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Santa Cecilia

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XIX

Da quel giorno in poi, Calisto non mi scrisse più verbo; nè di lui ebbi nuova più oltre, salvo che egli doveva trovarsi in male acque, poichè un anno dopo il podere del Castagneto era stato venduto.

Al castello si menava sempre la stessa vita monotona. Il conte Emanuele usciva di rado, e non si faceva vedere che alla domenica nel paesello, dove la sua aria grave e lo sguardo accigliato lo avrebbero fatto sembrare uno spauracchio da bambini, se non fosse stato conosciuto da tutti per quel degno gentiluomo che era. Il vecchio Giovanni che lo seguiva, era anche lui duro come un piuolo, ed era inoltre diventato severo e muto come una tomba.

Appena giunse l'estate, la marchesa di Cardiana venne col marito a dimorare nel castello.

Era molto mutata da quella contessina Cecilia che avevamo conosciuta un anno prima. Il volto aveva sereno, ma pallido, e una cert'aria pensierosa e il tardo muovere degli occhi, che usava tener quasi sempre socchiusi in atto di chi si raccoglie nelle sue interne meditazioni, davano a credere che su quel biondo capo si fossero addensate già molte procelle.

Io non so se sia vero del tutto; ma pare a me che le persone, le quali hanno patito, s'abbia a conoscerle a prima giunta. Stanno bene come voi; sono in carne come voi, sorridono come voi, nel giro di una amichevole e gaia conversazione; ma un nonnulla sul loro viso, un certo modo di volgere gli occhi senza guardar nulla, una grinza leggera e quasi invisibile, vi mutano a un tratto quella figura. Avete dinanzi agli occhi lo stesso volto, ma non è più la medesima fisonomia.

La grand'arte dei valenti pittori sta nel saperli cogliere, questi momenti, e di lumeggiarne la testa con un semplice tocco di pennello. I grami, i dozzinali, non badano a questi gravissimi nonnulla, e vi fanno un ritratto nel quale ci sono tutti i lineamenti, spesso fedelmente copiati, ma guasti da quelle smorfie ed atteggiamenti d'uso che arieggiano la fotografia.

Questa sì davvero è l'ultima ragione dell'arte. Vi riproduce con quella materiale fedeltà, che io direi piuttosto infedele, di un dato momento, dopo avervi composte le membra e comandato il piglio che sembri più acconcio. Cerca di farvi più bello e non vi fa più vero; perciò vediamo persone gravi per natura, le quali sorridono sulla cartolina come altrettanti babbei, stolidi che vi assumono un'aria di malinconia soave da innamorare i sassi.

Poichè sono venuto a parlare della fotografia, lasciatemi dire una cosa, la quale a voi, che volete darvi allo scrivere dei costumi del tempo nostro, non tornerà forse inutile del tutto. Voi vedrete, anzi non vedrete nulla, ma lo vedranno i nostri nepoti, che il tipo della società civile del secolo nostro andrà sepolto insieme con noi. E mi spiego.

Qual è ai dì nostri la casa che non abbia i suoi vecchi ritratti a olio, siano eredità di famiglia, o compere fatte dal rigattiere? Sono gravi magistrati con la zazzera lunga e pendente in ordinati cincinni sulle spalle; guerrieri con la corazza di acciaio, le brache di raso e gli stivaloni di marocchino giallo; gentildonne incipriate con un fiorellino tra le dita; professori con l'abito nero tagliato a coda di rondine, i ciondoli al panciotto e una lettera in mano colla sua brava soprascritta in mostra; tutta gente di cui non sapete il più delle volte neanche il nome, ma che siete avvezzo a vedere, e che vi rappresentano il tipo di uno o due secoli fa; riscontro utilissimo di una generazione con l'altra.

A que' tempi ogni famiglia aveva i suoi ritratti e passavano all'erede insieme col rispettivo gruzzolo di doppie. La moneta si spendeva, ma le vecchie e venerande figure restavano; correvano di casa in casa, passavano per mille vicende fortunose, ma restavano.

Oggi, che cosa c'è in ricambio? La fugace fotografia, merce da albo, che costa poco e dura anche meno. I grand'uomini, poi, sono tutti in litografia. Io li vorrei aspettar tutti fra cent'anni, e vedere che cosa rimarrà, quale ricordo efficace della nostra generazione e del suo tipo particolare. Passeremo come tante ombre; i futuri si ricorderanno dei nostri vecchi, i quali affidavano la loro immagine alla tela, non già di noi. E sarà forse il meglio!

