Lo psicologo di Nazareth

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—Ma scherzi? Sicuro! —assentì Concha—. Non appena manderanno via quel pagliaccio, ci metteranno senz’altro la nostra Charito, che è una persona davvero autoritaria e una tutrice dell'ordine. Dai, che appena ce la mettono come capo... tornano le aquile!

—Hai notato che appena può s’infila nel suo ufficio e lo fa sbavare con le sue idiozie? Sembra proprio una lumaca, non striscia di più perché non è possibile.

—Eccome se l’ho notato! Manca solo che apra le gambe.

—Be’, se non l’ha già fatto.

Il suono della maniglia interruppe la loro vivace conversazione. Una volta saziata l’astinenza da nicotina, i fumatori si dirigevano verso la macchina del caffè per dare un po’ di caffeina al loro corpo.

—Approfitto della situazione e vado a chiamare mia madre che oggi è il suo compleanno —annunciò Cristina alla collega.

—Benissimo, intanto io scrivo un’email a mio fratello.

Cristina uscì in strada alla ricerca di una boccata d’aria fresca e per consumare i dieci minuti che aveva ancora liberi, prima di tornare alla redazione e affrontare le notizie appartenenti alla principale sezione di sua competenza: politica ed economia spagnola. All’inizio le sembrava un’aberrazione manipolare le informazioni che le arrivavano, finché aveva capito che era legge di vita. Era così che funzionava la società e per sopravvivere non c’era altro rimedio che unirsi al carrozzone. O il giornale assumeva un orientamento politico e riceveva sovvenzioni, aiuti, investimenti in pubblicità ed ogni tipo di favoritismo da parte del partito politico in questione, o non c’era modo di ottenere i benefici che la dirigenza riteneva opportuni. Nel caso specifico, il giornale mostrava una marcata tendenza verso sinistra, così che quando qualche membro del PSOE commetteva un’irregolarità, la sua missione consisteva nel contrastare le informazioni fornite a riguardo da altri giornali —quelli che sostenevano la destra—, elaborando una notizia in grado di mettere in evidenza qualche membro del Partito Popolare, e, dato che tutti hanno degli scheletri nell’armadio, non era difficile trovare casi di corruzione, di concussione o di illecito. Il sistema era talmente contaminato che si proteggevano gli uni con gli altri, lasciando che la vittima fosse solo una: il popolo lavoratore. Proprio quel giorno avrebbe dovuto coprire il deficit che il Governo stava lasciando al popolo spagnolo, offrendo dati positivi nel modo più eloquente possibile. Così, nonostante i quattro milioni di disoccupati, non le sarebbe stato difficile esporre dei dati positivi rendendo noto che, rispetto al mese di maggio dell’anno precedente, nell’attuale mese di maggio la disoccupazione era diminuita. In questo modo, anche se la disoccupazione continuava ad aumentare, sembrava che il numero di disoccupati scendesse e che ci fossero chiari indizi del fatto che si stava uscendo dalla crisi. Era un lavoro in cui la menzogna, l’inganno e la manipolazione divenivano il fulcro della propria condotta, con l’obiettivo di nascondere la verità, trasformandola in pura utopia. Un curioso paradosso, ma la verità era il principale nemico da combattere, onde evitare che il popolo si risvegliasse e iniziasse a ribellarsi contro la dominazione sociale dei potenti, degli avidi e dei feroci per conservare il loro status sociale ed economico; per cui, non c’è niente di meglio che dominare i mezzi di comunicazione per avere tutti sotto controllo.

Cristina compose il numero di sua madre e, dopo un paio di squilli, una voce familiare rispose all’altro capo del telefono:

—Pronto!

—Auguri, mamma!

—Ciao, tesoro! —disse emozionata la festeggiata, orgogliosa di ascoltare la solita e gradita telefonata di sua figlia—. Grazie mille!

—Come ti senti a lasciare l’adolescenza e ad entrare nella seconda gioventù?

