Za darmo

Il ritratto del diavolo

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Anche voi, lettori, mi chiederete perchè tanta curiosità fosse venuta a Spinello, da farlo discendere a manca del Poggiuolo, anzi che a destra, per avvicinarsi alla casa del Buontalenti. Ma questa non dee parervi una cosa fuori del naturale. Chiunque ha perduto una persona caramente diletta ama il suo dolore e prova come un'amara voluttà a rinfrancarlo, nel culto delle memorie in una sollecitudine quasi infantile per tutto ciò che abbia avuto relazione con l'argomento dei suoi poveri amori, come se nei superstiti, od anche nelle cose inanimate, sia rimasto alcun che del tesoro perduto. Ora, il Buontalenti aveva amata e chiesta in moglie la figliuola di mastro Jacopo di Casentino, prima che questi accogliesse come discepolo il giovine Spinello. Il Buontalenti era stato un rivale; ma che importava ciò, in quel punto, so il Buontalenti lo ravvicinava al passato?

Ed ecco perchè Spinello era disceso verso la Brona, scambio di far la strada degli altri giorni. Quel nome, poi, il nome di Fiordalisa, buttato là dalla vecchia contadina, gli disse tutto. Non già tutto quello che potreste immaginarvi voi, fatti accorti in buon punto, ma tutto quello che egli poteva supporre, nello stato in cui era. Infatti, che cosa doveva significare per lui il nome di Fiordalisa, se non questo, che il Buontalenti serbava fede in qualche modo alla sua fiamma antica? Non potendo avere la bella figliuola di mastro Jacopo di Casentino, messer Lapo aveva voluto sposare una donna che portasse il medesimo nome.

Fatto dentro di sè questo ragionamento, Spinello Spinelli stette ad ascoltare la vecchia contadina. E non vi faccia senso che egli l'avesse salutata col nome di sposa. Nel pistoiese le donne del popolo sono tutte spose, o sposine, per l'uomo che le combina in istrada. Il nome di sposina è un augurio gentile per le giovani; il nome di sposa è una continuazione di giovinezza, cortesemente accordata alle vecchie.

Spinello Spinelli rimase ancora un tratto, chiacchierando con la donna, o, se vi piace meglio, facendola chiacchierare. Indi, preso commiato con un grazioso "arrivederci" scese verso la città, non senza aver dato più d'una occhiata alle mura nerastre del castello del Buontalenti, e pensando involontariamente a quel poetico capriccio che aveva fatto trovare a messer Lapo una sposa col nome di Fiordalisa.

–Ha tradita la memoria della prima!—diceva egli tra sè.—Ma che cosa ho fatto io di diverso? E con assai maggior torto di lui; perchè in fine, egli era un pretendente rifiutato, mentre io…. Ah, padre mio, se voi non eravate, con le vostre preghiere!…—

Era giunto frattanto ad una svolta del sentiero dove sorgeva una rozza croce di legno, piantata su d'una mora di sassi. Colà, di certo, era stato ucciso qualcheduno.

–Ah! fossi io morto,—esclamò Spinello, abbandonandosi a' piedi della mora,—fossi io morto, come questo poveretto! Vi avrei raggiunta, madonna; avrei finito di patire. A che mi giova la gloria, senza di voi? È bello il vivere, quando si spera; è bello il rispondere per opere egregie in mezzo a' suoi simili, quando si può riferire ad una persona cara i proprii trionfi, deporre a' suoi piedi le palme raccolte e gli allori mietuti. Ma io?… Costretto continuamente a mentire, costretto a fingere un sorriso agli uomini che mi lodano, mentre delle lodi loro, e della stessa coscienza di ciò che sono, non m'importa più nulla; costretto a fingere con una povera creatura che mi ama, e che dovrebbe maledirmi; io non so davvero perchè rimanga ancora quaggiù. Signore Iddio, liberatemi da questo peso, che è davvero troppo grave per me.—

Un rumore di passi e di voci dietro la svolta del sentiero tolse Spinello dalla sua triste meditazione. Temendo di esser colto in quel luogo con le lagrime agli occhi, e fors'anche mal soffrendo di imbattersi in qualcheduno, balzò in piedi e corse a nascondersi dietro la mora, in mezzo ad alcuni cespugli d'eriche e d'imbrèntini, ond'era folto il ciglione.