La marchesa di Cardiana aveva portato alla dimora paterna il suo ritratto, magnifica opera di un francese, certo Delaroche; il quale doveva essere un pittore de' buoni, poichè nel suo dipinto ci si vedevano tutte quelle cose che generalmente non intendono i dozzinali dei quali vi ho detto. La rassomiglianza della giovane Cecilia col ritratto della contessa Giulia s'era fatta più spiccata, dopo il suo matrimonio, e il quadro del francese le aveva dato la stessa malinconia dello sguardo, lo stesso atteggiamento sereno e severo che si notavano nel vecchio dipinto dell'antenata.

Il nuovo quadro fu appeso nel salone, a riscontro col vecchio, e la giovine e l'antica castellana di Villa Cervia parevano due sorelle; argomento di continua ammirazione e di lunghe estasi per il vecchio Giovanni, che amava tanto la sua nobile padroncina.

La marchesa non usciva quasi mai, e nelle sue rare passeggiate non si dilungava mai dal castello. In paese non si lasciava vedere che le domeniche alla messa. Il marito in quella vece era sempre attorno, e quasi ogni giorno alla caccia, accompagnato da molti terrazzani, perchè i dintorni non erano molto sicuri, a cagione di una banda di malandrini, comparsa fin dall'inverno su quelle montagne.

Costoro erano renitenti alla leva e gente perduta, che dopo essere sguisciati dalle branche della giustizia si davano alla macchia. Li comandava allora un certo furfante detto il Bruno, che aveva ucciso padre e madre, ferocissimo uomo, come potete argomentare.

I carabinieri, sebbene vi si mettessero con le mani e coi piedi, non erano anche venuti a capo di snidarli. Erano avvisati che il Bruno s'avesse a trovare in un casale; correvano, e vattel'a pesca, il Bruno non c'era; alla dimane risapevano di un malefizio perpetrato quindici miglia discosto. Oggi era un povero carrettiere spogliato delle sue doppie; domani una casa messa a sacco; un altro giorno una donna rubata alla sua famiglia, e giù di questo passo.

Nei pressi del nostro paesello la banda aveva fatto poche comparse; ma il Bruno era venuto a ronzarvi, per pigliar lingua, ed aveva perfino trincato coi tutori dell'ordine pubblico, i quali lo avevano tolto in cambio di un rispettabile mercante di maiali che andasse alla fiera.

Il castello di Villa Cervia, sebbene un po' fuori di mano, non aveva molto a temere dalle imprese di que' galantuomini. Alteramente bastionato sui due lati, non aveva alle spalle che una ripida costiera piantata di roveri, su per la quale uno poteva inerpicarsi benissimo, ma senza trovare una finestra, un buco, intorno a cui lavorar di piccone. La piazzetta non sarebbe stata neppur essa un luogo acconcio ai tentativi di quei ribaldi, imperocchè il portone e l'uscio della cappella erano rivestiti di ferro; e nel castello dimoravano sempre otto o dieci persone.

– Vengano pure! – diceva il conte Emanuele, che si ricordava d'essere stato colonnello di cavalleria. – Vengano pure e sentiranno che musica! – Ma i malandrini non tennero l'invito, e dopo parecchi mesi di ciarle sul conto loro, non se ne fece più motto.

Gli sposi tornarono nel novembre a Torino, dove stettero a passare l'inverno; ma nella primavera una delle solite malattie del conte Emanuele li richiamò al castello. Cecilia per affetto di figlia, il marito per la formalità delle costumanze domestiche. Nei primi giorni di estate il vecchio potè dirsi risanato; ma stava ancora male in gambe, e non usciva che sulla piazzetta una volta al giorno. Il Cardiana invece era sempre a caccia in quei dintorni, dove pareva che avesse trovato selvaggina confacente ai suoi gusti svariati.

Di questo modo gli sposi vivevano assai poco insieme; anzi notavasi una certa freddezza tra loro, la quale agli ignari poteva parer sussiego e cerimoniale aristocratico, che s'inframmette perfino nelle relazioni matrimoniali. Aveva il Cardiana saputo forse dell'amore di Calisto? Mostrerei di non conoscere gli accorgimenti del buon narratore, se vi dicessi fin d'ora sì, o no.

Cionondimeno, un tal poco di gelosia ci doveva essere sicuramente, di quella gelosia senza ragione che nasce sovente nel cuore dei mariti, i quali hanno molte scappatelle da farsi condonare, e tanto più sono ingiusti quanto più essi medesimi hanno peccato.