—Simpatica! Ma se ho già un piede nella fossa! Altro che vivere la mia seconda gioventù!

—Dai, non dire così che devi diventare una centenaria, sennò non ti seppellisco, capito?

—Spero di no, perché con gli acciacchi che ho alle ossa non riesco quasi a muovermi senza provare dolore in qualche parte del corpo...

La conversazione con sua madre, di nome Maria, si spostò, come al solito, sulla descrizione esaustiva di ogni dolore fisico che manifestava il suo corpo con il passare degli anni. Il suo livello di ipocondria era tale che, a volte, sentiva dolore perfino sulla peluria che le ricopriva le braccia. Può darsi che fosse un fattore genetico o un atto sociale appreso, ma non appena una finiva di esporre i suoi dolori, l’altra concludeva con il tipico ritratto di una donna abbattuta e deprimente. Tra l’una e l’altra non ne facevano una sana, incapaci di togliersi di dosso la nuvola nera che loro stesse avevano deciso di mettersi sulla testa; a volte, sembravano stare addirittura comode nel ruolo delle vittime di un mondo che ritenevano crudele e meschino.

Cristina viveva in un continuo stato di ansia. Qualsiasi cosa, per minuscola che fosse, la sua mente la trasformava in una montagna impossibile da scalare. Di conseguenza era altamente irritabile, per questo saltava come una cavalletta di fronte a qualsiasi inezia che non rientrasse all’interno del suo rigido schema mentale: repellente ideale per allontanare da sé qualsiasi uomo che mostrasse un certo interesse per il suo gradevole aspetto; la negatività che sprigionava da ogni poro della sua pelle era il fattore decisivo che non la faceva mai andare oltre il secondo appuntamento. Anche se cercava sempre di cavarsela giustificandosi e trovando qualche difetto nell’altra persona a conferma della sua identità precaria, sottile meccanismo di difesa che usava per riaffermare se stessa. Inganno in cui cadeva più e più volte, senza rendersi conto che il problema proveniva da fonti ben più profonde.

Appena salutò sua madre e rimise il cellulare in borsa, venne fuori, come una perla preziosa, il bigliettino di quello psicologo di Nazareth che le aveva consigliato la sua amica. Varrà la pena andare a fare terapia da lui o sarà solo un volgare incantatore di serpenti con cui non avrebbe fatto altro che perdere tempo?

In un primo momento pensò di gettare il bigliettino nel cestino, che in quel preciso istante si trovava affianco a lei, perché non se la sentiva di affrontare una terapia; e ancor meno perché era convinta che la causa del suo problema fosse la cattiva sorte, e non un problema psicologico o una possibile depressione, come le aveva diagnosticato la sua amica Marta. Che ne sapeva lei? Se avesse avuto la stessa fortuna di trovare un marito come il suo, ricco, bello e colto, oltre ad avere un lavoro che le piaceva, sarebbe stato tutto diverso. Ma poi, con una reazione spontanea e rendendosi conto che che la sua mezz’ora di pausa era finita, depositò nuovamente il bigliettino in borsa e si diresse verso quella speciale prigione in cui era intrappolata, consapevole dell’ammonizione a livello visivo che avrebbe ricevuto da parte di un capo capace di parlare con sommo disprezzo perfino con un semplice sguardo, di solito carico di prepotenza e antipatia verso quei lavoratori che si dimostravano riluttanti al suo comando, e a cui era solito ricorrere per mostrare la sua ostilità ogni qualvolta ritardassero qualche secondo a rientrare dopo la pausa.

Cristina non si sbagliò, non appena riapparve ed entrò all’interno del campo visivo di Alberto, continuò a guardarla come un toro infuriato finché la giornalista non prese il suo posto.

«Che ti guardi, disgraziato?» —fu la risposta dello sguardo di Cristina, talmente eloquente e minaccioso che stava quasi per trasformare i suoi pensieri in parole.