Poco stante egli vide inoltrarsi due viandanti, dalla parte della città. Non erano contadini, ma gentiluomini, come appariva dalle cappe che indossavano e dalle berrette piumate che portavano in capo. In uno d'essi, Spinello non tardò a riconoscere messer Lapo Buontalenti.

Fu lieto di essersi nascosto in tempo. Più lieto, quando riconobbe l'altro viandante. Ma ho detto più lieto? Avrei dovuto dire stupefatto, perchè quell'altro era il suo compagno d'arte; era l'uomo che aveva creduto opportuno di separarsi da lui, per non accompagnarlo a Pistoia; era Tuccio di Credi.

Che cosa veniva a fare costui nella città che gli era parsa così uggiosa! E se aveva pur risoluto di venirci, perchè non era andato a cercare l'amico, il suo compagno d'arte? Perchè, infine, quella sua lega con messer Lapo Buontalenti? E che voleva dire quel ravvicinameto di personaggi aretini, in un angolo della campagna pistoiese? Il caso, il semplice caso, poteva egli recare una serie di coincidenze così fatte?

Un vago terrore s'impadronì della mente di Spinello Spinelli, e gli balenò tosto il sospetto delle cose ignote. Vide chiarori che a dir vero non gli illuminarono nulla, ma che sembrarono dirgli: c'è qui sotto un mistero, e tu devi scoprirlo. Non dissimilmente, una credenza popolare ravvicina i fuochi fatui ai tesori nascosti nella campagna, di guisa che le pallide fiammelle erranti nella notte sembrino invitare il passeggiero alla ricerca del più ingannevole tra i beni terrestri.

I due viandanti passarono davanti alla mora che nascondeva Spinello. Parevano in buonissima armonia e infervorati in un colloquio di molta importanza per ambedue.

Spinello, dal nascondiglio in cui era e da cui non gli parve prudente muoversi, non udì che queste parole:

–Voi farete quel che vi parrà meglio, messer Lapo degnissimo. Io, da fedel servitore, ho reputato necessario di darvene avviso.—

Parlava Tuccio di Credi, come avrete capito. E messer Lapo rispondeva:

–Partirò, non dubitate, partirò. Quantunque io non credo che egli possa giungere fin qua. Forse, egli ignora perfino che io…—

La voce di messer Lapo si perdette dietro la svolta del sentiero, e Spinello non potè udirne più altro.

–Che cos'è questa novità?—pensò egli, balzando fuori dal suo nascondiglio.—Tuccio di Credi a Pistola, e con messer Lapo Buontalenti! Quale avviso ha creduto egli necessario di recargli? E qual relazione può correre tra loro?—

Immaginate in che condizione d'animo giungesse egli in quel giorno in città. E doveva rispondere alle cortesie de' suoi ospiti, come se non avesse nulla, nè tristezze, nè sopraccapi; come se fosse l'uomo più tranquillo del mondo!

Proprio quel giorno i massari di Sant'Andrea si recavano alle case dei Cancelleri, per avere un colloquio con lui.

–E così, messere,—gli chiedevano,—avete voi ideata la composizione che Pistoia potrà ammirare nella nostra vecchia cattedrale?

–Non ancora, messeri onorandissimi, non ancora. Ho la mente confusa; non m'è venuto ancor nulla che sia degno della chiesa e di voi. Perdonate, sarà per un altro giorno, se Iddio mi aiuta.—

Così rispondeva Spinello. Ma in cuor suo cominciava a pensare che Iddio non l'avrebbe aiutato e che Pistoia non avrebbe ammirato nulla di suo.

XII

Tra i pensieri del giovine pittore c'era anche quello che Tuccio di Credi dovesse andare quella sera, o la mattina seguente, a cercarlo. Infatti era naturale supporre che Tuccio fosse venuto a Pistoia per lui, e non avendolo trovato subito, ed essendosi imbattuto a caso nel Buontalenti, vecchia conoscenza, di Arezzo, si fosse accompagnato un tratto con quest'ultimo.