Ho più tardi saputo che a Parigi il signor marchesino non era stato molto esemplare nei suoi diportamenti. Di sovente lasciava la moglie sola, per correre attorno con certe sconcie femmine, di cui quella città abbonda, eleganti sirene per le quali ci vorrebbe altro che la cera negli orecchi. La marchesa Cecilia non se ne dolse mai; si dava tutta alla lettura, e quando aveva aspettato un pezzo, se ne andava nella sua camera a coricarsi. E neppure ne aveva scritto al padre: chè forse in cuor suo era contenta di ciò.

Ma torniamo alla Villa Cervia. Un bel giorno, mentre la famiglia era raccolta nel salone, uno dei servi venne a dire al conte Emanuele che da parecchie notti vedeva avvicinarsi al castello un uomo di apparenza sospetta. Fattosi una notte a caso presso il balcone della sua camera che guardava sulla costiera, aveva udito uno strepito come di sassi che ruzzolavano per la china, e, messo fuori il capo a guardare, aveva veduto al chiaror della luna un uomo che saliva su per l'erta, aiutandosi con le mani. Costui, come fu giunto a piè del muro, si fermò e stette un pezzo a guardare in alto; la qual cosa, a parere del servo che lo spiava, significava che l'ignoto studiasse i luoghi, con qualche perverso disegno. Egli non aveva voluto dir nulla, per non destare inutili timori; ma la cosa si era ripetuta le notti seguenti, epperò egli aveva risoluto di parlarne al conte, come infatti faceva in quel punto.

 

All'udire il racconto del servitore, il conte Emanuele corse subito con la mente ai malandrini che infestavano i dintorni, e comandò si tornasse all'antica vigilanza, che si chiudesse per bene ogni porta ed ogni finestra; al resto avrebbe provveduto egli.

Il marchese di Cardiana non disse nulla; soltanto si contentò di chiedere a che ora della notte venisse l'ignoto, e avutone in risposta che egli capitava sempre intorno al tocco dopo la mezzanotte, non aggiunse più altro.

Poco dopo si diede in tavola, e in quella che il conte stava parlando dei malandrini e del notturno visitatore col parroco don Bernardo, il Cardiana bisbigliò alla moglie che gli era seduta accanto:

– Credete, signora, a tutta questa necessità di precauzioni ed apparecchi di difesa?

– Io? – rispose meravigliata Cecilia. – Che ho da pensarne io? e perchè mi chiedete cotesto?

– Perchè un uomo, – soggiunse il marito, – che viene tutte le notti quassù, da quel lato ove guarda appunto una certa camera che so dir io, mi ha più l'aria di un innamorato che di un ladro. —

La marchesa guardò suo marito con piglio severo, poi chinò gli occhi e non rispose più altro.

– Ma lo scoverò ben io, questo ladro, o innamorato che sia! – aggiunse il Cardiana, parlando sempre sommesso, e coi denti stretti. E ciò detto, anch'egli si tacque.

Giovanni, che stava ad una rispettosa distanza, dietro la sedia della sua venerata padroncina, udì questo breve dialogo, il quale diceva pure tante cose, e tante altre ne spiegava, intorno alle quali il povero servitore da lunga pezza si stillava il cervello.

Egli infatti aveva notato la freddezza del marchese rispetto alla signora, la tranquilla noncuranza di lei quando egli era presente, la sua mestizia consueta, e sopra tutto la pallidezza del suo viso. Nè vuolsi dimenticare che Giovanni sapeva altre cose del passato, di quel tempo avventuroso in cui gli era parso di trapelare una certa simpatia della giovinetta per il bello e malinconico signorino del Castagneto.

Aiutato da quella acutezza di veduta che dà a certa gente l'affetto, il vecchio servitore intese issofatto che c'era un guaio là sotto e che egli doveva vegliare; che il marchese di Cardiana sarebbe uscito quella notte medesima e che egli doveva seguirlo.

Il suo conto fu presto fatto. Alle undici del pomeriggio egli non s'era per anche coricato, e girandolava nel cortile. Il marchese di Cardiana non stette molto a scendere dal suo appartamento, vestito di tutto punto, con due pistole alla cintola e il suo consueto scudiscio nel pugno.

Parve meravigliarsi della presenza di Giovanni a piè delle scale, e gli chiese che cosa facesse.

