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Il nome e la lingua

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Z serii: Romanica Helvetica #142
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1.3. La posizione ideologica di SalvioniSalvioniCarlo



Come detto, nell’ultimo trentennio del secolo XIX la questione dell’italianità e della difesa etnico-culturale del Ticino e della Svizzera italiana acquista gradualmente importanza. Nato nel 1858, SalvioniSalvioniCarlo cresce in un ambiente segnato dalle tensioni tra la cultura italiana, il Ticino e l’influsso tedesco proveniente d’oltralpe. Ma in questi anni, più determinante per la sua formazione etica e intellettuale è la frequentazione, fra il 1873 e il 1875, del geografo francese Elisée ReclusReclusElisée e del rivoluzionario russo Michail BakuninBakuninMichail, entrambi esiliati nel Ticino, nonché degli italiani Carlo CafieroCafieroCarlo ed Errico MalatestaMalatestaErrico.1 Il contatto di SalvioniSalvioniCarlo con l’ambiente internazionalista, anarchico e socialista, prosegue anche a Basilea, dove il ticinese fa carte false per l’iscrizione alla facoltà di medicina, e successivamente a Lipsia. In Germania, SalvioniSalvioniCarlo frequenta l’ambiente socialista e conosce Wilhelm LiebknechtLiebknechtWilhelm e Julius MottelerMottelerJulius, tra i fondatori del

Sozialdemokratische Partei Deutschlands.

2 I rapporti con i comunardi anarchico-internazionalisti e la sua militanza – si pensi al discorso tenuto nel luglio del 1876 a Berna in rappresentanza della gioventù rivoluzionaria italiana per i funerali di BakuninBakuninMichail – sono un capitolo eccentrico rispetto all’attività scientifica e linguistica di SalvioniSalvioniCarlo. Detto questo, l’insegnamento bakuniano potrebbe aver contato nell’avviare il ticinese all’interesse linguistico per i dialetti.3 Nel suo quadro ideologico, BakuninBakuninMichail non mancava infatti di riflettere sulla lingua. In ambito italiano, la sua teoria sui dialetti si sviluppa reattivamente, come polemica anti-mazziniana e dunque anti-nazionalistica. Unità linguistica e unità nazionale hanno per il russo un analogo carattere oppressivo, mentre il dialetto è, al contrario, un elemento distintivo e caratterizzante nell’ambito del federalismo dal basso da lui sostenuto.4



L’impegno di SalvioniSalvioniCarlo nell’attività strettamente scientifica non fu d’altronde totalmente estraneo da questa prima esperienza militante. Variando il baricentro ideologico, la frequentazione del linguista goriziano Graziadio Isaia AscoliAscoliGraziadio Isaia, solerte difensore della cultura delle regioni italiane irredente, sollecitò nel ticinese la riflessione sul rapporto tra lingua e nazione, specie nei riguardi della peculiare condizione del territorio ticinese. A tale proposito, nel primo articolo pubblicato da SalvioniSalvioniCarlo sull’«Archivio glottologico italiano», intitolato

Saggi intorno ai dialetti di alcune vallate dell’estremità meridionale del Lago Maggiore

 (1886), è presente una considerazione, superflua ai fini del discorso, di evidente tono irredentista, per contenuti e per la formulazione allusiva con la quale è proposta:



Di queste valli, solo Val Vigezzo è anche politicamente italiana (prov. di Novara); le altre, con l’intiero Canton Ticino, di cui fanno parte, … aspettano ancora.5



Se questa risulta l’unica esternazione esplicita in tal senso, nella corrispondenza privata con il glottologo goriziano, intrattenuta nello stesso giro d’anni, emergono espressioni affini, sebbene attenuate rispetto a questa prima

boutade

 e limitate a qualificare la condizione delle terre italiane d’Austria e di Svizzera. Nel carteggio si registrano a più riprese allusioni relative all’identità dei due studiosi, entrambi italiani per cultura ma non per nascita («E le stringo cordialmente la mano irredenta»).6 In una missiva scritta da Pavia il 29 maggio 1895, ad esempio, SalvioniSalvioniCarlo si dimostra partecipe e solidale con i propositi promossi da AscoliAscoliGraziadio Isaia in una lettura milanese dedicata all’argomento:



Leggo ch’Ella terrà domani una lettura sugli Irredenti , e sono dolentissimo che circostanze domestiche, – l’imminentissima nascita d’un bambino, – m’impediscano di recarmi costì a udirla. Ma mi permetta di pregarla a non volersi dimenticare di me “irredento”, quando la sua lettura vedrà la luce per le stampe.7



La condizione identitaria di SalvioniSalvioniCarlo, e di conseguenza quella politico-culturale del Cantone Ticino, è paragonata esplicitamente a quella delle regioni adriatiche irredente. Ossia ai territori del Trentino-Alto Adige, di Venezia, di Gorizia, di Fiume e dell’Istria, di lingua e cultura italiane ma soggetti all’Austria anche dopo la terza guerra d’indipendenza del 1866. A riprova di questo fatto, in una lettera scritta al goriziano il 27 agosto 1895, per definire il proprio sentimento identitario SalvioniSalvioniCarlo adopera lo stesso vocabolo impiegato per caratterizzare il corrispondente:



Piacerà in ogni modo a ognuno, che abbia la testa libera da pregiudizi, che un “irredento” della Sua autorità parli con tanta e tanto competente schiettezza. Le quistioni non si risolvono col non vederle Ella ha toccato anche del Ticino ed io, come “irredento” ticinese Gliene sono molto grato.8



La gratitudine di SalvioniSalvioniCarlo si riferisce a una breve nota “ticinese” di AscoliAscoliGraziadio Isaia, acclusa al suo testo sugli

Irredenti

 pubblicato lo stesso anno nei rendiconti del «Reale Istituto Lombardo di Scienze e Lettere». L’accenno alla situazione del Ticino nella prolusione è saliente per la comprensione dell’orientamento ideologico del glottologo ticinese:



Il Ticino, abitato da circa 130.000 italiani, è placidamente lombardo, ma soprattutto vuol essere un cantone dell’Elvezia, così come vuole Ginevra, che è placidamente franco-provenzale.9



Questo breve passo, infatti, permette di tarare la portata del termine

irredento

, una parola connotata politicamente e oggi percepita con un significato “forte”, spesso legato alle derive scioviniste che gli sono state attribuite all’indomani del 1918. L’aggettivo impiegato da SalvioniSalvioniCarlo, come suggerisce la nota menzionata e più generalmente il suo approccio alla questione, si conforma all’ideologia promossa da AscoliAscoliGraziadio Isaia. Ovvero a una sollecitudine di natura etnica e culturale, promotrice dell’italianità all’interno dell’Impero austro-ungarico (o rispettivamente della Svizzera), priva di implicazioni politiche e soprattutto estranea a tendenze militaristico-autoritarie e a rivendicazioni razziali. Se così possiamo dire, AscoliAscoliGraziadio Isaia e SalvioniSalvioniCarlo furono “irredenti” e non “irredentisti”: si occuparono cioè di queste terre da un angolatura prevalentemente linguistica, promuovendo la difesa della propria specificità culturale e trascurando invece gli espedienti docimologici vòlti a giustificare pretese di espansionismo politico sulla base di acquisizioni scientifiche.10 SalvioniSalvioniCarlo non rinnega in alcuna occasione l’assetto politico del Ticino. In questo senso va letto, oltre agli esempi menzionati, il testo dettato da Francesco ChiesaChiesaFrancesco – e certamente avallato dal linguista – per la lapide posta sulla casa bellinzonese della famiglia SalvioniSalvioniCarlo in memoria dei due figli morti nel corso la Prima guerra mondiale, combattuta con l’esercito italiano. Un fatto, quest’ultimo, di per sé significativo del rapporto che legava la famiglia SalvioniSalvioniCarlo al Regno d’Italia, e che si può forse spiegare con un paragone storico. Tale dinamica, come volontà di fondo, non è diversa dalle ragioni che un secolo prima portarono i ticinesi liberali da un lato a sostenere e partecipare alla guerra di liberazione italiana nel 1848, dall’altro a rifiutare risolutamente le vaghe rivendicazioni d’annessione suscitate dalla formazione dello Stato unitario italiano.11 Un precedente esemplare a tale proposito è rappresentato dallo scultore Vincenzo VelaVelaVincenzo di Ligornetto, che si impegnò con le armi e con lo scalpello per la libertà della Svizzera e dell’Italia, imbracciando prima il fucile contro i sonderbundisti nella guerra del 1847 e poi contro gli austriaci nelle Giornate di Como della campagna di Lombardia del 1848; e scolpendo nella pietra le figure di Guglielmo TellTellGuglielmo (Lugano, 1856) e di GaribaldiGaribaldiGiuseppe (Como, 1888-89), CavourBenso conte di CavourCamillo (Genova, 1861-63), Carlo AlbertoSavoiaCarlo Alberto re di Sardegna (Torino, 1865), nonché il celebre Spartaco (Lugano, 1847-51), che incarnava lo spirito risorgimentale del tempo e gli ideali libertari e democratici dell’artista.12 Allo stesso modo, SalvioniSalvioniCarlo era mosso, come lo furono i suoi figli, da un sentimento di partecipazione alla causa italiana e in particolare lombarda, sentita come patria culturale.13 D’altro canto, proprio la comunanza di lingua e tradizione che unisce profondamente i due territori non impediva al glottologo di riconoscersi al contempo ticinese. Trascrivo di seguito l’iscrizione scolpita da Pietro BianchiBianchiPietro, tuttora affissa a Bellinzona:



Sulla casa paterna



Di FerruccioSalvioniFerruccio e Enrico SalvioniSalvioniEnrico



Cittadini ticinesi Soldati martiri d’Italia



Ardenti nella fede



Che pugnare e a morire per l’Italia



Già chiamava i nostri maggiori



Il Canton Ticino



Incide i due fulgidi nomi



E la memoria nei cuori.



Bellinzona, 191914



A corollario dell’iscrizione lapidea vale la pena citare, come chiosa dello spirito che la origina, un estratto della lettera di SalvioniSalvioniCarlo inviata da Menaggio il 16 ottobre 1919 al professor Luigi RessigaRessigaLuigi, allora presidente del comitato della Dante Alighieri di Lugano, e resa pubblica lo stesso anno sull’«Àdula». Nella missiva emerge la ferma e vigorosa italofilia di SalvioniSalvioniCarlo, che si accompagna, come di fatto si verifica nell’orientamento dei suoi studi, sempre attenti alle varietà linguistiche ticinesi, all’amore per la sua terra d’origine, riconosciuta nel Ticino più che nella Svizzera o nella Svizzera italiana:

 



Compiacimento legittimo non solo del padre ma anche del cittadino. Quest’ultimo, – ripeto qui quello che già scrivevo ai goliardi quando inauguravano la lapide luganese, – quest’ultimo sente profondamente che significhi, nell’ordine delle cose ideali, la cerimonia che sta per compiersi; capisce quale evoluzione nella mentalità tradizionale ticinese abbia reso possibile i marmi di Lugano e di Bellinzona colle loro eloquenti iscrizioni. I giovani cittadini ticinesi a cui s’intitolano le lapidi, furon sempre profondamente attaccati al Ticino, e uno di essi, anche per lo speciale indirizzo della sua mente lo aveva molto studiato ne’ suoi diversi aspetti. Ma istintivamente sentirono fin dai più giovani anni, che nell’anima loro l’amor del Ticino non poteva scompagnarsi da quello dell’Italia; sentirono che una necessaria formidabile solidarietà avvince tutti i figli d’una stessa razza, pur non retti da una stessa legge; che l’esaltazione o l’abiezione d’Italia eran di necessità l’esaltazione o l’abiezione di tutti gli italiani, e quindi anche dei ticinesi. Quel loro sentimento, quella lor fede suggellaron col sangue, ch’essi intesero perciò spargere e per l’Italia e per il Ticino. E la ferma convinzione che quel sangue feconderà presto o tardi i suoi buoni effetti è stato per me e per mia moglie il più grande argomento di forza nella bufera che tutto ci ha tolto.15



SalvioniSalvioniCarlo, in sostanza, assume una posizione condivisa dai promotori dell’italianità svizzera che si schierarono nel Ticino di quegli anni, con l’incentivo del contesto politico-culturale discusso sopra. E forse proprio a causa dell’eccessiva connotazione del termine, conseguenza del clima di fervore nazionalistico dell’Italia post-crispina, che ne deformò il significato allontanandolo dalla posizione ideologica salvioniana, non si accertano negli scritti dello studioso chiari riferimenti all’irredentismo. O meglio, non si documentano prese di posizione esplicite all’infuori della nota estemporanea pubblicata nell’articolo

Saggi intorno ai dialetti di alcune vallate dell’estremità meridionale del Lago Maggiore

 del 1886. Questo eccesso è forse riconducibile allo zelo giovanile di un uomo cresciuto in un ambiente culturale segnato dalle idee forti, come quello dell’anarchismo insurrezionale. Oppure, ed è l’ipotesi più consistente, il suo atteggiamento mutò nel tempo e il glottologo maturò una percezione della situazione identitario-culturale del Ticino più moderata e razionale, lontana dagli eccessi secessionisti e irredentistici degli anni giovanili.



Nella prolusione tenuta in memoria di SalvioniSalvioniCarlo presso l’Accademia della Crusca nel 1922, il filologo Ernesto Giacomo ParodiParodiErnesto Giacomo traccia un ritratto ideologico condivisibile, nonostante l’occasione d’encomio. Ovvero, colloca il ticinese in una posizione politico-culturale fondata su una filoitalianità ferma e robusta ma di fatto ancora lontana da qualsiasi scenario annessionistico, considerato al più come ipotetica soluzione nel remoto caso di un’invasione culturale del territorio. Isolando la parte che più ci interessa, nel testo sono parafrasate alcune parole di Salvioni spesso sentite da ParodiSalvioniCarlo:



Un irredentismo ticinese, oggi, finché il Ticino si conservi intieramente e sicuramente italiano, è una stoltezza e quasi una colpa; ma quando l’invasione germanica, come avvenne al Brennero, come aveva tentato sul Lago di Garda, come tenta senza dubbio, e con risultati già troppo evidenti e minacciosi, nel Ticino medesimo, prorompesse baldanzosa, prorompesse cioè al di qua delle Alpi, in terra lombarda, a due passi da Milano, l’incoercibile fatalità storica costringerebbe l’Italia a provvedere al proprio diritto e alla propria salvezza. E sarebbero sciagure per tutti. Questo era il pensiero, a me più volte manifestato, di Carlo SalvioniSalvioniCarlo, che diffondendolo di qua e di là dal confine politico, e per quanto fosse possibile, di là dall’Alpe lombarda, aveva la ferma persuasione e la volontà – ripetiamolo contro i travisamenti, le calunnie, le volgarità che non mancheranno – di fare opera non soltanto di buon Italiano e di buon Ticinese, ma di buono, fedele e previdente cittadino svizzero.16



Chiare in proposito sono anche le parole di ChiesaChiesaFrancesco, non limitate a SalvioniSalvioniCarlo ma più ampiamente rivolte all’ideologia del movimento aduliano dei primi anni. Nel 1955, a colloquio con Piero BianconiBianconiPiero, il poeta distingueva tra un «irredentismo positivo», vòlto cioè alla concreta conquista geo-politica, e un «irredentismo negativo», strumentale e limitato ad accrescere il malcontento nei confronti dell’assetto politico vigente. Secondo ChiesaChiesaFrancesco la posizione dell’«Àdula», nei primi anni di attività aderente e in parte dipendente dal pensiero di SalvioniSalvioniCarlo, si allineava a quest’ultima tipologia:



In fatto di irredentismo vorrei distinguere: c’è un irredentismo positivo e un irredentismo negativo. Nel primo caso mi pare da escludere che quel giornale fosse irredentista: neppure i sognatori più deliranti potevano supporre un movimento politico e guerresco inteso a staccare il Ticino dalla Svizzera. Non così per l’irredentismo negativo, inteso a coltivare il malcontento di essere svizzeri. In questo senso ritengo che l’

Àdula

 abbia avuto effetto nocivo alla stessa causa per cui combatteva, suscitando risentimenti e fornendo agli ignari e ai maldisposti argomenti o pretesto a considerare azione antielvetica la difesa della nostra italianità.17



Risulta perciò comprensibile il motivo per cui l’opinione pubblica svizzera, soprattutto quella d’oltralpe, guardava con diffidenza alla situazione delle terre irredente dell’Impero austro-ungarico e temeva che l’irredentismo italiano potesse rivolgersi anche verso la Svizzera italiana.18 Per questa ragione, le prime rivendicazioni dell’italianità culturale e linguistica del Ticino furono equivocate e identificate con le agitazioni nazionalistiche dell’Italia nord-orientale. Ma la percezione distorta o amplificata dell’operato politico-culturale di SalvioniSalvioniCarlo non si limita ai confini nazionali, testimonianze analoghe si conservano anche in Italia. Ad esempio, molti decenni dopo i fatti narrati, nel (quasi) diario

La Parentesi

 di Giacomo DevotoDevotoGiacomo, si legge un brano, relativo a un suo viaggio nel Ticino con il padre, nel quale non solo è descritta una tendenza irredentistica diffusa ma viene additato come responsabile di questa deriva proprio SalvioniSalvioniCarlo, che secondo l’autore portò nella Svizzera queste idee dagli ambienti milanesi. Trascrivo il passo, benché sembri infondato:



S’avvicina un contadino, cinquantenne. Attacca discorso, accenna alla vita normale, agli scambi con la Svizzera interna, poi all’improvviso «c’è caso che un giorno o l’altro l’Italia pianti qui la sua bandiera». Mio padre reagì di soprassalto, quasi sofferente. «Ma come?! Impossibile! assurdo». Nella sua austerità e tradizione, la Svizzera era una società esemplare, degna di imitazione, e il suo territorio, prima che oggetto di ammirazione, cupidigia o attrazione, aveva diritto al rispetto nel senso del buon tempo antico. Parlare di annessioni eventuali era recare oltraggio al buon costume. Soprattutto come ospiti in villeggiatura, gli appariva offesa alla buona fede. Dovettero passare anni perché mi rendessi conto che in quel tempo una vena di irredentismo italiano era filtrata da Milano, dall’ambiente del linguista Carlo SalvioniSalvioniCarlo; che esisteva un movimento un po’ ambiguo dal nome Àdula; e che il Consiglio Federale aveva dato inizio ad alcuni lavori di fortificazione nei pressi di Bellinzona.19



In un primo momento, il contesto settoriale e poco in vista dell’attività salvioniana ha evitato polemiche immediate a tale proposito. La posizione filoitaliana del linguista non produsse da subito clamori e persino la nota palesemente tendenziosa del 1886 fu trascurata dai conservatori svizzeri. Solo nei primi anni ’10, quando SalvioniSalvioniCarlo era ormai un noto uomo di cultura e stimato professore all’Accademia scientifica di Milano, l’annotazione fu rispolverata nell’ambito di una disputa nazionale, dovuta alla decisa italofilia del linguista e in particolare alle sue esternazioni sulle pagine del settimanale «L’Àdula». Nel giugno del 1914, con il favore del clima di tensione generato dall’imminente conflitto, l’avvocato Angelo MartignoniMartignoniAngelo, in risposta a questi scritti, attaccò pubblicamente SalvioniSalvioniCarlo sul quotidiano ticinese «Popolo e Libertà», e per farlo si servì anche della postilla sopracitata. Vale la pena citare per esteso l’invettiva:



Ma un colpo di spillo lo voglio dare al SalvioniSalvioniCarlo che l’

Àdula

 definisce da due anni suprema gloria ticinese e nel numero ultimo «uomo d’alto studio e di cuore sereno» Ma adesso che il signor SalvioniSalvioniCarlo s’è messo di nuovo a sdottorare e sentenziare e a strombazzare la sua prosa infarinata, vediamo un po’ di acciuffarlo metaforicamente per la cuticagna e battergli il polverume cruschevole di dosso.