Se non che per ammettere questa spiegazione, bisognava dimenticare che Tuccio di Credi andava dicendo a messer Lapo:—"ho reputato necessario di darvene avviso" e che messer Lapo gli aveva risposto, come uomo che riconosceva il pregio dell'avviso ricevuto:—"partirò, non dubitate, partirò". Donde appariva evidente che Tuccio di Credi non fosse venuto a Pistoia per vedere il suo compagno d'arte, ma per abboccarsi con messer Lapo Buontalenti, a cui si professava fedel servitore.

Comunque fosse, era da credere che Tuccio di Credi, venuto a Pistoia, non avrebbe potuto altrimenti, nè voluto, cansare l'amico. E Spinello Spinelli lo attese per tutta la sera; lo attese per tutta la mattina seguente; ma invano. Tuccio di Credi non si era fatto vivo con lui; forse, quella stessa mattina egli aveva lasciato Pistoia.

Spinello rimase sconcertato, con una fiera curiosità in corpo, e con tutta l'impazienza che no doveva conseguire. Che cosa significava quel misterioso viaggio? E non era possibile che risguardasse anche quella povera vittima, che portava il nome gentile della sua Fiordalisa?

Agitato da questi sospetti, uscì verso l'ora di vespro dalla porta del Borgo. Messa la sua spada al fianco e il pugnale alla cintola, gittato un mantello sulle spalle e calata la berretta sugli occhi, andò di buon passo verso la collina. Ma come fu alle falde del Poggiuolo, non ascese altrimenti per l'erta, e proseguì il suo cammino verso il letto della Brana.

Aveva portata, per ogni buon fine, la sua cartella da disegno. Appena ebbe passato il torrente e fu in vista del castello dei Buontalenti, andò a sedersi sulla proda d'un campo, fingendo di copiare qualche cosa dal vero, ma volgendo gli occhi curiosi qua e là, e più spesso al muro nerastro che girava torno torno alla villa. Un terrazzino di pietra sporgeva dal ciglio del muro. Se la donna del castello usava uscire ogni sera all'aperto, come diceva Pasquino, certamente doveva andar là, ed egli, dal suo osservatorio, l'avrebbe veduta senz'altro.

Il sole calava, in una gloria di fiamme, dietro la collina di Serravalle, che chiude la valle dell'Ombrone da quella della Nievole. Tutto ad un tratto, Spinello vide comparire sul ciglio del muro nerastro una figura di donna. Era la dama del castello Buontalenti; lo dimostrava assai chiaramente la nobiltà delle vesti e l'eleganza delle forme.

 

Giunta al terrazzino, la dama si fermò. Quella doveva essere la meta delle sua passeggiate quotidiane. Era venuta con passo lento, come persona stanca; poscia, rimasta un tratto in piedi davanti alla balaustrata, si era adagiata sopra un sedile, sporgendo per mezzo il busto dal davanzale di pietra.

Spinello si alzò dal suo posto, col cuore tremante, e andò verso il recinto della villa. Che cosa intendeva di fare? In verità non lo sapeva neppur egli. A mano a mano che si accostava al muraglione e la figura s'innalzava davanti a lui, uscendo in risalto sul fondo azzurro chiaro del cielo, la commozione del giovane si andava tramutando in stupore. Dei immortali! Quel viso bianco, che gli appariva da lunge, non rammentava il tipo di madonna Fiordalisa, ma dell'antica, della figliuola di mastro Jacopo, della sua fidanzata? Già gli pareva di riconoscere l'atteggiamento consueto di quella graziosa testa, il cui contorno era così armoniosamente rigirato. Accostatosi vieppiù, riconobbe il profilo soave del volto, la fronte prominente, incoronata dalle ciocche ricciolute dei capegli neri e lucenti, l'occhio profondo e pieno d'espressione, la bocca tenue, aperta ad un languido sorriso, che non era sempre di gioia, e il mento, sì anche il mento, quel mento arguto e tondeggiante di paggio, che era stato una volta l'argomento delle sue ammirazioni.

Ma egli, per allora, non doveva ammirare con occhi d'artista, o d'innamorato, come prima faceva. Era attonito, abbacinato da quella stessa rassomiglianza, che gli cresceva allo sguardo. Come fu a cinquanta passi dal muro, si fermò, levando gli occhi, per guardare più attentamente la dama. Dio santo! Era lei, era la sua Fiordalisa, o uno spirito maligno ne aveva assunta la forma, per farsi giuoco di lui.

