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Il nome e la lingua

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Z serii: Romanica Helvetica #142
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L’elaborazione della geografia dialettale sulla quale si sarebbe dovuta articolare la monumentale descrizione dei dialetti d’Italia fu all’origine di dubbi e frequenti ripensamenti da parte di CherubiniCherubiniFrancesco. Lo documenta la tormentata redazione manoscritta della Suddivisione generale dei dialetti inclusa nel primo capitolo della lunga Introduzione alla Dialettologia italiana, fitta di correzioni e cancellature.20 A questa segue, nel secondo capitolo dell’Introduzione, la sintesi schematica della classificazione dei dialetti d’Italia nell’ultima versione allestita dal lessicografo. Si trascrive lo schema definitivo, limitatamente all’area lombarda e svizzero-italiana:

SUDDIVISIONE GENERALE DEI DIALETTI

[…]

II. Suddialetti del Valligiano Italo-Svizzero

1° Intragnino e CentoValli

2° Di Val Lucernone/Onsernone

3° Di Val Maggia e Lavizzara

4° Di Val Verzasca e Riviera

5° Di Val di Vedro

6° Il Bellinzonese e del Piano di Magadino

7° Il Mesolcino e il Calanchetto

8° Il Poschiavino

9° Il Bregaglino

10° Il Leventino

11° Il Bregnasco

12° Il Parlar di Monastero (Müstair)

III. Suddialetti del Lombardo Milanese

1° Il Milanese

2° Il Brianzuolo

3° Il Pavese

4° Il Verbanese

5° Il Comasco

6° Il Lariense

7° Il Luganese e Mendrisiotto

8° Il Basso Valtellinese (da Chiavenna a Sondrio e Ponte)

9° L’Alto Valtellinese (da Ponte a Bormio, Valfurva e Livigno)21

Anche in questa redazione – lo testimonia la descrizione contenuta nelle pagine successive del codice – le varietà alpine del Ticino e del Grigioni (il Leventino, il Bregnasco, il Bregaglino, il Poschiavino, il Mesolcino e Calanchetto) sono percepite come dei linguaggi misti di italiano e romancio. Per questa ragione sono assimilati da una parte al parlar di Monastero e dall’altra giustificano, e contrario, l’inclusione di una varietà romancia fra i dialetti italiani della Svizzera: a segno di come in questa classificazione la componente geografico-amministrativa sia preponderante su quella strettamente linguistica. A tale proposito, sarà sufficiente citare la succinta descrizione del Suddialetto leventino compresa nell’abbozzo dell’opera:

Il suo vernacolo è retico-romanzo misto di lombardo, conseguenza naturale della sua posizione geografica per un lato, e de’ suoi rapporti commerciali ed ecclesiastici per l’altro, accorrendo molti de’ suoi valligiani a Milano alla cui diocesi è soggetta la Valle, e trafficando i più colla Svizzera Tedesca.22

Oltre alla classificazione schematica citata sopra, alcune informazioni supplementari sulla suddivisione dei dialetti lombardi, e nello specifico svizzero-italiani, si ricavano nella seconda parte del codice T 40 inf., dove è impostata la struttura della Dialettologia italiana. Nel capitolo dedicato al Dialetto Valligiano Italo-Svizzero (cc. 114-158), strutturato sull’impronta dello schema trascritto sopra, è inclusa un’introduzione (cc. 114-115) nella quale si leggono alcune notizie sulla geografia di questa famiglia linguistica. Dalle prime righe, CherubiniCherubiniFrancesco informa della considerevole varietà dei vernacoli parlati in queste valli alpine e prealpine, comprese nel territorio delimitato

a) a ponente dai monti che dividono le Valli Intrasca, Canobbina, ecc. dalla Valle d’Ossola

b) a settentrione dal S. Gottardo, dal S. Bernardino e dai monti sovrastanti all’estrema Engadina

c) a levante dalla Valcamonica, dalla Valtellina e dal Tirolo

d) a mezzodì dalla riva meridionale estrema del Lago Maggiore e dai monti che dividono il Canton Ticino dalla provincia di Como.23

Seguono delle notizie storiche, totalmente svincolate dalla questione linguistica, che contestualizzano e preparano gli approfondimenti sulle dodici varietà che sarebbero dovuti seguire nell’opera:

1°. La Leventina era soggetta al Cantone di Uri. Nel rapporto ecclesiastico dipende anche oggidì dall’Arcivescovato di Milano.

