Za darmo

Una notte bizzarra

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III

Questo dialogo avveniva sul pianerottolo, tra i due persecutori della bella sconosciuta, i quali non erano altrimenti due Adoni da quadrivio, sibbene due sergenti di Questura, il Negri e il Piccione.

Lo strepito dei loro passi mascolini nell'anticamera e il percuoter delle loro daghe contro le masserizie, fecero quello che non aveva potuto ottenere la vocina della sconosciuta; vo' dire che destarono dal sonno l'avvocato Fenoglio, il quale balzò in piedi dal suo canapè, e vedendo alzare la portiera di seta e un braccio e una gamba introdursi nel salotto, urlò prontamente: ai ladri! e diè di piglio ad una sedia di Chiavari, per servirsene come di una mazza ferrata contro gl'invasori del suo domicilio.

– Si cheti, signore, si cheti! – disse il Negri facendosi innanzi. – Noi non siamo ladri, nè gente che le voglia far del male. Guardi alla nostra divisa… Ma chi vedo? il signor avvocato…

– Roberto Fenoglio in carne ed ossa, – rispose Fenoglio, che a sua volta aveva riconosciuto i sergenti; – ma che cosa vogliono le signorie loro a quest'ora, in casa dei pacifici cittadini?

– Oh, la ci scusi, signor avvocato. Aveva l'uscio aperto…

– Amico mio, – disse una vocina sottile che fece balzare due passi indietro il mio protagonista, – gli è stato di certo quel briccone di Battista, che va a ciaramellare di notte colla cameriera del quinto piano. Bisogna scacciarlo dal nostro servizio, non è egli vero?

– Si certo, lo scaccieremo! – rispose Fenoglio.

E intanto guardava, con aria da melenso, ora i sergenti, ora la sconosciuta, che lo aveva chiamato «amico mio.»

– Non vorremmo aver cagionata la disgrazia di un povero servitore… – si provò a dire il Piccione.

– Che! che! – ripigliò la signora. – È un fannullone, un che so io; non è egli vero, Roberto?

– Sì, un briccone, un ladro, un assassino! – soggiunse Fenoglio, il quale non sapeva più quello che si dicesse.

– Oh, in tal caso, – disse il Negri, – con licenza di Vossignoria, lo arresteremo.

– Sì, arrestatelo… cioè, no, lasciatelo stare, povero diavolo! Son questi i miei modi di dire… io non uso chiamare con altri nomi la mia gente di servizio…

– Egli bisogna tuttavia che tu gli tolga questo mal vezzo, Roberto mio! – disse la donna, mettendo con leggiadra dimestichezza il suo braccio sotto quello di Roberto Fenoglio. – Dimmi, non è egli vero che tu contenterai in ogni cosa tua moglie? —

Fenoglio aveva l'aria di cader dalle nuvole. Si lasciò mettere il braccio di lei sotto il suo; anzi, posso giurarvi che, galante com'era, anco nei momenti più difficili, curvò con bel garbo il gomito, per accogliere il dolcissimo peso. Quel braccio si appoggiò sul suo con una pressione particolare, che parea dirgli: «tenetemi bordone, per carità!»; gli occhi della sconosciuta si volsero languidi a cercare una buona risposta ne' suoi; la sconosciuta era bella, assai bella; il contatto della sua aggraziata persona gli recava una commozione subitanea per tutte le vene, insomma, il sangue non è acqua, siamo tutti uomini, e Roberto Fenoglio rispose:

– Si, moglie mia, farò di contentarti. —

Tutto ciò era avvenuto in un batter d'occhio. Ora, accettata una condizione di cose, bisognava andare innanzi, mettere in buona vista tutto quel garbuglio; e Roberto, comunque fosse impacciato, ci si provò.

– Vedete un po' che bel caso! – disse egli, voltandosi ai sergenti. – S'era suonato e ballato… una festicciuola tra amici… ai quali avevo fatto conoscere mia moglie…

– Ah sì! – interruppe il Negri. – Ella è ammogliato di fresco; noi nol sapevamo neppure…

– Infatti, – disse Fenoglio, – io non ne avevo dato notizia a nessuno.

– Un matrimonio al gran destino… – entrò a dire con aria peritosa il Piccione.

– Come sarebbe a dire; al gran destino? Vorrete dir clandestino? Sicuro, ho fatto un matrimonio clandestino; ma ora l'abbiam propalato; tutti gli amici, i parenti, Genova tutta lo ha da sapere. —

Così dicendo, Roberto Fenoglio si volse a guardare la sua improvvisata metà, che lo ricompensò delle sue parole con uno sguardo d'ineffabile tenerezza.

– Che io possa morire, se ne capisco un'acca! – pensò egli tra sè.

– Oh ce ne rallegriamo grandemente con Vossignoria! – disse il Piccione, che era il più cerimonioso dei due sergenti. – E ce ne rallegriamo anche colla sua signora…

– Grazie, grazie! – rispose la leggiadra donnina, accompagnando le parole col più grazioso dei suoi divini sorrisi.

– Suvvia, Piccione: – disse il Negri al compagno – noi adesso disturbiamo…

– No, no, amici miei! – interruppe Fenoglio. – Voi non ve ne andrete così senza aver prima bevuto un bicchiere.

– Scusi Vossignoria: ma noi eravamo venuti in questa scala per seguire una donna… una…

– Che cosa? – domandò con molta curiosità il padrone di casa. – Avete detto una… Se la cosa può dirsi, finite, di grazia, la frase!