Confuso, sbalordito, e nondimeno anche più attratto da quella cara visione, Spinello tese le braccia verso il terrazzino e con impeto di amore gridò:

–Fiordalisa!

–Chi mi chiama?—domandò la gentildonna, chinando gli occhi a' piedi del muro, dond'era venuta la voce.

Vide allora l'atto supplichevole e riconobbe Spinello. Ma in quella che metteva gli occhi su lui, lo vedeva cadere a terra come fulminato. Il povero Spinello aveva riconosciuta la voce di madonna Fiordalisa, della sua fidanzata. Era dunque lei? Lei, tornata dalla tomba, per farlo morire d'angoscia? Agitò le braccia, come se tentasse di aggrapparsi a qualche cosa, balbettò alcune parole die non avevano senso, e cadde tramortito al suolo.

Disgraziato Spinello! Compatitelo. Non accade a tutti di avere perduta una donna fieramente amata e di vederla di punto in bianco ritornare dai regni della morte.

Quando il povero giovane ricuperò i sensi smarriti, si trovò accanto la dama, escita dal recinto della villa per recargli soccorso.

–Mio Dio, messere, che avete?—diceva ella, sbigottita.—Fatevi animo!—

Spinello Spinelli, senza darsi ragione di quel che faceva, e tratto solamente da una forza quasi istintiva prolungò di qualche istante il suo smarrimento, per ascoltare la musica di quelle parole che escivano dalle labbra di Fiordalisa. Gli pareva, in udirla, di rassicurarsi meglio che era lei.

–Ah, madonna!—esclamò finalmente.—Non sogno io? Non sono io il ludibrio di una visione? Iddio misericordioso vi restituisce al vostro povero Spinello?—

Madonna Fiordalisa, commossa da quel grido, in cui parlava un amore infinito, chinò la testa su lui. E il povero Spinello, insieme con la certezza di avere ritrovata la sua Fiordalisa, ebbe il secondo deliquio.

–Dio, soccorretemi!—gridò madonna Fiordalisa. Questo poveretto mi —muore nelle braccia. Permettete che io mi discolpi a' suoi occhi e —poi datemi la morte, che da tanto tempo vi chiedo.—

Monna Cia, chiamata da lei, giunse prontamente in aiuto. Era la contadina che il giorno innanzi Spinello aveva veduta, intenta a lavare i suoi pannilini nel letto della Brana. Le braccia di monna Cia erano robuste: il giovine fu trasportato entro il recinto e adagiato su d'un sedile di pietra, in quel medesimo terrazzino donde pur dianzi gli era apparsa la figura di madonna Fiordalisa.

–Va, te ne prego, va, mia buona Cia; prendi un po' d'acqua, dell'aceto, quello che troverai, per ridar la vita a questo poveretto.

–Sì, madonna, vo subito. Oh, disgraziato giovane! Così buono, così gentile! Non si direbbe l'arcangelo Gabriele! L'ho conosciuto ieri…. Chi m'avrebbe mai detto che oggi….

–Va, corri,—gridò madonna Fiordalisa.—Ma bada, non una parola al castello!

–Non dubitate, madonna; prenderò ogni cosa nelle mie stanze.—

Così dicendo, monna Cia, ottima donna, andò speditamente lungo la redola che metteva al castello. Madonna Fiordalisa rimase sola accanto a Spinello, che, povero lui, durava fatica a riaversi.

Infelice Fiordalisa! Anche lei, che il caso metteva di punto in bianco, senza preparazione, a faccia a faccia con Spinello Spinelli, anche lei era degna di compassione. Lo stato dell'animo suo non si descrive, come non si descrivono le commozioni violente. In qual modo era avvenuto quel ravvicinamento improvviso? Spinello aveva dunque ritrovato il suo nascondiglio, dopo tre anni di ricerche? Quando mai gli era balenato il sospetto che ella non fosse morta? E quando, e come, il sospetto si era tramutato in certezza? Anch'egli aveva profanata la santità d'una tomba, per giungere alla scoperta del vero? E come era vissuto fino a quel giorno? E come, e perchè, quella cerimonia nuziale, per cui Spinello si era allontanato da lei? Ma anche ella non si era allontanata da lui? Non apparteneva ella ad un altro? Ahimè, triste cosa; le due anime che un primo amore aveva congiunte, il destino le aveva separate per sempre.

