Za darmo

Santa Cecilia

Tekst
0
Recenzje
iOSAndroidWindows Phone
Gdzie wysłać link do aplikacji?
Nie zamykaj tego okna, dopóki nie wprowadzisz kodu na urządzeniu mobilnym
Ponów próbęLink został wysłany

Na prośbę właściciela praw autorskich ta książka nie jest dostępna do pobrania jako plik.

Można ją jednak przeczytać w naszych aplikacjach mobilnych (nawet bez połączenia z internetem) oraz online w witrynie LitRes.

Oznacz jako przeczytane
Czcionka:Mniejsze АаWiększe Aa

XXI

L'alba era appena sul rompere, e Calisto era già alla posta sul ripiano della Scogliera.

Il marchese di Cardiana non istette però molto a giungere, dopo aver detto ai cacciatori, ch'erano di brigata con lui, andassero pure innanzi, ed egli li avrebbe raggiunti un quarto d'ora dopo, in un certo punto del bosco.

I due avversari si videro, e appena il Cardiana fu giunto egli pure sul ripiano, ambedue cavarono le pistole, senza scambiare una parola, e nemmeno un saluto.

Cotesto almeno fu argomentato da due persone, le quali salivano in fretta un sentieruolo alle spalle della Scogliera, ed avevano veduto, fin da quando erano alle falde dell'erta, la persona di Calisto spiccare là in cima come un'ombra nello spazio azzurrognolo. I due viandanti mutavano i passi con molta sollecitudine, sperando giungere in tempo lassù.

Da alcuni movimenti di Calisto, si accorsero che l'avversario doveva esser giunto al ritrovo. Raddoppiarono la corsa affannosa; ma in quella che si avvicinavano alla meta, si udì improvvisamente uno sparo. Calisto era rimasto in piedi.

Che cosa era avvenuto? Come furono giunti anch'essi a pari del ripiano, trovarono il Caselli esterrefatto, con lo sguardo fiso, il capo scoperto per il moto convulsivo di una mano che era corsa alla fronte in atto di spavento, e la pistola impugnata dall'altra. Dieci passi più oltre era il marchese di Cardiana, disteso a terra, con la tempia forata.

Pallida, scarmigliata, anelante, la donna (imperocchè voi già avrete inteso che l'uno dei due accorrenti era una donna, e appunto la marchesa Cecilia, accompagnata dal vecchio servitore) giunse accanto al corpo disteso del marito.

– Ah! gridò ella con accento disperato. – Sono giunta ancora troppo tardi. Voi l'avete ucciso!

– Io, signora?.. – rispose Calisto, e stette come uno smemorato a guardarla. Egli non sapeva che dire; il colpo repentino, la caduta dell'avversario, senza che egli neppure avesse montato il grilletto della pistola, e l'improvvisa venuta della marchesa Cecilia, lo avevano sbalordito. Quando si riebbe si avvicinò a lei, e facendole vedere la sua pistola carica:

– Signora marchesa, – soggiunse, – vostro marito mi aveva insultato, e ci eravamo dati la posta quassù, perchè uno di noi due non avesse a tornarne vivo. Ma io, come vedete, non ho neppure sparato il mio colpo…

– Che dite voi mai? —

Ma in quella che Cecilia volgeva questa dimanda a Calisto, fu udito uno strepito di persone accorrenti, e poco stante cinque uomini armati di tutto punto balzarono fuori dai cespugli della macchia vicina. Il primo di costoro era un uomo dal volto truce, il quale rideva sgangheratamente.

Calisto allora riconobbe il Bruno, il capo di masnadieri, e ne pronunziò il nome con dolorosa maraviglia.

– Sì, il Bruno! – rispose il malandrino. – Ah voi non credevate, signor Caselli, di trovarmi da queste parti, e vi dispiacerà che io vi abbia vinto la mano. Ma che volete? Anche noi ci abbiamo le nostre vendette da fare, e, poichè siamo povera gente perseguitata, abbiamo il diritto della precedenza su chicchessia. Sicuro, bella signora, che mi guardate con quell'aria sgomentata, come se io fossi la befana; questo signorino che è qui sforacchiato, mi paga certi suoi amorazzi con Maddalena, una sgualdrina la quale si era dimenticata un tantino della nostra persona, e che noi abbiamo già trattato come si meritava.