– Oh, niente di male in quanto alla moralità personale… —

Fenoglio respirò a larghi polmoni. Intanto il Negri proseguiva:

– …Insomma, debbo dirlo? Si tratta di una emissaria di Mazzini. Il signor Questore ha saputo che questa donna, una delle più terribili cospiratrici contro il governo, è venuta da Londra a Genova, e che ella doveva trovarsi appunto in una casa qui presso… Le nostre passeggiate debbono averla messa in sospetto di qualcosa, poichè una donna appunto (ed era certamente lei) è uscita dalla casa in discorso; ma, inseguita da noi, s'è ficcata nelle scale di questo palazzo…

– Ah diamine! – esclamò Roberto Fenoglio. – E adesso come farete a trovarla?

– Ella a quest'ora avrà potuto ridiscendere le scale! – si affrettò a soggiungere la signora.

– Sicuro! dice bene la signora Fenoglio! – gridò il Piccione, percuotendosi la fronte colla palma della mano. – Vedi che bestia siamo stati noi altri! Ma qui bisogna correre.

– Non tanta fretta! – interruppe ella sorridendo. – A quest'ora ella ha potuto andare molto lunge, e come vorreste trovarla! Gli è un colpo fallito, al quale non si rimedia, e sarà meglio vi ricordiate che il mio Roberto vi ha pregato di fermarvi ancora pochi minuti per berne un bicchiere.

– La signora ha ragione! – disse il Negri con aria melanconica. – Ora, poichè la ci è sfuggita, beviamo.

– Signor avvocato, – ripigliò il sergente Piccione, – beveremo alla salute della sua signora moglie, che è tanto gentile quanto bella. Scusi, signora, il complimento, compatisca; siamo gente alla buona… —

Intanto Roberto Fenoglio era andato in una camera vicina e ne tornava con una bottiglia di Sciampagna, che fu sollecito a sturare per quei due ragguardevoli personaggi.

– Alla salute della signora Fenoglio! – disse il Negri, alzando il calice spumante.

– Che il Ciel la benedica, e le conceda una mezza dozzina di bei bambocci somiglianti al l'ottimo avvocato Fenoglio! – soggiunse il Piccione.

– Grazie, amici, grazie! – rispose Fenoglio. – Noi faremo di non mandar vani i vostri amorevoli augurii. —

E guardò sott'occhi la sua sconosciuta vicina, che si fe' rossa in volto come una ciliegia.

Intanto quei due, sebbene, dopo una seconda e una terza libazione, avessero veduto il fondo della bottiglia, non se ne andavano ancora. Fenoglio era sulle spine, poichè gli premeva di sapere chi fosse quella donna, e come gli fosse capitata in casa. La donna, dal canto suo, ci doveva avere le sue buone ragioni, per affrettare coi voti la loro partenza.

Il Negri, dopo una sosta di parecchi minuti secondi, così prese a parlare:

– Signor avvocato, la mi scusi; avrei a chiederle… ma non mi dia dell'indiscreto…

– Oh, niente affatto! – rispose Fenoglio.

– Sì, sì, la è una indiscretezza la nostra… ma tant'è, non possiamo fare a meno di pregarla…

– Ahi, ahi! – pensò il mandarino – che cosa vuole ora costui? —

La povera bella, di rossa ch'ella era divenuta, si fe' più pallida di prima.

– Vossignoria, – proseguì il sergente, senza addarsi di nulla, – è in relazione col nostro capo, il cavalier Gallesi…

– Sicuro, sono in relazione con lui, con quella degna persona; – rispose Roberto. – Lo vedo qualche volta ed ho l'onore del suo saluto. Ma che cosa…

– Ecco; – interruppe il Negri, – noi abbiamo fatto il nostro dovere, niente più niente meno del nostro dovere… Ma se il signor cavaliere venisse a risapere che ci siamo lasciati sfuggire… mi capisce?

– Ah! sì, capisco, – disse Fenoglio, tornando a respirare liberamente, – io non debbo dir nulla. Non dubitate, sarò muto come una tromba… cioè no, volevo dirle come una tomba. Che diamine! vedete mo' come talvolta ci tradisce la lingua. —

Non era vero niente; Roberto Fenoglio, rasserenato dalla piega che aveva preso il negozio, tornava ai suoi primi amori col bisticcio.

– Le siamo riconoscentissimi della sua bontà, signor avvocato! – entrò a dire il Piccione, colla lingua impacciata dallo Sciampagna. – In verità non potevamo aspettarci altro da un galantuomo pari suo. Oh se tutti fossero come Vossignoria, a questo mondo!

– Taci là, bestione! – interruppe il Negri, che voleva schiccherare anch'egli un complimento all'avvocato. – Se tutti fossero come il signor cavaliere…

– No, no, lasciate i titoli da parte, io non son cavaliere e me ne… me ne… insomma, non lo sono! – conchiuse Roberto.

– Il governo ha torto! – sentenziò il Negri. – Io lo servo, lo rispetto e lo venero, come è debito mio; ma egli ha torto a non far cavaliere un personaggio come Vossignoria. Basta, io non c'entro… Che cosa dicevo, Piccione?

– Dicevi che se tutti fossero…

– Ah si, mi ricordo; volevo dirti che se tutti fossero come il signor avvocato, noi perderemmo il nostro pane, perchè non ci sarebbe nulla da fare nel nostro mestiere. —

E accompagnate queste parole con un inchino, il Negri si congedò dall'avvocato Fenoglio, pregandolo, scongiurandolo da capo a condonar loro la molestia che gli avevano involontariamente recata.

 

Così finì quella scena, che poteva avere ben altre conseguenze per uno dei due personaggi rimasti. Fenoglio accompagnò i due sergenti fino all'uscio di casa, e questa volta lo chiuse egli, colla debita attenzione, anzi con due mandate di chiave.

Quindi tornò nel salotto, dov'era rimasta la sconosciuta, e, giunto sul limitare, si fermò, sporgendo il capo verso di lei, in aria d'un maiuscolo punto interrogativo.