Com'era avvenuto ciò? Spinello, tornato finalmente in sè, doveva udirlo dalle labbra di madonna Fiordalisa. Fu un doloroso racconto, che lo fece fremere di raccapriccio e di sdegno.

Fiordalisa era morta per i suoi cari; messer Giovanni da Cortona, chiamato al letto della vergine, aveva dato il triste responso. E morta appariva per tutti, e la compagnia della Misericordia era andata a prendere con gran pompa la bella salma, per chiuderla in un modesto avello, nel chiostro del Duomo vecchio. Ma Fiordalisa, come vi sarà facile immaginare, non aveva memoria di ciò. Rammentava l'improvviso malore ond'era stata colpita, in mezzo alle gioie domestiche, e rammentava d'essersi risvegliata alla coscienza di sè, in una camera sconosciuta. Si sentiva spossata, senza volontà, con una gran propensione a riaddormentarsi. Infatti, le era avvenuto di assopirsi, e di quelle ore non ricordava che brevi intervalli, come pallidi chiarori in un buio fitto, nei quali si sentiva trasportata verso una meta ignota, da uomini prezzolati, tra cui non spiccavano che due figure: quella del Buontalenti, che l'aveva turbata, e quella d'uno scolaro di suo padre, che l'aveva atterrita, poichè le lasciava indovinare il tradimento, ond'era stata vittima, e tutto il peggio che doveva toccarlo in futuro, senza alcuna speranza di salvezza. Infine, che più? Ella si era veduta in balla di due feroci che l'avevano amata; e uno di costoro la dava in preda all'altro; il più povero la vendeva al più ricco.

E non poteva resistere; le mancava perfino la forza di gridare al soccorso. Poco stante, non aveva più veduto uno dei due traditori. L'altro, messer Lapo Buontalenti, restava padrone del campo. Ella era chiusa in una lettiga, che viaggiava di notte, scortata da un drappello d'uomini armati, secondo l'uso del tempo, per le vie maestre, così poco sicure al paragone d'adesso. Evidentemente, quelli erano i servi, i masnadieri di messer Lapo Buontalenti. A che le sarebbe giovato il gridare?

Messer Lapo era grave all'aspetto, severo ed arcigno come la vendetta che gli covava nel cuore. Ma quando gli occorreva di rivolgersi a lei, in atto di chiederle se avesse mestieri di nulla, assumeva un'aria tra impacciata e cortese. Non c'ora, per altro, da ingannarsi a quelle apparenze,

Quando Fiordalisa potè finalmente parlare, gli chiese risoluta:

–Dove mi conducete voi? Dov'è mio padre?—

Il Buontalenti increspò le labbra ad un mezzo sorriso e pacatamente rispose:

–Madonna, voi siete morta per tutti, così per vostro padre, come per ogni altro cittadino d'Arezzo. Vi hanno sepolta l'altro dì, con pompa solenne, entro il chiostro del Duomo vecchio. Gli sciocchi! Pareva che avessero fretta di liberarsi di voi. Ma vigilava per la vostra salvezza un amore antico e gagliardo. Il mondo vi ha composta sotterra, per dimenticarsi di voi; io vi ho restituita alla luce del giorno; siete mia, finalmente.—

Fiordalisa fremette, pensando a ciò che era accaduto di lei. Ma indovinò in pari tempo che la sua morte apparente era stata procurata dalle arti d'un tristo, che lavorava a benefizio d'un altro. E il senso che questa scoperta doveva produrre nell'animo suo, le si dipinse nel viso.

–Comunque vediate la cosa, datevi pace, madonna;—ripigliò messer Lapo, che notava ogni moto più lieve.—Vi ho detto che siete morta pel mondo.

–E per opera vostra, non è vero?—chiese ella, fissandolo negli occhi.