– Bruno, – disse Calisto, – io non entro nei fatti vostri con quell'uomo che è morto. Ma voi avete fatto assai male a vendicarvene oggi, poichè si crederà che voi siate stato il mio complice, mentre io in quella vece vi conosco appena per essermi imbattuto qualche volta nelle vostre scorribande notturne.

– No, per Dio! – rispose l'altro, con quel suo feroce sogghigno. – Vi farei troppo onore a lasciar credere che fossimo stati di balla in questo negozio. Eravate uno spiantato a cui non si sarebbe potuto togliere il becco di un quattrino, quando io vi ho veduto per la prima volta. Sapevo dei vostri amori notturni da pipistrello e dei vostri sdegni; vi ho proposto, da buon compare, di aiutarci un tratto in un certo colpetto un po' delicato, lasciando a voi la vostra parte di bottino, quella appunto per cui ronzavate tutte le notti intorno ad una certa rocca munita; voi non vi siete sentito da tanto. E che cosa ne avete guadagnato, dalla vostra dappocaggine? Un colpo di scudiscio sul viso. Oh, io ho veduto anche questo. Il Bruno, già lo sapete, si trova in molti luoghi, dove non lo si aspettava punto; qui verbigrazia! —

Mentre questo dialogo durava tra i due, la marchesa Cecilia, con la fronte china, le braccia prosciolte, rassomigliava alla statua del dolore. Vi hanno di certe donne alle quali per nessuna cosa si scema il pregio della bellezza, anzi appaiono dieci cotanti più belle in quei momenti di scompiglio della persona, nei quali una signora non ama farsi scorgere dalla gente. La marchesa Cecilia, col suo viso pallido, i suoi capelli scomposti, appariva sempre più bella, e tutti que' malandrini la divoravano con gli occhi.

– Signora, – le disse Calisto, poi che il masnadiere ebbe finito, – perdonatemi! Avete udito da quest'uomo a qual partito mi trovassi, e come questo duello fosse necessario. Io, poi, non ho neppur macchiate le mani del sangue di vostro marito; ma so tuttavia di essere come un uomo morto per voi. Il destino ha voluto così, e sia. Concedetemi almeno un'ultima grazia, quella di accompagnarvi fino al castello. —

Il giovane, come avrete già indovinato, parlava a quel modo per far uscire da quelle angustie la marchesa. Ma quello che egli presentiva avvenne; le sue parole fecero ridere da capo il masnadiere.

– Che cosa? – interruppe egli. – E le spoglie del vincitore? Ho studiato umanità, io, e so che i guerrieri dei tempi antichi portavano le spoglie… aiutatemi a dire… le spoglie… basta, non mi ricordo la parola, ma so benissimo la cosa; e queste spoglie fo conto di prenderle. Un giorno vi ho proposto di lasciarle a voi, queste medesime spoglie; non avete voluto, e tanto peggio per voi. —

E così dicendo, si fece innanzi per afferrare la donna, la quale, per un moto istintivo, andò a gittarsi nelle braccia di Calisto, a cui non aveva fino a quel punto rivolto lo sguardo. Ma così avviene in tutti i momenti supremi della vita, che il male maggiore, il più urgente, fa dimenticare il minore, e la giovane sventurata, che non avrebbe più mai guardato in volto, anche amandolo nel profondo del suo cuore, il nemico di suo marito, gli si gettò nelle braccia, chiedendo al nobile affetto del giovane un aiuto contro gli assalti brutali di quella bordaglia.

Calisto avea già tutta considerata la gravità del pericolo, e riconosciuta la necessità di operare gagliardo. Accolse Cecilia e la strinse nel braccio sinistro; poi, senza dir motto, aggiustò la canna della pistola che gli era rimasta tra mani contro il petto del Bruno, e la palla di Calisto trapassò il cuore del masnadiere.

– Ah cane! – gridò egli, e cadde irrigidito.

Ma con la morte di Bruno non era salvata Cecilia. I quattro malandrini che lo accompagnavano saltarono furibondi su Calisto. Giovanni, tuttavia, non istava con le mani alla cintola. Egli aveva già adocchiata la pistola che era accanto al cadavere del Cardiana; afferrarla, e spararla a bruciapelo nel volto del primo malandrino che ardì accostarsi alla sua padroncina, fu un punto solo.

Erano ancora tre gli assalitori, ed armati; eglino soli, a tempestarli di quasi inutili colpi col calcio delle pistole scariche. Fu una lotta terribile e disperata, degna del pennello di Salvator Rosa, se pure è lecito in cosiffatti supremi momenti fermarsi a guardare l'effetto pittoresco di una scena come quella che i primi raggi del sole illuminavano sul ripiano della Scogliera.

