Le Straordinarie Avventure Di Joshua Russell E Del Suo Amico Robot

Tekst
0
Recenzje
Przeczytaj fragment
Oznacz jako przeczytane
Czcionka:Mniejsze АаWiększe Aa

Il robot italiano era realizzato dalla nota marca automobilistica “Ferrari”, era un prodigio di tecnica, con soluzioni sempre all’avanguardia. Più volte avevano anche vinto il premio per il miglior design.

Quello tedesco era ai limiti del regolamento, infatti, le regole stabilivano un’altezza massima di 2,10 m e un peso massimo di 190 kg e queste erano esattamente le misure dell’automa germanico.

Il robot cinese non era all’altezza del tedesco e dell’italiano, ma era comandato da un ragazzo campione mondiale di kick boxing, quindi era un avversario temibilissimo.

Non tutti i paesi erano rappresentati, qualche Stato invece ne portava anche un paio, dipendeva dai successi ottenuti negli anni precedenti. Joshua aveva goduto negli anni passati di una Wild card perché era pur sempre l’inventore della batteria che muoveva tutti i robot, ma nell’edizione precedente si era conquistato il diritto a essere “testa di serie” rientrando tra i primi dieci migliori lottatori del torneo.

Il torneo prevedeva 100 partecipanti, le prime dieci teste di serie avrebbero affrontato nove avversari ciascuno, sorteggiati tra quelli meno forti. Ogni vincitore di questi turni di qualificazione avrebbe partecipato al girone finale che prevedeva lo scontro diretto tra i primi dieci classificati. In genere le teste di serie vincevano sempre il loro girone, per cui, di solito, erano gli stessi dieci robot a lottare per il titolo.

Sul tabellone scorrevano i nomi delle teste di serie e, nelle colonne sottostanti, apparivano i nomi dei robot avversari man mano che avveniva il sorteggio. Il primo avversario di Raptor sarebbe stato il robot tailandese.

Joshua attendeva che la voce degli altoparlanti lo chiamasse per cominciare il combattimento, ma prima dovevano esibirsi le altre teste di serie, dalla prima alla nona, lui era il decimo.

Assistette con pazienza ai combattimenti degli altri che, com’era prevedibile, non ebbero grosse difficoltà a sbarazzarsi del loro primo avversario.

Era giunto il suo turno. Quando la voce chiamò il suo nome, sentì un tuffo al cuore, era consapevole della forza del suo robot, ma l’emozione gli faceva tremare le mani. Ordinò a Raptor di salire sul ring grande e lui entrò in uno dei due più piccoli.

<<Raptor. Modalità combattimento!>> pensò Joshua.

Il suo amico si mise nella posizione iniziale che il ragazzo aveva imparato facendo arti marziali.

<<Distruggi il tuo avversario>>, ordinò mentalmente al suono della campanella.

Intanto il robot tailandese si era avvicinato, sferrandogli un pugno all’altezza del viso. Raptor lo aveva schivato con un movimento fulmineo e con altrettanta velocità aveva risposto con una ginocchiata allo stomaco dell’avversario, staccandogli di netto la parte inferiore. Il pubblico che aveva assistito in silenzio, non poté trattenere un’esclamazione di stupore per la potenza e la velocità di quel colpo.

Il ragazzo, che aveva fissato il suo robot per cercare di ripeterne i colpi e non far capire che i controller in realtà non controllavano un bel niente, rimase sbalordito da come Raptor avesse eseguito il movimento che lui aveva in mente alla stessa velocità con cui lo aveva pensato.

Il primo combattimento era già terminato, gli erano bastati pochi secondi per distruggere l’avversario e per conquistare quella fiducia e quella sicurezza che non aveva un attimo prima dell’inizio del match.

Fu di nuovo il turno delle altre teste di serie, il robot giapponese si era sbarazzato di quello brasiliano con tecniche di Jujitsu molto spettacolari e il fiammeggiante robot italiano aveva staccato la testa dell’avversario svizzero con un gancio destro al mento. Gli incontri si susseguivano velocemente, anche nel secondo turno le teste di serie avevano superato i rispettivi avversari. Toccava di nuovo a Raptor.

Le regole del torneo erano poche e semplici, oltre a stabilire l’altezza e il peso dei contendenti, stabilivano che non potevano essere usati oggetti contundenti di nessun tipo né tantomeno armi, inoltre si decretava il KO nel momento in cui uno dei partecipanti non era più in grado di lottare per i danni subìti.

L’avversario stavolta era più pericoloso, ma il giovane lottatore non aveva più paura. Al suono della campanella Raptor si avventò sul malcapitato avversario sferrandogli un calcio in pieno viso con una sforbiciata volante micidiale. Lo aveva fatto volare sulle corde che poi lo avevano rimbalzato facendolo finire al tappeto. Un filo di fumo nero fuoriusciva dalla testa del poveraccio che era rimasto immobile.

I giovani proprietari degli altri robot teste di serie, si erano fermati ad assistere all’incontro di Joshua e ora si guardavano preoccupati intuendo che quello era senza dubbio l’avversario più pericoloso. Il ragazzo giapponese si era avvicinato al piccolo genio che era ormai disceso dal suo ring e con aria minacciosa gli disse:

<<Dove credi di arrivare con quel rottame?>>

<<Sicuramente prima di te>> rispose Joshua, con aria sicura e spavalda.

Il giapponese rimase dapprima senza parole per la secca e decisa risposta, poi diede uno spintone al ragazzo facendolo cadere a terra.

<<Schiaccerò il tuo robottino come una formica>> esclamò il giovane nipponico, nascondendo, dietro quell’arroganza, tutta la paura e l’insicurezza che sentiva dentro di sé quindi si voltò e si allontanò velocemente vedendo che gli arbitri si erano avvicinati per controllare l’accaduto e temendo una squalifica.

<<Tutto bene ragazzo?>> domandò un arbitro al piccolo combattente.

<<Sì, sono caduto, non è successo niente>>, rispose Joshua.

Iniziò il terzo turno, ancora una volta le teste di serie passarono a quello successivo ma stavolta con più difficoltà, gli avversari erano sempre più forti. Il robot tedesco aveva dato spettacolo afferrando l’avversario e sollevandolo con le braccia tese sulla testa, poi lo aveva mollato lasciandolo cadere sul suo ginocchio e spezzandolo in due. Anche il secondo robot americano, testa di serie numero cinque, di proprietà della Robotech, nota azienda produttrice di robot per il lavoro, aveva passato il turno sbarazzandosi del robot iraniano tra i boati e le urla di gioia degli spettatori.

Il terzo avversario di Joshua era già al suo angolo pronto al combattimento, il ragazzo aveva afferrato le corde e con un salto era balzato dentro il piccolo ring seguito con gli stessi movimenti dal suo amico. I due robot al suono della campanella cominciarono a saltellare in attesa della mossa dell’avversario. All’improvviso Raptor fece la finta di colpire con un pugno al volto il lottatore nemico il quale prontamente si riparò il viso con l’avambraccio, a quel punto fulmineo gli diede un calcio basso nella parte posteriore dello stinco destro mandandolo al tappeto, poi si lasciò cadere sull’avversario colpendolo in pieno petto con una gomitata e sfondandolo.

Il pubblico di casa era entusiasta delle buone performance dei robot americani, mai come quest’anno nutrivano la speranza di vincere il torneo.

Anche il quarto turno non aveva riservato sorprese, solo la durata degli incontri era aumentata con l’aumentare della forza degli avversari. Il robot cinese era finito al tappeto facendo pensare alla prima eliminazione di una testa di serie, si era però rialzato sfogando la rabbia per il colpo subìto con un calcio frontale allo stomaco che aveva danneggiato i circuiti dell’avversario e sporcato il tappeto di olio.

Raptor si era sbarazzato in pochi minuti del pur forte avversario con un calcio circolare, sferrato con una forza e una velocità tale da non lasciare scampo al contendente. Il pubblico era sempre più eccitato, la qualità dei colpi era di ottimo livello e lo spettacolo offerto era avvincente, cori d’incitamento si levavano dagli spalti gremiti e più volte il nome dei robot di casa era ripetuto con un tifo da stadio.

Dopo il quinto turno, anch’esso senza sorprese, fu decretata una pausa di due ore per dare modo ai giovani atleti e al pubblico di riposare e di pranzare nei numerosi ristoranti e fast-food del palazzetto.

La finale del torneo con i 100 migliori robot del mondo durava soltanto un giorno. Durante l’anno si svolgevano le qualificazioni, che vedevano migliaia di robot impegnati in tornei a eliminazione diretta che avrebbero decretato i partecipanti alla giornata conclusiva della stagione. I maggiori Network mondiali si contendevano l’evento che superava per numero di telespettatori i migliori eventi sportivi del mondo, dal Football al Calcio, dall’Automobilismo al Motociclismo.

Joshua aveva trovato una panineria piuttosto isolata per sfuggire all’assalto del pubblico e dei giornalisti, si gustava il suo panino e chiacchierava col suo amico metallico.

<<Siamo fortissimi, vero Raptor?>> domandò.

<<Certo comandante, per me i robot avversari sono solo delle marionette, ho evitato di esprimermi al massimo perché ho letto nella tua mente il timore di essere scoperto.>>

Il ragazzo a quelle parole pensò al pericolo che i piccoli alieni rappresentavano con le loro macchine super evolute e a quanto fosse stato sconsiderato a nascondere al mondo la loro esistenza. Erano passati molti giorni dal ritrovamento del robot e non poteva sapere quanti ne avessero costruiti nel frattempo.

Bevve la sua Coca Cola per mandare giù il panino che gli era rimasto sullo stomaco mentre pensava che forse avrebbe dovuto rivalutare la sua decisione. Se avesse affermato la verità, sarebbe stato squalificato a vita dal torneo e per sempre tutti lo avrebbero additato come quello che ha vinto barando, non poteva distruggere la sua vita per uno stupido scrupolo di coscienza, ormai la decisione era stata presa, doveva solo sperare che gli alieni non lo smascherassero, attaccando il mondo con dei robot identici al suo.

 

Raptor, che conosceva le preoccupazioni del suo giovane comandante e che provava per lui qualcosa d’inspiegabile, cercò di tranquillizzarlo.

<<Non ti preoccupare, mi occuperò di loro prima possibile, nessuno capirà mai da dove vengo né chi sono. Io so, dove si trova la loro base, so quanti sono e dov’è nascosta l’astronave madre.>>

<<Non avevi detto che tutte le informazioni su di loro si erano cancellate con la disconnessione?>> rispose contrariato il ragazzo.

<<Sì, è vero, ma tu sai benissimo che ciò che è stato cancellato può sempre essere recuperato, basta cercare nel posto giusto ed io ho scoperto di avere un’unità di backup in un angolo remoto della mia mente, adesso so tutto di loro e sono pronto a rispondere a ogni tua domanda.>>

Il ragazzo approfittò dell'invito e cominciò quindi a incalzarlo con una serie di domande.

<<Perché sono qui? Che cosa vogliono? Quali sono le loro intenzioni?>>

<<Sono qui da molti anni, sono i superstiti di una lunga e sanguinosa guerra sul loro pianeta, sono venuti in pace in cerca di ospitalità e di cibo. Hanno capito che sulla Terra c’è posto per loro e che possono sopravvivere senza venire mai in contatto con l’essere umano né tantomeno entrare in competizione con i terrestri per le risorse di cui necessitano.>>

<<Come sono arrivati qua da noi?>>

<<Possiedono un’astronave molto grande, l'hanno nascosta, rendendola invisibile, nella parte buia della Luna. Sono scesi sulla Terra con delle navicelle molto piccole che i vostri radar non possono individuare.>>

<<Tu dici che sono venuti in pace, allora perché hanno costruito te e hanno tentato di uccidermi nel bosco?>>

<<Loro vivono in pace nella foresta amazzonica e non possiedono né armi né robot, si sono adattati alle condizioni di vita delle specie animali e come loro vivono rinunciando alla tecnologia e persino agli abiti per confondersi con la natura e non essere scoperti. Vivono dei frutti che il vostro splendido pianeta offre generosamente.>>

<<Non capisco. Spiegati meglio.>>

<<Qualche anno fa degli esseri umani, disboscando parte della foresta, hanno distrutto con le loro ruspe una colonia aliena, uccidendone centinaia tra cui molte uova che stavano per schiudersi. Da allora i superstiti, contro il parere delle altre colonie che hanno votato per il mantenimento della pace, hanno creato una fazione ostile agli esseri umani giurando vendetta. Si sono spostati qui negli Stati Uniti formando una colonia e cominciando a progettare la conquista del pianeta e la distruzione degli umani. Hanno costruito una base ultra moderna servendosi delle tecnologie dell’astronave madre e lì hanno cominciato a progettare i robot.>>

<<Quanto tempo impiegano per costruire un robot come te? Quanti possono costruirne contemporaneamente?>>

<<Un mese circa, io ero il primo e l’unico, loro possono costruirne soltanto uno per volta.>>

<<Sono passati poco più di venti giorni dal tuo ritrovamento, abbiamo ancora tempo per pensare a un contrattacco, adesso occupiamoci del torneo.>>

<<Anzi voglio sapere ancora una cosa da te>> disse il ragazzo, prima che il suo amico si alzasse dalla sedia su cui si era accomodato.

<<Domanda pure.>>

<<Tu sei vivo, sei in grado di pensare, di ragionare, sei intelligente, che opinione hai di te stesso e della tua vita da robot?>>

<<Io sono soltanto uno schiavo, io non esisto senza una connessione, la mia non è una vita.>>

<<Ti sbagli, tu esisti perché hai coscienza di te stesso, sei in grado di pensare e quindi sei vivo, non sei solo una macchina. Ti prometto che quando il torneo sarà finito cercherò di studiarti e di capire come renderti libero dalla connessione.>>

Il robot rimase senza parole per alcuni minuti, prese la piccola mano del suo comandante tra le sue accarezzandola con dolcezza, poi esclamò:

<<Tu sei molto buono, ed io ti sarò per sempre grato per avermi liberato dalla connessione con quell’essere malvagio. Anche se tu non riuscissi a rendermi completamente libero, devi sapere che per me essere legato a te è il dono più bello che potessi ricevere.>>

Joshua avrebbe voluto abbracciarlo ma non poteva, le persone che erano sedute ai tavolini della panineria e che potevano vederlo non avrebbero capito, ma sapeva che il suo amico aveva letto nella sua mente la sua intenzione e sapeva quanto fossero forti i sentimenti che li legavano.

La pausa era terminata e la voce degli altoparlanti richiamava i concorrenti per l’inizio dei combattimenti, così si alzarono e si diressero verso l’enorme sala, dove si svolgevano gli incontri.

Il sesto turno era iniziato e i robot avevano cominciato a scontrarsi sul ring. Lo spettacolo migliorava sempre più e il pubblico lo evidenziava con applausi scroscianti, soprattutto quando venne l’ora di Raptor, si alzarono tutti in piedi intonando un coro per il loro beniamino.

Il robot per non deludere il pubblico cercò di far durare un po’ di più l’incontro evitando i colpi dell’avversario ma aspettando a colpire, finché con un avvitamento e un calcio alto al volto del malcapitato lo mandò al tappeto.

Gli incontri successivi erano terminati, la testa di serie numero Nove, rappresentata dal robot canadese, era stata sconfitta dallo spagnolo che così si assicurava la partecipazione all’edizione dell’anno seguente senza passare per le qualificazioni. Restavano soltanto dieci robot che si sarebbero affrontati tra loro per stabilire il vincitore del torneo. Il tabellone fu aggiornato. Tutti i concorrenti erano in attesa dei sorteggi per sapere quale sarebbe stato il loro prossimo avversario.

Il secondo robot americano era stato abbinato a quello giapponese, il pubblico non aveva nascosto la delusione per l’esito poco fortunato del sorteggio. Si sarebbero anche scontrati: l’italiano con il tedesco, il cinese con l’inglese, lo spagnolo con il secondo robot giapponese e infine Raptor avrebbe incontrato il russo.

Ebbe inizio il primo incontro tra Stati uniti e Giappone. L’ottima tecnica del nipponico era contrastata abilmente dall’americano che aveva risposto a ogni colpo ma che alla fine aveva ceduto al più forte avversario finendo distrutto al tappeto. Il tedesco dopo aver illuso i suoi tifosi, mostrando tutta la sua forza, era dovuto soccombere alla maggiore velocità dell’italiano che con un’abile mossa gli era dapprima passato sotto le gambe e poi lo aveva distrutto con un colpo micidiale alla nuca.

Lo spagnolo aveva perso contro l’altro robot giapponese e il cinese aveva superato il suo turno con molte difficoltà, rimaneva soltanto l’incontro tra Raptor e il russo. Ne sarebbero rimasti cinque, quattro si sarebbero affrontati tra loro affidandosi ancora una volta al sorteggio, il quinto sarebbe stato il primo finalista e avrebbe potuto riposare di più rispetto agli avversari, ma per ottenere la finale, saltando due incontri, doveva essere quello che impiegava meno tempo a sbarazzarsi dell’avversario.

Joshua voleva essere il primo finalista, non perché non volesse disputare altri incontri, ma perché ciò avrebbe comportato un vantaggio fisico ma soprattutto psicologico sull’avversario. Così ordinò al suo robot di vincere nel più breve tempo possibile.

Raptor obbedì e al suono della campanella si avventò sull’avversario che prima ancora che capisse cosa stesse succedendo si ritrovò in pezzi sul tappeto del ring. Il pubblico era in delirio, gli Stati Uniti erano in finale.

Gli ultimi incontri videro di fronte un giapponese contro l’italiano e l’altro contro il cinese. L’italiano sconfisse il secondo robot nipponico dopo una lunga e frenetica lotta, mentre il cinese, che si era battuto come un leone, alla fine era dovuto soccombere ai colpi del primo automa del sol levante che faceva della qualità della sua meccanica e dello Jujitsu le sue armi migliori.

Dall’incontro tra l’italiano e il giapponese sarebbe venuto fuori il secondo finalista, era uno scontro tra titani, le due migliori industrie di robot del mondo si sfidavano per affrontare quello che per tutti era il giocattolo costruito da un ragazzino. Questa cosa comunque non stupiva nessuno, tutti sapevano che quel ragazzino aveva dato il via allo sviluppo dei robot con la sua invenzione, tutti sapevano che era un genio riconosciuto a livello mondiale e quindi, che avesse costruito un robot superiore a tutti gli altri, era piuttosto probabile.

La sfida tra due robot di pari valori non poteva che volgere dalla parte del più esperto nelle arti marziali e così il giapponese vinse sull’italiano seppure con grandi difficoltà.

Joshua si trovava ad affrontare quel ragazzo che lo aveva spinto facendolo cadere e che gli aveva detto: “Schiaccerò il tuo robottino come una formica”. Ripensava a quelle parole mentre pregustava la vendetta.

Era già pronto sul ring in attesa del giapponese che arrivò con fare spavaldo, sicuro com’era di poter vincere con facilità sul giovane e meno esperto americano. L'incontro era cominciato con il robot nipponico subito all’attacco, Raptor aveva schivato con la sua eccezionale rapidità tutti i colpi dell’avversario ma sapeva che con il Jujitsu la forza dei suoi colpi poteva rivoltarglisi contro se avesse sbagliato a colpirlo, provò con delle finte ad aprirsi un varco nella difesa dell’avversario.

Il pubblico nella sala era tutto dalla sua parte e lui non voleva deluderli. A un tratto l’avversario cercò di colpirlo con un calcio circolare alto, lui si abbassò e lo colpì con impressionante velocità sul piede d’appoggio facendolo cadere rovinosamente.

Il campione giapponese, che intanto si era rialzato, cominciava a perdere certezze, provò ancora a colpire l’avversario senza riuscirvi e subendo i colpi sferrati da Raptor. Quando il robot alieno si accorse dell’esitazione del contendente, sferrò l’attacco finale, fece un balzo e con un calcio discendente in pieno volto lo ributtò al tappeto, finendolo, prima che potesse rialzarsi, con una serie di pugni che appiattirono la testa dell’automa nipponico come una lattina vuota.

La gente era impazzita di gioia e, mentre la musica risuonava dagli altoparlanti e lo speaker annunciava il nuovo campione del mondo, alcuni tifosi avevano sollevato Joshua portandolo in trionfo fino al palchetto sul quale si sarebbe svolta la premiazione. Accanto a lui, sui gradini più bassi, il ragazzo giapponese e quello italiano non riuscivano a nascondere la delusione dai loro volti. Joshua strinse la mano all’italiano congratulandosi con lui, poi mentre stringeva quella del giapponese, gli disse sorridendo tutto soddisfatto:

<<Lo schiaccerai nella prossima vita il mio robottino.>>

Il ragazzo andò a festeggiare col padre e col suo amico Lucas, che intanto lo aveva raggiunto incredulo fino al palazzetto. Avrebbe voluto portare anche il suo amico Raptor ma per ovvie ragioni dovette lasciarlo in auto. Tornò a casa felice, il suo sogno si era realizzato, aveva raggiunto il suo obiettivo, adesso, dopo una meritata notte di riposo, poteva concentrarsi sul problema degli alieni.

L’indomani, molti giornalisti andarono a trovarlo cercando di ottenere un’intervista, lui rispose volentieri alle domande che gli rivolgevano, voleva godersi il suo momento di gloria prima che qualcosa potesse rovinare tutto. La sua giovane età lo salvò dalle domande più maliziose e non dovette dare spiegazioni sulla forza della sua creatura, in fondo, anche se aveva vinto contro i migliori automi del mondo, lo aveva fatto senza creare sospetti e senza mostrare una superiorità schiacciante.

Nel pomeriggio finalmente lo lasciarono in pace, si recò quindi al capanno a trovare il suo amico robot per chiacchierare un poco. Raptor conosceva tutto del suo giovane amico potendogli leggere nella mente e quindi Joshua non aveva nessun problema a confidarsi con lui né si vergognava a chiedergli consigli ai quali il nuovo campione del mondo non si sottraeva, sfruttando la saggezza che l’enormità di dati nella sua memoria gli conferiva.

Si rese conto che nella sua vita gli era sempre mancata una figura come il suo amico metallico, non aveva fratelli e il padre e la madre erano spesso assenti, impegnati in attività mondane. Lucas era un bravo ragazzo e un ottimo amico ma non aveva mai voluto confidarsi con lui e non riusciva a spiegarsene il motivo.

 

Si era già fatta sera e Joshua, rientrando a casa, notò sul tavolo, sul quale la madre gli aveva preparato una cenetta veloce, un biglietto. I genitori gli comunicavano che erano andati fuori a cena da alcuni amici e che sarebbero rientrati a tarda ora, gli raccomandavano di cenare e di non andare a letto tardi.

<<Che cosa li hanno inventati a fare i cellulari?>> si domandò, visto che i suoi non li usavano mai.