2°. Val Blenio e

3°. Riviera erano soggetti ai Cantoni di Uri, Svitto e Unterwalden. Nel rispetto ecclesiastico dipendono anche oggidì dallo Arcivescovato di Milano.

4°. Bellinzona. Dipendeva dai Cantoni suddetti.

5°. Valmaggia.

6°. Locarno.

7°. Lugano.

8°. Mendrisio. Già soggetti nel politico al Signorato dei dodici Cantoni. Dipendenti ancora nell’ecclesiastico dal Vescovato di Como.

9°. Val Mesolcina e Valcalanca.

10°. Val Bregaglia.

11°. Val Poschiavo.

12°. Val di Münster o sia Monastero. Già soggetti al Cantone dei Grigioni. Anche oggidì soggetti nello ecclesiastico al Vescovato di Como.24

La presente mappatura elabora e aggiorna un precedente schema, di classificazione storica e linguistica, dedicato esclusivamente al territorio Valligiano-svizzero-italiano (antichi Baliaggi italiani), conservato tra gli appunti manoscritti dello zibaldone M 67 suss. (c. 242). Lo schema riassuntivo, come buona parte dei documenti conservati nel codice, va considerato materiale di lavoro e fu utile a CherubiniCherubiniFrancesco per ricostruire e considerare nelle sue indagini lessicografiche le vicende storiche delle varie regioni della Svizzera italiana, e non: la lingua principale della Val Monastero è il romancio. Infatti, nel documento gli appunti linguistici sono sintetici e subordinati alla componente storico-politica, che stabilisce l’ordinamento della lista:

1. Leventina [Dialetto retico-romanzo

(che era sotto il Cantone d’Uri,)

2. ValBlenio [dialetto retico-romanzo

3. Riviera

4. Bellinzona

(ch’erano sotto Uri, Svitto e Unterwalden)

5. Valmaggia

6. Locarno

7. Lugano [lomb. mil. cor.

8. Mendrisio [lomb. com. cor.

(ch’erano sotto il Signorato dei XII Cantoni)

9. Val Mesolcina Val Calanca [italiano corrottissimo

10. Val Bregaglia [id.

11. Val di Poschiavo [id.

12. Val di Münster o Monastero [dialetto latino-retico

(ch’erano sotto i Grigioni)25

Per quanto concerne il Dialetto Valligiano Italo-Svizzero, le carte legate nei codici M 67 suss. e M 68 suss., comprensive di appunti e liste di voci allestite in proprio o ricevute dagli informatori, permettono di integrare virtualmente l’ossatura del capitolo stabilita in T 40 inf., che rimane tuttavia molto lacunosa e disomogenea.26 Le poche notazioni lessicografiche reperibili nei codici menzionati sopra sono costituite, oltre che da esigui appunti anonimi, forse di pugno dello stesso CherubiniCherubiniFrancesco, dai censimenti leventinesi e bleniesi operati da FransciniFransciniStefano verso la metà degli anni Venti; dai cospicui materiali trasmessi nella seconda metà degli anni Quaranta dall’abate Giuseppe RossiRossiGiuseppe di Castelrotto, di cui si dirà più avanti; e da una manciata di voci del Dialetto Bellinzonese di Malvaglia Subrio ricevute da tre collaboratori di cui si conosce solo il nome: tali Suini, Ganna e Giandeini.27

Relativamente al Dialetto Bellinzonese di Malvaglia Subrio, come testimonia una nota autografa del CherubiniCherubiniFrancesco, la scarsa documentazione gli è offerta nel luglio del 1844 dalla viva voce dei tre informatori menzionati, la cui identità rimane misteriosa: «CherubiniCherubiniFrancesco ric.[evette] a voce dal Suini e dal Ganna e dal Giandeini – 1844/7»; nella postilla autografa, appuntata su alcune schede sciolte della dimensione analoga a quelle che compongono il Dizionariuccio, i nomi di Ganna e Giandeini, così come l’appunto toponomastico Subrio (ovvero Sobrio, nei pressi di Faido), sono vergati con una penna diversa, probabilmente in un secondo momento.28 Questo fatto permette, perlomeno, di ricondurre il nome di Suini alle informazioni concernenti il bellinzonese e quelli di Ganna e Giandeini al territorio che si estende tra Malvaglia e Sobrio.