– Uccidetemi! – gridò Cecilia a Calisto, con accento supplichevole. – Uccidetemi, anzi che lasciarmi in balìa di costoro. —

Al giovane, quelle sconsolate parole non facevano che accrescere il furore di quella disperata difesa. Il braccio e il petto gli grondavano sangue per i colpi toccati dai coltelli dei tre superstiti; anche Giovanni portava i segni sanguinosi della lotta, ed ambedue, più feroci che mai, rispondevano agli assalti, senza sperare di trarre a salvamento la sventurata Cecilia.

I malandrini, ai quali premeva di avere la donna, non avevano ancora messo mano alle pistole, e continuavano a lavorar di punta, certi che quella resistenza era sul punto di finire. Ma essi avevano fatto i conti senza quella brigata di cacciatori che accompagnavano il marchese di Cardiana, e che, non vedendolo giungere, si erano rifatti sui loro passi per andarlo a cercare. Costoro udirono i colpi di pistola; ma, lontani com'erano, giunsero in tempo appena per guastare il disegno a quei tre ribaldi.

All'improvviso apparire dei cacciatori, questi ultimi dovettero darsi alla fuga, non senza aver dapprima sparate le loro pistole sulla preda che sfuggiva loro di mano.

Guardatevi dalla freccia del Parto fuggente! dicevano gli antichi. L'ultimo colpo dei masnadieri fu per la bellissima donna. Invano, al giungere dei cacciatori, Calisto e Giovanni respirarono, e invano si volsero a consolare la vedova marchesa di Cardiana. Ella pareva svenuta, e così a prima giunta credettero che fosse; ma il sangue, che le gocciava dal seno poco sotto la clavicola, li fece accorti della tristissima verità.

Dirvi qual senso facesse quella vista sull'animo loro, è inutile; chè voi di leggeri argomenterete essere stato un momento di terribile angoscia per ambedue. Sgomentati, immemori delle loro ferite, si tolsero la donna morente fra le braccia e presero la via del castello.

Quei due uomini, i soli che avessero veramente e profondamente amata la castellana di Villa Cervia, quantunque di un amore tanto diverso l'uno dall'altro, erano stati i soli a difenderla; erano i soli a trasportarla, muti ed anelanti, affratellati in un medesimo dolore, in una medesima speranza. E la speranza indovinerete qual fosse: era la speranza che quella divina creatura non avesse a morire.

 

Io non vi starò a descrivere con quanto disperato dolore fosse accolto il mesto corteo dal conte Emanuele. Ricordo lo scultore greco che finse un velo sul capo di Agamennone, quando ebbe ad effigiarlo testimone del sacrificio della figlia.

La sventurata donna fu adagiata sul suo letto, e il padre gli stava accanto, interrogando dello sguardo il medico del paesello, chiamato in fretta a Villa Cervia. E come seppe che non c'era più speranza di salvarla, il povero padre rimase immobile e triste a vedersi, come un tronco d'albero percosso dalla folgore.

Appena ebbe ricuperato i sensi, Cecilia chiese del suo difensore, che fu introdotto, lacero, insanguinato e cadente com'era. Calisto non parlava, non piangeva, non muoveva neppur gli occhi; pareva, ed era infatti, istupidito da tutte le repenti scosse di quella fiera catastrofe. Cionondimeno, alla vista della moribonda, che egli aveva così fortemente amata, gli scintillarono gli occhi, e corse a buttarsi ginocchioni al suo capezzale.

Cecilia gli rese grazie del suo ardimento, e lo pregò che si calmasse; egli non essere cagione della sua morte, bensì il disegno da lei fatto di correre alla Scogliera, nello intento di impedire il duello. Poi gli chiese perdono per tutto ciò che la casa sua gli aveva fatto patire, e che ella sentiva di essere chiamata ad espiare con la sua morte.

La poveretta si moriva, ed era lei che consolava i viventi! Al padre che si pentiva amaramente, tra i singhiozzi e le carezze disperate di non averla fatta contenta, lasciando in disparte i pregiudizi sociali, ella rispose dolcemente:

– Non vi dolga, padre mio, di quello che è stato fatto. Così ha voluto il cielo. Voi avete operato come un buon padre il quale intende di provvedere alla felicità dei suoi figli. Io ho amato quest'uomo senza dirvelo; ecco la mia colpa; e l'amo ancora adesso; ma adesso non è più colpa, poichè sono sul punto di morire. —

Furono le sue ultime parole. La bionda castellana di Villa Cervia spirò, dopo aver ricevuto il bacio ultimo di suo padre, ed il primo di Calisto Caselli.

