Za darmo

Una notte bizzarra

Tekst
0
Recenzje
iOSAndroidWindows Phone
Gdzie wysłać link do aplikacji?
Nie zamykaj tego okna, dopóki nie wprowadzisz kodu na urządzeniu mobilnym
Ponów próbęLink został wysłany

Na prośbę właściciela praw autorskich ta książka nie jest dostępna do pobrania jako plik.

Można ją jednak przeczytać w naszych aplikacjach mobilnych (nawet bez połączenia z internetem) oraz online w witrynie LitRes.

Oznacz jako przeczytane
Czcionka:Mniejsze АаWiększe Aa

– È giusto, vedi che bestia! Or dunque, mia cugina, la vedova, è una crudele quanto adorata beltà, e quando io le parlo di amore, ella si mette a ridere. Io le accenno cori, ed ella mi risponde picche.

– Che c'entro io nel vostro tresette?

– Tu puoi venire da lei; le ho già parlato di te, come d'uomo a modo, rispettabile, assennato…

– Ti par proprio ch'io sia tutto ciò; Felicino?

– Io ti presento a lei, – proseguì, senza turbarsi, Magnasco, – e tu perori la mia causa; non subito, ci s'intende, ma a poco a poco, con delicate entrature… mi capisci? Colla tua parlantina di Cicerone, puoi essermi molto utile. Le fai vedere che buon partito sarebbe per lei sposare un giovane par mio, gentile di modi, dolce di umore, e molto avveduto in materia d'interessi…

– E ti par proprio d'essere tutto ciò, Felicino? – chiese Roberto

Fenoglio.

Felicino anche qui fece orecchie da mercante, e tirò innanzi nella sua orazione.

– Mia cugina è ricca, e il suo fattore la deruba a man salva, la spoglia…

– Ah! codesto gli è grave! – interruppe Fenoglio, – spogliarla eziandio? Questo è un cumulare gli uffici di fattore e di cameriera, e capisco che, se la cugina è bella, siccome m'hai detto, ti spiacerà maledettamente che altri faccia questo uffizio presso di lei. Ah, ah, che te ne pare di questo?

– È stiracchiato più degli altri; – rispose Felicino. – Ma dunque, vuoi rendermi questo servigio?

– Ci stavo appunto pensando. Tu vuoi far di me una specie di Barbiere di Siviglia…

– Potresti supporre che…?

– Altro che supporre! lo credo, lo vedo; ma non importa. Se pensi che i miei talenti oratorî possano giovarti presso di lei… Ah, Felicino! io ero nato per essere oratore! Basta, ti servirò; tu mi hai dato il tuo specifico contro la noia, io ti son debitore del ricambio… se pur lo sarà! A che ora si va da lei?

– Sul mezzogiorno; ella è mattiniera come una allodola. Io dunque verrò da te alle dieci: ti vesti, andiamo ad asciolvere insieme, e poi, a piccoli passi, verso il tempio della diva. Addio, dunque, e rammenta i miei consigli…

– Abbandonarsi all'ignoto… – disse Fenoglio.

– Sicuro; – soggiunse Magnasco, – lasciare operare il caso…

– E ragionar co' piedi; – conchiuse l'altro. – Non dubitare, Felicino, ti imiterò fedelmente, servilmente, e comincierò a ragionare in tal guisa, facendo il tuo elogio alla bella cugina.

– Se' arguto, per un mandarino!

– A-ing-fo-hi!– rispose con piglio di umiltà reverente Roberto Fenoglio, —A-ing-fo-hi.

– Che in cinese significa…

– Amico, te ne ringrazio di cuore.

– La si tira per tutti i versi, quella tua frase…

– Ah, che vuoi? la è una delle prerogative della lingua cinese. —

E così, giostrando a sciocchezze, si separarono.

– Stattene a tuo bell'agio sdraiato, – disse Felicino a Roberto, che voleva alzarsi per accompagnarlo in anticamera: – conosco la strada; tirerò l'uscio dietro di me.

– Fiat voluntas tua!– rispose Roberto, a cui in quell'ora la posizione orizzontale era dolce come a Magnasco il pensiero di sposar sua cugina, o, per dir meglio, le sue cinquecento mila lire.

Alle quali cose pensando, e al soccorso che gli avrebbe prestato

Fenoglio contro la ostinata resistenza della cuginesca cittadella,

Magnasco se ne andò col cuore contento e il piè leggiero.

E andandosene, trasse l'uscio dietro a sè, siccome aveva detto a Fenoglio; ma non badò punto a sincerarsi se la stanghetta della toppa a sdrucciolo, che chiudeva la porta del suo amico, avesse battuto nell'orlo della bocchetta, per modo da cacciarvisi dentro e chiuder davvero.

Oh dio Caso, eccone delle tue!