–Mettete pure che sia così;—disse di rimando il Buontalenti.—Credete che un amatore par mio sia disposto a perdervi, dopo avervi ottenuta con un delitto? Datevi pace, vi ripeto, datevi pace, madonna. Lapo Buontalenti, vostro fedel servitore, non imiterà messer Gentile dei Carisendi, che, dopo aver disseppellita la donna sua, la restituì scioccamente al marito.—

Messer Lapo non poteva citare il caso di Ginevra degli Amieri, che era ancora di là da venire. E poi foss'anche avvenuto prima d'allora, esso non poteva servirgli come argomento di persuasione con madonna Fiordalisa. Ginevra degli Amieri, gentildonna fiorentina d'alto lignaggio, sotterrata per morta, da per sè stessa uscì fuori dall'avello, e andò a picchiare a casa di Francesco degli Agogolanti, suo marito, che la credette un'ombra e non la volle ricevere. In quella vece, gli serviva benissimo l'esempio di Catalina Caccianimico, gentildonna bolognese, amata da messer Gentile dei Carisendi. Essendo il cavaliere andato podestà a Modena e avendo colà ricevuto il doloroso annunzio della morte di lei, tratto fuor di sè dall'angoscia, fece disegno di rapire all'estinta il bacio che mai non aveva avuto da lei viva. Andato di notte tempo a Bologna con un suo famigliare, aperse la sepoltura, e ivi, con molte lagrime, baciò il viso di madonna Catalina. La quale non era altrimenti morta, siccome tutti avevano creduto; laonde, messer Gentile, che aveva sentiti i battiti del suo cuore, soavemente quanto più gli venne fatto la trasse dal sepolcro, e postosi il dolce peso in arcione, cavalcò speditamente io città, dove, commessa l'amatissima donna alle cure di sua madre, potè vederla presto rifiorita in salute, E perchè la bella Catalina, per quello stesso amore che egli le aveva portato, lo pregava di rimandarla a casa sua, messer Gentile, da quel prode cavallero che egli era e veramente degno del suo nome, la restituì al marito, in quella commovente maniera che sanno tutti coloro i quali hanno letto la bellissima storia nel Decamerone di messer Giovanni Boccaccio.

Quant'era distante il Buontalenti da messer Gentile dei Carisendi! Madonna Fiordalisa, udito il beffardo racconto, conobbe di essere irremissibilmente perduta.

Giunta a Pistoia e rinchiusa nel castello che messer Lapo aveva ereditato da Rosellino Sismondi, la povera fanciulla visse là dentro come in una prigione, senza aver più contezza di ciò che era avvenuto de' suoi. Era una debole creatura; ma ai deboli soccorre spesso il coraggio della resistenza inerte, e Fiordalisa anche fuor di speranza com'era, si chiuse nel suo triste silenzio, aspettando la morte che la liberasse dalle istanze del feroce amatore.

Il quale, un giorno, stanco della ripulsa di lei, se fece a parlarle in tal guisa:

–Voi piangete, madonna, e turbate il riso divino della vostra bellezza. A qual pro' se tutti vi hanno dimenticata?

–Non parlate così!—diss'ella con accento severo.—Quando tutti m'avessero dimenticata, non mi abbandonerebbe il pensiero di mio padre.

–Ahimè, madonna!—replicò il Buontalenti. Vostro padre….—

E s'interruppe tosto, chinando la fronte a terra, in segno di grande rammarico. Fiordalisa ebbe una stretta violenta al cuore.

–Mio padre!—ripetè ella, turbata.—Orbene, che volete voi dire? Che volete tacermi?

–Madonna,—ripigliò allora il Buontalenti, sa Iddio se mi pento di —ciò che ho fatto, e se non darei la mia vita per restituirvi il —vostro ottimo padre. Ma egli, almeno, è ora più felice di me, che mi —trovo così povero della grazia vostra e non ispero di ottenerla mai —più.—

Argomentate il pianto e la disperazione della infelice creatura. Suo padre era morto da sei mesi, ed ella soltanto allora ne aveva notizia. Povero padre! Ed ora morto di crepacuore, sperando di ricongiungersi all'anima della sua diletta figliuola.

 

Passarono giorni, passarono settimane, e le lagrime di madonna Fiordalisa si rasciugarono. Ma non cessava altrimenti il dolore.

