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Il nome e la lingua

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BIONDELLI 1853 FRANSCINI 1837-1840 MONTI 1845 MONTI 1844
Chilbi Tic. Festa patronale – Ted. Kilbe. (65) Chilbi. Festa del patrono della parrocchia o chiesa (sagra). Ted. sv. Kilbe. (309)
Chùs Tic. Tormenta, pioggia con neve – Ted. Sviz. Gugsete. (65) Chuss. Pioggia mista con neve (tormenta). Ted. sv. Gugsete. (309)
Colma Mil. e Verb. Cima, vetta. – L. Culmen. – Ted. Kulm. (65) Colma. Cima, vetta (lat. culmen). Ted. sv. Gulm, kulm, cuolm. (309) Còlman. Culmine, sommità di monte. Spina di tetto. Colma. Lev. Montagna. V.V. Culmine, cima. (53)
Fògn V.L. Vento di sud-ovest. (66) Fogn (lev.). Vento del sud-ovest (favonio). Ted. sv. Föhn. (309)
Froda Tic. Cascata di fiume, di torrente e simili. – V. Anz. Frola. – V. For. Frùa, Frùt. Onde chiamasi An der Frut il villaggio situato presso la cascata della Toce. (66) Froda. Cascata (di fiume, ecc.). (312) Froda (In qualche terra del Canton Ticino). Cascata d’a[c]qua. V. Fràccia. (392)
Lòstig V.L. Allegro. – Ted. Lustig. (71) Lostig. Allegro, giojoso. Ted. sv. Lustig. (310)
Penagia Tic. – Panagia. Mil. Zàngola; vaso in cui si dibatte la crema. (74) Penagia. Vaso in cui si scuote la crema. (313) Panagia. Bl. Zàngola. (170)
Sarùda Sarón. Mil. – Sarògn, Sarùda. Tic. Siero. (79) Saruda. Siero che scola dal cacio appena levato dalla caldaia. (313) Sarùda. V.V. Siero, che cola dal cacio cavato dalla caldaja. (234)
Scherz Tic. Arnia d’api. (80) Schérz. Arnia d’api. (313)
Scocia/ scotta Tic. e Mil. Siero misto a ricotta. – V.M. Scöcia. – Ted. Schotten. (80) Scoccia. Siero con entrovi ricotta molle. Ted. sv. Schotten. (309) Scòcia. Bl. e V.T. Siero del latte. Bel. Siero purgato la seconda volta. (p. 254). Scôtta. Posc. Scotta. Latte o siero da cui si è cavata la ricotta. Sas. e altri dialetti german. Schotte, siero. (258)
Scénğ Tic. Pastura fra nude rupi. Sceng. Piccola pastura o luogo boschivo fra nude rupi. (313) Scengh. V.V. Luogo boscato fra rupi. (246)
Snèlar Val. Lev. Facchino. – Ted. Schneller. (82) Snéllar. Facchino. Ted. sv. Schneller. (310)
Snidar V.L. Sarto. – Ted. Schneider. Snidar. Sarto. Ted. sv. Schneider. (310)
Starlüš/ Starlüscià Tic. Lampo. Lampeggiare. (83) Starlusc, stralusc. Lampo. Starluscià. Lampeggiare. (313) Starlusc. Lev. Lampo. (300)
Teràm Luganese. Crema. – Ted. Rahm. (85) Teràm (lug.). Crema, fior di latte. (313)
Trölar V.L. Litigante. – Ted. Trohler. Trölar (lev.). Uomo dedito al litigio. Ted. sv. Trohler.
Vèbal V.L. Usciere di tribunale. Ted. Weibel. Vebal (lev.). Usciere del Tribunale. Ted. sv. Weibel. Vebel. Bl. Sergente di tribunale, al tempo che la valle era sotto i Grigioni. Ted. Feld Webel, id. – Teu. Wepel, portinajo. (354) Vèbal. V.M. Usciere. (35)

I lemmi Canaja (‘Fanciullo, ragazzo’), Fànč (‘Infante’), Pól (‘Ragazzo; fem. Pola. – L. Pullus’), esclusivi dell’alto Ticino, oltre al più comune matt25, attestato in molte varietà del dialetto lombardo occidentale, sono suggeriti a BiondelliBiondelliBernardino da un paragrafo supplementare della Svizzera italiana, che segue la breve tabella dei Vocaboli ticinesi comuni col dialetto valdese, welsch o romanzo franzese:

In alcune terre della Riviera, sulla destra del Ticino, odesi matt per ragazzo, mattogn per ragazzaccio, mattél ragazzetto, matta ragazza. E quasi dirimpetto sulla sinistra, a Biasca, un pol è un ragazzo, una pola è una ragazza. In alcuni luoghi di Leventina si dice un canaja e una canaja per i bamboli ed anche in genere i figliuoli. In generale tos, tous e nel femminile tosa, tousa s’usano lombardamente per ragazzo e ragazza.26

Il materiale incluso nel Saggio di vocabolario dei dialetti lombardi suggerisce che la consultazione dell’opera di FransciniFransciniStefano si sia limitata al capitolo menzionato, contenente i brevi lessici e le postille sui dialetti della Svizzera di lingua italiana. Le varie notazioni lessicali sparse nel resto del volume non sono infatti considerate da BiondelliBiondelliBernardino.

2.4. La Svizzera italiana nelle ricerche di Pietro MontiMontiPietro

Un’ultima classificazione delle varietà dialettali della Svizzera italiana è proposta nello stesso giro d’anni proprio da MontiMontiPietro in un’opera, come in parte osservato, strettamente imparentata con lo studio di BiondelliBiondelliBernardino. Con il titolo Vocabolario dei dialetti della città e diocesi di Como esce nel 1845 a Milano il primo repertorio dialettale che si propone di censire voci, anche esclusive, della Svizzera italiana. Nonostante i difetti riconosciuti al sussidio lessicale (il dizionario è privo di una norma coerente di rappresentazione grafica dei fonemi e per questo SalvioniSalvioniCarlo nel 1906 lo definì «infedele anche alle sue stesse regole»1) il Vocabolario rimane uno strumento fondamentale per la documentazione linguistica della Svizzera italiana; d’altro canto, infatti, Bruno MiglioriniMiglioriniBruno nel 1951 rilevava le qualità dell’opera e la definiva «eccellente».2

 

Quello prodotto da MontiMontiPietro è uno dei primi tentativi di descrizione lessicografica di un dialetto su ampia scala. L’indagine è resa particolarmente interessante dalla scelta di delimitare il censimento linguistico sulla base di una circoscrizione ecclesiastica e non geografica o politico-amministrativa, estendendo cioè l’area della ricerca al territorio della diocesi comasca. Questa scelta, motivata forse da ragioni pratiche (gli informatori di MontiMontiPietro erano in prevalenza parroci della diocesi), è legittimata dal valore culturale, linguistico e identitario rappresentato dalla giurisdizione vescovile, del quale si è riferito nel primo capitolo.

Nelle pagine rivolte Al nobile signor Alessandro PorroPorroAlessandro, che introducono il Vocabolario, MontiMontiPietro espone sommariamente le peculiarità dell’area linguistica della diocesi comasca e ne stabilisce i limiti geografici.3 L’indagine capillare, condotta sul campo e mediante la collaborazione di informatori sparsi nella regione, è motivata dalla diversità dei dialetti parlati nel territorio, arricchiti, secondo un’ipotesi impressionistica (e almeno in parte errata) del lessicografo, dalla pluralità di substrati e dall’intensa compenetrazione culturale che nei secoli si è prodotta nella regione:

Il dialetto della città e della diocesi di Como, tra sé ben diverso da luogo a luogo, è un informe edificio, vasto però, composto di venerabili reliquie d’antiche lingue morte, voglio dire voci forse etrusche, certamente celtiche, latine, germaniche e d’altre favelle qui parlate da popoli più vetusti, di cui nulle o scarse notizie abbiamo.4

Sebbene la ricerca sia limitata alla diocesi comasca, il compilatore non trascura le tre estreme valli alpine del Cantone Ticino, controllate da prima dell’anno mille, in forme e con modi differenti, dal Vescovo di Milano. Eludendo il principio enunciato nel titolo, nel Vocabolario sono dunque documentati anche i dialetti di Riviera, Blenio e Leventina. Oltre che per una questione di completezza – le varietà di questi territori sono geograficamente e linguisticamente contigui all’area della diocesi di Como – la forzatura del proposito originale va forse ricondotta all’interesse linguistico rappresentato dal vernacolo delle Tre Valli, che come detto si differenzia notevolmente sul piano lessicale e fonetico da quello della pianura. Al tempo, inoltre, le indagini lessicografiche non avevano ancora documentato sistematicamente queste varietà, toccate solo marginalmente nella poderosa editio maior del Vocabolario italiano-milanese di CherubiniCherubiniFrancesco:

Nel Cantone del Ticino, Riviera Blenio Leventina, dette comunemente Tre Valli; e le valli Maggia, Verzasca, Colla offrono ciascuna un dialetto di voci proprie. Sono, è vero, le Tre Valli nella diocesi milanese, ma giudicai di non ometterle, perché situate in modo che formano un solo corpo colle terre adjacenti della comasca, dalle quali perciò in questi studj non si possono separare. Mi ero proposto per la stessa ragione di comprendere le valli Pregaglia sopra Chiavenna; Mesolcina e Calanca, terre quest’ultime soggette al vescovo di Coira, quella di Riformati, ma non potei finora visitarle. A difetto spero di supplire altra volta.5

Il Vocabolario considera dunque tutte le varietà dialettali della Svizzera italiana salvo quelle bregagliotte, della Mesolcina e della Val Calanca, territori dal Medioevo compresi nella circoscrizione ecclesiastica di Coira ma esclusi dal repertorio per una questione pratica, ci dice l’autore. Al contrario, nell’indagine è inclusa la valle di Poschiavo, parte della diocesi di Como fino al 1869: «Poschiavo, grossa terra dei Grigioni, per due terzi della diocesi comasca, parla in generale come a Tirano, ma usa molte voci proprie».6

La copertura di un’area vasta e in buona parte rurale – dunque, con esigue attestazioni scritte – rese necessaria, oltre all’operosa raccolta di dati sul campo, la collaborazione di un numero cospicuo di informatori sparsi nella regione. Come detto, lo status di abate avrà favorito MontiMontiPietro nelle relazioni con i collaboratori, in buona parte parroci o canonici incaricati in remoti villaggi della diocesi. Ne dà testimonianza l’autore nelle pagine dell’introduzione al Vocabolario:

Tanto per la raccolta dei vocàboli, quanto per la piena loro intelligenza e significazione, mi valsi dell’amicizia di colti sacerdoti, che fanno la loro vita in villaggi alpini delle valli Tellina, Verzasca, Maggia, Leventina, Blenio, e nel seno dei monti del Lario, del Ceresio e del Verbano, in mezzo a rùstica gente; messi di Dio, tanto più degni d’onore, in quanto trapàssano i dí, separati dal mondo, dimenticati, con pòvere rèndite, e senza umana speranza. Visitai molti dei siti che nomino, conversando cogli abitanti, intrattenendomi in domande, e notando studiosamente ogni modo e ogni voce che parvemi degna di nota. Il raccogliere le parole dalla viva voce è utile sì per saperle scrivere e pronunciar bene, sì per coglierne il preciso significato. La pronuncia in alcuni luoghi è tale, che noi udendo i montanari e valligiani parlare tra loro, ci sembra favellino in una lingua non più udita.7

L’identità dei collaboratori è resa nota al capoverso Nome de’ Signori i quali nella compilazione del Vocabolario Comasco mi fornirono vocaboli, o consultai per la esatta loro intelligenza, o mi assistettero nel farne raccolta nel loro paese. In rapporto al numero complessivo, in questo indice sono citati molti informatori residenti nella Svizzera italiana, dediti in prevalenza all’apostolato sacerdotale. L’interesse del lessicografo per la realtà alpina e rusticana delle valli svizzero-italiane è testimoniato anche dalla distribuzione dei collaboratori. Nel paragrafo citato, MontiMontiPietro menziona con riconoscenza la collaborazione del parroco di Airolo Don Guglielmo CelioCelioGuglielmo per la Leventina, di Domenico MozzettiniMozzettiniDomenico per la Valle Verzasca, del prevosto Don Francesco Maria TravellaTravellaFrancesco Maria per la Valle Maggia, di Luigi ZanettiZanettiGiorgio e Benedetto IseppiIseppiBenedetto per Poschiavo, di Don Giuseppe GhiringhelliGhiringhelliGiuseppe per Bellinzona, e per la Valle di Blenio dell’ex segretario di Governo Don Vincenzo DalbertiDalbertiVincenzo. Quest’ultimo, in ragione del suo contributo al Vocabolario e della qualità dei materiali conservati presso l’Archivio di Stato del Cantone Ticino, rappresenta un ottimo esempio per comprendere come MontiMontiPietro lavorava con i suoi informatori. Si serba quasi integro, infatti, il carteggio tra il lessicografo comasco e il collaboratore bleniese, compresi i materiali allestiti per documentare il dialetto della Valle di Blenio, confluiti nel Vocabolario.8

