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Il nome e la lingua

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3.2. Il Dizionariuccio Ticinese-luganese-italiano

In aggiunta alle voci comprese nella seconda edizione del Vocabolario milanese-italiano, CherubiniCherubiniFrancesco dedica alle varietà della Svizzera italiana poche preziose pagine nel laboratorio della Dialettologia italiana. In ragione della sua ampiezza, i criteri di allestimento di quest’opera sono eterogenei e variano a seconda della natura e della reperibilità dei dati linguistici, per i quali – privilegiando di necessità l’aspetto pratico alle qualità del referente – CherubiniCherubiniFrancesco confidava in una rete di informatori altrettanto disparata, di conseguenza le informazione ottenute saranno state diseguali e con diverso grado di attendibilità.1

Fra le carte dedicate alla Svizzera italiana, alle quali si è accennato nel capitolo precedente, va collocato il manoscritto del Dizionariuccio Ticinese-luganese-italiano, il quale, benché conservato in un codice autonomo, era funzionale al progetto di descrizione complessiva dei dialetti d’Italia. Questo repertorio è stato studiato e parzialmente edito nel 1901 da Costantinus BröselBröselCostantin nel suo saggio linguistico Die betonten Vokale der Sprache im Kanton Tessin südlich vom Monte-Cenere (Mendrisio-Lugano). Mit einem Wörterbuch.2 I limiti dell’edizione di BröselBröselCostantin sono stati illustrati e discussi da SalvioniSalvioniCarlo nella recensione intitolata Di un recente lavoro sui dialetti di Lugano e di Mendrisio, edita lo stesso anno sul «Bollettino storico della Svizzera italiana»:

Il BröselBröselCostantin ce lo dà in una specie di trascrizione sua, pone accenti e segni diacritici sulle vocali, sostituisce segni suoi a quelli del CherubiniCherubiniFrancesco, ecc. ecc. […] Il BröselBröselCostantin dice di riprodurre il CherubiniCherubiniFrancesco, e non dice di porre limite qualsiasi al suo proposito. Orbene, chi credesse di trovar qui integro il testo dell’Ambrosiana s’ingannerebbe. Ché non solo sono omesse una gran quantità di parole, fra cui son numerose quelle che offrono molto interesse, ma molti degli articoli riportati son riprodotti in modo infedele, quando accorciati, quando comechessia mutilati.3

Nel 1985, il manoscritto del Dizionariuccio è stato ripreso da FarèFarèPaolo A., che in occasione dei sessant’anni di Romano BrogginiBrogginiRomano ha allestito un’utile edizione pro manuscripto del lessico.4 Questo volumetto «d’impostazione casereccia»5, come lo ha definito LuràLuràFranco, è uno strumento prezioso per le ricerche storico-dialettologiche sulla Svizzera italiana, ma lamenta, benché in misura molto minore rispetto alla precedente, lacune e imprecisioni: oltre a trascurabili scorsi di penna, alcuni lemmi sono sfuggiti all’editore (ad es. bóbò), il quale, pur dichiarando di essere «rimasto il più fedele possibile al testo manoscritto», ha poi soppresso parte delle note fonetiche appuntate in maniera approssimativa dal lessicografo accanto ai lemmi dialettali (ad es. s.v. canvétt o cavréta) e ha semplificato alcune voci per motivi difficilmente comprensibili, ad esempio togliendo i puntini sospensivi, di cui si parlerà in seguito (si veda s.v. ann, astrech o darénsg).6 Queste considerazioni, sommate alla difficile reperibilità del volumetto, stampato senza editore in poche copie, hanno motivato l’allestimento di una nuova edizione, sorvegliata sul piano filologico, più fedele al manoscritto originale e accompagnata dai materiali di lavoro ancora reperibili, che permettono di ricostruire la genesi del repertorio e di orientarsi al suo interno con maggiore agilità.

Il codice che trasmette il manoscritto del Dizionariuccio è composto da trecentonove schede cartacee che misurano 10.8 x 15.3 centimetri, all’incirca la dimensione di una cartolina postale.7 La numerazione delle carte è contemporanea alla prima stesura del manoscritto, risalente all’ottobre 1845: le prime due, che recano l’intestazione e una breve nota introduttiva, sono segnate con le lettere A e B; le successive sono numerate da 1 a 307. Il manoscritto è interamente di pugno di CherubiniCherubiniFrancesco, anche se sono evidenti delle oscillazioni della grafia e dell’inchiostro dovute alla compilazione dilazionata nel tempo. Infatti, come documenta la nota appuntata sulla carta B, l’allestimento del repertorio avvenne in almeno quattro fasi distinte: una prima, dell’ottobre 1845, sistema le note raccolte in occasione di alcune gite luganesi del lessicografo; le tre successive, del ’46, ’47 e ’49, invece, scelgono e sistemano i materiali ricevuti da un informatore ticinese. Contrariamente a quanto sostenuto da FarèFarèPaolo A., la prima redazione e le successive integrazioni non sono distinguibili con certezza sulla base della grafia o degli inchiostri, che variano in maniera non riconducibile a una classificazione.

La carta A riporta, anziché l’intestazione del codice, vergata sulla successiva, una sintetica descrizione delle principali differenze che distinguono il ticinese o luganese dalla varietà di prestigio. La breve disamina si articola in cinque capoversi numerati progressivamente, cui se ne aggiunge un sesto redatto in seguito e privo della numerazione. Il secondo e il quarto, come indicato con un segno anteposto al paragrafo, ripetono la medesima informazione: ovvero segnalano il frequente rotacismo di l. Gli altri descrivono gli esiti delle desinenze verbali, analoghi alla varietà milanese (1 e 5); la peculiare costruzione sintattica delle frasi interrogative (6); e la palatalizzazione dei nessi st, sn e sm (3).

Caratteristiche del vernacolo

1°. La desinenza participiale ato si volta in ò. Schidionato, Interessato, Sforzato: Inspedò, Interessò, Sforzò.

= 2°. Or per ‘il’; Ra per ‘la’; d’ra per ‘della’; co’ra per ‘colla’.

3°. St col sibilo alla comasca Sct: Pasctón per “Paston”.

Sn, sm col sibilo alla comasca scn: Cariscna per “Carisna”.

scm: Uscmà per “Usma”.

= 4°. Cangiano volentieri la l in r. Corà per ‘Colare’, Corada per “Colata” ecc.

5°. Levano agli infiniti italiani in ĕre breve tutta questa desinenza e dicono Legg, Scriv, Pend, Fend, Molg ecc. Nella corografia d’Italia del Zuccagni tom. VII pag. 37 è detto che i polisillabi sdruccioli ital. diventano spesso monosillabi nel ticinese; perché nessuno sbagli fo avvertire che la cosa è vera non spesso ma sempre nell’infinito dei verbi di sillaba desinente in ĕre breve per la perdita costante dell’ĕre detto; ma non così negli altri vocaboli.

[6°.] Ne’ modi interrogativi aggiungono dopo il verbo il pronome. A mànget tu? ‘Mangi’?

Al quinto paragrafo, il brano tratto dal supplemento al settimo volume della Corografia fisica, storica e statistica dell’Italia di Zuccagni-OrlandiniZuccagni-OrlandiniAttilio, come segnalato nel manoscritto, è a sua volta una citazione, con minimi ritocchi, dal capitolo sul Linguaggio compreso nella Svizzera italiana di FransciniFransciniStefano.8

Al recto della carta B sono invece indicati il titolo e la data della prima compilazione del repertorio:

Dizionariuccio

Ticinese-luganese-italiano

(Così di città come verso la Tresa e il Mendrisiotto)

Francesco CherubiniCherubiniFrancesco compilò in ottobre 1845.

Al verso dello stesso foglio si legge una breve nota sulla vicenda genetica del volume, in parte coeva alle indicazioni presenti sul recto, ovvero risalente alla stesura dell’ottobre 1845. La noterella è successivamente accresciuta con l’elenco delle integrazioni effettuate negli anni successivi, appuntate di volta in volta con la data dell’intervento e una breve chiosa relativa alla provenienza dei materiali impiegati:

Ho compilato questo Vocabolarietto su varie note fatte molti e molti anni sono in occasione di qualche gita fatta a Lugano ecc.

Lo verrò accrescendo se Dio mi darà vita e salute appena mezzana allorché lo Stato mi avrà dato il riposo –

1846. V’ho aggiunto varie voci datemi dal Rettore Villa in una nota del Abate RossiRossiGiuseppe di Castelrotto nel Malcantone sulla destra della Tresa.

1847. Altre poche voci v’ho aggiunte cavate da una nota dello stesso abate fatta in aggiunta al Vocabolario Comasco del MontiMontiPietro e comunicatami dal signor De CapitaniDe CapitaniGiovanni Battista il 16 gennaio 1847.

1849. settembre 28 – Altre voci ho aggiunte per nota datami dal gentile Abate RossiRossiGiuseppe.

La redazione originale del vocabolarietto, come si desume da queste poche informazioni, è ampliata già l’anno successivo alla prima stesura: in anticipo sulla pensione dunque, al contrario di quanto auspicato nella nota dall’autore. Le parole di CherubiniCherubiniFrancesco lasciano presupporre delle intenzioni che eccedono la semplice raccolta di informazioni in funzione della Dialettologia italiana, come d’altronde sembra indicare il supporto materiale sul quale il repertorio è compilato. In base alla materialità del manoscritto, FarèFarèPaolo A. propone un’ipotesi suggestiva quanto inconsistente circa la struttura interna del dizionario. Sulla scorta di quanto suggerisce la genealogia del codice descritta sulla carta B, il Dizionariuccio raccoglie secondo il filologo due lessici in uno: il primo, che conta trecentosette lemmi ordinati alfabeticamente sulle trecentosette carte del manoscritto (tolte le due introduttive), sistema i risultati delle inchieste sul campo condotte da CherubiniCherubiniFrancesco a Lugano in un periodo precedente all’ottobre 1845; il secondo, inserito negli spazi vuoti e sul verso delle schede, rispettando nel limite del possibile la successione alfabetica, pur con alcune irregolarità (sanate nella presente edizione), è costituito dai materiali trasmessi dall’informatore.9 Tuttavia, a un rapido confronto, le voci ricondotte da FarèFarèPaolo A. alla prima stesura risultano in larga parte presenti nelle liste allestite da RossiRossiGiuseppe, nelle quali si verificano alcuni contatti testuali che documentano con alta probabilità la provenienza del lemma: si veda ad esempio groll, la cui definizione si ritrova praticamente identica nel Dizionariuccio («Guascotto. Malcotto. Menestra grolla. Castegn groll») e nella lista del ’46 («Cosa malcotta. Menestra grola. Minestra guascotta»); o ancora, il lemma piòda («Lastrone. Tend i piod. Montare le schiacce da uccellare») è chiaramente ricavato dalla lista del novembre ’49 («Lastra di pietra disposta per prendere gli uccelli alla schiaccia. Tend i piòd = Montare le schiaccie»). Alla luce di queste relazioni, sembra dunque infruttuoso il tentativo di identificare la prima redazione sulla base della disposizione dei lemmi nel manoscritto, che di rado permette di distinguere in maniera chiara e probatoria le differenti stesure. Più giudiziosa sarà allora la scelta di scartare l’ipotesi di FarèFarèPaolo A. e resistere alla tentazione di voler stabilire quali lemmi sono registrati da CherubiniCherubiniFrancesco nel 1845, lasciando che le integrazioni successive, in buona parte determinabili con certezza, suggeriscano questo dato in negativo: le voci non incluse nelle liste di RossiRossiGiuseppe potrebbero essere cioè ritenute, con qualche cautela, quelle censite nella prima redazione del manoscritto. Questo risultato sarà beninteso approssimativo e come tale andrà considerato; a maggior ragione dal momento che, come vedremo più avanti, per allestire il Dizionariuccio CherubiniCherubiniFrancesco impiegò anche materiali non menzionati nel repertorietto.

 

Se la provenienza delle voci indicizzate e la cronologia interna del manoscritto sono dunque difficili da stabilire in maniera univoca, è invece certa l’identità del principale informatore ticinese al quale si rivolse CherubiniCherubiniFrancesco: l’abate Giuseppe RossiRossiGiuseppe, del quale si sa relativamente poco. Nato il 6 giugno 1806 da una famiglia benestante di Castelrotto, una località situata nel Malcantone, nei pressi del fiume Tresa, GiuseppeRossiGiuseppe fu sacerdote senza cura d’anime fino alla morte, avvenuta il 23 ottobre 1884.10 Probabilmente, proprio il contributo rilevante dell’informatore, familiare con la varietà del suo comune di origine, ha riorientato il progetto lessicografico, rendendo necessaria la didascalia tra parentesi che segue il titolo: «Così di città come verso la Tresa e il Mendrisiotto».

Il primo contatto del lessicografo con l’abate RossiRossiGiuseppe è però antecedente alla stesura del Dizionariuccio. Infatti, nell’elenco dei Signori associati fuori di Milano, accluso in coda al quarto volume della seconda edizione del Vocabolario milanese-italiano, l’abate risulta fra i sottoscrittori con il nome di «RossiRossiGiuseppe sac. D. Giuseppe in Ronco»; e il toponimo Ronco, se l’identificazione è esatta, sarà Ronco Briantino, una località nel milanese dove l’abate aveva dei possedimenti.11 Nella stessa lista figura inoltre il nome di un altro associato ticinese, il tipografo Francesco VeladiniVeladiniFrancesco (1775-1836), al quale CherubiniCherubiniFrancesco si era già rivolto nel 1826 con una lettera analoga a quella spedita a potenziali informatori nell’ambito del progetto della Dialettologia italiana.12 Di questa corrispondenza si conserva solo la risposta del tipografo, contenuta nello zibaldone M 67 suss. della Biblioteca Ambrosiana di Milano, nella quale il VeladiniVeladiniFrancesco indica Pietro RossiRossiPietro di Sessa, avvocato e deputato al Consiglio cantonale ticinese, come unico interlocutore interessato allo studio del dialetto nel luganese; un interesse del quale non si conserva altra traccia. E chissà se proprio quest’ultimo, un Rossi malcantonese, non abbia creato i presupposti per la futura collaborazione con GiuseppeRossiGiuseppe, allora troppo giovane. Trascrivo di seguito il messaggio, limitandomi a sciogliere le abbreviazioni:

Milano, Sig. Francesco CherubiniCherubiniFrancesco

Lugano 12 Marzo 1826

Unico qui che si occupi del nostro dialetto, è il Sig. Avvocato Pietro RossiRossiPietro di Sessa qui dimorante, e quindi, compiacetevi di indirizzarvi da Lui direttamente, che il medesimo vi darà tutti gli schiarimenti che vi fan d’uopo. Ci protestiamo con tutta la stima

Francesco VeladiniVeladiniFrancesco13

Nonostante Giuseppe RossiRossiGiuseppe fosse tra i sottoscrittori dell’opera milanese, la trasmissione delle voci per il Dizionariuccio avvengono, salvo l’ultima, mediante l’intercessione di conoscenti comuni, ovvero dei due curatori del quinto volume postumo del Vocabolario milanese-italiano: l’abate Giuseppe VillaVillaGiuseppe, rettore del Collegio Borromeo di Pavia e latore del primo corpus di vocaboli dialettali nel 1846, e Giovanni Battista de CapitaniDe CapitaniGiovanni Battista d’Arzago, che fu bibliotecario emerito alla Braidense di Milano e nel 1847 recapitò a CherubiniCherubiniFrancesco un ulteriore mannello di voci ticinesi. La lista trasmessa da quest’ultimo è identificabile con precisione all’interno del repertorio poiché fu consegnata parallelamente al bibliotecario e docente milanese Giuseppe CossaCossaGiuseppe, che la pubblicò in appendice alla sua recensione al Vocabolario comasco di MontiMontiPietro sul «Giornale dell’Imperiale Regio Istituto Lombardo» come contributo di un autore anonimo, identificabile senza dubbio in Giuseppe RossiRossiGiuseppe. Questo breve lessico di mano dell’abate è intitolato Sopraggiunte al Vocabolario della Diocesi di Como, fatte da uno studioso nato sulla sponda destra del fiume Tresa in quella parte del distretto di Lugano detta il Mal-Cantone, ed è preceduto dalla nota:

L’egregio autore del Discorso della lingua commune d’Italia e dell’Academia della Crusca, signor Gio. Battista De CapitaniDe CapitaniGiovanni Battista, mi comunicò alcune Sopraggiunte di voci luganesi, e propriamente del paese di Mal Cantone, a lui trasmesse da anonimo amico, al dizionario di cui finora ho parlato, accompagnandole con lettera. Credetti a proposito dell’argomento il darvi luogo, cassando pochissime che mi parvero meno acconcie.14

Sul lessico pubblicato da CossaCossaGiuseppe (da qui: C47), del quale si propone una riedizione in appendice, è bene spendere alcune parole. Supponendo che la lista trasmessa a CherubiniCherubiniFrancesco corrisponda salvo minime modifiche al repertorio edito sul «Giornale dell’I.R. Istituto Lombardo», come è economico pensare considerati la fonte e il mediatore comune, appare evidente la discrepanza tra questo e le voci accolte nel Dizionariuccio. Ad esempio, nel manoscritto dell’Ambrosiana sono sistematicamente esclusi i toponimi (ad es. Camoghé, Gajàn, Mal-Canton, Negg, Val Travaglia), per i quali CherubiniCherubiniFrancesco dimostra disinteresse sin dalle prime indagini luganesi. Più difficile da giustificare è invece l’estromissione di altri materiali fra loro disomogenei: la terminologia amministrativa (si vd. testàtich), micologica (si vd. la ricca entrata alla voce barbis), o più largamente legata alla sfera della pastorizia (si vd. la voce bascíra) eccetera. A prescindere da queste lacune, che riflettono in parte delle scelte consapevoli di CherubiniCherubiniFrancesco, come nel primo caso menzionato, e in parte tradiscono forse delle semplici dimenticanze, le chiose ai lemmi riportate nel Dizionariuccio sono notevolmente ridimensionate. Nella versione pubblicata da CossaCossaGiuseppe, la lista allestita da RossiRossiGiuseppe risulta molto più ricca di precisazioni e approfondimenti descrittivi. In alcuni casi queste glosse costituivano delle vere e proprie correzioni alle definizioni proposte da MontiMontiPietro nel suo vocabolario, le quali sono comprensibilmente escluse dal manoscritto di CherubiniCherubiniFrancesco. A questo proposito si vedano le voci tavela e testàtich. Nel Vocabolario comasco di MontiMontiPietro si legge:

Tavêla. Pianella, mezzana; pezzo oblungo quadrangolare di argilla cotta e usato a pavimentare e in altri lavori di maestri di muro. Pose. Mattone. […] Forse con estensione di significato dal latino tabella, piccola tavola. Ma è più verosimile sia dal latino tegula, tegola […].

e

Testàtich. Certa tassa, che ogni uomo, che abita fuori delle città soggette a dazio, paga, compìti i quattordici anni, metà al principe, metà al suo comune; fino agli anni sessanta. Nel Cantone Ticino si paga dopo i diciotto […].

L’imprecisione del lessicografo comasco motiva le ampie chiose presenti in C47:

Tavela (in). È uno sbaglio il derivare la sua etimologia da tégula. Né vale l’esempio citato de’ ss. Padri. I fornaciaj le dicono indistintamente ora Tavelle, ora Pianelle. Inoltre sono diverse le Tavelle dalle Tegole, sì per la forma, e sì per l’uso a cui sono destinate. Le Tavelle sono piane e servono per gli ammattonati. Le Tegole sono di forma concava, più larghe da un’estremità che dall’altra, e servono a coprire o ripararci dalle acque.

e

Testàtich (in). Posso asserire a tutta fidanza che nel Canton Ticino non si è mai pagato dai cittadini o nativi alcun testatico. L’egregio autore del Vocabolario o è stato mal informato, o ha scambiato il Testatico col Forestieratico.

CherubiniCherubiniFrancesco esclude il secondo lemma dal Dizionariuccio mentre limita la definizione del primo all’essenziale; non trascrive cioè le ampie precisazioni che si leggono in C47: «Tavèlla. Tavella, matton da pavimenti; diconla anche Pianella». Se in questo caso la ragione che ha spinto il lessicografo a snellire le voci è comprensibile, in altre occasioni le scelte da lui operate sono più misteriose. Ad esempio, è difficile ipotizzare la ragione per la quale il lemma ghireghéra sia illustrato nel repertorio luganese con la breve nota «raganella a ruota dentata», che trascura l’ampia chiosa presente in C47:

Ghireghéra. Strumento che si suona gli ultimi tre giorni della settimana della Passione di Nostro Signore Gesù Cristo. È diverso dal Tippetapp. Consiste in una ruota dentata su cui appoggia una lingua di legno, e facendo girar la ruota dà un suono che imita il nome con cui è chiamato tale strumento.

Ancora più significativa è la difformità documentata al lemma coàtt, cui segue nel Dizionariuccio il semplice rimando al termine corrispondente nella varietà milanese («il nostro stoirœu»), mentre legge nella lista edita da CossaCossaGiuseppe una precisa definizione: «Coatt. Rotolo di paglia su cui si posano i calderotti della cucina, perché stieno fermi». Questo fatto potrebbe suggerire l’ipotesi che il Dizionariuccio fosse concepito da CherubiniCherubiniFrancesco come uno strumento di lavoro, utile cioè nel laboratorio della Dialettologia italiana. Oppure, ed è la congettura preferibile, la semplificazione di questa voce testimonia lo stadio di lavoro arretrato del repertorio, ancora formato in buona parte da agili appunti e rimandi alla varietà più familiare. Entrambe le ipotesi risultano tuttavia poco conciliabili con altre omissioni del lessicografo, che ad esempio non fa sue le snelle annotazioni fonetiche (ad es. s.v. gióga ‘inezia’ o majó ‘maggiore’) e tantomeno accoglie le proposte etimologiche dell’abate RossiRossiGiuseppe, anche quando sono certamente condivisibili (ad es. s.v. capuscett ‘capinera’: «perché ha una specie di cappuccio nero sul capo»). Ma sulle etimologie si tornerà più avanti.

Nel codice M 67 suss. della Biblioteca Ambrosiana, più volte citato, si conservano alcuni documenti manoscritti dell’abate RossiRossiGiuseppe riconducibili alle integrazioni effettuate nel 1846 e nel 1849, che testimoniano un’elaborazione più complessa di quella dichiarata nella nota posta dal lessicografo in apertura al repertorio.

 

I materiali ottenuti nel ’46 da CherubiniCherubiniFrancesco con il tramite di VillaVillaGiuseppe sono costituiti da due carte (221rv e 227rv) fittamente riempite di vocaboli, che si pubblicano in appendice (da qui: V1 e V2). La seconda carta, sul piano cronologico e nell’ordinamento del codice, è una riscrittura in pulito della prima, con alcune minime varianti segnalate nell’edizione. I due documenti costituiscono di fatto un solo mannello di voci, sono cioè l’uno la copia dell’altro. Le liste sono però state impiegate in due momenti distinti. Lo documenta la nota «Si cancelli Canaparo per Fabbriciere» scritta dal sacerdote sulla bella copia, che segnala l’informazione errata trasmessa nella prima versione della lista e da qui confluita nel Dizionariuccio, nel quale il lemma è successivamente cassato. Oltre a ciò, la consultazione di entrambe le liste è certificata dalle biffature che attraversano i fogli in verticale, segnalando l’avvenuta lettura, e dagli appunti autografi di CherubiniCherubiniFrancesco vergati su entrambe le carte. Sul primo documento (c. 221), il lessicografo a lato del riferimento bibliografico «Dalla Svizzera italiana di Stefano FransciniFransciniStefano» collocato a metà della pagina annota «l’ho vista», certificando la lettura e la conoscenza del paragrafo sul Linguaggio dell’opera storico-statistica del ticinese, mentre in calce al documento, sul verso della stessa carta, appunta «Riscontrati col mio diz.[ionariuccio] luganese». Sul secondo documento (c. 227), oltre alle croci segnate a margine di ogni rigo, probabilmente come guida nella fase di confronto e copia della presente lista sul manoscritto del Dizionariuccio, a lato del titolo del paragrafo Altre voci proprie del Malcantone (che varia l’indicazione topografica rispetto al luganese dell’antigrafo), CherubiniCherubiniFrancesco appunta sulla sinistra la nota «Ripetizione del qui contro» mentre sulla destra scrive «per maggior chiarezza di scrittura», esplicitando la ragione che ha portato l’informatore a redigere una bella copia del documento. Benché non datate, è possibile stabilire che queste liste sono precedenti a C47. Lo testimoniano in maniera univoca le voci comprese in entrambi gli elenchi (V2 e C47), che nel Dizionariuccio si conformano sistematicamente alla lezione trasmessa in V2, la prima ad essere consultata da CherubiniCherubiniFrancesco. A riprova di ciò, si vedano di seguito i casi più rilevanti nelle tre versioni, quella del Dizionariuccio, quella di V2 e quella di C47:


Bara de micch. Coppia di pane. Due o quattro panetti accoppiati. (Dizionariuccio) Bara de mich. Due panetti accoppiati. (V2) Bara de mich. Così chiamansi quattro panetti uniti insieme. (C47)

In questo caso, CherubiniCherubiniFrancesco avrà segnato dapprima «Coppia di pane», sulla base della lista di RossiRossiGiuseppe («Due panetti accoppiati»), per poi aggiungere «Due o quattro panetti accoppiati» sulla scorta del lessico edito da CossaCossaGiuseppe. Lo stesso ordine di consultazione traspare alla voce Burlàch o Burlat de ref (‘gomitolo’) del Dizionariuccio, che accoglie la lezione di V2:


Burlàch o Burlat de ref. Gomitolo. (Dizionariuccio) Burlach o burlatt de ref. Gomitolo. (V2) Burlàtt. Gomitolo di refe. (C47)

A questi si possono aggiungere un buon numero di altri esempi probanti la cronologia proposta, che trascrivo nello stesso ordine dei precedenti:


Genòria. Genìa. Genória. Genia. Genória (o largo). Marmaglia, Ragazzaglia. Forse da Genìa.
Gròll. Guascotto. Malcotto. Menestra grolla. Castegn groll. Groll. Cosa malcotta. Menestra grola. Minestra guascotta. Groll. Guascotto. Ris groll. Riso guascotto, malcotto.
Macciavaca. Mangione. Lurcone. Beone. Scialaquatore. Macciavaca. Mangione, Beone, Scialaquatore. Macciavàcca. Pacchione, Pappone.
Monscignò. Morsecchiato. Roba monscignada. Roba cui fu dato di morso, e anche Mantrugiato. Roba monscignada. Roba da mangiare a cui siasi dato di morso. Monscignò. Mantrugiato, Ammosciato.
Prezètt. Libello. Mandà on prezètt. Dar libello. Mandegh on prezett. Dagli un libello, una diffidazione. Prezzett. Precetto, Libello.

La terza lista di vocaboli (da qui: R49), è invece consegnata brevi manu a CherubiniCherubiniFrancesco nell’estate del 1849 dall’abate RossiRossiGiuseppe. A riprova dell’avvenuto incontro tra i due, pochi giorni dopo l’ultima integrazione sulla carta B del manoscritto, registrata il 28 settembre di quell’anno, il lessicografo scrisse al sacerdote per alcuni chiarimenti. Questa lettera, senza il nome del destinatario, che risulta però facilmente identificabile nell’informatore, è stata ritrovata da Luciana PedroiaPedroiaLuciana nel 1996 legata in una copia del Vocabolario mantovano-italiano di CherubiniCherubiniFrancesco posseduta dalla Biblioteca dei Frati di Lugano. La missiva, scritta il 2 ottobre 1849 da Oliva, la località in Brianza dove CherubiniCherubiniFrancesco trascorse gli ultimi anni prima della morte, dà notizia della lista di voci ticinesi utilizzata per il complemento del 28 settembre 1849 e offre alcuni elementi utili per capire come funzionava il laboratorio del Vocabolario milanese-italiano, per il quale il lessicografo stava allestendo un apparato di giunte confluite nel volume postumo nel 1856:

Signor mio Stimatissimo,

Mi fo premura di rinviarle la Nota de’ Vocaboli ticinesi onde mi favorì giorni sono. Ne ho estratto i vocaboli più necessarj a mio scopo che in buon numero mancavano in quel mio embrione di Vocabolario Ticinese ch’Ella ha quì veduto; e ne la ringrazio tanto.

Si accerti che la Spuzzarèlla di quì non è altrimenti il Màj. Questo ultimo è il Citiso Laburno de’ botanici, quest’altro il loro Ranno alaterno. Il Màj ha fior giallo; la Spuzzarèlla ha coccole rosse; il Màj ha legno duro, da tornio, inodoro; la Spuzzarèlla non così duro e putente.

La Pianca, di cui dice ignorare il significato, debb’essere, se non erro, sinonimo di Chiòs o Ciòs, cioè Terra a frutteto o a vigna o ad ortaggi ricinta e prossima alla casa, all’abitato.

Le voci e frasi italiane del ThouarThouarPietro, del Pananti, del Zannoni sono per 4/5 anche nel Vocabolario. Pochissime sono del solo parlar vivo odierno toscano.

Giacché il loro Pongeràtt è quello nostro Bruscón, cioè il Lauro spinoso, amerei molto sapere qual nome abbia invece appo loro il vero Pugnitopo, il Rusco aculeato dei botanici.

Ho riscontrato tutte le voci del fornaciajo, e ne ho fatto tesoro per la mia sopraggiunta. Oh veda che fabbrica interminata sia quella d’un Vocabolario se in questa sola parte (che pure ho studiata con molto amore e nelle fornaci materiali di laggiù e nei libri architettonici che ne parlano) pure ho omesso quest’altre tante voci ch’Ella mi ha così gentilmente suggerite! Io ne la ringrazio grandemente e di vero cuore.15

Spero di rivederla qui col nostro buono e bravo Rettore [scil.: Giuseppe VillaVillaGiuseppe] e di potere allora ripeterle di persona i miei ringraziamenti, e rinnovarle le proteste della molta stima che le professo. Intanto Ella mi abbia quale ho il bene di dirmele

Dmo. Obb.mo Serv.e

Francesco CherubiniCherubiniFrancesco16

Come suggerisce l’organizzazione caotica del manoscritto, che a tratti risulta difficilmente decifrabile a causa delle voci appuntate di fortuna e di numerose cancellature o sovrascrizioni, il repertorio, definito nella lettera come genericamente “ticinese”, anche dopo la terza e ultima integrazione, avvenuta nel 1849, è ritenuto un «embrione», ovvero è ancora lontano dall’essere considerato completo o finito. Questo fatto non va certo a detrimento del valore del documento come ci è giunto, anche in ragione dell’operosità di CherubiniCherubiniFrancesco, che era restio a considerare compiute le sue opere: «che fabbrica interminata è quella d’un Vocabolario». Per quanto concerne il suo metodo di lavoro, invece, le righe che seguono questa affermazione lasciano intendere che il lessicografo non riceveva passivamente i materiali procurati dai collaboratori, ma li vagliava scrupolosamente e li discuteva con la fonte. E ci dicono anche che CherubiniCherubiniFrancesco in alcuni casi rovesciava il senso della collaborazione, sottoponendo all’informatore alcune voci prive di traduzione per non condizionarne la lettura e il responso. È il caso della parola Pianca (‘campo recintato’), della quale l’abate RossiRossiGiuseppe, come si desume nella missiva, non conosceva il significato. Questo termine è lemmatizzato nella prima stesura del manoscritto, quella costituita dalle voci raccolte in occasione delle inchieste condotte in prima persona nel luganese. L’entrata del lemma si limita però a rimandare a Chiòs, come di fatto avviene nella missiva, senza proporre un traducente; in questo caso l’aiuto di RossiRossiGiuseppe non sarà servito a sanare la lacuna. Il puntiglio di CherubiniCherubiniFrancesco si manifesta anche nella richiesta di chiarimenti che segue lo spoglio delle voci ricevute dall’informatore, di cui dà testimonianza la lettera. In quest’ultima, ad esempio, il lessicografo interroga l’abate sulla voce Pongeràtt: «Giacché il loro Pongeràtt è quello nostro Bruscón, cioè il Lauro spinoso, amerei molto sapere qual nome abbia invece appo loro il vero Pugnitopo, il Rusco aculeato dei botanici». Questa richiesta è relativa a un dubbio già testimoniato nella prima stesura del Dizionariuccio alla voce Ponsgeràtt, cui seguiva una parentesi incompleta che lasciava sospesa la definizione: «Lauro spinoso. ›(Invece il pungitopo lo chiamano …‹», con i puntini che riservavano lo spazio per un’auspicata aggiunta. L’integrazione è effettuata in un secondo momento cassando la parentetica, sostituita con un nuovo lemma ottenuto – è lecito ipotizzare – dalla risposta dell’informatore: «Ponsgerattitt. Pungitopo. Il ruscus aculeatus».