II

Roberto Fenoglio, come vi ho detto, era rimasto sdraiato sul suo canapè; un soffice canapè foderato di velluto, dal quale io, se ci fossi stato, non mi sarei mosso neanco per andare a nozze, e metto pegno non vi sareste mosso voi, cortese lettore, neanco per mandare a comperare il libro che mi dà modo di ragionare con voi.

L'annoiato mandarino stava fantasticando, tra la veglia e il sonno, intorno ai consigli di Felice Magnasco.

– Vedete mo che ingegno ha quel capo ameno di Felicino! Egli è giunto a sciogliere un problema, pel quale io mi vo beccando da dodici anni il cervello. Abbandonarsi all'ignoto, lasciar operare il dio Caso, ragionare co' piedi, equivale a sfuggire il tran tran della vita. L'equazione è perfetta, e un matematico non ci troverebbe nulla a ridire. Applichiamola dunque!.. E prima di tutto, che cosa farò io tra dieci minuti? che bestia! cominciavo a ragionare! non debbo, non voglio sapere, che cosa farò tra dieci minuti… Auf! che sonno! andiamo a dormire; sarà la miglior cosa che io possa fare. Felicino dovrà tornare stamane per condurmi dalla sua bella cugina, e non posso andare da lei morto dal sonno. E da capo! No, io non debbo andare a dormire; la è cosa troppo usuale; io ricasco nella consuetudine, e questa io debbo sfuggirla ad ogni costo. Eccomi qui, su questo canapè… Ci sono a caso… Chi ardirebbe asserire che io non ci sono per mero caso? Che cosa mi accadrà egli di nuovo su questo canapè? L'ardua sentenza ai posteri. Che sonno! andrei volontieri a letto… Ma via, Fenoglio, non lasciarti così vilmente sopraffare dalla ragione! Si direbbe che hai paura dell'ignoto. Chi è questo signor ignoto?.. È brutto o bello? E la cugina di Felice, è bella davvero come ei la dipinge? O non l'ama piuttosto per le sue ricchezze? Già, volere o non volere, il denaro si ficca sempre dappertutto. Diciamo di no; sacramentiamo che non è vero; ma la ricchezza comanda agli occhi del nostro corpo, come a quelli della nostra ragione… Ma chi sa? potrebbe anco esser bella, questa cugina!..

Lettrici e lettori, io vi fo grazia di tutte le altre considerazioni scucite del mio protagonista. La pigrizia, più assai de' consigli dell'amico, lo aveva tenuto sul canapè, dove, pochi minuti dopo, egli era rimasto assopito.

Non vi giurerei che le copiose libazioni dello sciampagna spumante non c'entrassero anch'esse per una larga porzione. Roberto Fenoglio era uomo che non disprezzava punto il bicchiere, e quella notte, poi, in mezzo ad una brigata di capi scarichi e di gaie alunne di Tersicore, egli aveva pensato a dare il buon esempio, bevendo allegramente per quattro.

Dormi, Fenoglio; dormi, mandarino annoiato; il tuo sonno non vuole durar molto.

Imperocchè, voi già lo avete indovinato, belle lettrici e lettori cortesi, io non lo lascierò solo sul suo canapè, e non prolungherò la scena muta oltre i confini della vostra pazienza.

Venite con me verso l'uscio di casa. Non udite su per le scale un muover di passi frettolosi e leggieri? Non abbiate timore di ladri; insieme co' passi, s'ode il fruscìo di una veste di seta.

Chi è questa donna che sale, o, per dir meglio, che vola, sfiorando appena del piede e del lembo della sua veste gli scalini, e si ferma, si rannicchia spaurita, tremante, ansante, sul pianerottolo, vicino all'uscio semichiuso di Roberto Fenoglio?

Aspettate, e lo saprete. La bella incognita (imperocchè essa è bella, ed io già lo so, quantunque siamo tuttavia al buio), la bella incognita, dico, rattiene colassù la sua corsa, e raccolte intorno a sè le larghe pieghe del suo accappatoio di seta, tende l'orecchio per cogliere ogni più lieve rumore che possa giungere dal basso. Non ode nulla, e le si allarga il cuore; perciò, fattasi più animosa, si attenta di sporgere il capo sulla ringhiera… Ma ohimè! Appunto allora comincia ad udirsi giù in fondo alle scale uno stropiccìo di piedi, quindi un rumore confuso a cui tien dietro lo scoppiettìo di un zolfanello strofinato su d'una ruvida superficie, e un raggio di luce balena dal pozzo della scala.

La povera bella si rannicchia da capo nel suo angolo, ma non istà ferma al suo posto neppure un minuto secondo.

– Dio mio! come fare? – ella mormora tra sè, – dove potrò salvarmi! —

Tremante, confusa, ella si avanza a tentoni, brancicando verso la parete, come per cercare le imposte di un uscio; che certo ha da trovarsi su quel pianerottolo. Ella suonerà, domanderà soccorso… ma giungeranno in tempo ad aprirle? Chi sa? intanto ella va cercando colle mani il vano di quest'uscio e la corda del campanello, ma senza pro. La sua manina leggiadra (io lo so, quantunque siamo al buio, e la conoscerei tra mille), la sua manina leggiadra, dico, erra un tratto nel vuoto, quindi urta in uno dei battenti dell'uscio; ed oh maraviglia! il battente si apre da sè, e il pianerottolo si rischiara d'un subito, all'interna luce dell'anticamera di Roberto Fenoglio.