DalbertiDalbertiVincenzo nacque nel 1763 a Milano da genitori bleniesi, attivi come cioccolatai nella città lombarda. Qui fu scolarizzato e ordinato sacerdote, ma presto ottenne l’investitura di un beneficio a Olivone, che lo portò a trasferirsi nel 1798. Politico esperto e bibliofilo, DalbertiDalbertiVincenzo rappresenta l’informatore ideale per il lessicografo comasco, poiché integrato nella vita del paese e della valle intera, perciò facilitato nella procedura di rilievo lessicale, e poiché colto e affidabile ma privo di sensibilità linguistica o di esperienza nello studio dei dialetti; segno di come anche un uomo di buona cultura fosse allora – prima delle innovazioni portate dallo studio ascoliano – quasi del tutto indifferente alle oscillazioni delle varietà dialettali. Lo si deduce nella responsiva del 30 marzo del 1844 alla prima lettera di MontiMontiPietro, scritta il 24 febbraio dello stesso anno e oggi dispersa. Nel primo paragrafo della missiva, DalbertiDalbertiVincenzo sottovaluta le peculiarità del dialetto lombardo-alpino parlato nella Valle di Blenio, paragonato alla varietà di koinè, salvo indicare in un secondo momento alcune differenze di pronuncia o di morfologia, percepibili tra villaggi limitrofi e persino all’interno di uno stesso comune:

Distratto da incomodi di salute ho tardato piú che non avrei voluto la ben dovuta risposta alla lettera del 24 febbraio p[rossim]o p[assat]o, colla quale V.S. Preg[iatissi]ma mi esprime il Suo desiderio d’aver notizia del particolare dialetto della valle di Blenio. Ora ho l’onore di significarLe che un linguaggio il quale specialmente appartenga alla valle, e si distingua notabilmente dal parlare de’ paesi circostanti, non abbiamo. In sostanza si parla qui come in Leventina, nel Bellinzonese, Luganese ecc. Il materiale del dialetto è il lombardo, e non è diversa la sintassi. Si notano, è vero, alcune differenze nella pronuncia delle stesse parole tra un distretto e l’altro, che ne alterano talvolta la desinenza da farle parere voci diverse. Ma questo vezzo, o storpiatura di parole, senza cambiare il loro significato, si rimarca spesso anche nei comuni popolosi tra le loro frazioni un po’ distanti. Per esempio, io conosco un comune in una estremità del quale il letto si chiama lecc, in altra licc, in altra lucc; chi poi pretende di parlar più civilmente dice lett, alla milanese.9

Dopo aver avanzato un esempio lessicale che testimonia la particolarità del dialetto valligiano, il sacerdote si contraddice ribadendo la scarsità di tratti peculiari presenti nelle varietà dialettali della Svizzera italiana, da lui ritenute una generica e graduale corruzione della parlata lombarda:

Io dunque non saprei fornirLe notizia o ragguaglio sul dialetto di Blenio che meriti posto distinto nel di Lei lavoro, perché, come dissi, vero dialetto particolare del paese non esiste più al presente, e non vi si parla in sostanza che il lombardo, rozzo se si vuole più di quello parlato in Como e in Milano, e rozzo più in un comune che in un altro, ma sempre lombardo.10

Nel laboratorio dei dialettologi dell’Ottocento, gli informatori, che svolgevano un ruolo fondamentale nelle indagini, risultano in genere delle schiere raccogliticce di amici o conoscenti selezionati per opportunità più che per una loro reale competenza. Il collaboratore ottocentesco era solitamente il parroco, l’erudito locale o un dilettante degli studi residente nell’area linguistica indagata. Questo fa sì che si producano con frequenza degli equivoci e delle incomprensioni analoghe al caso appena osservato. A riprova di ciò, anche fra le carte di CherubiniCherubiniFrancesco si verifica una situazione simile, nella quale un certo Giuseppe NovelloNovelloGiuseppe, contattato per alcune informazioni relative al dialetto vicentino, consiglia al lessicografo il Vocabolario veneziano e padovano del PatriarchiPatriarchiGasparo, sostenendo che la varietà locale si conformava quasi totalmente con il padovano:11