Cenò velocemente, guardò un po’ di TV e se ne andò a letto ancora stanco dagli eventi e dalle emozioni del giorno precedente. Continuava a pensare agli avvenimenti di quel mese, a cosa fare per risolvere il problema degli alieni ma soprattutto a come liberare il suo amico dalla connessione senza rischiare di danneggiarlo.

Aveva chiuso gli occhi e stava per addormentarsi quando un rumore lo fece trasalire, sentiva dei passi molto lenti far scricchiolare il legno delle scale che conducevano alla sua stanzetta. Dapprima credette che fossero rientrati i suoi genitori poi, vista l’ora, pensò che fosse troppo presto. Un pensiero gli fece gelare il sangue nelle vene, si alzò di scatto dal letto, mise il cuscino sotto le lenzuola per far credere di essere ancora coricato, aprì la finestra e si nascose accanto alla scrivania. La porta si aprì lentamente, vide gli occhi luminosi del robot fissare il letto, stava per saltare fuori dal suo nascondino per correre verso il suo amico Raptor, quando un raggio laser fece esplodere il letto sollevando una nuvola di piume d’oca, fuoriuscite dal cuscino nascosto sotto le lenzuola.

Joshua si precipitò terrorizzato fuori dalla finestra, sul tetto di tegole e legno sottostante, corse verso il tubo di scolo della grondaia, si aggrappò, si lasciò scivolare fino al pianterreno e cominciò a correre. Vide il robot saltare dalla finestra per inseguirlo, ma le tegole, sotto il peso e l’irruenza di quel salto, si ruppero facendolo scivolare e precipitare giù dal primo piano. Il tonfo fece un rumore assordante, il robot rimase immobile e i suoi occhi luminosi si spensero. Joshua si fermò ad aspettare, vide che il robot non si muoveva e decise quindi di tornare indietro sui suoi passi.

Per un attimo aveva creduto che quel robot fosse il suo amico, ma adesso che lo vedeva bene alle luci dei lampioncini della sua villa, si era accorto che la mascherina non era quella in plexiglass che lui aveva incollato sul viso del suo Raptor, ma era come quella che si era rotta nel bosco.

<<Cavolo, ne hanno già costruito un altro>>, pensò contrariato.

Mentre sollevava la mascherina per aprire l’abitacolo del pilota, vide un altro alieno anch’esso vestito come il precedente, ma restò senza fiato nello scoprire che questa volta avevano imparato la lezione e avevano dotato il pilota di un casco e di cinture di sicurezza. Tentò il più velocemente possibile di slacciarle, ma non ci riusciva e il cuore batteva nel suo petto come un tamburo facendogli pulsare le vene della fronte e colorare il viso di rosso. Sarebbe voluto scappare ma era troppo tardi, gli occhi del robot si erano riaccesi e si sentì perduto.

Finalmente c’era riuscito, le cinture si erano aperte, lui aveva afferrato l’alieno e aveva cercato di alzarsi per correre via ma il robot lo aveva preso per il pigiama e non intendeva mollarlo, le parole del suo amico riecheggiavano nella sua mente:

“Con il comandante precedente la connessione non era buona, la sua mente non gli consentiva di allontanarsi oltre i venti centimetri.”

Si divincolò e allontanò la mano che reggeva l’alieno portandola il più distante possibile dal robot. Vide gli occhi dell’automa spegnersi ancora e il suo braccio metallico mollare la presa sul suo pigiama. Joshua fece un lungo respiro di sollievo e rimase ansimante in terra per riprendersi dalla paura.

L’alieno si agitava, scalciava e dava dei pugnetti sulla sua mano, decise quindi di metterlo al sicuro. Il ragazzo corse al capanno per cercare un posto in cui poter rinchiudere la piccola e ricalcitrante lucertola. Si ricordò del terrario in cui aveva tenuto dei serpenti che i suoi genitori gli avevano regalato da bambino e che lui aveva custodito gelosamente. Tolse il casco e i vestiti al piccoletto per evitare che qualcuno capisse la sua vera natura e lo infilò dentro il contenitore che aveva trovato su uno scaffale. Quell’essere verdastro saltava come fosse indemoniato, dava calci e pugni contro il vetro ma mai sarebbe potuto uscire dal robusto terrario.

Si guardò intorno, Raptor era sparito, provò a chiamarlo mentalmente e vide, attraverso i suoi occhi, il cielo pieno di stelle in quella splendida notte di fine primavera. Capì che lo stavano portando via, gli fece guardare attorno a sé per vedere in che situazione si trovasse e notò altri due robot che lo trasportavano tenendolo per i piedi e per le spalle.

<<Raptor, amico mio che sta succedendo?>> domandò sconvolto.

<<Mi hanno immobilizzato e mi stanno portando alla base, non riesco a muovermi.>>

<<Non riusciranno a disconnetterti da me finché sarò vivo. Cercherò di venire al più presto a salvarti.>>

<<No! È troppo rischioso, cosa può fare un ragazzo contro due robot?>>

<<Non lo so, tenterò l’impossibile, non ti porteranno via da me>>, disse quasi piangendo.

<<Dov’è la base? Dove si trova?>> domandò Joshua.

<<È dentro il lago al centro del bosco, dove ci siamo incontrati.>>

<<Maledetti, come avranno fatto a costruire tre robot in così poco tempo>> pensò il ragazzo, mentre correva verso casa.

Avrebbe voluto connettersi col nuovo automa per andare a salvare il suo amico, ma temeva che una nuova connessione potesse disconnettere la precedente.

Giunto dentro casa salì di corsa le scale, prese il telefonino e chiamò Lucas.

<<Ti ho procurato un robot alieno. Lucas, corri subito da me.>>

<<Sono a letto, stavo dormendo, non possiamo rimandare a domani.>>

<<No, corri subito qui, o non potrai più averlo.>>

<<Va bene, arrivo>> disse Lucas, saltando giù dal letto e cominciando a vestirsi.

Passarono pochi minuti e l’amico arrivò tutto spettinato e con ancora i segni del cuscino sul viso.

<<Perché tutta questa fretta? Vuoi dirmi cos’è successo?>> domandò Lucas, sbadigliando.

<<Due robot alieni hanno legato e rapito il mio Raptor, lo stanno portando al lago, mi devi aiutare.>>

<<E come?>>

<<Vieni con me>> disse Joshua, invitando l’amico a seguirlo dall’altro lato della casa dove si trovava ancora disteso il robot che aveva fatto irruzione nella sua stanzetta.

Si avvicinò all’automa e, indicando un punto nell’abitacolo. esclamò:

<<Devi toccare quel quadrato verde davanti al sedile.>>

Lucas obbedì e, dopo essersi avvicinato al robot, infilò il dito indice attraverso la fessura per toccare il quadrato dentro l’abitacolo. Una scossa come quella che aveva colpito Joshua gli fece perdere i sensi. Il piccolo genio tentò di tutto per fargli riprendere conoscenza nel più breve tempo possibile.

<<Sveglia Lucas. Sveglia!>> gridò, ormai in preda alla disperazione.

L’amico si riprese lentamente e sembrava alquanto confuso, gli occhi del robot si erano accesi, quindi la connessione era avvenuta con successo.

<<Riesci a controllarlo?>> chiese al sempre più confuso amico.

<<Aspetta sta facendo una conversione. Ok, adesso sì, è pronto.>>

<<Presto dobbiamo andare>>, urlò Joshua.

Lucas fece alzare il robot e insieme all’amico cominciò a correre verso il bosco. L’automa alieno correva velocissimo e ben presto scomparve dalla loro vista.

<<Non devono essere andati lontano, loro non possono correre mentre trasportano Raptor e non hanno motivo di pensare di essere inseguiti>>, disse il giovane genio.