Per sua sventura, quello sguardo di sfida non sarebbe rimasto impunito e avrebbe portato le sue conseguenze, perché Alberto le fece rifare l’articolo che aveva consegnato adducendo la motivazione che non aveva la qualità letteraria sufficiente per una pubblicazione, tanto da non lasciarle altra scelta che fare un’ora di straordinario per amore dell’arte.

Non appena lasciò l’edificio, i suoi pensieri acquisirono un tono più duro e pessimista del solito, frutto della punizione ricevuta:

«Quel tipo è machiavellico. Ma cosa crede? I due coglioni di turno non sono forse arrivati dopo di me alla loro scrivania? Però non gli ha detto nulla! Che cavolo gli ho fatto io per trattarmi come una schiava? Ma ora saprai cosa ti costa quest’ora di straordinario...».

Cristina si dimenticò di nuovo di mangiare e si diresse a vele spiegate dal dottor Andrés. Prima di entrare si arruffò i capelli, fece una faccia stravolta e con la sorte dalla sua parte riuscì ad entrare in visita senza dover attendere nemmeno un secondo.

Il dottore la ricevette con molta professionalità. Le prese il polso e notò che aveva il battito molto accelerato. Quindi decise di misurarle la pressione, rilevando valori preoccupanti, cosa che lo indusse a porle varie domande, alle quali Cristina rispose in modo attendibile, anche se non le dispiacque dare un tocco di drammaticità alla questione.

Dopo venti minuti Cristina uscì dalla visita con il certificato di malattia tra le mani, con la stessa diagnosi che il giorno prima la sua amica si era azzardata a profetizzare: depressione. Il dottore le raccomandò di rimanere un mese in malattia e di fare esercizio regolare; le sottolineò anche l’importanza di fare cinque pasti al giorno con o senza appetito, oltre ad attività di svago con cui potesse distrarsi e rilassarsi, di modo che, se durante quel periodo non fosse migliorata, l’avrebbe messa nelle mani di uno psichiatra che le avrebbe prescritto i farmaci opportuni per ripristinare i livelli di serotonina nel cervello; tuttavia, prima di ricorrere alla chimica, il dottore le chiese se poteva permettersi il lusso di pagare uno psicologo, dato che l’aiuto terapeutico era molto efficace per affrontare con una maggiore incisività casi come il suo: «Sarebbe una buona cosa che si mettesse nelle mani di uno psicologo. Io sono a favore di lasciare che il corpo reagisca da solo, prima di ricorrere alla chimica, dato che questo tipo di farmaci è pieno di effetti collaterali e molte volte crea una forte dipendenza —disse il dottore con sincerità—. A questo bisognerebbe aggiungere un aspetto importante da tenere in considerazione, ed è il fatto che il farmaco non ripara il pensiero disfunzionale delle persone che hanno la depressione, quindi il problema persiste se non andiamo alla radice del motivo che crea questa disfunzione. Inoltre, dato che, a quanto mi ha raccontato, nel suo lavoro potrebbero ostacolare il suo congedo per malattia, il giustificativo di partecipare ad una terapia psicologica sarebbe irrefutabile da parte dell’azienda, che si asterrebbe dal ricorrere ad una possibile indagine. Si immagini quanti mal di testa le comporterebbe! La sua situazione si aggraverebbe molto».

 

Le parole del dottore echeggiavano nella sua mente come l’eco che creano le parole in fondo ad una valle.

«Ora non ho altra scelta che andare dallo psicologo di Nazareth. Almeno è gratis e non ci perdo nulla ad andare da lui!» —pensava Cristina mentre si dirigeva verso la sua azienda per consegnare il certificato di malattia.

Le sarebbe piaciuto vedere la faccia di Alberto mentre consegnava il documento, ma, per sua sfortuna, già non c’era più. Quindi lasciò il certificato alla reception, in modo che il giorno dopo lo consegnassero al suo capo e nel frattempo pensassero a qualcuno che la sostituisse.

Dopo aver lasciato il secondo edificio in cui trascorreva la maggior parte del tempo, dopo casa sua, non poté fare altro che respirare a fondo e pensare con orgoglio a quanto avrebbero sentito la sua mancanza, poiché la sua sezione era una delle più brillanti grazie alla sua capacità di giocare con le parole e di esprimerle in modo molto particolare e personale, tanto da conferirle il potere di catalizzare l’attenzione del pubblico. Adesso dovranno arrangiarsi senza di lei, cosa che l’avrebbe ricompensata di tutto il male che il suo capo le aveva causato per tanto tempo.

2

Erano trascorse appena tre ore da quando Cristina era uscita dallo studio del medico, che fu assalita da un senso di oppressione e di noia.

«Oh mio Dio! E adesso che faccio se non ho nessuno con cui passare questo mese? —pensava sconsolata—. Le poche amicizie che ho sono fidanzate o lavorano; se vado a trovare mia madre, dopo tre giorni finiamo per tirarci i capelli; andarmene in vacanza da sola non ha senso: che noia!; il fatto di fare esercizio mi sembra una cavolata e i cinque pasti al giorno è da foche. Quindi, che diavolo faccio, passo tutto il tempo chiusa in casa a guardare la televisione? —si chiedeva pensierosa, sperando di trovare qualche risposta che calmasse il suo disagio—. Ecco! —si disse, tirandosi su in modo energico dal divano. Spense la televisione e prese la sua borsa in stile italiano—. Vado da quello psicologo e per lo meno mi distraggo un po’, non sia mai che alla fine mi metto a fare Superman dal balcone».

La strada in cui si trovava l’ufficio dello psicologo era ad appena dieci minuti a passo svelto da casa sua.

Su una targhetta accanto al portone, esattamente uguale al bigliettino, lesse il nome dello psicologo e, in lettere maiuscole, la professione che esercitava:

Naim di Nazareth

PSICOLOGO

La porta di ferro, ornata da un vetro che faceva da specchio e che blindava l’ingresso all’edificio, era socchiusa, per cui preferì entrare senza suonare il campanello. Trattandosi del primo piano, decise di non prendere l’ascensore, anche se, iniziando a salire le scale, si rese conto che la proprietà era talmente vecchia che nemmeno ce l’aveva.

La prima cosa che pensò arrivando al pianerottolo del primo piano, fu che l’edificio aveva bisogno di una mano di pittura: le pareti sembravano aver subito gli effetti di un ciclone. Il deterioramento, però, non si notava solo sulle pareti, ma anche sulla porta dell’ufficio, che reclamava con urgenza una passata di vernice, prima che i tarli le dessero il colpo di grazia definitivo.

Non molto convinta di quello che stava facendo, e nonostante avesse voglia di voltarsi e andarsene, decise di suonare il campanello. Ma per sua sorpresa, quello che sembrava essere un campanello, era la luce del pianerottolo. Non aveva neppure il campanello!

«Pover’uomo, deve passarsela proprio male», fu il primo pensiero che venne in mente a Cristina.

Senza grande convinzione chiuse il pugno e, sentendosi come tornata indietro nel tempo di quarant’anni, bussò tre volte alla porta.

—Meno male che non è caduta! —ironizzò, temendo di buttare a terra la porta per lo stato di precarietà in cui si trovava.

Quella porta tanto cupa si aprì immediatamente, lasciando uscire una folata di aria fresca e un profumo lieve che proveniva dall’interno. Sulla soglia della porta c’era la figura snella di un uomo con dei chiari tratti asiatici per il colore della pelle; aveva una capigliatura molto attraente ed un taglio di barba a forbice, che lo rendevano estremamente affascinante. Ma lo sguardo limpido e accattivante di quell’uomo era talmente profondo e penetrante, che con un colpo d’occhio ottenne un effetto che nessun altro uomo era riuscito ad ottenere fino a quel momento: che quella figura femminile venisse percorsa da un brivido dalla testa ai piedi.

Naim indossava una camicia bianca nello stile di Ibiza e dei jeans blu, tipici di qualcuno a cui piacciono i colori chiari e allegri. Cristina, invece, portava gli stessi colori ma invertiti: dei pantaloni di tela e una maglietta aderente che sottolineava la sua silhouette.

A Cristina non passarono inosservate le scarpe di quello che sarebbe diventato, senza alcun dubbio, il suo psicologo: dei sandali marrone chiaro che lasciavano una traspirazione perfetta per la stagione estiva che si sovrapponeva, come accadeva spesso negli ultimi anni, al periodo primaverile.

«Questo sì che è un uomo!», pensò Cristina, rimasta stordita e senza parole, incapace di reagire.

—Vedo che il bigliettino si è fermato in buone mani —ruppe il ghiaccio Naim, nel vedere Cristina immobile e con il bigliettino verde nella mano destra.

—Eh..., sì!

—E con chi ho il piacere di parlare?

—Con Cristina.

—Entra, Cristina.

Lo psicologo condusse la sua paziente nell’ufficio e la invitò a sedersi su una comoda poltrona in tessuto a tinta unita e con i braccioli. Di fronte, sull’altra poltrona dalle stesse caratteristiche, Naim fece lo stesso.

Cristina, che aveva intervistato vari psicologi nel corso della sua carriera professionale, era a conoscenza di come funzionassero le sedute psicologiche, anche se non avevano niente a che vedere con quella. Inizialmente la stupì il fatto che non ci fosse una scrivania tra di loro a separarli, ma solo uno spazio prudente e confortevole. Osservò anche che le poltrone erano esattamente una uguale all’altra, quando era abituata che lo psicologo si sedeva su una poltrona molto più grande rispetto a quella del cliente, con l’intento di ostentare un’importanza e una presenza maggiori; ma la cosa che la sconcertò di più fu l’austerità della stanza: solo una scrivania messa in un angolo e, di fronte, una sedia di legno.

—Fa parte della terapia —alluse Naim, intuendo a cosa stesse pensando Cristina.

—Ah, fantastico.

—Gli ambienti molto carichi sono un prodotto del consumismo occidentale e della teoria dei governanti: riempire la testa di rumore e sovraccaricare il cervello di immagini per non pensare, oltre ad essere un ottimo modo per far sì che il denaro sia in continuo movimento e la società dei consumi non venga meno. —Se non avesse saputo dalla sua amica di trovarsi di fronte ad un israeliano, Cristina avrebbe pensato che fosse spagnolo perché l’accento si sentiva appena—. Io, come ben sai, provengo da un’altra cultura, per cui non mi è difficile restare al margine.

—Certo.

—Ho la sensazione che tu sia un po’ nervosa, o sbaglio?

—Sì, un po’ —sorrise Cristina, riuscendo a liberare parte della tensione che il suo corpo stava accumulando da mesi.

—Immagino che vorrai sapere in cosa consiste la mia terapia e perché, nel tuo caso, la offro —volle sottolineare Naim—, in modo completamente disinteressato.

La risposta attraversò rapidamente la mente di Cristina, anche se non ebbe il coraggio di essere tanto sincera. Se gli avesse detto che nessuno faceva niente per niente e che avrebbe sicuramente avuto il compito di far girare la voce tra tutte le sue amicizie su quanto fosse bravo, e anche bello, ovvio, avrebbe fatto la parte dell’impertinente. E se a questo avesse aggiunto che l’unica cosa che voleva lei era un referto terapeutico e, se lui avesse voluto, una cenetta romantica per vedere cosa sarebbe potuto nascere, allora era sicuro che l’avrebbe mandata a quel paese non appena le cose si fossero complicate.

—Bene, la verità è che non credo che tu possa fare molto per me... Ci sono casi impossibili —scherzò Cristina, tirandosi fuori da quella situazione nel modo più cortese possibile.

—In effetti, quando uno decide di assumere il ruolo della vittima e ci si adagia sopra, non c’è niente da fare.

La risposta di Naim rese chiaro fin dal primo momento che non andava tanto per il sottile. Sincerità apprezzata da Cristina, che aveva capito l’antifona e, per quanto le facesse male, non ebbe altra scelta che accettare una grande verità.

—È possibile… Quindi, mi potresti spiegare in cosa consiste la tua terapia? —chiese Cristina, volendo dimostrare di essere disposta a cambiare il ruolo che fino ad allora aveva adottato una volta per tutte e per sempre—. E, se non è indiscreto —puntualizzò—, mi potresti spiegare anche perché sei disposto a fare un lavoro a titolo gratuito?

—Vorrei rispondere prima alla tua seconda domanda—rispose Naim, comodamente seduto con le gambe ad angolo retto e lasciando riposare le braccia ai lati della poltrona—. La purezza della gratuità —continuò— coinvolge sempre gli aspetti più belli e importanti dell’esistenza umana, dove la cosa importante è la persona in sé e, quindi, libera dalla morsa oppressiva del consumismo, mentre il denaro, al contrario, si presenta come il principale mezzo da riscuotere attraverso la seduzione della nostra mente in modo completamente artificiale, non per quello che siamo, ma per quello che abbiamo. Se ti rendi conto, la vita, che è il più grande regalo che ci sia stato offerto, è totalmente gratuita, giusto? Che io sappia non siamo usciti del ventre materno con un assegno in mano —fece ironia Naim—. Allo stesso modo, voglio che la mia terapia, in questa situazione specifica, sia gratuita perché la offro a qualcuno che ne ha realmente bisogno. Non perché dopo mi faccia pubblicità, come magari avrai pensato, perché sicuramente mi trasferirò in un’altra città appeno avrò finito il mio mese di terapia —Cristina rimase stupita del fatto che il medico le avesse concesso esattamente un mese di malattia; anche se rimase interdetta nel sapere che quell’uomo scolpito dalla natura con grande cura in ogni dettaglio, sarebbe scomparso dalla sua vita in soli trenta giorni—. Il mio obiettivo non si basa sulla premessa di accumulare denaro, mi basta l’essenziale, né più né meno, quanto piuttosto sull’aiutare chi ne ha bisogno per costruire un mondo migliore —disse con assoluta sincerità.

Cristina annuì con la testa, ammirata per il fatto che il destino le avesse concesso l’opportunità di lavorare con uno psicologo che, per la trasparenza del suo sguardo, la forza del suo sorriso e la dolcezza della sua voce, dimostrava di avere molto da offrirle.

—Quanto alla tua prima domanda —proseguì—, il mio modo di lavorare è molto diverso da qualsiasi tipo di terapia a cui abbia potuto partecipare o conoscere, ma è sorprendentemente efficace. Infatti, se il paziente segue fedelmente le relative istruzioni, la sua vita cambierà in modo radicale: la tristezza si trasformerà in gioia, le lacrime lasceranno spazio ai sorrisi, e l’ansia abbandonerà il tuo corpo per farti godere di un’enorme pace interiore e di una gioia profonda —le parole di Naim incantarono Cristina, che non vedeva l’ora di riuscire a raggiungere quello che anche con svariati libri di auto-aiuto non era mai riuscita a raggiungere: un po’ di pace che le consentisse di vivere tranquilla e non in un continuo stato di malessere—. Ma per questo avrei bisogno che ti abbandonassi fiduciosa nelle mie mani per un mese. Hai il coraggio di affrontare la sfida?

 

—Certo! —disse entusiasta Cristina, che voleva iniziare la terapia il prima possibile e scrollarsi di dosso tutta la sporcizia che si annidava nella sua mente e nel suo cuore—. Anche se faccio fatica a credere che tu possa trasformare la mia vita in un solo mese.

—Non sarò io a farlo.

—Ah, no? —chiese Cristina sorpresa.

—No —sorrise Naim—, per quanto mi piacerebbe molto.

—E allora?

—Lo farà un compatriota, amico mio, di nome Gesù di Nazareth.

Non appena Cristina sentì il nome di Gesù, si mise le mani sul viso per scuotere la testa da destra a sinistra, mostrando una decisa disapprovazione.

«Mi sembrava tutto troppo perfetto. Ora viene fuori che questo qui non è altro che un povero ciarlatano e, se ti distrai un attimo, è addirittura un prete. Meglio che me ne vada prima che mi faccia il lavaggio del cervello».

Cristina, assecondando i propri pensieri, si alzò con la ferma intenzione di andarsene il prima possibile e, guardando Naim, aggiunse:

—Mi dispiace, ma non sono credente. Anzi, scommetto quello che vuoi che non troverai una persona più atea di me su tutta la faccia della Terra.

Naim sfoggiò un enorme sorriso e senza alcun turbamento rispose:

—Puoi stare tranquilla, perché non sono né un ciarlatano, come starai sicuramente pensando, e nemmeno un sacerdote —Com’era possibile che quell’uomo dallo sguardo limpido indovinasse sempre i suoi pensieri?, pensò Cristina sconcertata—; e, ovviamente, non è mia intenzione convertirti al cristianesimo né ad alcuna altra religione —volle chiarire Naim—. La terapia consiste nell’osservare l’uomo più felice che sia mai passato sulla Terra, e nell’applicare la sua psicologia e il suo stile di vita nella nostra vita, indipendentemente dal fatto che tu creda o meno che sia il Figlio di Dio, che pensi che fosse un profeta o che ritieni che fosse un semplice uomo. Se c’è stata nel mondo una persona in grado di connettersi con la sua essenza più pura, di vivere in un continuo stato di libertà e di pace interiore, oltre a raggiungere uno sviluppo personale completo e ad autorealizzarsi come uomo, quello è stato Gesù. Per fortuna, qualcuno si è preoccupato di raccogliere i suoi insegnamenti e la sua biografia, per cui ci ha lasciato del materiale di un valore indescrivibile, e possiamo applicarlo nella nostra vita dal punto di vista della psicologia. Comunque sentiti libera tanto di addentrarti nella terapia quanto di andartene, se è quello che vuoi.

La spiegazione di Naim lasciò Cristina ancora più confusa, e ora non sapeva se sedersi e continuare ad ascoltare quello che sembrava toccare il suo cuore, oppure sparire dalla sua vista per paura che cercasse di manipolarla con storie religiose.

—Quindi... non cercherai di convertirmi al cristianesimo? —chiese Cristina con totale trasparenza—. Perché devo avvertirti che non appena sento la parola «Dio» mi innervosisco, non credo che esista e, se anche esistesse, mi sembra un vero criminale, un delinquente disumano per aver avuto la sfrontatezza di creare un mondo come questo e rimanere impassibile di fronte ai tristi avvenimenti che ci circondano; pertanto, sostengo la sua non-esistenza e credo nella casualità della vita.

—Qui dentro, a quanto ne so io, e correggimi se sbaglio, l’unica persona ad aver nominato Dio sei tu —rispose Naim.

—Sì, ma tu credi in Dio, no?

—Ti interessa davvero saperlo? Quest’informazione può forse cambiare la terapia? Cioè, se io credo in Dio tu ti sentirai a disagio perché potrei volerti convincere delle mie credenze, giusto? Ma se non credo, sei più tranquilla perché sai che non devi stare in allerta, è così? —Cristina non avrebbe potuto essere più esplicita di quelle domande retoriche—. In questo caso dovresti sapere che non ho la benché intenzione di cercare di trasmetterti qualsiasi tipo di dogma, perché ognuno è libero di pensare quello che vuole e io non sono nessuno per dirti in cosa devi credere. Quindi, per me è esattamente la stessa cosa che tu sia atea, agnostica, musulmana, buddista, induista, protestante, cattolica, ortodossa, che credi che le margherite siano la fonte della gioventù o che Maradona sia Dio.

Una risata involontaria e incontrollabile uscì dalle labbra di Cristina e, dopo qualche secondo di silenzio, aggiunse:

—Immagino che sarà la stessa cosa —disse, ricomponendosi e sentendosi più sollevata—. Anche se non posso nascondere che sono curiosa di saperlo.

—In questo caso, se l’ultimo giorno della terapia ti interesserà ancora saperlo me lo chiederai, e ti risponderò senza alcun problema. Adesso, come ti ho detto, lasciamo da parte qualsiasi tipo di credenza che, se ci fai caso, da una stessa fonte sono sorte migliaia di interpretazioni: partendo dall’inquisizione ad opera dei cristiani, fino ai testimoni di Geova che lasciano morire un figlio pur di non effettuare una trasfusione sanguigna per una cattiva interpretazione delle sacre scritture... Come ti ho detto, non entrerò in tematiche religiose, ma piuttosto nello sviluppo personale di Gesù e nella connessione con la sua essenza più pura che gli ha permesso di liberarsi da qualsiasi tipo di attaccamento e di idolo, e di vivere con una pace indescrivibile, capace di contagiare chiunque incrociasse lungo la sua strada. Capisci quello che sto cercando di trasmetterti?

—Credo di sì.

—Te lo dico perché non puoi iniziare questa terapia con dei pregiudizi. O hai fiducia in me, che sono lo strumento che ti guiderà in questo particolare percorso, oppure difficilmente potrò aiutarti —disse Naim—. Tra l’altro, dato che le decisioni si prendono con tranquillità, ci puoi dormire su e, se ti interessa, presentati domattina; altrimenti, sentiti liberissima di non tornare.

—Ti ringrazio per la chiarezza e, soprattutto, per l’enorme sincerità con cui parli —sottolineò Cristina.

—L’educazione non prescinde dalla cortesia. Nella vita bisogna sempre parlare con franchezza e con chiarezza, così non si creano malintesi. Quando si mena il can per l’aia è per uno di questi due motivi: o perché stai cercando di ottenere qualcosa dall’altro, o perché hai paura che all’altra persona non piacerà quello che le vuoi trasmettere. E dato che non cerco nulla da te e credo in quello che ti posso offrire, non sarò mai ambiguo. Se qualcosa ti offende sarà per la tua mancanza di umiltà nell’accettare quello che potrò dirti, non perché io sia un maleducato o voglia ferirti.

Questa volta fu Naim ad alzarsi, mettendo così fine al suo primo contatto con Cristina.

—Quindi, ci vediamo domattina alle nove? —chiese Cristina, alzandosi e fissando con i suoi occhi quegli occhi neri da cui sgorgava acqua viva.

—Se lo desideri, sì —convenne Naim—. Ah! Dimenticavo di dirti che se decidi di cominciare la terapia, inizieremo con un’escursione di una settimana in un posto che... be’, lo scoprirai a tempo debito. Dovrai semplicemente portarti uno zaino da montagna con l’indispensabile, compreso un sacco a pelo.

—Cosa?

—Vieni con un bagaglio leggero da escursione.

Naim l’accompagnò all’uscita e, senza ulteriori spiegazioni, si accomiatò con un sorriso ed un saluto:

—A presto!

Cristina rimase pietrificata davanti alla porta, con un sacco di domande rimaste senza risposta, ma non si azzardò a bussare di nuovo per chiarire i suoi dubbi.

Scese le scale e si diresse pensierosa verso casa, momento di cui approfittò per telefonare alla sua amica Marta e informarla di tutti gli eventi che le erano accaduti durante la giornata: dal certificato di malattia fino all’incontro che aveva avuto con Naim.