Appena ricevuto il gentilissimo di lei foglio mi sono adoperato per fornirmi di quelle cognizioni di che mi richiede. Ho incominciato a raccoglierle [le voci nella varietà locale inizianti per ma-] ma non ancora ho potuto disporle così da potere si tosto spedirle. […] Credo che le sarà stata data contezza del Vocabolario dei PatriarchiPatriarchiGasparo, il quale contiene di fronte a quelle della Crusca i vocaboli del Padovano Dialetto, che molto al nostro si rassomigliano…12

L’informatore novecentesco era invece solitamente un parlante nativo del dialetto, meglio se anziano e incolto, ed era il dialettologo che andava sur place per i rilievi; si pensi, ad esempio, alle inchieste condotte da RohlfsRohlfsGerhard, ScheuermeierScheuermeierPaul e da WagnerWagnerMax Leopold per l’Atlante italo-svizzero; o ancora, a testimonianza di una fase intermedia tra i due modelli d’indagine, si veda la lettera di SalvioniSalvioniCarlo spedita a un potenziale corrispondente dalle Centovalli, nella quale il glottologo scrive: «La prego di dirmi sempre la parola vera del dialetto quale odesi preferibilmente sulla bocca dei vecchi e delle donne».13

La posizione geografica e sociale di DalbertiDalbertiVincenzo lo poneva in una condizione di rapporto privilegiato con soggetti ideali per l’indagine lessicografica. Il sacerdote non è tuttavia consapevole – del tutto legittimamente – della preziosa risorsa costituita dagli anziani della valle, sedentari e isolati in piccole comunità prealpine. Questi individui sono depositari di una realtà dialettale arcaica e “sincera”, meno condizionata dalla mescolanza dei linguaggi e dall’uniformizzazione alla varietà di prestigio o alla Dachsprache. La visione di DalbertiDalbertiVincenzo è significativa e documenta, come anticipato, la scarsa sensibilità per gli orientamenti della dialettologia moderna, che andava muovendo i primi passi. Infatti, la descrizione storica delle varietà dialettali, nelle loro ramificazioni anche isolate e peregrine, pare attività del tutto inutile e infruttuosa per il sacerdote:

 

Si trovano pure in molte terre o casali, staccati dal comune principale, persone vecchie più solitarie, e direi quasi selvaggie, massime femmine, che confinate nei loro tuguri aviti hanno vocaboli e frasi proprie. Ma sono piuttosto un gergo domestico, che una proprietà del dialetto comune. E chi vorrebbe frugare nei più rimoti angoli della valle per raccogliere tali gemme? E con che vantaggio? Poiché non s’intendono pochi passi lontano. Tutt’al più servirebbero a qualche etimologista, che, fantasticando sopra voci proferite da persone incolte, male intese e, peggio, registrate, per regalarle poi seriamente al pubblico, si compiacerebbe d’averne scoperta, o sognata, la radice o tedesca o francese o toscana o di come se ne leggono tutti i giorni per ridersene, e dimenticarle.14

Nella seconda parte del paragrafo citato, il sacerdote biasima inavvertitamente le indagini di etimologisti improvvisati, promotori di ipotesi improduttive e poco credibili, ignorando che proprio MontiMontiPietro, a seguito delle sue ricerche linguistiche fu rimproverato per le sue proposte avventurose. Infatti, in risposta al saggio di Pasquale BorrelliBorrelliPasquale Attorno a’ principii dell’arte etimologica per servire al vocabolario universale italiano, pubblicato nel 1830 in apertura al secondo volume del Vocabolario universale italiano del Tramater, il lessicografo comasco allestì un opuscolo di mende e suggerimenti etimologici alternativi, intitolato Esame di alcune etimologie della lingua italiana nel vocabolario che si stampa a Napoli coi torchi del Tramater e indirizzato in forma di lettera al chiarissimo avvocato signor Pasquale BorrelliBorrelliPasquale:

Ben è vero che conoscendo l’uomo dottissimo, cui parlo, il quale nulla stabilì a caso, ma consideratamente; e mi scrisse, e già me lo ha provato, che sa a un bisogno rendere buon conto delle sue etimologie, proporrò le mie osservazioncelle non come una critica, ma sì come dubbi, rimessone allo stesso interamente il giudicarne.15

La reazione di BorrelliBorrelliPasquale fu meno pacata. Sul fascicolo del febbraio 1836 del periodico «Ricoglitore italiano e straniero», il giurista contestò ferocemente le supposizioni etimologiche del MontiMontiPietro liquidandone in poche righe l’Esame:

Mi rincresce di non aver il Vocabolario che si stampa dal Tramater, perché vorrei vedere se sieno più ridicole le etimologie date colà, o queste che mi paiono il non plus ultra […] Ma questa delle etimologie è pur cosa ridicola, e come tali le avrà stampate il signor MontiMontiPietro, che non posso credere l’abbia fatto da senno, in un libercolo ove, credo a bella posta, affollò errori di lingua, per dimostrare quel che asserì d’esser il minimo degli Italiani.16

Nello stesso anno, con una lettera ai Chiarissimi editori del Ricoglitore italiano e straniero, apparsa sullo stesso periodico, MontiMontiPietro replicò all’attacco giustificando le sue proposte.17 La fine della contesa è segnata dalla pubblicazione, premessa al quinto volume del Vocabolario universale italiano (datato 1835 ma stampato nel 1836), di una più ampia Risposta alle osservazioni del ch. signor Pietro MontiMontiPietro da parte di BorrelliBorrelliPasquale.18

Per tornare al carteggio, nella lettera scritta da MontiMontiPietro in risposta a DalbertiDalbertiVincenzo il 6 aprile 1844, il lessicografo si limita a giustificare la propria attività di studioso, senza particolari rimostranze:

Sono appunto le persone vecchie e solitarie in appartati casali, che Ella mi dice avere frasi e vocaboli proprii, che a me importa sentire. So le molte illusioni cui gli etimologisti e linguisti si abbandonano; Ella fece bene ad avvertirmi, ed io non sarò forse più saggio degli altri. Ma che vuole? Trahit sua quemque voluptas.19

La scarsa sensibilità filologica di DalbertiDalbertiVincenzo lo portava infine a comparare la varietà viva del dialetto bleniese, quella insomma preservata dai parlanti della valle, alla lingua dei Rabisch di LomazzoLomazzoGiovanni Paolo, come già osservato in BiondelliBiondelliBernardino. Nella lettera del 30 marzo, il sacerdote, pur consapevole che quella dei Rabisch era un’imitazione del dialetto bleniese, una lingua letteraria e caricaturale, suggerisce a MontiMontiPietro di servirsi delle poesie dei facchini per documentare una varietà valligiana che riteneva più autentica di quella in uso, poiché non contaminata dal dialetto di koinè e dall’italiano:

Anticamente vi si parlava un linguaggio che veramente potevasi appellare dialetto di Blenio. Ella probabilmente conosce il libretto dell’erudito pittore milanese Paolo LomazzoLomazzoGiovanni Paolo, intitolato: Rabisch dra Academiglia dor Compà Zavargna, nabad dra Vall d’ Bregn ecc […] L’Haym dice che sono quasi tutti sonetti in lingua milanese. Ma v’è molta differenza dal dialetto milanese di quel tempo, come si può vedere col confronto del Varon milanes col d[ett]o Rabisch d’ Bregn […] Quell’accademia, com’Ella sa, era una società privilegiata di persone civili e gioviali, che simulando linguaggio e vocazione dei montanari di Blenio (considerati come milanesi, perché dipendenti nello spirituale dall’arcivesc[ovo] di Milano, della cui diocesi fanno parte anche attualmente) si divertivano e divertivano il pubblico con mascherate in carnevale e in altre occorrenze di pubblica allegria.20

Ignota a MontiMontiPietro, la silloge in questione gli è spedita nei mesi successivi da DalbertiDalbertiVincenzo. Il lessicografo scrive al sacerdote il 15 agosto 1844 per ringraziarlo del libro («Questo Rabisch mi piacque, e ne copiai alcuni brani. È un libro ben curioso»), avanzando nella stessa lettera la richiesta di un chiarimento sul significato della voce posta a titolo del volume, per lui incomprensibile («[…] insegnarmi il senso di quella voce Rabisch, che non intendo»).21 Tuttavia, da quanto emerge nella tarda responsiva del 12 aprile 1845, lo stesso DalbertiDalbertiVincenzo non è certo del significato del termine rabisch, che prova a ricostruire mediante la chiosa esplicativa che segue la voce nel titolo del volume:

Non conosco il significato proprio del vocabolo Rabisch, ma siccome vi segue l’equivalente, o spiegazione, dicendosi: over sversarigl ecc., pare che significhi smorfie sgarbate, ovvero versi triviali, plebei, come uscirono dal cervello, ecc.22

La lettura del titolo è in realtà molto più semplice. Rabisch (o Rabisc nel secondo frontespizio) altro non è se non la forma aferetica di arabeschi, ovvero di ‘Arabo; che s’ispira alla foggia, allo stile, al costume degli arabi’.23 La voce assume però, in senso estensivo e figurato, il significato di ‘Viluppo fantasioso e bizzarro di segni, linee, rami, colori o riflessi di luce’ e di ‘Scritto o disegno eseguito malamente’.24 Ovvero va ricondotto alla terminologia tecnica della pittura, e così andrà inteso il titolo della raccolta. Questa intestazione fa dunque il paio con la definizione di Grotteschi attribuita al volume delle Rime di LomazzoLomazzoGiovanni Paolo, curato dallo stesso stampatore milanese Paolo Gottardo da Ponte due anni prima, nel 1587.25 Come osserva MartinoniMartinoniRenato, il lessicografo comasco include nel suo vocabolario l’entrata rabisch riconducendola alla valle di Blenio, alla Riviera e alla Leventina, ma non accoglie il significato proposto da DalbertiDalbertiVincenzo. Rifacendosi al secondo elemento del frontespizio, scianscia, MontiMontiPietro traduce approssimativamente in ‘Vernacolo. Ciancie, Baje’.26

Il contributo di DalbertiDalbertiVincenzo al repertorio lessicografico comasco è però ben maggiore delle considerazioni e dei suggerimenti osservati finora. Nel vocabolario l’apporto lessicale della varietà bleniese è esplicitato con una sintetica indicazione geografica, segnalata nel lemmario con la sigla Bl. Tuttavia, come si deduce dalla lettera di MontiMontiPietro del 18 maggio 1845, la stampa dei primi fascicoli del Vocabolario anticipò l’allestimento e la trasmissione del manipolo di voci. Per includere il tesoretto bleniese nel repertorio e non relegarlo nelle aggiunte, nella missiva il lessicologo sollecita DalbertiDalbertiVincenzo:

A Milano ne è cominciata la stampa e già, oltre ai preliminari, è stampata tutta la lettera D. Ella mi dà intenzione di mandarmi una manata di vocaboli, speciali alla Sua valle. La prego di sollecitarne la spedizione, acciò possa subito farvi sopra studio e collocare le voci a suo posto, anziché nel promesso supplemento.27

L’esigua lista con i vocaboli della valle svizzero-italiana è spedita una decina di giorni dopo, il 27 maggio 1845.28 Nonostante la celerità della risposta, l’integrazione delle informazioni tratte dall’opuscolo di DalbertiDalbertiVincenzo nel Vocabolario comasco avviene solamente all’altezza della lettera f. Il primo termine bleniese attestato nel lemmario si trova infatti alla voce Fiìl (‘Correggiato’).29 I vocaboli esclusi dalle pagine del lemmario già stampate al momento della trasmissione, se ritenuti interessanti o adeguati, sono collocati nel Supplemento ossia Aggiunte e correzioni al Vocabolario comasco posto in calce al volume.30 Nel Supplemento si leggono però anche voci che a rigor di cronologia sarebbero state vagliate e rielaborate in tempo utile per entrare nel repertorio principale. Fra queste, ad esempio: s’ciûga (‘Slitta per menar fieno o legna sulla neve, o sul terreno’), sniscia (‘Vitella di due anni’) e kiscgill (‘Corticella, Piccol atrio d’avanti la stalla, dove si ammassa il letame’). La loro inclusione tardiva va giustificata, probabilmente, con un ripensamento dopo una prima selezione o a seguito di una dimenticanza del compilatore.