Accostando i vari schemi di classificazione, l’impressione generale è quella di un graduale chiarimento e di una progressiva precisazione di gruppi e sottogruppi che, nel giovane CherubiniCherubiniFrancesco, avevano confini spesso fumosi e imprecisi. Come detto, questi limiti erano più o meno condizionati dai modelli circolanti – quelli di DeninaDeninaCarlo, FernowFernowCarl Ludwig e AdelungAdelungFriederich von – che avevano il difetto di non essere fondati su una ricerca di prima mano, per la quale si dovranno aspettare le innovazioni di AscoliAscoliGraziadio Isaia, e di non poter contare sul sussidio di una rete di corrispondenti affidabili, secondo una pratica largamente adottata da CherubiniCherubiniFrancesco. Anche la classificazione definitiva, sulla quale si struttura idealmente l’opus magnum, dimostra tuttavia evidenti limiti. Limiti che sarebbero stati superati, è lecito supporre, se la salute avesse concesso altri anni di studio al lessicografo, morto prematuramente nel febbraio 1851.29

2.3. La Svizzera italiana nel Saggio sui dialetti gallo-italici di BiondelliBiondelliBernardino

Sull’impostazione e sulla struttura provvisoria della Dialettologia italiana ha agito l’esempio metodologico del Saggio sui dialetti gallo-italici di BiondelliBiondelliBernardino. Benché il colophon dell’opera dello studioso veronese indichi una data di due anni successiva alla morte di CherubiniCherubiniFrancesco – il 1853, la terza parte sui Dialetti pedemontani il 1854 –, la stesura e la diffusione (almeno parziale) della ricerca risalgono a quasi un decennio prima.1 Ne dà notizia l’autore nella Nota preliminare al volume: «La redazione e la stampa dell’Opera che diamo alla luce ebbe incominciamento da alcuni anni, e ne fu promessa molto prima la pubblicazione»; la pubblicazione fu promessa, ad esempio, nell’articolo Della linguistica applicata alla ricerca delle origini italiche del 1845, poi raccolto negli Studii linguistici del 1856.2 Nonostante gli estremi della cronologia editoriale possano suggerire il contrario, CherubiniCherubiniFrancesco aveva a disposizione questa ricerca. Lo documenta una scheda bibliografica redatta di suo pugno nel 1851, custodita fra molte altre presso la Biblioteca Ambrosiana: «In questo Saggio finora inedito l’autore parla dei dialetti lombardi, riporta saggi moltissimi di poesie lombarde; la parabola del Figliol prodigo in ognuno de’ vernacoli lombardi; i cataloghi de’ libri vernacoli lombardi […]».3

 

Ma vediamo più da vicino l’opera. Nell’Italia settentrionale, procedendo dal generale al particolare, BiondelliBiondelliBernardino individua quattro principali famiglie dialettali: la ligure o genovese, la gallo-italica, la veneta e la carnica o friulana. La varietà indagata nel Saggio, la gallo-italica, si divide internamente in tre ulteriori gruppi: l’emiliano, il pedemontano e il lombardo. Quest’ultimo comprende anche le varietà del Cantone Ticino: la denominazione Svizzera italiana impiegata da BiondelliBiondelliBernardino è infatti intesa come sinonimo dello Stato cantonale e l’estensione della ricerca linguistica si orienta di conseguenza. Lo accerta la descrizione geografica nella quale sono stabiliti i confini linguistici dell’area dialettale lombarda:

I confini [del ramo dialettale lombardo] sono: a settentrione le Alpi rètiche e lepòntiche, dalla catena camonia sino al monte Rosa; ad occidente, il corso del Sesia, che da questo monte scaturisce, sino alla sua foce nel Po; a mezzogiorno, il corso di questo fiume dalla foce del Sesia fino a quella dell’Ollio, tranne un pìccolo seno, il quale abbraccia la città di Pavia e i vicini distretti sino alla foce del Lambro e al tèrmine del Naviglio di Bereguardo; ad occidente, una linea trasversale dalla foce dell’Ollio a Rivalta sul Mincio, indi il corso di questo fiume da Rivalta a Peschiera, il lago Benaco, i monti che divìdono le valli della Sarca e del Mincio e la catena camonia. È quindi manifesto, che il ramo lombardo comprende i dialetti parlati nel regno Lombardo, tranne il pavese e il mantovano; i dialetti della Svizzera italiana, ossia Cantone Ticinese; e i dialetti del regno sardo compresi tra il Sesia, i Po e il Ticino.4

Nel territorio delimitato, tuttavia, le parlate sono molteplici e diverse tra loro, con differenze percepibili anche all’interno della dimensione municipale e rionale. Nonostante ciò, la frastagliata situazione linguistica dell’area lombarda è riassumibile in due gruppi principali, distinti per la prima volta secondo un pratico orientamento geografico, con il nome di lombardo orientale e lombardo occidentale. Con la terminologia, cioè, adottata nei più aggiornati studi linguistici e dialettologici:

Se nei dialetti lombardi consideriamo attentamente le moltèplici dissonanze di minor conto, che li contraddistìnguono, indeterminato ne è il nùmero, e impossìbile una esatta classificazione, mentre non solo ogni città ed ogni terra ha il proprio dialetto, ma persino nel recinto d’una città medèsima pàrlasi dall’un capo all’altro con diverso accento e varia flessione. Con tuttociò, se, afferrando le precipue loro variazioni e le proprietà radicali più distintive, ne consideriamo il complesso ed i rapporti, agevolmente ci si affàcciano ripartiti in due gruppi, che per la posizion loro abbiamo denominato occidentale ed orientale.5

Il dialetto cittadino di Milano è la varietà di prestigio del gruppo occidentale, attorno alla quale si aggiungono, a questa conformi in varia misura, sei ulteriori aree linguistiche: il valtellinese, il bormiese, il lodigiano, il comasco, il ticinese e il verbanese. Fra queste, tre varietà sono diffuse anche nella regione della Svizzera italiana. Come già notavano CherubiniCherubiniFrancesco e FransciniFransciniStefano, pur impiegando una terminologia divergente, la lingua parlata nel territorio ticinese che si estende al sud del Monte Ceneri, ovvero nei distretti di Lugano e Mendrisio, rientra nel sottogruppo comasco:

Il Comasco estèndesi in quasi tutta la provincia di Como, tranne l’estrema punta settentrionale al di là di Menagio e di Bellano a destra ed a sinistra del Lario; e in quella vece comprende la parte meridionale e piana del Cantone Ticinese, sino al monte Cènere.6

Oltre a questa, secondo BiondelliBiondelliBernardino, altre due varietà alpine della famiglia lombardo occidentale sono diffuse nella Svizzera italiana (nel senso attuale del termine, compreso il Grigioni). È lombardo, infatti, il dialetto valtellinese parlato nelle valli grigionesi della Mesolcina, Calanca, Bregaglia e Poschiavo. Nel rimanente territorio svizzero-italiano, al nord del Monte Ceneri, è invece in uso la varietà ticinese:

Il Valtellinese òccupa colle sue varietà le valli alpine dell’Adda, della Mera e del Liro, inoltràndosi ancora nelle Tre Pievi, lungo la riva del Lario, intorno a Gravedona, ed a settentrione nelle quattro valli dei Grigioni italiani, Mesolcina, Calanca, Pregallia e Puschiavina […] Il Ticinese è parlato nella parte settentrionale del Cantone Svìzzero d’egual nome, al norte del monte Cènere, in parecchie varietà, tra le quali distìnguonsi sopra tutto le favelle delle valli Maggia, Verzasca, Leventina, Blenio ed Onsernone.7

