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Il nome e la lingua

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Z serii: Romanica Helvetica #142
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Campon. Sorta di pesce piccolo. Lo credo il Vairon. (C47, s.v.)

Campón … Pesciolino che si pesca nella Tresa. È dilicato e non cresce più grosso che un dito; ha strisce longitudinali pel dorso, bigerognole. Nel Curone qui sotto Montaveggia ve ne sono ma innominati. (Dizionaruccio, s.v.)

Nello stesso àmbito, il lemma peschéra rielabora l’approfondita descrizione approntata dall’informatore nella lista C47, integrata da CherubiniCherubiniFrancesco con due termini dialettali lemmatizzati singolarmente nel documento, ovvero vall dra peschéra e refüs:

Peschéra [poi sopra: Pescaja?]. … Sp. di Gueja sulla Tresa. Ha però 8 bocche e n’è un po’ diversa. Vi si colgono anguille specialmente. Ha il Vall ch’è il pigliacqua e i Refis cioè i regoli delle griglie ove s’imprigionano le anguille.

In questi casi sarà probabilmente la cornice faunistica o agricolo-artigianale, con un lessico ricco di terminologia strettamente tecnica e spesso privo di univoche corrispondenze in lingua, a richiedere un contesto esplicativo piuttosto ampio.56 Lo prova, e contrario, la voce nassa, che doveva apparire chiara al lessicografo ed è perciò accolta nel Dizionariuccio senza la lunga chiosa proposta dall’abate RossiRossiGiuseppe nella lista C47:

Nassa. Nassa. La nassa, almeno quella che si usa nella Tresa, è ben diversa dal Bertovello. Essa è composta di assi a guisa di cassetta, assai bassa e coperta di regoletti messi a certa distanza, perché vi possano entrare i pesci Balbi in tempo d’inverno. La si mette nel fiume in novembre e si estrae in marzo. Voce lat. (C47, s.v.)

Nassa. Nassa. Rete. (Dizionaruccio, s.v.)

Nonostante gli esigui approfondimenti in questo senso, il repertorio, preservando le voci di una realtà rurale, oggi quasi completamente scomparsa nel luganese, assume un valore anche storico e documentario. Oltre che una preziosa testimonianza relativa al modus operandi del lessicografo, il Dizionariuccio facendosi depositario di uno spaccato delle tradizioni locali rappresenta un documento d’interesse più ampiamente culturale, prezioso dunque anche oltre il fatto linguistico.

Capitolo terzo. Il Novecento. L’identità linguistica, letteraria e culturale

1. Carlo SalvioniSalvioniCarlo e l’italianità del Ticino: le recensioni sull’«Àdula»
1.1 Il quadro storico-identitario del Ticino tra i secoli XIX e XX

Il concetto di “Svizzera italiana”, definito in modo precipuo da FransciniFransciniStefano con la sua opera maggiore, è presto messo in crisi dalla contingenza storica.1 La fondazione del Regno d’Italia nel 1861 modificò dapprima la connotazione dell’aggettivo italiano, che da semplice designazione culturale si legò più strettamente a una precisa dimensione politica e nazionale. Di conseguenza, la Lombardia non era più parte di uno stato plurinazionale e pluriculturale come l’Austria, ma di un regno politicamente unitario, pur nella sua frammentazione linguistica. Con l’istituzione della diocesi di Lugano nel 1884 venne poi a mancare per la regione, da tempo immemore congiunta ai vescovati di Como e Milano, il principale ponte culturale verso l’Italia, all’origine di proficui scambi di idee e di persone. D’altro canto, sul versante svizzero la nuova Costituzione del 1874, che consolidava lo stato federale e accentrava parte dei poteri, determinò la perdita di privilegi e l’indebolimento dell’autonomia cantonale, aggravando i problemi finanziari del Cantone. La situazione si acuì con il completamento del traforo del San Gottardo, che dal 1882 rese più agevole il transito attraverso le Alpi senza generare, tuttavia, lo sviluppo economico e industriale auspicato nel Ticino agli albori del progetto. L’annullamento della distanza geografica provocò invece una penetrazione di uomini e capitale da nord: connessa in principio al progetto ferroviario, si stabilì nel Ticino una popolosa e potente colonia svizzero-tedesca, che intensificò il sentimento tedescofobo dei nativi. In questa situazione, per la prima volta, la difesa dell’italianità divenne una priorità per alcuni intellettuali premurosi nei riguardi della condizione linguistica e culturale della regione. La limitata autonomia cantonale, la crisi demografica della popolazione autoctona, dovuta anche a una nuova emigrazione, non più stagionale, e le difficoltà economiche, innescarono il dibattito sulla “questione ticinese”, la quale, avvertita dapprima come crisi entico-linguistica e culturale, mutò presto in una contenzioso nazionale e portò alle rivendicazioni rivolte dal Cantone alla Confederazione.2

Se nel primo cinquantennio dell’Ottocento i ticinesi percepivano pacificamente loro stessi come lombardi, negli ultimi decenni del secolo, in seguito al progressivo distacco dalla Lombardia e alla pertinacia dell’influenza tedesca, si sviluppò e radicalizzò nel Ticino un sentimento identitario autarchico, che resiste a oggi con forme e intensità mutate; sul piano linguistico la terza via, alternativa all’italiano standard e al tedesco, fu il dialetto di Koinè, percepito come linguaggio esclusivo.3 Quando questa dinamica non portò a un sentimento di chiusura, il processo di formazione di un’identità ticinese e la sua negoziazione alla luce della contingenza storica lasciarono presagire reazioni anche diverse, tra cui le prime rivendicazioni irredentiste.

Carlo SalvioniSalvioniCarlo, che visse da cittadino lo sforzo di integrazione politica del Ticino nella Svizzera, con le relative conseguenze, fu solerte nell’ambito della tutela dell’italianità del territorio. Come lui, altre personalità della cultura cantonale condividevano la stessa preoccupazione. Tra loro, vanno citati almeno il consigliere nazionale Romeo ManzoniManzoniRomeo, il segretario del dipartimento della pubblica istruzione Giacomo BontempiBontempiGiacomo e, prima di convertirsi dal radicalismo italofilo a una sua ambigua versione di nazionalismo elvetico, il poeta e docente Francesco ChiesaChiesaFrancesco, sul quale si tornerà nel terzo capitolo. La posizione di SalvioniSalvioniCarlo in merito alla situazione politico-identitaria del suo tempo emerge chiaramente nell’articolo Le condizioni della coltura italiana nel Cantone Ticino, pubblicato il 25 aprile del 1914, a ridosso dello scoppio della Prima guerra mondiale, sulla rivista filoitaliana «L’Àdula». Nel testo SalvioniSalvioniCarlo ripercorre sinteticamente la storia recente del territorio sino alla situazione a lui coeva, soffermandosi su alcune delle vicende menzionate sopra:

Venuto il Ticino ad esser un membro libero della Confederazione, le circostanze, persistettero favorevoli all’italianità sino agli ultimi decenni del passato secolo, quando si produssero due fatti di incalcolabile portata, e cioè: l’adozione di una costituzione federale (nel 1874) concepita in senso fortemente accentratore, e l’apertura della ferrovia del Gottardo (1882). Si può affermare senza tema d’essere smentiti, che lo spirito germanico fece più conquiste nel Ticino durante questi ultimi quattro decenni che non nei quattro secoli precedenti.4

Nei secoli di dominazione balivale, secondo un principio di territorialità osservato dai Cantoni svizzeri, ai baliaggi italiani era concessa un’ampia autonomia amministrativa, confessionale e culturale, che favorì lo sviluppo e la conservazione della lingua e del folclore locali. Paradossalmente, nel quadro della Confederazione moderna ed egalitaria questi ultimi furono sentiti più fragili e minacciati, in particolare a causa dalla crescente penetrazione alloglotta.5 SalvioniSalvioniCarlo ne rileva i pericoli per la tipicità etnica della regione, già minoranza culturale della Svizzera, e accusa apertamente, attribuendole grosse responsabilità, la politica imprenditoriale della Compagnia ferroviaria del San Gottardo. Quest’ultima, che portò capitali e personale formato a sud delle Alpi, ebbe un impatto sensibile sull’organizzazione territoriale e socio-culturale del Ticino. La costruzione delle nuove stazioni, collocate fuori dai centri cittadini, riorientò infatti l’assetto urbano dei borghi; mentre sul piano culturale e linguistico la scelta di non adattarsi e mantenere una segnaletica in lingua tedesca (e in caratteri gotici) generò sdegno e paura. Un sentimento analogo fu originato dall’inserimento nel Ticino del personale mobilitato, che agli occhi degli abitanti del tempo assunse le forme di un’operazione coloniale. Ai tentativi di integrazione si preferì infatti la creazione di scuole autonome e la fondazione di un quotidiano ticinese in lingua tedesca, la «Tessiner Zeitung». Nel contributo menzionato, SalvioniSalvioniCarlo descrive queste dinamiche con evidente risentimento:

Fu una barriera abbattuta tra Svizzera italiana e Svizzera tedesca, coll’effetto però che della via aperta approfittassero assai più i tedeschi che non gl’italiani, e che il danno che essa doveva apportare agli interessi etnici lo risentissero solo questi, indifferenti del resto e lieti anzi di sagrificare questi agli interessi economici. La Compagnia del Gottardo per quanto decisivamente aiutata dal denaro italiano, si costituì da bel principio come compagnia di lingua tedesca. Tedeschi gl’ingegneri che costruirono la linea, tedesco il personale della linea costrutta, tedesca la lingua, tedesco tutto, tanto di qua che di là del Gottardo. L’italiano (ticinese o regnicolo) e la sua lingua appena tollerati. E avvenne che chi percorreva il Ticino da Chiasso ad Airolo non uscendo dalle stazioni, n’avesse l’impressione di attraversare un paese interamente tedesco. Subentrata alla Compagnia la Confederazione, questa fu ben lieta di adagiarsi in quelle condizioni create da altri, e non fece nulla per mutarle, come lo provano le scuole tedesche mantenute. E quell’impressione di paese tedesco permane tutt’ora. – Ma oltre che la forte ipoteca tedesca rappresentata da un sì potente organismo ferroviario, che ha attinenze strette e dirette con tutta la vita morale e economica del paese, la ferrovia del Gottardo significò l’irruzione nel Ticino di uomini e di imprese tedesche, di influenze tedesche d’ogni natura, sulle quali è inutile insistere. Si pensi solo al turismo, all’industria dei viaggiatori, e a quanto con tali manifestazioni si connette. Gli interessi materiali vi trovano è vero, il loro tornaconto, non così i morali, tra cui … è lecito comprendere gli etnici.6

 

La principale preoccupazione del glottologo, come rivela la conclusione del paragrafo citato, consisteva nella tutela dell’etnia ticinese, intesa come patrimonio linguistico e folclorico. Infatti, secondo quando sostenuto da SalvioniSalvioniCarlo in occasione della prolusione Nel secondo anniversario della morte di Giacomo BontempiBontempiGiacomo, tenuta nel gennaio del 1920 a Bellinzona e poi edita sull’«Àdula», l’incremento demografico e autoritario della comunità tedescofona a sud delle Alpi originò effetti di diversa natura ma parimenti dannosi per la cultura locale, fra cui

il dilagare delle iscrizioni tedesche su stabilimenti privati e pubblici di spettanza federale; la fondazione di giornali tedeschi con ispirazione pronunciatamente pangermanista; gli edifici di gusto barbarico; la lingua italiana soffocata nelle scuole dal tedesco e dal francese; l’intervento dei tedeschi, irreggimentati come tali, nelle lezioni, le loro imposizioni ai partiti mendicantine i voti.7

Infine, anche l’istituzione della diocesi di Lugano nel 1884, che recise come detto il legame secolare delle pievi ticinesi con le amministrazioni apostoliche di Como e Milano, e interruppe di conseguenza una relazione decisiva per l’affermazione identitaria e il vigore culturale del territorio, ebbe risvolti nefasti per il Cantone. Nello stesso discorso, le parole di SalvioniSalvioniCarlo pronunciate a questo proposito mal celano un chiaro sentimento tedescofobo:

Mi ricordo della quistione diocesana che preoccupava il B. anche nella sua qualità di credente. Eravamo ben consenzienti ambedue nel deplorare la rottura dei vincoli millenari che ci legavano alle diocesi lombarde. E il B. sarebbe stato in fondo contento che continuasse quell’andazzo, irrispettoso della legge scritta ma non di nessuna legge morale, per cui il clero obbediva a una giurisdizione che la legge non riconosceva. Ma un tale stato di cose non potendo perpetuarsi, egli che con terrore aveva visto incombere la minaccia dell’aggregazione pura e semplice a una diocesi oltremontana, s’acconciò volontieri alla soluzione abilmente trovata dalla diplomazia, e molto si rallegrava che nel clero, nel popolo e nel governo ticinese fosse stata tanta decisa volontà da sventare quella minaccia. Felice era anche che a patrono della nuova diocesi non fosse scelto, com’era da temere, un santo teutonico, ma sì una saliente figura storica bene italiana e ben lombarda, quale è S. Carlo. Ebbe un vero senso di sollievo, quando morto il primo titolare che non era dei nostri, vide inaugurata con Mons. Vincenzo MoloMoloVincenzo la serie dei presuli di estrazione nostrana. Ma i danni che si potevan temere dal distacco da Como e Milano, il B. li intuì da bel principio, né si può dire che i fatti gli abbiano dato torto. E i danni sarebbero stati, secondo il B., l’immiserimento intellettuale, l’abbassarsi del livello culturale del clero.8

Nella comunità ticinese, questi eventi generarono da una parte un sentimento di diversità nei confronti della Lombardia, ormai separata da un confine fisico e priva di legami concreti con il Ticino; dall’altra accentuarono la percezione negativa della Svizzera d’oltralpe, in particolar modo di lingua tedesca. Questa congiuntura storica conciliò lo sviluppo di un’identità cantonale reattiva, plasmata polemicamente in opposizione all’Italia e al vicino svizzero tedesco, che determinò le dinamiche politiche dei primi decenni del nuovo secolo.9

1.2. La Svizzera italiana nella prospettiva di SalvioniSalvioniCarlo

Per SalvioniSalvioniCarlo la situazione identitaria della Svizzera italiana si delinea senza margine di dubbio. Il glottologo considera la componente culturale, linguistica e geografica del territorio, secondo questa prospettiva naturalmente italiano, distintamente dall’appartenenza politica svizzera. Significativo, a tale proposito, è un brano dell’articolo Le condizioni della coltura italiana nel Cantone Ticino, già citato sopra:

È dunque italiana tutta la sezione della Svizzera che giace al di qua delle Alpi e comprende, oltre al Canton Ticino, tre valli grigioni: la Mesolcina, che va dal S. Bernardino a Bellinzona; la Bregaglia che corre dal Maloggia a Chiavenna, e la valle Poschiavo, stendentesi tra il Bernina e il Tirano. Di gran lunga più importante è il Canton Ticino, che tocca ai 158’000 abitanti, mentre solo una dozzina di migliaia ne contano le valli grigioni.1

Sul piano più strettamente linguistico, il territorio della Svizzera italiana si conforma all’area lombarda. Nella descrizione contenuta nel saggio Lingua e dialetti della Svizzera italiana, letto in occasione di un ritrovo del Reale Istituto Lombardo di Scienze e Lettere nel 1907 e pubblicato lo stesso anno sui rendiconti dell’Istituto, SalvioniSalvioniCarlo aveva incluso – a fianco della lingua di prestigio, l’italiano a base fiorentina – le varietà dialettali della regione nella più ampia famiglia lombarda:

Tutta la sezione della Svizzera che giace a mezzogiorno delle Alpi, eccezion fatta de’ villaggi di Gondo e Sempione, adopera l’italiano qual lingua ufficiale e della cultura; e l’italiano è pur lingua della scuola e della chiesa nel villaggio ladino di Bivio-Stalla nel Soprasasso o Sursetto (Oberhalbstein). Per “italiano” s’intende qui la lingua che, per intrinseca efficacia, per l’influenza civile della città che prima se ne valse, per la virtù di cui fece prova sotto la penna della grande triade toscana […] s’impose da Firenze a tutti i dialetti della penisola appenninica e delle isole dipendentine, sgominando le lingue letterarie regionali che le sorgevano accanto. Tra queste, era la lingua letteraria di Lombardia, che certo, prima dell’invalere del toscano e dopo cessato l’uso esclusivo del latino, serviva qual lingua anche ne’ territori lombardi che poi divennero la Svizzera italiana.2

Come osservato nell’opera storico-statistica di FransciniFransciniStefano, anche SalvioniSalvioniCarlo considera complessivamente il territorio italofono della Confederazione come “Svizzera italiana”, benché lo ritenga internamente frazionato. Ovvero, oltre a una divisione “debole” di natura geografica, il linguista riconosce come entità storicamente e culturalmente distinte il Cantone Ticino e le vallate italofone dei Grigioni. Questa percezione, giustificata dalle vicende storiche indipendenti, dall’orientamento confessionale almeno in parte divergente e dall’influsso culturale tedesco nelle terre grigioni, motiva forse la negligenza del glottologo, in àmbito scientifico e segnatamente di politica culturale, nei riguardi dei territori della Bregaglia, di Poschiavo e della Mesolcina:

Il territorio italiano della Svizzera non rappresenta unità geografica. Esso si ripartisce su tre masse di assai diverso volume, separate l’una dall’altra da interposti territori del regno e non aventi tra loro relazioni. La prima ch’è di gran lunga la più ragguardevole (140.000 abitanti all’incirca) è costituita dalle terre mesolcino-ticinesi e spetta quasi per intiero al sistema dell’alto Ticino e del Verbano settentrionale; la seconda è formata dalla Val Bregaglia (intorno a 1600 abitanti), che è tributaria del Lario, nel sistema dell’Adda; la terza è la valle di Poschiavo (circa 4200 abitanti) nel sistema dell’alta Adda. [ …] E come manca alle terre italo-svizzere l’unità geografica, così anche la coesione storicopolitica. Manca nel presente, che ci mostra sempre divise dal Canton Ticino e dipendenti dai Grigioni la Mesolcina, la Bregalia e Poschiavo e mancava ancor più nel passato.3

Inutile dire, a questo proposito, che la tipicità etnica e culturale della Svizzera italiana, e soprattutto del Ticino, è percepita e tracciata dal glottologo in modo ancor più pronunciato su scala nazionale. Nella recensione al volume Pagine di storia comasca contemporanea (1821-1859) di Santo MontiMontiPietro, edito a Como nel 1917, SalvioniSalvioniCarlo insiste sulla peculiarità ticinese e ritiene doverosa, in ragione del diverso rapporto che storicamente lega il Ticino all’Italia, una precisa distinzione del cittadino svizzero di lingua italiana dai restanti confederati, che spesso rimane implicita nel troppo generico sostantivo o aggettivo nazionale:

I concittadini nostri di cui gli accade toccare, sono spesso designati come «svizzeri». Non v’ha in questa designazione nulla di contrario al vero, s’intende. Ma in certe contingenze bisognerebbe più sottilmente distinguere, poiché ci sono svizzeri italiani e altri svizzeri. Questi ultimi, soprattutto i tedeschi, alla guerra della indipendenza italiana assistettero, salve rare ed onorevolissime eccezioni, in parte ostili in parte insofferenti […] e si sa d’altra banda quanto attivamente, a Napoli e a Roma, partecipassero essi, contro gli italiani, a quelle guerre. Da mercenari sì, ma da mercenari cui era spinta, insieme al soldo, l’odio e lo spregio germanico verso gli italiani. Dalla opposta parte, con sangue e cuore italiani, stavano solo i ticinesi. E per questo, trattando di tali materie, in Italia dovrebbero tener partita distinta tra ticinesi e svizzeri. […] Ma vero entusiasmo, vero fervore da parte svizzera, partecipazione nazionale alla loro causa e sciagura, i feriti italiani non trovarono in Svizzera che passato il Gottardo, e cioè tra i «ticinesi».4

Il concetto di Svizzera italiana esige dunque per SalvioniSalvioniCarlo una distinzione interna tra l’area genuinamente italiana e più rilevante in termini numerici, il Cantone Ticino, e le valli italofone del Grigioni, meno popolose e storicamente più vicine alle tradizioni e consuetudini tedesche.5 In sostanza, nel quadro storico e politico del tempo, segnato dalle tensioni nazionalistiche e dai conflitti della Grande guerra, l’italianità del territorio corrispose per SalvioniSalvioniCarlo «all’inserimento totale del Ticino nello spazio italiano, in tutti i campi escluso quello politico».6