–Di che vi accorate?—le disse un giorno il suo carceriere.—Spinello, a cui pensate in silenzio, di cui vagheggiate l'immagine, Spinello non pensa più a voi.—

Ella rizzò la testa, e diede al Buontalenti un'occhiata sdegnosa.

–Oh! non v'inalberate;—riprese egli freddamente.—La cosa è così, com'io vi racconto, che credete voi, madonna? Che l'amore sopravviva alla morte della persona amata? Spinello si consolerà.

–Che non mi dite ch'egli ha già data la sua mano ad un'altra donna?—diss'ella.—Voi mentite, messer Lapo. La menzogna è chiara nelle vostre parole. Spinello si consolerà, voi dite. Egli non si è dunque consolato.—

Messer Lapo si morse le labbra. Il colpo gli era andato fallito. Ma egli promise a sè stesso che quella donna non si sarebbe più oltre beffata di lui.

Due mesi passarono, tristi coma gli altri che la povera donna aveva vissuti nella sua solitudine di Colle Gigliato. Ahi, non era una solitudine, quella, se ogni giorno ella doveva vedersi davanti agli occhi messer Lapo Buontalenti. Meno infelice di lei, una povera eroina della favola era stata abbandonata su d'uno scoglio, dannata ad esser la preda d'un mostro. Per Andromeda, infatti, vedere il suo nemico ed esserne divorata era quasi tutt'uno; laddove madonna Fiordalisa doveva scorgere il suo ad ogni istante, appostato in attesa, come una fiera all'agguato, e tremare ogni giorno, pensando che nessuna difesa avrebbe più avuta contro di lui; pensando che suo padre era morto e che Spinello, il suo fidanzato, non avrebbe potuto far altro per lei che piangere su d'una tomba.

E il Buontalenti osava dire che il suo rivale si sarebbe consolato! No, non era possibile, Fiordalisa era una fanciulla inesperta e non aveva anche potuto giudicare la vita nei disinganni che questa può offrire a mano a mano, in compenso d'ogni nostra speranza. Ma ella si era sentita così fortemente amata, che veramente l'affetto di Spinello Spinelli doveva parerle una cosa eterna. Argomentiamo così facilmente dai nostri i sentimenti degli altri! Eppure, le beffarde parole di messer Lapo, anche respinte da un'intima convinzione, non potevano essere dimenticate, e l'eco doveva restarne in quel povero cuore. E in quella guisa che noi tutti raccogliamo con superstiziosa paura ogni frase, udita a caso, la quale si riferisca ad un pensiero dominante dell'anima nostra, avvenne a lei che altre parole, e non da messer Lapo, ridestassero i dubbi suscitati da lui. "Chi muore giace e chi vive si dà pace." Questo proverbio, che ella aveva udito le cento volte, senza avvertirne la dolorosa filosofia, accennato sbadatamente da quell'umile contadina che sapete, e che era l'unica donna con cui madonna Fiordalisa scambiasse qualche parola nel castello Buontalenti, la ferì profondamente, più che non avrebbe fatto ogni altro discorso del suo carceriere. Chi vive si dà pace! Era proprio vero così! E perchè, infine, sarebbe stato diverso? È in noi potentissimo l'istinto della conservazione; la fibra umana ha qualche cosa in sè, che la persuade a resistere, a desiderare la vita. Il dolore opprime lo spirito; ma la fibra si ribella al dolore; la schiava non obbedisce al padrone. E non è forse così in tutti gli ordini di natura? Non è legge comune che tutto si rinnovi, e che ogni forza depressa si prepari a risorgere? È possibile che la natura umana ci condanni a morte, e che la gioventù non trovi in sè medesima quella forza di risurrezione che trova la più umile pianta, nella vicenda delle stagioni? L'oblio è fatale come il sonno, e il tempo è rimedio per tutti gli affanni dell'esistenza. Del resto, se per una creatura viva si può soffrire aspettando, come si potrebbe soffrire eternamente per una creatura morta? Aspettare è sperare; e non si aspetta più, quando non si spera più nulla.

E Fiordalisa era morta, per il suo fidanzato. Spinello poteva, dunque, doveva cedere anch'egli alla legge comune. Triste cosa, ma vera. Restava solamente di vedere quanto sarebbe durato il lutto in quell'anima solitaria.