I° Il professor Carlo SalvioniSalvioniCarlo dell’Accademia scientifico-letteraria di Milano non è più niente di ticinese, ma è cittadino del Regno d’Italia. Silenzio, regnicolo!



II° Lo svizzero rinnegato Carlo SalvioniSalvioniCarlo (non se l’abbia a male!) è, se mai, l’unico ticinese irredentista.



Contrariamente a quanto scrisse nell’incriminato articolo del

Numero

 unico della DanteAlighieriDante AlighieriAlighieriDante: che, cioè, i confederati nostri sono «assillati» dall’«infondato sospetto» dell’irredentismo, e che egli non vuole essere «frainteso» in materia di irredentismo politico etc. etc. io lo accuso di irredentismo politico. Se irredentista non lo è più, lo dichiari esplicitamente, ma sta il fatto, per esempio, che già nell’anno di grazia 1886 in un

Saggio intorno ai dialetti di alcune vallate dell’estremità settentrionale del lago Maggiore

 egli scriveva: «Di queste valli solo Val Vigezzo è anche politicamente italiana (prov. di Novara); le altre, con l’intero Canton Ticino di cui fanno parte … aspettano ancora».



No, caro professore, il Ticino non aspetta, perché non ha bisogno di diventare politicamente italiano. Il Ticino vuol diventare e rimanere italiano di cultura e di sangue. E voi siete un mettimale, e vi raccomando ai rappresentati del Governo italiano in Isvizzera perché vi faccian tirar le orecchie.20



L’esternazione irredentista, al tempo datata e rimessa in discussione dai contributi pubblicati da SalvioniSalvioniCarlo sulle pagine dell’«Àdula», pose il glottologo al centro di una polemica nazionale che rischiò di troncare sul nascere l’«impresa altamente patriottica e civile» del

Vocabolario dei dialetti della Svizzera italiana

, avviata nel 1907.21 Louis GauchatGauchatLouis, il fondatore del

Glossaire des patois de la Suisse romande

, che fu modello per l’omologo repertorio svizzero-italiano, in una lettera inviata da Zurigo il 10 settembre del 1914 avvertiva SalvioniSalvioniCarlo del malcontento suscitato oltralpe, segnatamente in seno alla

Société Helvétique

, dalla sua collaborazione con l’«Àdula». Una contrarietà, questa, che mise a repentaglio il sussidio federale al vocabolario dialettale della Svizzera italiana, ideato e patrocinato dal glottologo:



Mon cher ami,



J’hésite beaucoup à vous écrire, mais l’amitié qui nous unit depuis tant d’année me force à parler. Savez-vous que la Société helvétique a dénoncé votre collaboration au journal Àdula et que le Conseil fédéral a l’intention de supprimer la subvention au Vocabolario? Je viens d’écrire à M. MagginiMagginiCarlo, le priant d’intervenir. Tous les glossaires vont subir une crise financière, mais ce qui menace votre belle oeuvre serait une vraie catastrophe. Je ne me mêle pas de politique, je la déteste, mais je ne puis pas croire que les griefs qu’on formule contre vous soient fondés. J’en aurais le coeur déchiré et ce serait une des plus grande désillusions de ma vie. Mais je trouve qu’on devrait au moins vous fournir l’occasion de vous justifier et non pas agir secrètement. Il n’y a rien qui me répugne comme cela et c’est la raison que me dicte cette lettre.



Croyez-moi votre cordialement dévoué



L. GauchatGauchatLouis22



Da parte di SalvioniSalvioniCarlo si conserva, fra le carte di Clemente MerloMerloClemente, una minuta della responsiva, databile secondo Romano BrogginiBrogginiRomano attorno alla metà del mese di settembre del 1914. Nella bozza SalvioniSalvioniCarlo si limita a giudicare come pretestuoso e interessato l’attacco istituzionale, senza sentire la necessità di difendersi dalle critiche che gli vengono mosse o di dissociarsi esplicitamente dalle posizioni ideologiche recriminate:

 



So della campagna furiosa fatta contro di me, soprattutto dai giornali d’oltre Gottardo, campagna fatta di leggerezza e frivolità e che ha ›cambiato‹ molto modificata la buona opinione che avevo di essi. Mi son