva combattere direttamente le bande garibaldine, senza incorrere in una guerra civile ed imbrattarsi di sangue italiano; e ciò per difendere diritti ch'esso non riconosce, e contro la cui legittimità egli si è dichiarato. – Le cose stando in tale stato, l'intervento francese, sebbene pieno anch'esso di pericoli, era però il solo mezzo di evitare a noi la guerra civile, e di mettere il Pontefice al sicuro da una catastrofe, la cui responsabilità sarebbe ricaduta sulla nazione italiana e sul suo governo. – Ora che la tranquillità ed un certo buon ordine, compatibile con un pessimo governo, sono ristabilite, le truppe francesi lasceranno il paese ove sono una vivente violazione del principio che la Francia stessa proclamava del non intervento nelle dissensioni intestine dei vari stati europei. Ma siccome i recenti avvenimenti hanno dimostrato che la convenzione del 65 tra la Francia e l'Italia, nei termini in cui fu concepita e redatta, non produce quei risultati che da essa si aspettavano; siccome il governo italiano, a cagion d'esempio, non può impedire che il territorio pontificio sia assalito da bande di volontari, senza combatterle, ciò che ripugna ad ogni cuore avverso alla guerra civile; nè può impedire che la città di Roma cada difatto nelle mani dei volontari o delle popolazioni insorte, mentre i trattati gli vietano di occupare esso medesimo quel territorio; per questi e molti altri motivi, la cui enumerazione riescirebbe troppo lunga, si comporrà un nuovo trattato che ponga al sicuro la persona del Pontefice da ogni offesa, e garantisca il rispetto dovuto alla religione della civiltà, a tutto ciò che si riferisce ad essa, come sarebbero i suoi monumenti, le sue chiese, i suoi ministri, ecc. Possiamo dunque sperare, malgrado le immeritate invettive e le imprudenti dichiarazioni di alcuni fra i ministri ed oratori della Francia, che codesta nazione, più sensata e più giusta di que' suoi rappresentanti, rispetterà le costanti e legittime aspirazioni dell'Italia; e si terrà soddisfatta d'intervenire in ciò che vi è veramente di universale nella così detta quistione romana, cioè di assicurare la conservazione della religione cristiana e cattolica, e di quanto la concerne, lasciando agli italiani la cura d'intendersi col Pontefice su ciò che appartiene esclusivamente all'Italia, cioè sulla questione dell'annessione di Roma, purchè ci asteniamo dall'uso della forza materiale, della violenza. Riconosciuti una volta i nostri diritti, e posti alcuni limiti all'esercizio loro, spetterà a noi l'approfittare con somma prudenza dei nostri vantaggi, mostrarci capaci di contenere i nostri desideri, e aspettare il momento opportuno per soddisfarli. – Se l'Italia sa mantenersi nazione libera ed indipendente, ordinata e tranquilla, sotto un governo costituzionale ed italiano, che l'Europa ha riconosciuto e rispetta, non v'ha per me dubbio che Roma debba in breve entrare a parte delle nostre sorti. L'incertezza si riferisce soltanto al come e al quando sarà compiuto questo finale e solenne avvenimento; e a tale incertezza dobbiamo rassegnarci sinceramente, come ad una invincibile necessità politica e sociale. Ma perchè tale rassegnazione sia possibile, e porti i suoi frutti, dobbiamo rientrare nelle vie di una regolare ed ordinata libertà, e rinunziare alla politica sentimentale, che già troppo sovente ne fuorviava. – Nessun paese può dirsi libero, se concede ad un uomo, sia pur esso il più virtuoso ed il più amato, di mettere in non cale la legge, e di seguire soltanto la propria volontà. – Il re è sottomesso alla legge, ed alla legge obbedisce. Perchè si permette al generale Garibaldi di sprezzarla, e di non tenerla in alcun conto? Egli non aveva che un solo mezzo per conservarsi in una condizione così eccezionale, ed era l'usarne assai di rado, ed il non abusarne mai. – Garibaldi invece si è fatto lo stromento di Mazzini e dei Mazziniani in Italia, e si accinse a realizzarvi i loro sogni. – Con ciò ne ha posto due volte sull'orlo della guerra civile e della guerra contro la Francia. – Questi due fatti, quello di Aspromonte e quello di Monterotondo, lo hanno balzato dal trono fantastico su cui lo aveva posto la nostra gratitudine, e ridotto alla condizione di semplice cittadino di un paese libero; condizione, di cui, mi sia permesso il dirlo, non v'ha eroe che non possa e non debba tenersi per soddisfatto ed onorato. Sia dichiarato una volta, e nessuno lo contesti, che Garibaldi deve obbedire alla legge come ogni altro cittadino d'Italia, non solo quando l'obbedienza non gli pesa, ma sempre ed in qualsivoglia circostanza, e che qualora egli tentasse una terza volta d'infrangerla, sarà richiamato al dovere coi mezzi stessi dalla legge prescritti. – L'uguaglianza dei cittadini innanzi alla legge è la prima fra le grandi conquiste che la rivoluzione francese dell'89 compì sulla tirannide dei governi assoluti, il principio più fecondo e più benefico della moderna civiltà, e chi non sa contentarsene e rendergli omaggio, si mostra indegno di far parte di un consorzio civile e libero.