Benéfici effetti della trascuratezza di Felicino Magnasco, che non aveva badato a far scorrere la stanghetta della toppa a sdrucciolo nella sua rispettiva bocchetta! Oh caso, caso! E i filosofi verranno poi a sostenere che esso non è l'ordinatore, anzi l'azzeccagarbugli delle umane vicende?

La povera bella fu, sulle prime, come sbigottita da quello aprirsi improvviso dell'uscio, al semplice tocco delle sue dita. Quel quartierino aperto, e in apparenza deserto, le metteva paura. Tremò tutta dal capo alle piante, e si ritrasse fin presso la ringhiera. Ma di là tornava ad udire il rumore dei passi, e al rumore dei passi si mescolava il discorso di due persone che salivano, del qual discorso giunse fino a lei spiccatamente una frase: andiamo su, ella non ci sfugge di certo. E allora la poverina si fece animo, guardò in alto come per chieder protezione dal Cielo innanzi di commettersi nell'antro ignoto di quel quartierino, che si schiudeva luminoso a' suoi occhi, e si buttò perduta nell'anticamera. La sala era deserta; imperocchè l'unico servitore di genere mascolino che fosse in quella casa, trattandosi di una festa un tal po' scapigliata, aveva avuto licenza di andarsene a letto dopo l'ultima versata di sciampagna, e la licenza gli era paruta un comando. La bella sconosciuta non ardì nemmeno richiuder l'uscio; chè le sembrava di cadere di Scilla in Cariddi, e non voleva precludersi la ritirata da un male peggiore. Si inoltrò guardinga fino ad una portiera di seta azzurra; stette incerta un tratto, quindi si provò a sollevarla dolcemente, sporse la sua testolina nel vano, e le si parò davanti agli occhi lo spettacolo del mandarino dormente.

 

– Ah? Che vuol dir ciò? – chiese tra sè, con atto di meraviglia, la sconosciuta visitatrice. Di maraviglia, notate, non di paura!

Un uomo che dorme non fa paura ad una donna. Giaele, Giuditta, e tante altre donne famose di quella risma, ne fanno testimonianza non dubbia. La nostra sconosciuta, che non aveva nè chiodi di configger nelle tempia a Sisara, nè testa da troncare ad Oloferne, e che però ci aveva la coscienza tranquilla, dopo quel primo atto di meraviglia, compose le labbra ad un sorriso; un bel sorriso, in fede mia, e che illeggiadriva di molto le sue bellissime labbra.

Essa era bella, mio candido lettore, bella quasi come voi, mia adorata lettrice. Qui, poichè siamo alla luce dei doppieri (parlo in poesia, ma in umile prosa bisognerebbe dire di una lucerna Carcel), cadrebbe in acconcio uno scampolo di descrizione della sua ammirabile bellezza. Ma siccome non ho tempo da perdere, lascio che ve ne formiate voi un concetto colla fervida immaginazione, mio candido lettore, e che ve la raffiguriate voi, guardandovi nello specchio, mia adorata lettrice.

– Un cinese? – pensò la sconosciuta, guardando Fenoglio. – O dove diamine son capitata? E nessun altro in questa casa… non una donna a cui volgermi… E quei due che salgono le scale!.. Dio mio che faccie sinistre! E come mi correvano dietro! Ah! essi sono già qui, sul pianerottolo… urtano nell'uscio… Ma io non l'ho chiuso, non l'ho chiuso! E come fare adesso? Signore! signore! —

Ma sì, chiamalo, Roberto Fenoglio aveva legato l'asino a buona caviglia, e non dava segno di volersi svegliare.

Ella ripetè, collo stesso tono di voce sommessa con cui aveva cominciato a chiamarlo: signore! signore!

– A-ing-fo-hi!– borbottò nel sonno il bravo mandarino Fenoglio.

Cotesto non era rispondere, siccome ognun vede. La povera bella, sgomentata dal rumore che si faceva sul pianerottolo, ebbe ricorso ad uno stratagemma simile a quello del fagiano quando tenta di nascondersi agli occhi del cacciatore, ficcando la testa sotto un'ala; buttò l'accappatoio sotto una poltrona, che stava di fianco al canapè del mandarino, e si lasciò cadere su quella poltrona, rimanendovi supina in atto di donna dormente.

– Ohè, Piccione! una porta aperta…

– Vedo bene; la sarà entrata qua dentro, la fuggitiva.

– Impossibile! Avrebbe badato a chiudere l'uscio dietro di sè. Qui c'è un altro negozio… un furto consumato…

– Ragione di più per entrare!

– Sicuro, entriamo!