Così avvenne che, quando messer Lapo le annunziò le nozze di Spinello Spinelli, Fiordalisa tremò tutta, ma non osò più negare la possibilità del fatto. L'anima sua era preparata a quel tristissimo evento.

–Madonna,—le disse il Buontalenti,—che io vi ami, e quanto, lo sapete da un pezzo. Voi farete quel che vi parrà meglio; chi può aspettare, non vi domanderà nulla anzi tempo. Giuratemi soltanto che se io vi farò vedere Spinello al fianco d'un'altra donna, voi non tenterete cosa alcuna per fuggirmi.

–Che mi chiedete voi?—gridò ella, turbata.

–Nessuna cosa che non possiate fare, rimanendo per me quella che siete stata finora. Vi chiedo una promessa semplicissima, per condurvi fino a Firenze, dove Spinello impalmerà fra due giorni un'altra donna.

L'istinto della resistenza lampeggiò negli occhi di Fiordalisa.

–Ah!—gridò ella.—Spinello è libero ancora?

–Sì e no;—rispose freddamente messer Lapo.—Un uomo che andrà doman l'altro all'altare non è già impegnato oggi? Non è già risoluto di fare ciò che vi torna tanto increscevole sapere di lui! Non ama già egli la donna a cui darà la sua mano?

–È vero;—diss'ella chinando la fronte.—Messere, conducetemi pure a Firenze; io vi giuro per la memoria di mio padre che non tenterò di fuggirvi.—

Madonna Fiordalisa pianse dirottamente, quel giorno, stemperò il suo povero cuore; indi segui Messer Lapo a Firenze.

Una mattina, la chiesa di San Nicolò, in via della Scala, era parata a festa. Madonna Fiordalisa, con un fitto zendado sugli occhi, entrò in quella chiesa e andò a sedersi sulla tribuna dell'altar maggiore. Stette immobile lassù, senza volger neppure uno sguardo ai dipinti che tutti ammiravano, aspettando ciò che tutti aspettavano e pregando Iddio, nell'amarezza del suo cuore, che fosse delusa la sua aspettazione. Ma Iddio fu sordo alle preghiere della povera fanciulla.

Quando apparve nella navata di mezzo il suo fidanzato, tenuto per mano da un vecchio gentiluomo che ella non conosceva, ma seguito da una donna, la cui bianca veste e la ghirlanda di fiori dicevano chiaramente chi ella fosse e perchè si trovasse colà, Fiordalisa si sentì venir meno. Supplicò Iddio che dettasse nella sua misericordia onnipotente un'altra parola a Spinello. Se avesse udito un no, come sarebbe morta volentieri! Ma Spinello appartenere ad un'altra! E là, davanti agli occhi suoi! Ma era insensibile, quell'uomo? Ma niente gli diceva che la sua Fiordalisa era vicina, e lo vedeva, e lo udiva! Ahimè, Dio poteva essere sordo, se non aveva cuore Spinello! La povera creatura non resse più oltre all'angoscia; un grido straziante le ruppe dal petto, all'udire quel sì che le rapiva per sempre il suo fidanzato; e in quel grido le vennero meno le forze.

Quando ritornò in sè, la chiesa era vuota. Restavano soltanto presso a lei alcune pietose gentildonne, che le avevano spruzzato il viso d'acque nanfe e lo prodigavano le più sollecite cure.

Lo svenimento di madonna Fiordalisa era stato attribuito al caldo soffocante che aveva prodotto nella chiesa quella calca straordinaria di persone. Altri pensava che le avesse dato sui nervi l'odore della calce, trattandosi d'una chiesa nuova, che da poco tempo era uffiziata. Infatti, parecchie dame accennavano di aver sofferto, durante la cerimonia, un pochettino di mal di capo. E tutti gli astanti si dolsero che non si fosse pensato da nessuno ad aprire qualche spiraglio, nelle invetriate dei balconi. La colpa era tutta di messer Dardano Acciaiuoli e dello scaccino di San Nicola; innocenti ambedue, come potete immaginarvi. Ma che farci? Si era così lontani dall'indovinare la vera cagione, che ogni congettura otteneva fede presso gli astanti.