Questi mise un grido disperato appena fu morta; poi non parlò più, non pianse, non diede altro segno del suo dolore. L'infelice era impazzito.

XXII

Qui il bravo don Luigi, parroco di M… pose fine al suo racconto, che inumidì più volte le ciglia al dotto carabiniere.

– Voi narrate con un garbo meraviglioso, – diss'io, – e nel correre del vostro discorso vi dimenticate perfino… scusate…

– Che cosa? Vorreste dire che mi dimentico di esser prete?

– Non dico già questo; ma mi parete uomo da aver fortemente sentito gli affetti, e lo fate nobilmente scorgere a chi vi ascolta.

– Eh, figliuol mio, – rispose con molto candore il parroco, – tutti contiamo le nostre; ora io faccio il prete e tiro innanzi. Mi saranno forse uscite di bocca delle massime poco ortodosse; altre faranno a calci con certune che professo di presente; ma voi, che capite certe stranezze del cuore, le metterete sul conto della umana natura, della quale ha sentenziato Sallustio…

– Lasciamo Sallustio nel suo scaffale, – interruppi io, – e narratemi invece dove andò a parare il mio povero Calisto.

– Calisto? Non ve l'ho detto? era impazzito. Il conte Emanuele, pochi giorni dopo, lasciò il castello, e si ridusse a vivere gli ultimi anni della sconsolata sua vita in Torino. Il povero pazzo, che non aveva tetto nè letto, fu ricoverato presso gli Scolopii di Carcare, dove attendeva ad umili uffici. Per lunga pezza stette tranquillo, e, salvo l'ostinata sua taciturnità, non mostrava quasi di aver perduta la ragione.

Ma venne un giorno che i gravi sintomi di una monomania religiosa si manifestarono in lui; e fu allorquando egli narrò pubblicamente di essere stato l'amante riamato di santa Cecilia, vergine e martire. La cosa, come potete facilmente credere, fece chiasso, e se n'ebbe a commuovere tutto il collegio.

Che eragli avvenuto? Lo seppe, o per meglio dire, lo indovinò il rettore, quando si fu accorto che da mesi parecchi il Caselli non aveva altro in mano che le Vite dei Santi e non leggeva altra vita che quella di santa Cecilia.

Era questo il nome della sventurata Castellana di Villa Cervia, e l'epiteto di santa lo aveva avuto dalla immaginosa riverenza di quei terrazzani. Lascio pensare a voi come quel poveretto, che aveva il cervello in volta, si mettesse tutto quanto in quella lettura, fino al segno di confondere la martire cristiana con la donna uccisa nelle sue braccia.

La sua pazzia, come vedete, seguiva un indirizzo più certo che non quella di tanti altri sventurati, i quali si son fitti in capo di essere, quale il Padre Eterno, quale lo Spirito Santo, Napoleone, o Carlomagno. E Dio sa che faticoso lavoro si facesse in quell'anima ottenebrata; che lenta cristallizzazione di concetti, per giungere fino a quella creazione fantastica che egli vi ha narrata in Genova! Il Cardiana diventò Valeriano; la contessina una martire del cristianesimo; il Bruno s'ingigantì e si scempiò nei due personaggi di Almaco e di Trebazio; l'organo e il cembalo furono il nesso logico, o, se vi piace, illogico della sua mesta allucinazione.

Il Caselli stette qualche anno a Carcare, e pareva risanato. Di tratto in tratto si rifaceva da capo con la narrazione; poi ricadeva nello scemo. Un bel giorno volle andarsene via, e seppi più tardi che si era dato a girare il mondo con un certo suo arnese sgangherato in forma di cembalo. Il resto lo sapete voi.

– Poveretto, – dissi io, asciugando una lagrima. – Egli è più sventurato di tutti gli altri che non sono più; imperocchè egli vive e porta il suo dolore, assiduo compagno, adagiato, come un despota solitario, in quella parte di sè, dove prima albergava la ragione. E così Dio voglia metter fine ai suoi mali, come egli ha diritto a riposarsi, dopo tanti travolgimenti affannosi.

FINE