Entrambi i sottogruppi, e in particolare la varietà delle valli del Ticino settentrionale, si distinguono dal milanese e dal comasco per la maggiore palatalizzazione e asprezza dei suoni. Inoltre, benché si tratti di una caratteristica comune a tutti i dialetti dell’arco alpino, il lessicografo nota che il Ticinese si differenzia dalle varietà di prestigio per la peculiare frammentazione linguistica interna al territorio:

Il Ticinese del pari che tutti i dialetti montani, varia non solo da valle a valle, ma da luogo a luogo, per modo che sovente nella valle istessa distìnguonsi di leggeri tre o quattro dialetti diversi ripartiti in parecchie varietà. Ivi la sola proprietà, che dir possiamo generale, consiste nella rozzezza delle forme e dei suoni; ma sì le une che gli altri vàriano all’infinito, sicché ardua impresa sarebbe il contrassegnarli ed enumerarli.8

La necessità di ribadire una considerazione già proposta nelle prime pagine del capitolo intestato Divisione e posizione dei dialetti lombardi (citato sopra), va probabilmente ricondotta alla fonte impiegata dallo studioso. In questo passo BiondelliBiondelliBernardino si rifà direttamente a un’osservazione proposta da FransciniFransciniStefano nel capitolo Lo stato sociale, compreso nel primo volume della Svizzera italiana del 1837:

Difficil cosa sarebbe distinguere e determinare il numero dei dialetti che si parlano nel nostro paese, giacché la varietà vi è grandissima e quasi incredibile da luogo a luogo.9

La breve disamina linguistica pubblicata nella Svizzera italiana, come ho già avuto modo di dire, rappresentava al tempo l’unica documentazione affidabile relativa alle varietà lombardo-alpine e segnatamente alla Leventina. La conoscenza e l’impiego del repertorio fransciniano da parte di BiondelliBiondelliBernardino è comprovato dalle voci comprese nel suo Saggio di vocabolario dei dialetti lombardi, raccolto nell’opera in analisi. Infatti, in questo esiguo lessico, come si avrà modo di mostrare più avanti, sono incluse tutte le voci dialettali censite dal ticinese nel 1837.

In assenza del contributo di FransciniFransciniStefano, gli studiosi che si occupavano delle varietà di Blenio e della Leventina, ma più genericamente del remoto vernacolo delle valli prealpine, erano costretti a ripiegare su fonti meno attendibili. Ad esempio, furono usate a questo scopo le versioni della Parabola del Figliuol prodigo, raccolte nel Ticino dal canonico Paolo GhiringhelliGhiringhelliAndrea e pubblicate con scarso scrupolo filologico da Franz Joseph StalderStalderFranz Joseph nella già citata Die Landessprachen der Schweiz oder Schweizerische Dialektologie, mit kritischen Sprachbemerkungen beleuchtet del 1819: BiondelliBiondelliBernardino si servì di questo testo per pubblicare nel Saggio sui dialetti gallo-italici la parabola nelle versioni delle valli Bregaglia, Maggia, Verzasca, Leventina, Blenio e di Locarno.10 Benché poco fedele sul piano linguistico, un ulteriore repertorio lessicale utile per lo studio del vernacolo di queste valli poteva essere la raccolta di poesie intitolate Rabisch: una miscellanea tardocinquecentesca, di tradizione comica o burlesca, allestita dai membri dell’Accademia dei Facchini di Milano, presieduta dal poeta e pittore Giovanni Paolo LomazzoLomazzoGiovanni Paolo con il nom de plume di Compà Zavargna.11 L’impiego di questa fonte da parte di BiondelliBiondelliBernardino è testimoniato nel paragrafo Ticinese del capitolo Saggi di letteratura vernàcola lombarda:

1580. Dialetto della Valle di Blenio. – Onde porgere più chiara idea di questo dialetto, abbiamo estratto dai Rabisch di Gio. Paolo LomazzoLomazzoGiovanni Paolo un brano della sua Dissertazione in prosa sull’orìgine e fondamento della Valle di Blenio, ed un Sonetto di qualche pregio, nel quale il poeta (facchino) si duole colla sua amata per non essere corrisposto.12

L’impiego in questa prospettiva del repertorio linguistico dialettale offerto nei Rabisch richiede tuttavia una sensibilità e una prudenza filologiche delle quali BiondelliBiondelliBernardino non sembra dotato. Oltre ai vincoli, ai modelli e alle convenzioni tipiche della poesia, che possono deformare o falsare il dato linguistico, e al gusto barocco e grottesco di quel tempo e di quel ambiente, queste poesie sono infatti redatte da parlanti milanesi in un dialetto bleniese di maniera, impressionistico e ipercaratterizzato, quando non in lingua zerga o in lingue di fantasia, macaroniche e parodiche come il “similbergamasco” o il “similbolognese”. In sostanza, i Rabisch sono scritti in una varietà d’invenzione modellata sul dialetto grossolano e aspro parlato dagli stagionali che allora e nei secoli a venire giungevano a Milano dalla Val di Blenio.13

Non diversamente, per quanto concerne la descrizione della varietà dialettale praticata nei dintorni del Lago Maggiore, il verbanese secondo la classificazione di BiondelliBiondelliBernardino, l’unica documentazione diffusa erano i volumi pubblicati da un sodalizio milanese settecentesco, noto con il nome di Bedie doi fechin dol lagh meiò o d’Intragna. Questo toponimo va ricondotto alla Valle d’Intrasca (Intragna in lombardo), che sfocia nel Lago Maggiore nei pressi di Intra, in Piemonte, e non all’omonimo comune di Intragna situato nelle Centovalli del Cantone Ticino, facilmente equivocabile (e spesso equivocato):14

Da principio i poeti milanesi adottàrono il dialetto della valle di Blenio, i cui abitanti solèvano recarsi in frotte annualmente alla capitale lombarda per esercirvi il mestiere di facchini, e, sul modello dell’Arcadia, i cui membri assumèvano spoglie pastorali coi nomi di Titiro e Melibeo, fondàrono l’Academia della valle di Blenio, nella quale, colle mentite spoglie di facchini, tentàrono nobilitare coi poètici nùmeri la lingua, i costumi ed i rozzi concetti di quella pòvera plebe. L’orìgine e gli statuti di questa frìvola Academia fùrono publicati nei Rabisch dra Academiglia dor Compà Zavargna, ove sono racchiuse molte poesie facchinesche di Gio. Paolo Lomazzi, autore di questo libro e prìncipe dell’Academia, non che varii componimenti d’altri zelanti acadèmici (…) Poco dopo, vale a dire in sul principio del sècolo XVII, vi fu sostituito il dialetto della valle Intrasca, non meno strano del primo, e proprio parimenti d’una parte dei facchini e vinaj della capitale nativi di quella valle. Venne quindi fondata la gran Badìe doi fecqìn dol lag Méjò, e in essa i poeti lombardi, serbando sempre la màschera facchinesca, illustràrono questo nuovo dialetto montano con molti componimenti poètici.15

Gli scritti degli zanajuoli (‘facchini’)16 e vinaj (‘portatori di vino’) verbanesi redatti in lengua fachinna, nonostante l’intento letterario burlesco e la lingua caricaturale conforme a quella dei Rabisch, furono sistematicamente impiegati dai lessicografi del tempo per la descrizione e lo studio della varietà diffusa nell’area del Lago Maggiore: valga da esempio, BiondelliBiondelliBernardino e CherubiniCherubiniFrancesco antologizzano alcuni testi secondo loro rappresentativi di questo vernacolo nelle rispettive opere. In queste ricerche, ancora prescientifiche nel metodo, l’uso acritico delle fonti in lengua fachinna era normale. Più sorprendente è invece il caso dei Saggi ladini, nei quali i testi della Bedie doi fechin sono impiegati – con prudenza e consapevolezza – da AscoliAscoliGraziadio Isaia in mancanza di testimonianze alternative più affidabili:

 

La Bedie aveva naturalmente adottato il vernacolo dei vinaj che sogliono calare a Milano dalla Valle d’Intragna; ma se l’arte del perfetto discorrer facchino le stava molto a cuore, come si vede da’ suoi statuti del 1715, può aversi tuttavolta legittimo sospetto che qualcosa di artificiato vi entrasse, come era certamente entrato in un caso consimile, di cui più innanzi si tocca (“Valle di Blenio”). Sta però in ogni modo che la base generale di quella parlata fosse il genuino vernacolo dei valligiani d’Intragna.17

Oltre alle opere a stampa menzionate, BiondelliBiondelliBernardino raccoglie per altre vie un buon numero di voci direttamente riconducibili alle varietà delle valli svizzero-italiane, riunite e ordinate nel breve lessico alfabetico del dialetto lombardo. Il Saggio sui dialetti galli-italici e i relativi lessici alfabetici in esso contenuti si fondano in primo luogo sulla documentazione linguistica offerta dai repertori lessicografici dialettali già editi.18 Questi strumenti sono poi integrati con i materiali preparatori di due importanti dizionari allora in corso d’allestimento, quello cremonese di Angelo PeriPeriAngelo e quello comasco di MontiMontiPietro:

Essendo fatti consapèvoli che i benemèriti professor Angelo PeriPeriAngelo ed abate Pietro MontiMontiPietro stàvano frattanto compilando i Vocabolarii dei dialetti Cremonesi e Comaschi, abbiamo ottenuto dalla loro gentilezza un estratto dei loro manoscritti, che speriamo vedere quanto prima alla luce per intero.19

Secondo l’indicazione riportata nella Nota preliminare, la pubblicazione di queste opere anticipò nell’uscita il Saggio sui dialetti gallo-italici, che non fu tuttavia ritoccato alla luce degli aggiornamenti apportati con la stampa dei repertori. La ricerca si spinse anche oltre all’uso di sussidi materiali. Come riferisce il testo introduttivo al volume, la raccolta lessicale fu arricchita mediante delle indagini sul campo dello studioso, che si avvalse inoltre della collaborazione di alcuni informatori, in particolare per il dialetto cremasco, il cremonese, il bergamasco e il lodigiano.20 Per quanto concerne la koinè ticinese la fonte principale fu il manoscritto trasmesso da MontiMontiPietro, lodato proprio per l’estensione geografica della sua indagine, sistemata in «uno de’ più importanti lèssici fra i lombardi, pei molti dialetti alpini che abbraccia», scrive BiondelliBiondelliBernardino.21 L’impiego copioso del materiale raccolto da MontiMontiPietro nell’allestimento del Saggio di vocabolario dei dialetti lombardi è confermato dalla verifica incrociata tra questo e il Vocabolario dei dialetti della città e diocesi di Como (o il provvisorio Florilegio di voci comasche pubblicato sul «Politecnico» nel 1844).22 I lemmi ricondotti ai dialetti delle valli Verzasca e Maggia presenti nel lessico di BiondelliBiondelliBernardino sono infatti ricavati dal manoscritto trasmesso da MontiMontiPietro, che fu particolarmente attento alla lingua di queste vallate, documentate mediante indagini in prima persona. Solo un esiguo numero di voci ricondotte a questi luoghi (Bentàr, Cöz, Darbiö, Ponzèl, Rafabià, Rómp, Sàrodan, Slétan e Spagnà) non trovano corrispondenza nel Vocabolario dei dialetti della città e diocesi di Como di MontiMontiPietro. Le divergenze tra il repertorio comasco e il lessico alfabetico di BiondelliBiondelliBernardino, come alcune difformità più o meno importanti, potrebbero dipendere dallo stato del lavoro testimoniato dal manoscritto trasmesso da MontiMontiPietro oppure da sviste e interventi del linguista sulla documentazione ricevuta. È in ogni caso probabile che il fascicolo manoscritto inviato a BiondelliBiondelliBernardino contenesse un repertorio lessicale più snello rispetto alla lezione pubblicata nel Vocabolario comasco del 1845. Presumibilmente questo documento si configurava in una forma più vicina a quella del Florilegio di voci comasche, che registra numerosi lemmi identici a quelli indicizzati da BiondelliBiondelliBernardino, spesso privi delle ipotesi etimologiche e delle fraseologie che si leggono nella versione definitiva del Vocabolario comasco. A questo proposito, una testimonianza e contrario si trova al lemma Cimid (‘sonnolento’), il quale, in controtendenza rispetto alla normale evoluzione del repertorio, legge un’entrata succinta nel Vocabolario mentre nel Florilegio è presente una voce più articolata, accolta senza modifiche sostanziali nel lessico di BiondelliBiondelliBernardino:


Monti 49: Cimid. V.V. Dormiglioso Florilegio 29: Cimid. V.V. Sonnolento. – Gr. Κοιμαω, koimao, dormire; da cui cimitero. Biondelli 63: Cimid. V.V. Sonnolento. – Gr. Koimào, Koimizo. Dormire; d’onde Cimitero?

Sulla base del confronto tra le versioni, possiamo congetturare che il manoscritto trasmesso a BiondelliBiondelliBernardino presentasse una lezione intermedia tra il Florilegio e l’edizione definitiva. Alcuni lemmi del Saggio di vocabolario dei dialetti lombardi, al contrario dell’esempio sopracitato, si allineano infatti alla versione compresa nel Vocabolario comasco: fra gli altri, è il caso di Sairèd (‘malinconico’), che presenta l’etimologia dall’inglese sad assente nel Florilegio. Ad ogni modo, l’atteggiamento di BiondelliBiondelliBernardino rispetto al materiale lessicografico ricevuto da MontiMontiPietro appare passivo e si limita, tuttalpiù, a omologare la rappresentazione fonetica delle voci dialettali o a sintetiche aggiunte. Una di queste è la proposta etimologica che segue la voce verzaschese sosnà (‘Governare il bestiame nelle stalle’), secondo BiondelliBiondelliBernardino riconducibile al romancio Sežniunar. In questo caso lo studioso poggia tuttavia su un’altra fonte, parallela al Vocabolario comasco di MontiMontiPietro e non indicata nell’introduzione al Saggio sui dialetti gallo-italici, che abbiamo già avuto modo di includere tra i sussidi impiegati dal veronese: ovvero la Svizzera italiana di FransciniFransciniStefano, che cataloga la voce sosnà nella tabella Frasi nel dialetto Romansch e nel Ticinese della bassa Leventina, dove è ricondotta al ladino séjniunar.23 In realtà, una proposta più convincente sull’etimologia di sosnà è presentata da SalvioniSalvioniCarlo, che collega il lemma alla voce latina satio (REW 7616).24

Inoltre, sempre per quanto concerne la fonte fransciniana, nel lessico lombardo di BiondelliBiondelliBernardino è dimostrabile con certezza l’impiego delle liste di Alcuni curiosi vocaboli de’ dialetti Ticinesi e di Vocaboli ticinesi comuni col Tedesco Svizzero. Questo fatto documenta una volta di più l’importanza del contributo lessicologico di FransciniFransciniStefano per gli studi linguistici sulla regione.

Per verificare l’impiego del mannello di voci raccolte dal ticinese è sufficiente paragonarle ai lemmi censiti da BiondelliBiondelliBernardino e alle relative entrate del Florilegio e del Vocabolario comasco di MontiMontiPietro. Il rapporto di dipendenza tra i due lessici è testimoniato dalle contiguità testuali stabilite fra i repertori e dalla corrispondenza di alcune voci del lemmario lombardo con i materiali presentati in Svizzera italiana, specie quando assenti nel glossario comasco; quest’ultimo fatto certifica, di conseguenza, il mancato utilizzo del volume di FransciniFransciniStefano nella compilazione del Vocabolario di MontiMontiPietro. Da un corrivo paragone, nel repertorio di BiondelliBiondelliBernardino emerge chiaramente la ripresa delle scelte lessicali, dei giri di frase e più largamente delle definizioni proposte dal ticinese: