Za darmo

Il nome e la lingua

Tekst
Z serii: Romanica Helvetica #142
0
Recenzje
Oznacz jako przeczytane
Czcionka:Mniejsze АаWiększe Aa

1.4. La collaborazione con «L’Àdula» (1912-1920)

Il rapporto di SalvioniSalvioniCarlo con «L’Àdula», un foglio culturale svizzero-italiano attivo tra il 1912 e il 1935, di cui fu promotore e collaboratore fino alla morte, si orienta in direzione esplicitamente filoitaliana e contraria alle tendenze accentratrici dello Stato federale.1 I contributi del glottologo sono pubblicati in un periodo che coincide con la fase migliore del giornale, ovvero prima che la difesa dell’italianità etnica e culturale del Ticino, già segnata da posizioni forti e in alcuni casi eccessive, lasciasse spazio a velleità irredentistiche e alla deriva filofascista.2 Ma già in questo giro d’anni i toni oltranzistici e l’apporto di collaboratori non sempre all’altezza delle loro ambizioni ridussero «L’Àdula» a foglio di provocazione politica: un’esperienza, tolte alcune pagine di SalvioniSalvioniCarlo, che assume valore e interesse unicamente in prospettiva storica.

Sebbene il contributo salvioniano al periodico consisteva sostanzialmente nella redazione di una Rubrica bibliografica, i testi da lui pubblicati eccedono la ragione puramente recensoria in favore di una precisa intenzione di promozione ideologico-culturale. La severa disciplina per lo studio e la preparazione del glottologo, probabilmente senza eguali fra gli uomini di quel Ticino (fatto salvo il più giovane ChiesaChiesaFrancesco), gli consentivano di redigere recensioni austere e prive d’acquiescenza.3 Secondo una consuetudine che si ritrova anche negli scritti linguistici, questi testi sono costituiti, più che dalla presentazione effettiva delle opere discusse, da un approfondimento a partire da queste ultime, ritenute incomplete, poco convincenti o tendenziose. In funzione del programma di cui sopra, nei contributi pubblicati sull’«Àdula» il glottologo confuta sistematicamente le ricerche che contestano o negano l’italianità culturale e storica della regione. Un’intenzione analoga si presenta, seppur concentrata in osservazioni puntuali ed edulcorate, anche negli articoli collocati in sede più propriamente scientifica. Ad esempio, nel già citato saggio Lingua e dialetti della Svizzera italiana si legge una nota mossa nel suo impeto dalla volontà di tutelare l’etnia lombarda del Ticino:

A questa mia affermazione contraddice implicitamente uno studioso, – e purtroppo uno studioso italiano –, il quale avrebbe trovate (ma non provate, s’intende) tali caratteristiche [«una sola e vera caratteristica che comprenda tutte ed esclusivamente le varietà dialettali della Svizzera italiana»] ne’ dialetti ticinesi, da staccar questi addirittura non solo dal lombardo, ma persino dal sistema gallo-italico.4

Ancora più chiaramente, SalvioniSalvioniCarlo si schiera contro l’influsso della lingua tedesca nel breve studio Dei nomi locali leventinesi in -éngo e d’altro ancora pubblicato nel 1899.5 Nella recensione il glottologo risponde e sconfessa l’articolo pangermanista e dilettantesco di Jakob HunzikerHunzikerJakob, raccolto in un opuscoletto dall’eloquente titolo Der Kampf um das Deutschtum in der Schweiz (1898), che ipotizza un’origine tedesca per alcuni toponimi leventinesi.6 La vigorosa reazione di SalvioniSalvioniCarlo ebbe un’eco nella comunità degli studiosi di lingua italiana: Pio RajnaRajnaPio, ad esempio, il 18 agosto 1899 scrisse al ticinese una lettera in merito alla diatriba. Nella missiva è rilevata la ragione non solo scientifica all’origine dell’affondo ed è aggiunto un velato rimprovero per il tenore e i modi dello studio di HunzikerHunzikerJakob:

Lei non ha scritto solo da linguista; e i sentimenti che riscaldavano l’animo suo si ripercuotono sul lettore italiano. Tra tante passioni che ci agitano l’amore dell’idioma materno è sicuramente una delle più vive. Lo manifesta anche il fatto della cecità che si produce nei combattenti; i quali molto spesso armeggiano con sciabole di legno simili a quella d’Arlecchino, credendosi di brandire lame di Toledo.7

Con una cartolina di quattro anni successiva, scritta da Firenze il 20 novembre 1903 in occasione dell’uscita sul «Bollettino della Svizzera italiana» del seguito di quest’indagine, intitolato Ancora i nomi leventinesi in -engo, RajnaRajnaPio ribadisce l’importanza anche civile e culturale degli studi di SalvioniSalvioniCarlo. Nella missiva, il filologo sottolinea i meriti non solo linguistici dell’attività scientifica del ticinese, che contesta e contraddice ipotesi pretestuose dai facili risvolti politico-identitari:

Lei ha fatto opera di linguista e d’italiano, e si merita per l’una parte e per l’altra applausi ben diversi di natura, ma ugualmente vivi. La tesi sostenuta dovrebbe persuadere i tedeschi spassionati. Quanti siano per essere, non oso presumere. Per la strada le accade di sparger luce a destra e sinistra su questo e quel punto; e anche di ciò è da esserle grati.8

In maniera estesa e sistematica, nelle pagine aduliane firmate da SalvioniSalvioniCarlo emerge con chiarezza la volontà di sconfessare il lavoro tendenzioso di studiosi che «cercano a ogni costo un’antica giustificazione storica del dominio oltremontano su terre italiane».9 Ad esempio, la recensione dell’opera Blenio und Leventina von Barbarossa bis Heinrich VII dello storico Karl MeyerMeyerKarl, pubblicata sull’«Àdula» nel 1913 con il titolo Le tre valli e il loro rapporto con il governo capitolare, suscita un’ulteriore approvazione da parte di RajnaRajnaPio, che il 28 novembre 1913 scrive al collega. Nella lettera, il mittente elogia lo scritto di SalvioniSalvioniCarlo, onesto e abile nel mantenere una prospettiva ferma e intransigente sugli aspetti di cui sopra senza però negare il valore scientifico dell’opera recensita:

Ella merita molta loda anche per aver rilevato e rintuzzato le manifestazioni che di codesta invadenza s’hanno in un’opera, di cui insieme mette in bella mostra il merito non comune.10

Nelle numerose recensioni svizzero-italiane il glottologo non si limita dunque agli aspetti linguistici ma si occupa di questioni anche più largamente storiche, come nell’ultimo caso menzionato. SalvioniSalvioniCarlo si dimostra infatti solerte nel rimproverare agli studiosi troppo frettolosi o mossi da obiettivi settari che il dominio elvetico sulle terre cisalpine è conseguente a una conquista – precisando: «ché di ciò veramente è nella pienezza della parola che si tratta» – e non risponde a una naturale conformità, come paiono suggerire alcune ricostruzioni storiche di parte.11 Un’osservazione a questo proposito si legge nella recensione all’opera Note d’arte antica del Cantone Ticino di Giorgio SimonaSimonaGiorgio, pubblicata sull’«Àdula» nel 1914:

A meno non ammettano [gli storici recensiti] che il Creatore fin dai primordi del nostro pianeta abbia creato in potenza il Ticino e destinatolo all’Elvezia, (precreata anch’essa), e che unicamente la malizia degli uomini abbia fatto sì che il decreto della Provvidenza abbia potuto tradursi in atto solo da poco più d’un secolo.12

Nel brano SalvioniSalvioniCarlo biasima la prospettiva distorta degli storici che applicano acriticamente le condizioni geo-politiche attuali al passato, e più sotto appunta che «la mentalità dell’autore è del resto la solita che si riscontra tra gli svizzeri e trapiantata purtroppo anche tra noi secondo cui i caratteri costanti (la giacitura geografica, la stirpe, la lingua) son considerati come contingenti, e i contingenti (il dominio politico) come costanti»; un passo, questo, che suggerisce una visione culturale-identitaria della Svizzera italiana che meglio sarebbe riassumibile nella formula inversa, cioè in un’ipotetica “Italia svizzera”.13 In questo senso, alcune testimonianze si verificano anche e contrario. Ad esempio, nella recensione al primo volume dell’opera Come il Ticino venne in potere degli Svizzeri di Eligio PomettaPomettaEligio è constatato con soddisfazione che nel libro si dà «una viva e ragionevole esposizione della battaglia di Arbedo; nella quale è messa in evidenza la parte che ebbero i nostri nella vittoria gloriosa, nella vittoria a cui partecipammo difendendo quello che era il nostro stato naturale, lo stato di Milano, lo stato di Lombardia». Per poi tornare, più avanti, alla problematica consapevolezza del popolo ticinese, che guarda al passato con un’angolatura appiattita sugli equilibri e le prospettive del presente, senza interrogarsi in merito al ruolo effettivo delle comunità prealpine nelle dinamiche del tempo. Un fatto che assume, agli occhi di SalvioniSalvioniCarlo, un peso anche politico, in quanto l’indebolimento della coscienza storica favorisce le interpretazioni pretestuose, piegate nello specifico a obiettivi filoelvetisti:

M’immagino che quando, fra qualche anno, ricorrerà l’anniversario della battaglia famosa, vedremo il Ticino ufficiale adottare la versione elvetica dell’andamento della gran giornata, e celebrare cogli svizzeri il ricordo della sconfitta, dimenticando e vituperando fors’anche, i vittoriosi, che furono i nostri padri, fedeli al loro Duca. Oh, potessero le pagine del PomettaPomettaEligio deprecare tanta bassezza!14

1.4.1. Il ruolo della pubblica educazione

La scarsa consapevolezza relativa alla vicenda storica della regione era da attribuire secondo SalvioniSalvioniCarlo alla qualità e agli obiettivi dell’insegnamento nel sistema scolastico cantonale, che «mirava a fortificare ne’ ticinesi l’attaccamento alla Svizzera» e ad «esporre le cose in modo che appariva il Ticino aver poco o punto da vedere coll’Italia»; in sostanza, secondo il glottologo, la scuola ticinese caldeggiava la formazione di uno spirito identitario di orientamento svizzero o pan-elvetico.1 Nell’articolo sullo Stato della coltura italiana nel Cantone Ticino SalvioniSalvioniCarlo sostiene che l’educazione pubblica promuoveva negli alunni uno spirito anti-italiano. Ed è proprio la presunta anti-italianità – sempre in senso etnico, rassicura l’autore – a muovere le critiche del glottologo, che non si oppone all’identità svizzera del Ticino, innegabile di per sé, ma non tollera che lo spirito nazionale si crei a scapito dei legami del Cantone con l’Italia, in particolar modo in prospettiva storica e culturale:

 

Ma se italiana è la lingua delle scuole, è invece anti-italiano lo spirito che le informa; dove naturalmente desidero di non essere frainteso, e alla parola “italiano” attribuisco un senso non politico ma puramente “etnico”. È naturale che la scuola d’un paese che è e si sente svizzero inculchi spirito svizzero. Ma ciò deve farsi senza grettezza d’idee, e non rinnegando a ogni piè sospinto la propria impronta etnica, non quasi coltivando di proposito l’avversione a tutto ciò che è italiano, sottacendo i mille legami per cui la vita ticinese, presente e passata, è legata all’Italia e affermando solo quelli per cui se ne va staccata.2

La tendenza messa a fuoco in questo paragrafo trova la sua ragione in una presunta strategia d’ordine politico, promossa mediante un’educazione storico-culturale fornita con sussidi didattici ad usum delphini, che condizionavano le prospettive degli alunni e di conseguenza dei futuri docenti, ricercatori e intellettuali ticinesi.

L’impiego di questi manuali, secondo SalvioniSalvioniCarlo, era motivato da una doppia contingenza. Da un lato, l’allestimento e la promozione dei libri di testo cantonali favoriva sul piano economico l’editoria ticinese, che trasse beneficio dalla produzione autoctona dei supporti didattici in sostituzione ai manuali diffusi nel Regno d’Italia; dall’altro, assecondava il proposito di attenuare l’origine comune e di distanziare così il Ticino da quest’ ultimo. Questa intenzione fu confortata e consolidata in parte dalle illusioni autarchiche del tempo, ma fu soprattutto la volontà di collocare più solidamente e rafforzare un’identità ticinese in seno alla Confederazione a stimolare questo tipo d’iniziative. A tale proposito, SalvioniSalvioniCarlo nel 1913 pubblica sull’«Àdula» una recensione all’Antologia di prose e poesie moderne curata da Patrizio TosettiTosettiPatrizio e destinata alle Scuole maggiori, tecniche, ginnasiali e normali del Ticino. Nell’opera il glottologo constata grossi difetti, oltre che qualitativi, d’impostazione complessiva. La scelta antologica proposta da TosettiTosettiPatrizio è infatti orientata “politicamente”, cioè predilige alla qualità delle opere e alla loro importanza nella tradizione letteraria in lingua italiana la definizione di un preciso canone “filo-elvetico”:

La manipolazione del TosettiTosettiPatrizio trae la sua origine, come parecchi altri e ugualmente grami libri scolastici nostrani, dalla necessità, vera o presunta, di liberarci dai libri del «vicino regno», dagli stranieri, come graziosamente considera gli autori italiani il TosettiTosettiPatrizio, cui la men che elementare coltura ha purtroppo tolto e sempre torrà di assurgere a quel pur così elementare concetto della solidarietà linguistica intellettuale e letteraria tra gli italiani tutti; quelli del regno non esclusi, dai quali, in grazia appunto di quella fratellanza, il TosettiTosettiPatrizio, oh sventura! è obbligato a mendicare un inno all’Elvezia, e la versione del Tell dello SchillerSchillerFriedrich, e poesie sul S. Gottardo, sulla Jungfrau, ecc. ecc.3

Il sistema educativo, un’importante vettore identitario e culturale, non operò dunque in favore della tipicità etnica regionale e, anzi, programmaticamente o per incompetenza, promosse ed enfatizzò, fino alla deformazione, l’identificazione non solo politica ma anche storica dell’attuale Cantone Ticino con la Svizzera. Secondo l’opinione del linguista, «la coltura italiana ebbe dunque nella scuola ticinese piuttosto una nemica che non un’alleata».4

Oltre che sostenuta dall’opportunismo dell’editoria ticinese, questa tendenza fu assecondata dalle ambizioni di studiosi privi di un’adeguata preparazione. Con onestà intellettuale, SalvioniSalvioniCarlo intende dunque responsabilizzare il mercato dell’editoria scolastica, nel quale era coinvolta anche l’impresa di famiglia fondata a Bellinzona dal padre CarloSalvioniCarlo (padre) negli anni Cinquanta dell’Ottocento. A questo proposito, nel 1912 il glottologo pubblica sull’«Àdula» una recensione al Corso elementare di storia generale del romando Paul MailleferMailleferPaul (1862-1929), nella quale sono rivendicati una volta di più le miopie e gli interessi economici di cui sopra, benché il testo, adattato agli istituti ticinesi dalla traduzione di Raimondo RossiRossiRaimondo, fosse pubblicato per i tipi delle edizioni Salvioni:

Dacché angusta preoccupazioni patriottiche, abilmente suscitate e sfruttate da autori tanto più avidi di facili guadagni quanto meno competenti, hanno spalancato vetrate e porte alla industria dei libri indigeni; da allora, dico, non vi ha tanghero che non si creda ispirato dalle muse e chiamato all’alta missione di ammannire qualche libro di testo, che il provvido placet governativo s’incarica poi di imporre alle indifese menti dei nostri figliuoli.5

In conclusione, la collaborazione di SalvioniSalvioniCarlo alle pagine dell’«Àdula» è dunque limitata all’attività di recensore, orientata a delegittimare opere che in modi e con intenzioni diverse indeboliscono la consapevolezza etnica e culturale del Cantone Ticino. A questo proposito, nella minuta della lettera a Louis GauchatGauchatLouis, parzialmente citata sopra, il glottologo prende le distanze dal periodico e ribadisce le forme e le ragioni della sua collaborazione:

[…] coll’Àdula io non ho altri rapporti che d’essere abbonato e d’averle fornito degli articoli bibliografici. Il Sig. MagginiMagginiCarlo, sa quali sono questi articoli e può dire se in essi altro si noti se non la preoccupazione di liberare la scuola ticinese da libri fatti da incompetenti in cui il patriottismo ›serve da passaporto‹ male maschera la smania del guadagno; ›preoccupazione nata‹ a preoccupazione di introdurre nella scuola libri che tengan qualche conto del carattere etnico del Ticino.6

1.5. Sulla presunta arte svizzero-italiana

Nonostante il progressivo adeguamento alle norme confederali e l’intensificarsi del sentimento identitario svizzero, il Cantone Ticino mantenne uno stretto legame culturale con il Regno d’Italia, espresso con evidenza e rivendicato soprattutto nelle arti, che trovavano un modello privilegiato oltreconfine. Nella regione, secondo SalvioniSalvioniCarlo, era tuttavia avvertibile anche in quest’àmbito una presunta tendenza autarchica. O meglio, la produzione di letterati, pittori, scultori e architetti nati nel Ticino era spesso definita ticinese o elvetica. Per spiegare questo equivoco, il glottologo impiega un’analogia storica forte, connotata politicamente. SalvioniSalvioniCarlo paragona la volontà di affermare il carattere svizzero degli artisti del Ticino a quanto avveniva durante la dominazione austriaca sul Regno Lombardo-Veneto con le personalità di spicco dell’arte italiana, ritenute le massime espressioni artistiche dell’impero. Così facendo, oltre a rivendicare l’italianità dell’arte ticinese, SalvioniSalvioniCarlo suggerisce una sovrapposizione polemica, a maggior ragione nel clima storico del tempo, tra la Lombardia austriaca e la Svizzera italiana:

Ciò che più turba quelle anguste coscienze sono i vincoli culturali, e perciò, come in Austria ai bei tempi consideravano il TizianoVecellioTiziano e ManzoniManzoniAlessandro quali glorie dell’impero, così da noi lo sforzo di fare apparire svizzeri pur nelle attinenze intellettuali uomini come il VelaVelaVincenzo (verso cui a Berna hanno sempre dimostrato tanta propensione), il Ferraguti, che il Platzhof dice accaparrato dagli storici dell’arte italiana (come se questa avesse proprio bisogno di usurpare sull’altrui; e si trattasse pure di un valentuomo come il Ferraguti).1

Dalle soglie dell’Ottocento, gli artisti e scrittori ticinesi si trovarono in effetti in una situazione ambigua e idiosincratica, erano cioè misurati a due modelli di appartenenza culturale: da un lato quello svizzero, politico e istituzionale, e dall’altro quello italiano, geografico e culturale.2 Certo, quest’ambivalenza identitaria aveva anche dei risvolti favorevoli. Il bifrontismo degli artisti e scrittori svizzero-italiani facilitava infatti l’accesso al milieu culturale elvetico e, attraverso quest’ultimo, a quello tedesco e francese. Queste tensioni artistico-identitarie sono riassunte da SalvioniSalvioniCarlo nella recensione al volume di PomettaPomettaEligio intitolato Come il Ticino venne in potere degli Svizzeri, apparsa sull’«Àdula» nel 1914:

Tutta l’arte nostra, dai comacini (chiamiamoli pure così) giù giù fino al VelaVelaVincenzo e al CiseriCiseriAntonio, per tacere dei vivi; tutta l’arte nostra è arte italiana, occorre appena di dirlo, né potrebbe essere altrimenti. Il Ticino ha molto dato all’arte comune d’Italia e molto ne ha ricevuto. Potranno i nostri artisti, potrà qualcuno de’ nostri artisti, posare allo «svizzero»; potrà anche destramente avvalersi della duplice qualità di politicamente svizzero e di etnicamente italiano per esporre, putacaso, alle esposizioni nazionali di Milano e Roma e alle svizzere di Berna e Ginevra, e magari, – cioè in quanto svizzero possa esser sinonimo di tedesco, – alle germaniche. Ma egli rimase italiano. Giacché l’impronta nazionale, voglia o non voglia, è indelebile in lui, non è in suo potere di cancellarla. E dappertutto dove va, porta seco arte italiana. – Ma se nella famiglia italiana, il Ticino può dire altamente la sua quando si tratti delle arti del disegno, perché è rimasto presso che muto nella letteratura nazionale? Questo mutismo è cessato veramente ai dì nostri per virtù di un valentissimo, nel quale vigoria di pensiero e purezza di forma s’associano in una serena coscienza d’italianità.3

A questo proposito, sono significative tre lettere inviate da SalvioniSalvioniCarlo al conterraneo Francesco ChiesaChiesaFrancesco, il letterato «valentissimo» evocato nell’ultima citazione, conservate nel fondo De Haller-ChiesaChiesaFrancesco dell’Archivio Prezzolini di Lugano. Nel 1897, in occasione della pubblicazione della silloge di versi intitolata Preludio, stampata a Milano dagli editori Fontana e Mondaini, il linguista scrisse al poeta di Sagno parole di ammirazione e gratitudine. SalvioniSalvioniCarlo manifesta nella missiva un sentimento di riconoscenza motivato dalla qualità delle poesie di ChiesaChiesaFrancesco – per il vero segnate da un gusto decadente, che il poeta ha successivamente rifiutato e condannato – che lasciavano presagire il definirsi di una voce ticinese nella tradizione letteraria italiana, nella quale finora il Ticino era scarsamente rappresentato.4 Le poesie di ChiesaChiesaFrancesco sono insomma considerate dal glottologo il vero e proprio preludio di una letteratura italiana nel Ticino:

Egregio Collega,

Da ventiquattr’ore mi delizio ne’ Suoi Versi e continuerò a deliziarmene per un pezzo. Mi pajono d’ottima fattura e d’ispirazione veramente geniale.

Nel congratularmene vivissimamente con Lei, ne felicito anche il nostro Ticino; poiché o io m’inganno o i Suoi versi “preludiano” a ciò: che il nostro paese, il quale tanti maestri nelle arti del disegno ha dato all’Italia, dà finalmente alla gran madre, nella Sua persona, un valoroso artefice della penna.

E aggradisca, insieme ai più vivi ringraziamenti pel volume, – così bello anche di corpo, – l’espressione de’ miei più rispettosi sentimenti.

Dal dev.ssimo

C. SalvioniSalvioniCarlo

Bellinzona 31 X ’97

Voglia, La prego, salutarmi tanto il collega Prof. VillaVillaGiuseppe5

SalvioniSalvioniCarlo invia a ChiesaChiesaFrancesco un messaggio analogo nell’aprile del 1901, in risposta alla ricezione di un manipolo di testi che vanno ricondotti alla prima parte del poema epico-civile in sonetti intitolato Calliope:

Caro Professore,

non so se mi illudo, ma mi pare che per opera Sua il Ticino entri, finalmente e definitivamente, nell’arringo delle lettere nazionali. Questo a proposito delle sue recenti poesie che ho letto con moltissimo gusto e delle quali La ringrazio.

Suo dev.mo

C. SalvioniSalvioniCarlo6

 

Infine, anche nella lettera da Pavia del 12 maggio 1903, scritta all’uscita della raccolta La Cattedrale, è sensibile la soddisfazione del glottologo, non priva di una punta di risentimento. SalvioniSalvioniCarlo considerava la buona fattura dell’opera e il successo oltreconfine di ChiesaChiesaFrancesco come l’affermazione dell’italianità del Ticino e della sua inclusione nella tradizione letteraria italiana. Iscrivere un proprio letterato tra i poeti italiani ufficiali costituiva un’importante conquista e un’ulteriore comprova della tipicità etnica della regione. Anche perché la letteratura rappresenta la forma artistica più tenacemente ancorata alla dimensione “nazionale”, ossia a una precisa lingua e tradizione culturale:

Carissimo collega,

non le so dire con quanto gusto abbia letto e riletto e rileggerò i suoi mirabili versi; dove il culto e la grazia raffinata della forma si disposano a una ispirazione veramente poetica e a una vera divinazione del passato, quanta voglia di leggere il resto… ma per intanto, grazie cordiali del già offerto.

Un particolare motivo di compiacimento ha poi per me la sua poesia: essa è l’affermazione viva e operosa della nazionalità italiana del Ticino, quella nazionalità gloriosa di cui i ben paganti rettili del nostro paese quasi si vergognano, per ignoranza in primo luogo, poi per mancanza d’ideali, la quale conduce alla comoda e supina acquiescenza ai fatti. Tenga alto il gonfalone, egregio professore, e farà opera veramente patriotica e umana.

Mi perdoni lo sfogo, e mi voglia coi più grati sensi

Suo dev. mo amico

C. SalvioniSalvioniCarlo7

Con l’opera di ChiesaChiesaFrancesco, per il vero in questi anni ancora agli albori e lontana dalle prove più convincenti, SalvioniSalvioniCarlo certifica anche in àmbito letterario che «un artista ticinese non fu mai né avrebbe potuto essere. La loro attività è attività lombarda, italiana, si confonde e si esalta nella grande corrente dell’arte lombarda, italiana».8 Opponendosi, così, all’edificazione del mito del “genio del paese”, promossa dallo spirito identitario autarchico negoziato in quegli anni, in opposizione all’Italia e alla Svizzera d’oltralpe.