– Veglio, signor marchese. Il discorso di quest'oggi mi ha messo in pensiero. Anche lei (scusi, illustrissimo) si dà questo fastidio?..

– Oh no! io debbo uscire. Aprimi il portone, poichè ti trovo qui, e dammi la chiave. Riaprirò io stesso, ritornando. —

Il buon famiglio obbedì, senza parlare, poichè a lui pure premeva molto di uscire. Quando il Cardiana fu partito, egli fece la mostra di chiudere il portone e lo riaperse tosto. Dopo alcuni minuti anch'egli era fuori, e in quella che il marchese aveva voltato a destra, egli voltò a sinistra, rasentando il bastione, per andare sulla costiera, alle spalle del castello.

XX

Giovanni, tuttochè ci avesse i suoi sessanta suonati, era uomo di tempra gagliarda e d'animo prode, come quegli che si ricordava anco lui d'essere stato soldato, sotto il comando del conte Emanuele. Perciò quella gita notturna incontro ad un ignoto pericolo non gli metteva paura, sebbene egli fosse inerme. D'altra parte le mezze parole del Cardiana alla moglie erano penetrate nell'animo del vecchio servitore come una meteora luminosa nel buio della notte, e gli davano ben altro a considerare che il rischio della vita.

Andò rasente al bastione, e, come fu giunto presso al torrione che era nel fondo e formava uno degli angoli di quell'edifizio quadrato, cominciò a salire con passo guardingo la costiera dei roveri, la quale girava alle spalle del castello, appigliandosi ad ogni albero, ad ogni cespuglio che gli venisse sotto le mani.

Gli alti muraglioni, interrompendo i raggi della luna, gittavano una grand'ombra su quella boscaglia, e a lui davano agio d'inoltrarsi senza tema di essere veduto. Ma come giunse a pari del lato posteriore dell'edifizio, gli convenne andare più lento e curvo della persona, perchè la costiera era tutta rischiarata e soltanto quegli alberelli lo potevano nascondere un tratto.

Dove il rovereto cominciava a diradarsi, Giovanni si fermò addirittura e stette ad origliare; ma senza che gli venisse fatto di udire il più lieve rumore. Dov'era il Cardiana? Certamente egli era appostato dall'altra banda, guardingo ed attento al pari di lui, sebbene con altri propositi.

Giovanni non si muoveva, non fiatava nemmeno, pari ad una di quelle sentinelle morte che stanno all'avamposto, di rincontro al nemico.

Forse mezz'ora era durato quell'aspettare, quando gli parve di sentir muovere le frasche e quel noto strepito di rami che si piegano al passare di un uomo, o di un animale fra mezzo a loro.

Tese allora lo sguardo e l'orecchio. Un uomo appunto saliva per la costiera, poco lontano da lui.

L'ignoto, che teneva una via diagonale su per l'erta, non si addiede della presenza di Giovanni, il quale per altro s'era vieppiù fatto piccino nell'ombra di un cespuglio, e lo stava guardando, ma senza poter conoscere i lineamenti del suo viso, che non guardava in alto, ed era per giunta ombreggiato dalla falda di un largo cappello tra il contadinesco e il cittadino.

Quando fu giunto a piè del muro, lo sconosciuto si fermò, e, appoggiata la persona al tronco di un albero, stette a guardare in alto, verso il torrione di destra, cioè dalla parte opposta a quella dov'era il vecchio famiglio.

In quella parte del muro, sulla quale teneva fisi gli occhi lo sconosciuto, si apriva una finestra della camera della marchesa Cecilia. Era la camera nella quale aveva vissuto fanciulla, e che ella amava tenere per sè; e mentre quella del marito guardava a mezzogiorno, la sua, che veniva dopo altre due o tre stanze, era appunto sull'angolo, ed aveva una finestra a mezzogiorno, l'altra alle spalle del castello a ponente.

Pareva che l'ignoto sapesse benissimo queste cose, poichè era quello il termine e lo scopo della sua faticosa passeggiata notturna. Il silenzio era perfetto per la campagna, e non si udiva che un lieve stormir di fronde allo spirar della brezza e il monotono canto del grillo, nascosto fra l'eriche della collina.

Questa scena muta durò un bel tratto.

– Che fa il marchese di Cardiana? – pensava intanto il servitore. – E come va che non esce dal suo nascondiglio? —

Ma il Cardiana non era uscito ancora per le sue buone ragioni. Egli aspettava, per vedere se la finestra così attentamente guardata dallo sconosciuto si aprisse. Ma la sua aspettazione non ebbe frutto, e ben se ne avvide, al muoversi che fece quell'altro, per ritornarsene in giù. Allora sbucò fuori da un cespuglio, per contendergli il passo.

Giovanni, dal luogo dove stava rannicchiato, vide quell'atto repentino e tremò tutto quanto, sebbene immaginasse che quello era il Cardiana, e ne aspettasse la comparsa. Ma egli è pur noto che i più animosi non sanno custodirsi da un certo sgomento, allorchè sotto i loro occhi incomincia una lotta.

– Che fate voi qui? – gridò il marchese, balzando al cospetto dello sconosciuto, con lo scudiscio nel pugno e l'altra mano alla cintola.

L'altro si fermò, e diede addietro col capo, in atto di meraviglia; indi, dopo una breve pausa, rispose:

– Quel che mi pare. La campagna è libera per tutti, mi sembra.

– No; – soggiunse il marchese; – voi siete in casa mia.

– Lo dite troppo presto, signor marchese Alberto di Cardiana. Aspettate almeno che il conte Emanuele sia morto.

– Egli è mio suocero; dovete saperlo; e se egli fosse qui, come ci sono io, non farebbe diverso da quello che io faccio, e scaccerebbe il signor Calisto Caselli dalla sua terra.

– Lo credo, lo credo. Ed io me ne andrei via sollecito, se non avessi l'uso di non andarmene mai da un luogo, nel quale mi si parla con quel piglio arrogante che voi, signor marchese, adoperate con me. —

Dopo queste parole si fece un po' di silenzio, durante il quale stettero ambidue a guardarsi, combattuti dallo sdegno che minacciava prorompere.

Il marchese di Cardiana fu allora il primo a parlare.

– Che fate voi qui? Che cosa volete? Tutte le notti vi si vede quassù, intento a guardare quella finestra, ostinato, importuno, come eravate a Parigi. Credete forse che io non vi abbia veduto, colà, ronzar di continuo intorno alla mia abitazione, seguire i nostri passi, per cercar sempre gli sguardi della donna che porta il mio nome, nelle passeggiate, ai teatri, da per tutto? Se io non ho potuto farvi pentire allora della vostra audacia, perchè temevo lo scandalo, vi pensate forse che io vi abbia concessa la impunità? Qui siete in casa mia, e state spiando quella finestra. Aspettavate che la dama dei vostri pensieri si affacciasse al davanzale, per gittarle un fiore o bisbigliarle una dolce promessa?

– Badate, signor marchese! – gli rispose con piglio severo il Caselli. – Voi calunniate la donna che porta il vostro nome. Siete un codardo.

– Bravo! – disse in cuor suo il vecchio Giovanni, a quella difesa eloquente della sua padroncina.

Ma la sua gioia ebbe poca durata. Appunto a quelle parole, lo scudiscio del marchese di Cardiana aveva fischiato per aria ed era andato con impeto a percuotere il viso di Calisto.

V'ebbe allora un istante in cui Giovanni credette che que' due uomini si sarebbero avventati l'uno sull'altro con la rabbiosa furia di due belve sdegnate.

E infatti Calisto aveva alzato le mani e preso lo slancio; ma si rattenne, sebbene a stento, e, con voce da cui trapelava il più fiero corruccio, disse al suo nemico:

– Marchese! Credevo che i pari vostri non adoperassero lo scudiscio, se non per stimolare le loro cavalcature, e per i galantuomini avessero il coraggio di riserbare la punta di una spada, o la canna di una pistola.

– Non dico di no, – rispose l'altro con alterigia. – Io non mando cartelli di sfida che ai miei pari; gli insolenti di più bassa levatura uso castigarli a questo modo. Ma se volete sapere di più, eccovi servito. Io vado quasi ogni mattina a caccia. Domani, per esempio, esco sull'alba, e passo co' miei cacciatori da quella parte là, verso la Scogliera. È un bel luogo; e c'è appunto un rialzo di terreno dove mancano affatto gli alberi, e da dove io sto quasi sempre a contemplare il nascere del sole, mentre la comitiva mi precede nei boschi. Ho sempre, come ora, le mie pistole alla cintola; e se c'è qualcuno a cui piaccia di assaggiarne…

– Basta, basta! – interruppe Calisto. – Ci sarò; non dubitate; e sarà l'ultima levata di sole che io vi lascerò contemplare. —

Con queste parole ebbe fine il dialogo. Il marchese di Cardiana diede una crollata di spalle alla minaccia del suo nemico, e si allontanò da quella parte dond'era venuto; Calisto, a sua volta, si fece con passo misurato a discendere la costiera.

Anche Giovanni aveva pensato a togliersi dal suo nascondiglio e tornarsene al castello; ma vedendo Calisto così vicino a sè, non seppe resistere al desiderio di parlare col signorino; epperò tenne un sentieruolo, per cui s'andava ad incontrarlo in un tal punto, dove il Cardiana, anco se fosse rimasto al suo posto sull'alto, non avrebbe potuto vederli, nè udirli.

Colà giunto, con voce sommessa si fece a chiamarlo per nome. Calisto si volse tra turbato e sdegnoso a quell'improvvisa chiamata, ma tosto riconobbe il vecchio servitore, e allora gli si fe' incontro a sua volta, stendendogli la mano.

– Dio mio! – esclamò Giovanni, in quella che stringeva commosso la mano del giovine. – Che cos'è avvenuto egli mai!

– Tu hai veduto tutto? – gli chiese Calisto.

– Tutto, tutto; veduto ed udito. Oh Dio mio! ed ora Ella si batterà…

– Sì, Giovanni; ma questo è il meno, e non è da pensarci su più che tanto. È uno dei molti fastidi della vita, e piacesse al cielo che fosse anche l'ultimo! Ma dimmi, la contessina che fa?.. —

E qui, senza neppure dar tempo alla risposta, il giovine proseguì sollecito:

– Tu hai bene udito ogni cosa, Giovanni? Io, la contessina Cecilia non l'ho veduta mai più, dal mio viaggio di Parigi in poi; nè più le ho parlato dal giorno di quell'ultimo colloquio che ebbi col conte Emanuele, qui sulla loggia del castello. Però, tu lo vedi; egli, il marito, l'ha calunniata, quella nobilissima tra tutte le creature; l'ha vilmente calunniata.

 

– Oh, lo so, signorino, lo so! – rispose con accento affettuosamente concitato il vecchio servitore di Villa Cervia. – Ella poi fa molto bene a chiamarla sempre la contessina. Neppur io ho potuto mandarlo giù, quel nuovo titolo che è venuto dal suo matrimonio.

– Bravo, Giovanni! Tu dunque ti ricordi di me? Mi ami ancora un poco?

– E come no, signorino? Io non ho mica il cuore fatto come tanti altri, io! Ella ha avuto torto a tornare; lo lasci dire a me, che ho un tantino di esperienza, ha avuto torto. Ma, in fin dei conti, quali torti non hanno scusa dall'amore?

– Grazie, Giovanni. Vedi, non ho saputo resistere. Non ho potuto vincere il desiderio, la necessità di avvicinarmi a questi luoghi, a respirare la medesima aria che ella respira. —

Qui venne una lunga conversazione, sebbene molto scucita, tra i due, in quella che Calisto proseguiva la sua strada. Il vecchio servitore accompagnò Calisto fino al Castagneto, dove que' buoni fittaiuoli avevano dato due delle loro stanzucce al signorino, nel quale essi scorgevano il loro antico padrone. Colà il giovine innamorato aveva raccolte le cose sue, povero, senza speranze, senza un disegno formato per il futuro, e in quella stanzuccia passava le intere giornate, consacrando le notti alle sue tristi passeggiate fino alle spalle del castello, e in tutti quei luoghi che gli ricordassero un saluto, una stretta di mano, un sorriso della donna amata.

Tutte queste cose seppe Giovanni da lui, e, quando lo lasciò, per tornarsene al castello, aveva gli occhi gonfi di lagrime, e andava ripetendo tra sè: povero signorino! povero signorino! E questo fu il pensiero che lo accompagnò fino al giaciglio solitario, quando, entrato per l'uscio della cappella, di cui con provvido consiglio aveva recata seco la chiave, si fu chiuso nella sua cameretta.

Alla dimane non potè ritenersi dal dire ogni cosa alla marchesa Cecilia. Il marito era andato a caccia, annunziando che sarebbe tornato il giorno dopo; e Giovanni, trovatala sola un tratto, le narrò tutto per filo e per segno.

La marchesa Cecilia lo ascoltò con molta attenzione, interrogandolo ad ogni momento su cento particolari; nè per allora disse altro che potesse chiarire a Giovanni quali fossero i disegni che la tenevano sovra pensieri.